Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 33668 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 33668 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 20/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 12089/2020 R.G. proposto da:
COGNOME NOME e COGNOME NOME, rappresentati e difesi dall’avvocato COGNOME COGNOME, elettivamente domiciliati in Roma INDIRIZZOINDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME.
-ricorrente-
contro
COMMISSIONE NAZIONALE PER LE SOCIETÀ E LA BORSA, in persona delle legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dagli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME, elettivamente domiciliata adesso il loro studio in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente-
per la cassazione della sentenza della Corte di appello di Torino n. 1505/2019, depositata il 16 settembre 2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 25 giugno 2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. -Con ricorso notificato alla Commissione Nazionale per le Società e la Borsa (Consob) il 3 maggio 2018 e depositato presso la cancelleria della Corte d’appello in data 15 maggio 2018, NOME COGNOME e NOME COGNOME proponevano opposizione ai sensi dell’art. 195 d.lgs. n. 58 del 1998 avverso la delibera Consob n. 20280 del 24 gennaio 2018 notificata via Pec il 26 marzo 2018. Con detta delibera venivano applicate a ventotto persone fisiche – nonché alla Banca Intermobiliare di Investimenti e Gestioni RAGIONE_SOCIALE in qualità di soggetto responsabile in solido – sanzioni amministrative pecuniarie in dipendenza delle seguenti violazioni:
Violazione n. 1): irregolarità procedurali e comportamentali relative a: 1) modello del servizio di consulenza, laddove veniva rilevata: a) una non chiara definizione dei vari ‘livelli operativi’ che, per scelta della Banca, integravano il modello del servizio di consulenza; b) l’assenza di criteri e linee guida in merito ai requisiti per accedere a tali diversi livelli di servizio; c) la mancanza di strumenti di monitoraggio volti a verificare la corrispondenza tra il servizio reso e il ‘livello operativo’ prescelto dal cliente, oltre ad una non chiara definizione della remunerazione del servizio di consulenza; 2) modalità di erogazione delle raccomandazioni, laddove emergeva la carenza di procedure e linee guida idonee a orientare le scelte dei RM, da cui conseguiva che ai consulenti veniva riconosciuta un’ampia discrezionalità sia nella definizione del contenuto delle singole raccomandazioni sia nella scelta relativa all’utilizzo degli strumenti predisposti dalla Banca a supporto del servizio di consulenza; 3) sistemi di tracciatura dell’attività dei RM, laddove veniva censurata la mancanza di idonei sistemi di tracciatura del loro operato, senza che fosse possibile neppure ricostruire la loro attività a posteriori; 4) procedure di valutazio ne dell’adeguatezza
con riguardo a tutti i tre profili di cui si compongono, laddove veniva riscontrato: a) quanto alla profilatura clienti, che la Banca non disponeva di una procedura idonea a intercettare le effettive caratteristiche degli investitori e il questionario di profilatura revisionato nel 2014, era basato su una prevalente componente autovalutativa e su una solo parziale efficacia dei controlli di coerenza tra le risposte fornite dal cliente e le informazioni sul cliente disponibili negli archivi dell’istituto; b) quanto alla mappatura prodotti finanziari, che vi erano carenze in particolare quanto alla classificazione dei titoli complessi; c) quanto allo svolgimento delle verifiche di adeguatezza/appropriatezza, che vi erano carenze nel controllo relativo alla concentrazione degli strumenti finanziari nel portafoglio clienti (in particolare: – i limiti di concentrazione erano valutati per singolo strumento o singola emissione e non anche per emittente; -non erano previsti limiti di concentrazione per determinati titoli; – mancavano limiti di concentrazione per titoli obbligazionari di propria emissione).
La Consob contestava quindi la violazione:
A. dell’art. 21, comma 1, lettera d) del d.lgs . 24 febbraio 1998, n. 58 e dell’art. 15 e dell’art. 29 del Regolamento Congiunto Banca d’Italia/ Consob del 29 ottobre 2007 -adottato ai sensi dell’art. 6, comma 2-bis, del d.lgs. n. 58 del 1998 -che impongono agli intermediari di dotarsi di procedure idonee ad assicurare il corretto svolgimento dei servizi di investimento e di tenere per tutti i servizi e tutte le operazioni registrazioni adeguate e ordinate delle attività svolte;
B. dell’art. 21, comma 1, lettera a) del d.lgs . n. 58 del 1998, che impone agli intermediari di comportarsi con diligenza, correttezza e trasparenza, per servire al meglio l’interesse dei clienti, e degli artt. 39 e 40, 41 e 42 del Regolamento Consob n. 16190 del 29 ottobre 2007 -adottato ai sensi dell’art. 6, comma 2, del d.lgs. n. 58 del 1998 -che disciplinano la profilatura del cliente e la
valutazione di adeguatezza e appropriatezza degli investimenti. (Periodo dell’irregolarità: 23 gennaio 2012 31 dicembre 2015)
Violazione n. 2): irregolarità procedurali e comportamentali in relazione agli ordini di vendita delle azioni di Veneto Banca spa, sotto due profili:
RAGIONE_SOCIALE avendo scelto di utilizzare la Capogruppo per l’esecuzione degli ordini su tali azioni dei propri clienti e di determinare il prezzo in quello irrevocabilmente fissato dall’assemblea di Veneto Banca, aveva omesso di presidiare tale processo al fin e di rilevare potenziali anomalie nell’operato di Veneto Banca sul piano della qualità dell’esecuzione degli ordini per ottenere il migliore risultato possibile per i propri clienti;
le soluzioni procedurali adottate da RAGIONE_SOCIALE avevano contribuito a ritardare la stessa trasmissione degli ordini a Veneto Banca e ad alterarne l’ordine di priorità.
La Consob contestava quindi la violazione:
A) dell’art. 21, comma 1, lettera d) del d.lgs . 24 febbraio 1998, n. 58 e dell’art. 15 e dell’art. 29 del Regolamento Congiunto Banca d’Italia/ Consob del 29 ottobre 2007 -adottato ai sensi dell’art. 6, comma 2-bis, del d.lgs. n. 58 del 1998 -che impongono agli intermediari di dotarsi di procedure idonee ad assicurare il corretto svolgimento dei servizi di investimento e di tenere per tutti i servizi e tutte le operazioni registrazioni adeguate e ordinate delle attività svolte;
B) dell’art. 21, comma 1, lettera a) del d.lgs . n. 58 del 1998, che impone agli intermediari di comportarsi con diligenza, correttezza e trasparenza, per servire al meglio l’interesse dei clienti, e dell’art. 48, commi 1, 2, 5 e 6, e dell’art. 49, commi 1 e 3, del Regolamento Consob n. 16190 del 29 ottobre 2007 – adottato ai sensi dell’art. 6, comma 2, del d.lgs. n. 58 del 1998 che disciplinano le regole di condotta cui gli intermediari devono attenersi nella trasmissione e nella gestione degli ordini dei clienti.
(Periodo dell’irregolarità: 1 dicembre 2012 28 aprile 2015) Violazione n. 3): irregolarità attinenti a:
1) finanziamenti strumentali all’investimento in azioni Veneto Banca: dagli accertamenti ispettivi risultava che nel corso del 20142015 l’Internal Audit aveva condotto approfondimenti sui possessori di azioni VB con esposizioni debitorie che Banca d’Italia aveva giudicato deteriorate a seguito dell’ispezione condotta in BIM nel 2012 e riscontrato -limitatamente all’anno 2012 – la presenza di finanzia menti espressamente concessi da BIM per l’acquisto di azioni VB. In particolare, l’ Internal Audit aveva rilevato che su 31 clienti di campione, per 14 l’acquisto era avvenuto utilizzando finanziamenti concessi dalla Banca e per 6 l’acquisto era avvenuto ut ilizzando affidamenti già in essere garantiti da pegno e contestuale switch della garanzia con disinvestimento degli strumenti già oggetto di pegno e costituzione in pegno delle azioni VB. Consob aveva proceduto a riesame e rinvenuto altri 4 casi in cui la concessione /revisione del finanziamento risultava coeva all’acquisto di azioni Veneto Banca. Inoltre alle azioni della Capogruppo costituite in pegno non veniva applicato alcuno scarto (per tutelarsi dalle oscillazione del valore della garanzia conseguente alle fluttuazioni dei mercati finanziari). Consob aveva esaminato 128 dossier relativi a posizioni in azioni Veneto Banca oggetto di pegno, accordo di ritenzione e compensazione al 31.03.2013, accertando che in 43 casi i clienti avevano acquistato azioni nel 2012 oggetto di pegno al 31.03.2013 con una delibera creditizia nel 2012; di questi 43, in 25 casi la delibera era stata adottata a distanza di meno di 30 giorni dall’acquisto delle azioni;
2) operatività con il cliente RAGIONE_SOCIALE: le contestazioni riguardavano: 1) la classificazione del cliente, laddove l’Istituto era stato trattato come soggetto privato cliente al dettaglio fino a marzo 2015, quando era stato riclassificato come cliente professionale su richiesta, senza che fosse stato possibile
ricostruire le valutazioni della Banca in ordine all’attribuzione, confermata nel tempo, all’Istituto Veneto della qualifica di cliente privato con esclusione della natura di ente pubblico, nonostante plurimi indici in tale senso; 2) l’operatività in deriv ati non autorizzata dallo Statuto, proseguita fino alla ratifica del settembre 2011; 3) le modalità di relazione con il cliente, laddove su un campione di 20 ordini era stato riscontrato che gli stessi erano inoltrati via telefono con ratifica scritta successiva, previo rilascio di consulenza e/o consigli da parte del RM in assenza di una riconduzione formale del rapporto al regime di consulenza, operato solo a posteriori.
La Consob contestava, quindi, la violazione dell’art. 21, comma 1, lettera a) del d.lgs. n. 58 del 1998, che impone agli intermediari di comportarsi con diligenza, correttezza e trasparenza, per servire al meglio l’interesse dei clienti. (Periodo dell’irregolarità: 23 gennaio 2012 -13 novembre 2015).
In particolare, COGNOME e COGNOME venivano sanzionati in qualità, rispettivamente, di Presidente e componente del Collegio sindacale di BIM dal 25 giugno 2010 all’11 settembre 2013 e veniva loro applicata la sanzione amministrativa di euro 32.500 ciascuno così determinata: euro 17.500 per la violazione più grave sub 1 aumentata, per effetto del cumulo giuridico, di euro 4.000 per la violazione sub 2 e di euro 11.000 per la violazione sub 3.
Con la proposta opposizione, si eccepivano preliminarmente: A) l’illegittimità del provvedimento impugnato per omessa motivazione su mancanza di profili di responsabilità in capo ai ricorrenti in considerazione della condotta di ‘rappresentazione mascherata’ posta in essere dagli organi di controllo operativo di BIM, per mancata allegazione di documenti fondamentali e conseguente violazione del diritto di difesa; B) la violazione del principio del ‘ne bis in idem’; C) la tardività delle contestazioni per su peramento del termine di 180 giorni dalla loro acquisizione. Nel merito, si lamentava l’ illegittimità del provvedimento per genericità delle imputazioni
formulate e si contestavano i fatti e le argomentazioni poste a fondamento della delibera sanzionatoria per ciascuna delle tre violazioni ascritte.
Si costituiva la Consob contestando quanto dedotto.
La Corte di appello ha respinto l’opposizione, condannando i ricorrenti al rimborso delle spese di lite.
–COGNOME e COGNOME hanno proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.
La Consob ha resistito con controricorso.
-Il ricorso è stato avviato alla trattazione camerale ai sensi dell’art. 380 -bis .1 cod. proc. civ.
Entrambe le parti hanno depositato una memoria illustrativa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. -Con il primo motivo di ricorso (art. 360, primo comma, n. 4 cod. proc. civ.) si deduce la nullità della sentenza per motivazione inesistente e/o apparente quale conseguenza del ‘contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili’ contenute nella motivazione. Secondo quanto argomentato, il tema concerne il ‘flusso’ delle informazioni veicolate dalle funzioni di controllo della Banca, e in particolare dalla funzione di compliance, al Collegio sindacale , e in particolare il ‘mascheramento’ (se e per quanto esistessero) di specifiche criticità. Sul punto, nella sentenza impugnata sarebbero espresse considerazioni diametralmente opposte circa l’effettiva percezione all’epoca dei fatti (ed anzi circa la ragionevole percettibilità) in capo ai componenti del Collegio sindacale delle disfunzioni che Consob ha poi allocato nell’ordinanza -e più esattamente nel profilo della ‘culpa in vigilando’ – quali altrettanti presupposti del provvedimento sanzionatorio.
1.1. -Il motivo è inammissibile.
La motivazione del provvedimento impugnato con ricorso per cassazione deve ritenersi apparente quando pur se graficamente esistente e, eventualmente sovrabbondante nella descrizione
astratta delle norme che regola la fattispecie dedotta in giudizio, non consente alcun controllo sull’esattezza e la logicità del ragionamento decisorio, così da non attingere la soglia del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 comma 6 Cost. (Cass., Sez. I, 30 giugno 2020, n. 13248).
Peraltro, il vizio di motivazione contraddittoria sussiste solo in presenza di un contrasto insanabile tra le argomentazioni addotte nella sentenza impugnata, che non consenta l ‘ identificazione del procedimento logico-giuridico posto a base della decisione (Cass., Sez. IV, 17 agosto 2020, n. 17196).
Nel caso di specie, non vi è alcuna motivazione apparente, lesiva del minimo costituzionale, giacché la sentenza dà conto delle ragioni poste a base della decisione e degli esiti dell’ispezione effettuata dalla Consob.
2. -Con il secondo motivo di ricorso (art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ.) si sostiene che la Corte d’appello avrebbe violato, e comunque falsamente applicato, le norme di diritto – costituite dall’art. 195 d.lgs. n. 58/1998 T.U.F. (in particolare, ma non esclusivamente, il relativo 2° comma) e dall’art. 14 l. n. 689 del 1981 -in relazione all’incompleta esibizione degli atti e documenti utilizzati nel procedimento sanzionatorio e/o con riguardo al mascheramento e/o occultamento di parte rilevante ed essenziale della documentazione relativa. La censura oggetto del motivo si fonda sulla circostanza per cui la Corte d’appello non avrebbe correttamente applicato le norme in rubrica, il che invece avrebbe dovuto condurre alla statuizione di illegittimit à dell’operato di Consob per non aver messo a disposizione dei ricorrenti due documenti, costituiti dalla bozza di relazione 1/2013 della funzione Compliance e dalla nota ricostruttiva del 27 ottobre 2015 della medesima funzione Compliance, i cui (autentici e mascherati) contenuti evidenziano l’opera di travisamento della realtà operato dalle strutture di BIM con irrimediabile compromissione delle oggettive
conoscenze disponibili al Collegio sindacale e della sua possibilità di reazione e intervento.
2.1. -Il motivo è inammissibile.
Si tratta, di tutta evidenza, di una richiesta di rivalutazione del merito, preclusa in sede di legittimità. La Corte d’appello ha preso in considerazione sia la relazione di verifica 1/2013, sia la nota ricostruttiva del 27 ottobre 2015, evidenziando non solo come la Consob avesse spiegato le ragioni per cui ha tenuto conto dei documenti allegati agli atti e non della loro versione incompleta, ritenendo che non vi sia stato alcun occultamento di informazioni, ma, esaminando le lamentate difformità, ha altresì ritenuto che dai documenti invocati non emergesse la prova di una generale attività di sviamento da parte della funzione Compliance che potesse condurre all’annullamento della delibera sanzionatoria.
3. -Con il terzo motivo di ricorso (art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ.) si contesta l’omesso l’esame del ‘fatto decisivo’ -oggetto di discussione tra le parti costituito dall’incompletezza ed assoluta carenza di trasparenza in ordine alle ‘carte di lavoro’ utilizzate da Consob nel ricostruire / istruire i presupposti della sanzione irrogata e nella totale ‘segregazione’ delle ‘simulazioni’ e ‘ricostruzioni’ operate dall’autorità predetta e recepite quali elementi di prova – pur se redatte in assenza di ogni contradditorio – dalla Corte d’appello .
3.1. -Il motivo è inammissibile.
Anche qui la parte chiede alla S.C. una rivalutazione del merito. La Corte di appello ha fornito una puntuale ricostruzione dei fatti qui dedotti in merito alla violazione contestata, prendendo in esame le argomentazioni proposte dalla Consob, dando atto delle posizioni assunte dalle parti, per cui non si ravvisa alcun vizio di omesso esame di un fatto decisivo. In particolare, la motivazione ha dato conto delle ragioni per cui la valutazione di adeguatezza degli ordini di acquisto delle azioni della controllante RAGIONE_SOCIALE
riconducibile alla generale inidoneità dei sistemi procedurali aziendali a supportare gli operatori nello svolgimento della valutazione di adeguatezza. Inoltre, è stato evidenziato come vi fosse una situazione procedurale del tutto carente in relazione alla disciplina vigente nel periodo in cui i ricorrenti erano in carica. Tali dati sono stati riscontrati alla luce dell’attenta analisi della documentazione esaminata (tra cui la relazione di esercizio 2011 del 27 gennaio 2012, la relazione di verifica 1/2013, la nota ricostruttiva del 27 ottobre 2015, i verbali delle delibera del collegio sindacale).
4. -Con il quarto motivo di ricorso (art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ.) si prospetta l’omesso l’esame del ‘fatto decisivo’ -oggetto di discussione tra le parti costituito dall’accertamento (e relativo obbligo motivazionale) in ordine alla data in cui la Consob ha acquisito, dalla Banca d’Italia, notizia univoca e documentata delle (asserite) criticità e violazioni oggetto del procedimento sanzionatorio, ai fini della corretta individuazione del dies a quo riferito al termine di decadenza dal potere sanzionatorio ex art. 195 primo comma T.U.F. , anche in relazione all’obbligo di tempestività della contestazione sancito dall’art. 14 l. 689/198.
4.1. -Il motivo è inammissibile.
In tema di sanzioni amministrative previste per la violazione delle norme che disciplinano l’attività di intermediazione finanziaria, il momento dell’accertamento, dal quale decorre il termine di decadenza per la contestazione degli illeciti da parte della Consob, va individuato in quello in cui la constatazione si è tradotta, o si sarebbe potuta tradurre, in accertamento, dovendosi a tal fine tener conto, oltre che della complessità della materia, delle particolarità del caso concreto anche con riferimento al contenuto e alle date delle operazioni (Cass., Sez. II, 8 agosto 2019, n. 21171; Cass., Sez. II, 3 maggio 2016, n. 8687). In tema di sanzioni amministrative, il termine per la contestazione all’interessato, stabilito, a pena di decadenza, decorre, non già dal momento in cui il “fatto” è stato
acquisito nella sua materialità, ma, dovendosi tener conto anche del tempo necessario per la valutazione della idoneità di tale fatto ad integrare gli estremi (oggettivi e soggettivi) di comportamenti sanzionati come illeciti amministrativi, da quando l’accertamento è stato compiuto o avrebbe potuto ragionevolmente essere effettuato dall’organo addetto alla vigilanza delle disposizioni che si assumono violate.
Qualora, pertanto, il soggetto abilitato a riscontrare gli estremi della violazione sia diverso da quello incaricato della ricerca e della raccolta degli elementi di fatto, l’atto di accertamento non può essere configurato fino a quando i risultati delle indagini svolte dal secondo non siano portati a conoscenza del primo, dovendo escludersi che le attività svolte dai due diversi organi possano essere considerate unitariamente al fine di valutare la congruità del tempo necessario per l’accertamento delle irregolarità e, conseguentemente, la ragionevolezza di quello effettivamente impiegato dall’amministrazione. Da tanto deriva che, in tema di violazioni della disciplina dell’attività di intermediazione finanziaria, sanzionabili con pena pecuniaria amministrativa irrogata dal Ministero dell’economia e delle finanze su proposta della Commissione nazionale per le società e la borsa (Consob), essendo la vigilanza delle norme, la cui violazione è sanzionata come illecito amministrativo, affidata appunto alla Consob, e non alla Banca d’Italia (la quale non è legittimata ad avviare il procedimento sanzionatorio), il momento iniziale di decorrenza del termine per la contestazione non può essere fatto coincidere con il deposito presso la Banca d’Italia della relazione ispettiva redatta, ad altri fini, dal Servizio di vigilanza della medesima Banca d’Italia (Cass., Sez. I, 19 maggio 2004, n. 9456).
Compete, in ogni caso, al giudice di merito valutare la congruità del tempo utilizzato per tale attività, in rapporto alla maggiore o minore difficoltà del caso, con apprezzamento incensurabile in sede
di legittimità, se correttamente motivato (Cass., Sez. II, 25 ottobre 2019, n. 27405).
Nel caso di specie, la Corte di appello ha esplicitato le ragioni per le quali ha ritenuto tempestiva l’attivazione del procedimento sanzionatorio, ponendo in evidenza le specificità dell’ispezione compiuta dalla Banca d’Italia nei confronti della BIM dal 4 luglio al 30 novembre 2012, che avevano portato al provvedimento del 3 dicembre 2013, e la necessità della successiva richiesta di informazioni da parte della Consob alla BIM in merito alla quantità e qualità degli ordini su iniziativa del cliente e quelli su iniziativa della banca, sugli ordini valutati appropriati e il loro esito, nonché le cautele adottate affinché l’operazione raccomandata potesse essere qualificata come iniziativa del cliente e la loro adeguatezza. La motivazione evidenzia, altresì, che il riscontro alla richiesta di informazioni nel caso di specie risultava tranquillizzante sotto il profilo che si intendeva approfondire riguardo alla qualità della clientela, mentre l’ispezione iniziata a luglio 2015 veniva finalizzata ad accertare profili ulteriori e diversi (1. l’articolazione del processo di budgeting e la definizione delle politiche commerciali; 2. la configurazione dei sistemi di incentivazione del personale; 3. le soluzioni procedurali -operative poste a presidio dello svolgimento del servizio di consulenza, in particolare avuto riguardo alla gestione del rischio di conflitto di interessi; 4. la valutazione dell’adeguatezza degli investimenti della clientela; 5. le misure di trasparenza adottate per informare la clientela sui costi e sulle caratteristiche dei prodotti finanziari distribuiti). Secondo la Corte d’appello, pertanto, non è riscontrabile alcuna sovrapposizione né coincidenza tra le condotte contestate. In realtà, parte ricorrente prospetta, in maniera ammissibile in sede di legittimità, una diversa ricostruzione dei fatti, così come accertata in sede di merito.
5. -Il ricorso va dunque respinto.
Le spese del giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
Poiché il ricorso è stato rigettato, sussistono le condizioni per dare atto -ai sensi dell ‘ art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato -Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater dell ‘ art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – della sussistenza dei presupposti processuali dell ‘ obbligo di versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida, in favore della controricorrente, in euro 6.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell ‘ art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall ‘ art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell ‘ ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione