Sentenza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 348 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 1 Num. 348 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 08/01/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 16710/2021 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, con sede in Mugnano, in persona del legale rappresentante pro tempore , elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’Avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE, rappresentata e difesa dagli Avvocati NOME COGNOMECODICE_FISCALE e NOME COGNOME (CODICE_FISCALE giusta procura speciale allegata al ricorso
– ricorrente –
contro
CONCORDATO PREVENTIVO di RAGIONE_SOCIALE CP 3-2019, elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’Avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE, rappresentato e difeso dall’Avvocato NOME COGNOMECODICE_FISCALE giusta procura speciale in calce al controricorso
– controricorrente –
avverso il decreto del Tribunale di Perugia in R.G. n. 3/2019 depositato in data 8/4/2021;
udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 11 dicembre 2024 dal Consigliere NOME COGNOME
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
udito l’Avvocato NOME COGNOME per la ricorrente.
FATTI DI CAUSA
1. Il Tribunale di Perugia, con decreto in data 1° aprile 2021, omologava il concordato presentato da RAGIONE_SOCIALE unipersonale, il cui piano ‘misto’, per una combinazione di profili propri della continuazione con altri tipici della liquidazione, prevedeva la soddisfazione dei creditori attraverso i proventi derivanti dalla prosecuzione diretta dell’attività di impresa, dai flussi liquidatori della compagine giapponese controllata e dal realizzo dei crediti commerciali; era previsto, inoltre, che a tali risorse si assommasse il ricavato della cessione di due immobili della società non funzionali all’attività di impresa e dell’immobile , di proprietà dell’unico socio e amministratore della società preponente con vincolo di destinazione condizionato all’omologa.
Riteneva che la cessione dei beni immobili non funzionali e di quello personale messo a disposizione dei creditori, che non era stata programmata in piano con esplicitazione delle modalità con cui sarebbe avvenuta, dovesse compiersi attraverso la nomina di un liquidatore giudiziale, seppur tale nomina fosse stata indicata in piano come superflua, e lo svolgimento di procedure competitive, tenuto conto che la società proponente aveva omesso di indicare specifiche procedure finalizzate alla miglior liquidazione dei beni ed alla cancellazione delle ipoteche.
Evidenziava, da una parte, che l’art. 186 -bis l. fall. non disciplinava espressamente le modalità con cui la liquidazione dei beni non
funzionali all’esercizio dell’impresa doveva avvenire, dall’altra che la vendita, solo se si fosse compiuta in esito a una procedura competitiva ad evidenza pubblica secondo le regole previste dagli artt. 105 e ss. l. fall., avrebbe comportato l’effetto pu rgativo previsto dall’art. 108, comma 2, l. fall.
Riteneva che la scelta della società proponente di affidare al suo legale rappresentante la vendita dei beni ceduti alla procedura per il soddisfacimento delle ragioni dei creditori, giustificata solo da un risparmio di spesa, risultasse recessiva rispetto all’esigenza di una piena e puntuale realizzazione della fase liquidatoria per conseguire l’adempimento della proposta concordataria.
Provvedeva, pertanto, all’omologa del concordato, nominando un liquidatore giudiziale, ai soli fini della liquidazione degli asset immobiliari destinati dal piano alla dismissione.
RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per la cassazione di tale decreto prospettando sei motivi di doglianza, ai quali la procedura di concordato preventivo di RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso, assistito da memoria.
Questa Corte, con ordinanza interlocutoria n. 16868/2024, nel rinviare a nuovo ruolo per la trattazione in pubblica udienza, stante la particolare rilevanza delle questioni in esame, ha posto in evidenza che tutti i motivi di ricorso ponevano la questione di come dovesse essere organizzata l’esecuzione di un concordato in continuità nel caso in cui il piano prevedesse pure la dismissione di beni immobili non funzionali all’esercizio dell’attività di impresa [occorrendo, in particolare, stabilire: i) se sia possibile provvedere in questa ipotesi alla nomina di un liquidatore (e di un comitato dei creditori), quand’anche il piano escluda una simile eventualità, al fine di procedere alla cessione di tali beni; ii) secondo quali modalità la vendita debba avvenire (e più precisamente se la cessione debba seguire le regole previste dagli artt. 105 -108ter l. fall. oppure se possa avvenire liberamente sul mercato); iii) se sia possibile
prevedere che alla vendita consegua la cancellazione delle iscrizioni e trascrizioni pregiudizievoli, a mente dell’art. 182, comma 5, l. fall.]. Il Procuratore Generale ha depositato conclusioni scritte, ex art. 380 bis .1 c.p.c., sollecitando anche in udienza il rigetto del ricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 378 cod. proc. civ..
RAGIONI DELLA DECISIONE
3.1 Il primo motivo di ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art . 186bis l. fall., in relazione all’art. 160 l. fall., nella parte in cui il decreto qualifica il concordato della società RAGIONE_SOCIALE come un concordato misto, vale a dire come una forma autonoma di concordato, combinando le discipline dettate, rispettivamente, per il concordato liquidatorio e per il concordato in continuità.
3.2 Il secondo motivo di ricorso, assume, ex art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., la nullità del decreto impugnato per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in relazione agli artt. 160 e 186 -bis , l. fall., in quanto il tribunale ha pronunciato oltre la domanda di concordato proposta dalla società ricorrente, nella parte in cui ha introdotto la figura del liquidatore giudiziale, ai sensi dell’art. 182 l. fall., ancorché tale organo non fosse stato previsto, né ipotizzato, nella domanda concordataria e nel piano.
3.3 Il terzo motivo di ricorso prospetta, a mente dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 186bis e 185 l. fall., in relazione all’art. 182 l. fall., perché il tribunale, in contraddizione con la domanda e il piano approvato dai creditori, ha ritenuto non consentito, né opportuno, che fosse la stessa società debitrice a gestire anche il compimento di complesse attività liquidatorie, non dipendenti da scelte inerenti all’esercizio dell’azienda.
3.4 Il quarto motivo lamenta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 160 e
186bis l. fall., in relazione all’art. 182 l. fall., perché il tribunale ha ritenuto l’art. 186 -bis l. fall, norma di riferimento per la regolazione della procedura concordataria in continuità, bisognevole di integrazione in ragione del fatto che la stessa non disciplina la “liquidazione di beni non funzionali all’esercizio dell’impresa”.
3.5 Il quinto motivo si duole, a mente dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., della violazione e falsa applicazione dell’art. 186 -bis l. fall., in relazione all’art. 182 l. fall., in quanto il tribunale ha ritenuto che questa norma imponga che tutte le “cessioni” che siano espressione della fase esecutiva del concordato debbano essere espletate secondo procedure competitive da affidare a un organo liquidatorio, anche se quest’ultimo non sia previsto nella domanda (e nel relativo piano di concordato) proposta dalla società ai suoi creditori.
3.6 Il sesto motivo di ricorso denuncia, ex art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 181 l. fall., poiché il decreto impugnato impone a RAGIONE_SOCIALE di redigere ogni tre mesi un rapporto riepilogativo di tutte le attività svolte, da rimettere ai commissari giudiziali e al comitato dei creditori, per le eventuali motivate osservazioni, ed impone la pubblicazione della relazione, delle eventuali osservazioni e/o dei pareri dei commissari e del comitato dei creditori, all’ufficio del Registro delle Imprese.
4. I motivi, da esaminarsi congiuntamente, non sono fondati.
4.1 È opportuno ricordare, in esordio, che l’art. 183 l. fall. stabilisce che avverso il decreto del tribunale che si pronuncia sull’omologazione deve essere proposto reclamo alla corte d’appello, mentre l’art. 180, comma 3, l. fall. prevede che tale decreto non sia soggetto a reclamo, in mancanza di opposizione dei creditori; dal combinato disposto di queste norme consegue che il reclamo alla corte d’appello può essere effettuato allorché l’omologazione venga respinta ovvero qualora venga accolta, nonostante la presenza di opposizioni, mentre, laddove nessun creditore abbia proposto
opposizione, è ammissibile ricorso immediato per cassazione ex art. 111 Cost., trattandosi di decreto dotato dei caratteri della decisorietà e della definitività, in quanto obbligatorio per i creditori, di cui determina una riduzione delle rispettive posizioni creditorie (Cass. 15699/2011).
Il decreto di omologa, nel caso di specie, è stato pronunciato in mancanza di opposizioni, è obbligatorio per l’imprenditore e per i creditori e, non essendo suscettibile di reclamo ai sensi dell’art. 180, comma 3, l. fall., è impugnabile per cassazione, poiché è dotato dei caratteri della decisorietà e della definitività.
4.2 Questa Corte ha già avuto occasione di chiarire che il concordato preventivo in cui alla liquidazione atomistica di una parte dei beni dell’impresa si accompagni una componente di qualsiasi consistenza di prosecuzione dell’attività aziendale rimane regolato nella sua interezza, salvi i casi di abuso dello strumento, dalla disciplina speciale prevista dall’art. 186bis l. fall., che al comma 1 espressamente contempla anche detta ipotesi fra quelle ricomprese nel suo ambito; la norma in parola non prevede alcun giudizio di prevalenza fra le porzioni di beni a cui sia assegnata una diversa destinazione, ma una valutazione di idoneità dei beni sottratti alla liquidazione ad essere organizzati in funzione della continuazione, totale o parziale, della pregressa attività di impresa e ad assicurare, attraverso una siffatta organizzazione, il miglior soddisfacimento dei creditori (Cass. 734/2020).
La continuità, implicando la prosecuzione della pregressa attività d’impresa e proprio al fine di assumere questa caratteristica, deve tuttavia riguardare, ove sia soltanto parziale, quanto meno una porzione significativa del nucleo aziendale, vale a dire (mutuando la terminologia utilizzata dall’art. 2112, comma 5, cod. civ.) un’articolazione funzionalmente autonoma dell’attività economica precedentemente organizzata che conservi la propria identità ed alla
quale i beni sottratti alla liquidazione siano effettivamente strumentali.
In altri termini, la continuità presuppone che la pregressa attività di impresa, pur potendo subire un ridimensionamento della sua consistenza quantitativa, prosegua con le peculiari caratteristiche già assunte e mantenga la sua identità sotto un profilo qualitativo, senza essere completamente destrutturata e sostituita con un’attività di impresa altra e differente da quella precedentemente svolta.
La conservazione di questa identità deve essere accertata in base al complesso delle circostanze di fatto che caratterizzano la specifica operazione prevista in piano (tra cui, ad esempio, il tipo d’impresa, l’identità dell’attività produttiva, l’utilizzo, almeno in parte, della medesima forza lavoro, il tendenziale mantenimento della stessa clientela, la sottrazione alla liquidazione e la destinazione, almeno in parte, dei beni materiali già in precedenza utilizzati per lo svolgimento dell’attività).
Il tribunale ha fatto corretta applicazione di questi principi, ora qui ribaditi e specificati in relazione al caso, laddove ha qualificato il concordato presentato da RAGIONE_SOCIALE come un concordato in continuità in ragione della prosecuzione della pregressa attività di impresa attraverso una porzione significativa (seppur ‘rimodulata’) dell’originario nucleo aziendale, tale da consentire di mantenere i rapporti commerciali con la clientela estera e scongiurare il rischio di deprezzamento del marchio.
Non inficia questa classificazione la precisazione del fatto che la proposta avesse ‘ dato luogo a un concordato cosiddetto misto, in cui combinati i profili della continuazione e quelli della liquidazione ‘ (cfr. pag. 2 del provvedimento impugnato), che è stata fatta in termini prettamente descrittivi, al fine di rappresentare che la prosecuzione dell’attività aziendale era accompagnata da una liquidazione atomistica di una parte dei beni non funzionale alla continuazione dell’attività di impresa, e non per farne discendere un
giudizio di prevalenza delle porzioni con diversa destinazione onde individuare, poi, la disciplina applicabile alla procedura presentata.
4.3 Individuata nell’art. 186bis l. fall. la norma di riferimento per la regolazione della procedura, bisogna constatare come la stessa non disciplini espressamente le modalità con cui la « liquidazione di beni non funzionali all’esercizio dell’impresa » debba avvenire.
Non rimane quindi, per tale attività, che fare riferimento alla norma generale che regola la cessione dei beni nell’ambito generale del concordato, costituita dall’art. 182 l. fall. – nel testo introdotto dall’art. 2, comma 2, d.l. 27 giugno 2015 n. 83, convertito, con modificazioni, dalla l. 6 agosto 2015 n. 132 -, nei limiti della compatibilità (cfr. Cass. 23139/2020).
4.4 Se la dismissione dei beni non funzionali alla continuazione dell’attività di impresa deve avvenire facendo riferimento al disposto dell’art. 182 l. fall., occorre allora che il debitore renda noto come intenda provvedere alla stessa indicando la strutturazione delle attività di liquidazione che ha programmato di effettuare.
Nel caso di specie, il tribunale ha constatato che rispetto alla vendita dei beni da dismettere la proposta si limitava a prevedere ‘ di destinare ai creditori il ricavato dell’alienazione a terzi attraverso cessioni ‘, le quali, tuttavia, non era state ‘ altrimenti programmate nel piano ove le modalità e le condizioni della vendita non state inserite ed esplicitate ‘ (pag. 3 del decreto impugnato).
La mancanza dell’indicazione di una ‘ specifica e dettagliata modalità liquidatoria ‘ (pag. 6 del medesimo decreto) non poteva che portare alla nomina giudiziale di un liquidatore per la dismissione dei beni immobili non funzionale alla prosecuzione dell’attività di impresa.
Infatti, il disposto dell’art. 182, comma 1, l. fall. prevede espressamente che « se il concordato consiste nella cessione dei beni e non dispone diversamente, il tribunale nomina nel decreto di omologazione uno o più liquidatori ».
La norma, nel prevedere un intervento suppletivo del tribunale nel caso in cui il concordato « non dispone diversamente », prescrive una puntuale indicazione delle modalità di liquidazione dei beni non funzionali alla continuità da effettuarsi in coerenza con le modalità previste dall’art. 182 l. fall..
Nel caso in cui questa indicazione manchi o sia offerta -come nella fattispecie in esame -in maniera del tutto generica, e dunque insufficiente a una verifica della legittimità delle forme di cessione programmate, il tribunale deve sopperire a questa inattività o inesattezza attraverso la nomina di un liquidatore, che dunque è stata disposta dal giudice di merito in maniera del tutto legittima.
Dall’intervento sostitutivo discendeva, in maniera conseguenziale ed altrettanto corretta, la previsione degli obblighi informativi previsti dagli artt. 182, comma 6, e 33, comma 5, l. fall..
Per tutto quanto sopra esposto, il ricorso deve essere respinto.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in € 12.200, di cui € 200 per esborsi, oltre accessori come per legge e contributo spese generali nella misura del 15%.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, ove dovuto. Così deciso in Roma in data 11 dicembre 2024.