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Condotta oppositiva: no al risarcimento se ostacoli i lavori

Un proprietario terriero ha citato in giudizio un consorzio per il risarcimento dei danni derivanti dal mancato completamento di opere irrigue. I tribunali di primo e secondo grado hanno respinto la richiesta, attribuendo la colpa al proprietario stesso per la sua condotta oppositiva, avendo impedito l’accesso ai fondi per l’esecuzione dei lavori. La Corte di Cassazione ha confermato la decisione, dichiarando il ricorso inammissibile. La Corte ha sottolineato che non può riesaminare i fatti e che, in presenza di una ‘doppia conforme’ (due sentenze di merito con la stessa ricostruzione dei fatti), la valutazione della motivazione è preclusa. La condotta oppositiva del proprietario è stata ritenuta la causa principale e assorbente del danno, interrompendo il nesso di causalità con qualsiasi presunta inadempienza del consorzio.

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Condotta oppositiva e risarcimento del danno: chi ostacola i lavori non può chiedere i danni

L’ordinanza in esame offre un importante chiarimento sul nesso di causalità nel risarcimento del danno, in particolare quando la presunta vittima contribuisce in modo determinante all’evento dannoso. La Corte di Cassazione, con una decisione netta, stabilisce che la condotta oppositiva di un proprietario terriero, che impedisce l’esecuzione di lavori di pubblica utilità, esclude la responsabilità dell’ente appaltante per il mancato completamento dell’opera. Analizziamo insieme i dettagli di questa vicenda.

I fatti di causa

Un proprietario terriero citava in giudizio un consorzio di bonifica, chiedendo il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali subiti a causa della mancata ultimazione di lavori di ampliamento di un impianto irriguo sui suoi terreni. Secondo il proprietario, il consorzio non aveva completato le opere e aveva occupato illegittimamente alcune aree.

Il consorzio, dal canto suo, sosteneva che il completamento dei lavori era stato reso impossibile proprio dal proprietario, il quale si era fermamente opposto all’accesso ai fondi da parte dell’impresa appaltatrice, adducendo presunte irregolarità nella procedura espropriativa. Questa situazione di stallo aveva portato il consorzio a denunciare penalmente il proprietario.

La decisione del Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche

Sia il Tribunale Regionale delle Acque in primo grado, sia il Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche (TSAP) in appello, hanno respinto le richieste del proprietario. In particolare, il TSAP ha confermato la sentenza di prime cure, ritenendo che il mancato accesso ai fondi non fosse conseguenza di un inadempimento colposo del Consorzio, ma della diretta condotta oppositiva del proprietario.

I giudici d’appello hanno evidenziato come l’atteggiamento ostativo del proprietario fosse stato il fattore decisivo che aveva impedito la prosecuzione dei lavori. Anche la questione relativa alla mancata inclusione di una strada interpoderale nel piano di esproprio è stata giudicata irrilevante, data l’opposizione generalizzata del proprietario all’accesso a tutte le particelle interessate, a prescindere dall’uso di quella specifica strada.

L’analisi della Cassazione: il ruolo della condotta oppositiva

La Corte di Cassazione, investita del ricorso del proprietario, lo ha dichiarato inammissibile, consolidando i principi espressi nei precedenti gradi di giudizio. La Corte ha innanzitutto ribadito i limiti del proprio sindacato sulle decisioni del TSAP: non può entrare nel merito della ricostruzione dei fatti, ma solo verificare l’esistenza e la logicità della motivazione.

Nel caso specifico, la Corte ha rilevato la presenza della cosiddetta “doppia conforme”: le sentenze di primo e secondo grado erano giunte alla stessa conclusione basandosi sulla medesima ricostruzione fattuale. Questo, ai sensi dell’art. 348 ter c.p.c., preclude la possibilità di contestare in Cassazione la motivazione per vizi legati all’esame dei fatti. La condotta oppositiva del proprietario è stata quindi considerata un fatto accertato e non più discutibile.

Le motivazioni

La motivazione della Corte si fonda su un principio cardine della responsabilità civile: il nesso di causalità. I giudici hanno ritenuto che il comportamento del proprietario avesse interrotto qualsiasi legame causale tra la presunta inerzia del consorzio e il danno lamentato (il mancato completamento delle opere). La causa efficiente e assorbente del pregiudizio era da individuarsi unicamente nell’ostruzionismo del proprietario.

La motivazione del TSAP non è stata giudicata “apparente”, ma chiara e percepibile nel suo percorso logico: a fronte di un’opposizione fisica e totale all’accesso ai cantieri, le eventuali mancanze burocratiche del consorzio (come il titolo per occupare una strada di accesso) perdevano di rilevanza. Era l’atteggiamento del proprietario a rendere, di per sé, impossibile l’adempimento.

Le conclusioni

La decisione della Cassazione veicola un messaggio inequivocabile: non si può essere al contempo causa del proprio danno e pretenderne il risarcimento. Chi ritiene lesi i propri diritti da un’azione della Pubblica Amministrazione deve utilizzare gli strumenti legali previsti dall’ordinamento (come l’impugnazione degli atti amministrativi) e non ricorrere a forme di autotutela, come l’impedimento fisico dei lavori. Tale comportamento, qualificabile come condotta oppositiva, non solo è illegittimo, ma fa venir meno il presupposto fondamentale per qualsiasi azione risarcitoria: il nesso di causalità tra la condotta altrui e il danno subito.

Può un proprietario che ostacola i lavori sul suo fondo chiedere il risarcimento per il loro mancato completamento?
No, la sentenza stabilisce che la condotta oppositiva del proprietario, che impedisce materialmente l’accesso ai fondi, è la causa diretta del mancato completamento e fa venir meno il diritto al risarcimento.

La mancanza di un titolo per occupare una strada di accesso giustifica l’opposizione a tutti i lavori?
Secondo la Corte, no. Se l’opposizione del proprietario è generalizzata e impedisce l’accesso anche ad aree per le quali non era necessario usare quella strada, la sua condotta diventa la causa assorbente del danno, rendendo irrilevante la questione del titolo per la singola strada.

È possibile contestare in Cassazione la valutazione dei fatti compiuta dai giudici di primo e secondo grado?
Generalmente no. La Corte di Cassazione ha ribadito che il suo ruolo non è quello di riesaminare i fatti, ma di verificare la corretta applicazione della legge. In caso di ‘doppia conforme’ (due sentenze uguali sui fatti), la possibilità di contestare la motivazione è ulteriormente limitata.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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