Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 18725 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 18725 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 09/07/2024
R.G.N. 12596/2019
C.C. 3/07/2024
VENDITA
ORDINANZA
sul ricorso (iscritto al N.R.G. 12596/2019) proposto da:
COGNOME NOME, rappresentato e difeso, in virtù di procura speciale apposta in calce al ricorso, dall’AVV_NOTAIO ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, in Roma, INDIRIZZO;
–
ricorrente – contro
COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, rappresentati e difesi, giusta procura speciale rilasciata su separato foglio allegato materialmente al controricorso, dagli AVV_NOTAIO.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME, elettivamente domiciliati presso lo studio di quest’ultimo, in Roma, alla INDIRIZZO;
– controricorrenti – avverso la sentenza della Corte di appello di Venezia n. 381/2019 (pubblicata il 7 febbraio 2019);
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 3 luglio 2024 dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le memorie di entrambe le parti.
RITENUTO IN FATTO
Con atto di citazione dell’aprile 2004, i sigg. COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME convenivano, dinanzi al Tribunale di Padova, il sig. COGNOME NOME al fine di ottenere la declaratoria di nullità, o, in via subordinata, di annullamento o, in via ulteriormente gradata, di risoluzione, in ogni caso con conseguente risarcimento dei danni, del contratto stipulato in data 8 agosto 2003 (preceduto da una proposta irrevocabile di acquisto del 24 luglio 2003), relativi ad un preliminare di compravendita immobiliare di un terreno edificabile di proprietà per i 4/6 di essi attori e per i restanti 2/6 di COGNOME Vallivanda.
Nella costituzione del citato convenuto, il Tribunale adito -con sentenza n. 2870/2012 -dichiarava la nullità del richiamato contratto preliminare, con condanna degli attori a restituire il prezzo anticipato nella misura di euro 150.000,00 (oltre interessi dalla domanda) al convenuto COGNOME, con compensazione delle spese di lite.
Decidendo sull’appello formulato dai due COGNOME e dalla COGNOME, la Corte di appello di Venezia, nella costituzione dell’appellato NOME COGNOME NOME (il quale, a sua volta, formulava appello incidentale per chiedere la riforma della pronuncia di primo grado che non aveva dichiarato la risoluzione del contratto preliminare dell’8 agosto 2003, con la conseguente condanna delle controparti al pagamento del doppio della caparra), con sentenza n. 381/2019, rigettava entrambi i gravami.
A sostegno dell’adottata decisione, la Corte veneta rilevava che: – era condivisibile la pronuncia del Tribunale circa la declaratoria della nullità del contratto preliminare dedotto in causa per assoluta indeterminatezza della clausola riportata al n. 5) del suo testo relativa al prezzo, dichiarazione che travolgeva la domanda di accertamento dell’inadempimento degli appellanti principali e di conseguente risoluzione del citato contratto; – era infondata la domanda risarcitoria avanzata dai medesimi appellanti principali, non essendo risultata provata l’attribuibilità al solo COGNOME della previsione della suddetta
clausola di determinazione del prezzo, in considerazione della circostanza che il contratto era stato liberamente sottoscritto da tutte le parti, ragion per cui non sussistevano elementi sulla base dei quali poter riconoscere la responsabilità ai sensi dell’art. 1368 c.c. del COGNOME, nonché il diritto al risarcimento del danno sotto tale profilo; -era altrettanto privo di fondamento l’appello incidentale del COGNOME in ordine al profilo della decorrenza degli interessi relativi alla sopra indicata somma di cui era stata ordinata la restituzione in suo favore, rilevandosi che l’obbligazione conseguente alla nullità del contratto, a norma dell’art. 1463 c.c., va restituita ‘secondo le norme relative alla ripetizione di indebito’, donde la legittimità della sentenza di primo grado che li aveva fatti decorrere dalla domanda, dovendosi aver riguardo alla buona fede di chi ha percepito il pagamento, non essendo emersi elementi utili a provare la malafede del COGNOME.
In virtù della reciproca soccombenza, il giudice di appello compensava anche le spese del grado.
Avverso la citata sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi, il COGNOME NOME.
Hanno resistito con un congiunto controricorso tutte e tre le parti intimate.
I difensori di entrambe le parti hanno depositato memoria.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Con il primo motivo, il ricorrente ha denunciato -ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. -la nullità della sentenza impugnata, per non avere, con essa, la Corte di appello pronunciato su tutte le doglianze prospettate, da esso ricorrente, con riferimento alla confutazione della ritenuta indeterminatezza del prezzo del contratto che aveva dato luogo alla pronuncia di nullità del medesimo.
Con il secondo motivo, il ricorrente ha dedotto -in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. -l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che era stato oggetto di discussione tra le parti, avuto riguardo alla circostanza che la mancata approvazione del progetto
(sottoscritto da esso ricorrente sia come progettista che come proprietario) da parte del Comune non avrebbe potuto togliere efficacia alla volontà negoziale manifestata dalle parti – con la sottoscrizione del documento contrattuale – in ordine alla determinazione degli elementi convenzionali di calcolo del prezzo della vendita, poiché la relativa volontà negoziale non era ‘contra legem’, né le parti ne avevano condizionato l’efficacia all’approvazione da parte del Comune.
Con il terzo motivo, il ricorrente ha lamentato – in ordine all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. – la violazione e falsa applicazione degli artt. 1325, 1346, 1372, 1418 e 1453 c.c., per avere la sentenza impugnata dichiarato nullo il controverso contratto preliminare concluso dalle parti per l’indeterminatezza – invece insussistente – del prezzo della (futura) compravendita e non avere, invece, pronunciato la risoluzione dello stesso contratto preliminare pure richiesta dalle controparti, a fronte del pacifico e conclamato inadempimento dei venditori, i quali avevano addirittura venduto a terzi il bene promesso in vendita.
Con il quarto motivo, il ricorrente ha denunciato – in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. – la violazione degli artt. 1366 e 1367 c.c., sul presupposto che, nella fattispecie, non poteva essere dichiarata la nullità del contratto per il fatto che la clausola di determinazione del prezzo della (futura) compravendita – assumente a base del calcolo la cubatura da misurare dalla quota della strada anziché dalla quota del piano di campagna – avrebbe consentito all’acquirente di presentare a sua discrezione un progetto di edificazione avente una maggiore o minore cubatura computabile secondo detto criterio, e, quindi, determinante un corrispondente maggiore o minor prezzo da pagare, a seconda che l’edificio avesse avuto, a parità di cubatura, un’altezza maggiore o minore misurata dalla quota ‘0’ convenzionale.
Con il quinto ed ultimo motivo, il ricorrente ha, in via subordinata e residuale, dedotto – con riferimento all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.
– la violazione dell’art. 2033 c.c., sostenendo che la Corte di appello aveva errato nel non ravvisare la malafede delle controparti quando avevano ricevuto il pagamento eseguito in forza di un titolo alla cui nullità essi avevano dato causa, onde si sarebbero dovuti considerare tenuti a restituire la somma con gli interessi dal giorno del pagamento, come previsto dal citato art. 2033 c.c., essendo, per converso, irrilevante che la clausola fosse stata voluta anche da esso ricorrente, poiché tale norma conferisce rilievo solo allo stato soggettivo dell’ accipiens e non anche a quello del tradens .
6. Il primo motivo è infondato.
Infatti, diversamente da quanto con lo stesso prospettato, la Corte di appello ha, con la sentenza impugnata, pronunciato sulla questione centrale dirimente ed assorbente delle altre circa la ravvisata indeterminatezza dell’oggetto del controverso contratto per come previsto nella clausola n. 5), in virtù della quale -ponendo riferimento in senso conforme alla sentenza di primo grado -il prezzo dell’immobile costituente l’oggetto si sarebbe dovuto calcolare in aumento o in diminuzione in base alla cubatura misurabile secondo un progetto che sviluppasse la massima edificabilità, ma senza che al momento della conclusione del contratto preliminare fosse in essere un progetto al quale porre riferimento e senza che potesse avere rilevanza il possibile comportamento successivo delle parti, essendo necessaria la sussistenza della determinatezza o dell’univoca determinabilità dell’oggetto già all’atto della sua conclusione.
Il secondo motivo è inammissibile per la preclusione da ‘doppia conforme’ ai sensi dell’art. 348 -bis, ultimo comma, c.p.c. (cfr. Cass. n. 26774/2016 e Cass. n. 5947/2023), essendo basate la sentenza di primo grado e quella di appello (quest’ultima richiamante integralmente la prima sul piano logico-giuridico-argomentativo) sulla stessa motivazione, senza che il ricorrente abbia dedotto ed offerto elementi tali da dimostrare la non piena conformità delle due motivazioni (come sarebbe stato necessario ai fini, per l’appunto,
dell’ammissibilità della censura formulata ai sensi dell’art. 360, n. 5, c.p.c.).
Il terzo motivo è privo di fondamento perché la Corte di appello -sulla base della motivatamente ritenuta indeterminatezza o, comunque, non univoca determinabilità dell’oggetto è giunta, confermando in tal senso la pronuncia di primo grado, alla dichiarazione di nullità del contratto ai sensi del combinato disposto degli artt. 1325, 1346 e 1418, comma 1, c.c.; pertanto, non avrebbe potuto pronunciare la risoluzione dello stesso contratto per inadempimento delle controparti, presupponendo tale declaratoria la conclusione di un contratto valido.
Il quarto motivo si profila inammissibile perché, con esso, si sollecita -attraverso la surrettizia proposizione della violazione dei canoni ermeneutici di cui agli artt. 1366 e 1367 c.c. -questa Corte a compiere valutazioni di merito circa l’eseguibilità, in relazione all’applicazione dell’indice di massima edificabilità, di quanto previsto nella clausola (obiettivamente generica, come correttamente rilevato da entrambi i giudici di merito), individuante l’oggetto del contratto, qualificata come indeterminata.
Peraltro, va aggiunto che dal motivo in esame non traspare nemmeno quando e come il COGNOME avesse posto tale questione al fine di confutare la dichiarazione di indeterminatezza dell’oggetto del contratto preliminare (in vista della futura vendita), dovendo, oltretutto, lo stesso essere -in generale – propriamente determinato o determinabile al momento della stipula del contratto (cfr. Cass. n. 26351/2020 e Cass. n. 8731/2023) e non dipendente da possibili eventi futuri o dal comportamento successivo delle parti né condizionato dal fatto di terzi, ove tali elementi non risultino specificati nello stesso contenuto contrattuale.
Quindi, il motivo, oltre ad essere inammissibile perché tende ad ottenere in sede di legittimità una rivalutazione di merito, lo è anche in quanto difettante di specificità.
Anche il quinto ed ultimo motivo non coglie nel segno e va disatteso.
A tal proposito bisogna prendere le mosse dal dato accertato in fatto che la clausola individuativa dell’oggetto in modo indeterminato e, perciò, conducente alla declaratoria di nullità del contratto preliminare era stata voluta e concordata da entrambe le parti.
Nella sentenza di appello (v. pag. 6) si dà conto che non era risultata provata l’attribuibilità al solo COGNOME della clausola di determinazione del prezzo (apposta -come detto – in violazione dell’art. 1346 c.c.), considerato che il contratto era stato liberamente sottoscritto da tutte le parti e che, pertanto, non vi erano elementi sulla base dei quali poter riconoscere la responsabilità ex art. 1368 c.c. del COGNOME e il correlato diritto al risarcimento del danno.
Orbene, il ricorrente -al fine di vedersi riconosciuti gli interessi sulla somma pagata per l’anticipo ai controricorrenti dalla domanda basa la sua pretesa sul presupposto che questi ultimi l’avessero ricevuta in malafede, ma tale condizione soggettiva non risulta affatto essere stata accertata nel caso di specie, dovendosi, anzi, ritenere -proprio perché tale clausola era stata prevista per effetto del libero accordo di entrambe le parti contraenti – presunta (in difetto di prova contraria, il soddisfacimento del cui onere incombeva sullo stesso COGNOME) la buona fede anche di coloro che avevano ricevuto detta somma, ragion per cui legittimamente gli interessi sono stati riconosciuti dovuti, in favore del COGNOME, dal momento della proposizione della sua relativa domanda e non dal pagamento (cfr., ad es., Cass. n. 2993/2019 e Cass. n.16067/2023).
Pertanto, la Corte di appello ha fatto corretta applicazione dell’art. 2033 c.c.
In definitiva, alla stregua delle argomentazioni complessivamente svolte, il ricorso deve essere integralmente respinto, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che si liquidano nei sensi di cui in dispositivo.
Infine, ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in euro 8.200,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre contributo forfettario, iva e cpa nella misura e sulle voci come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio della Seconda Sezione civile della