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Concordato in continuità e nomina del liquidatore

La Cassazione chiarisce che in un concordato in continuità misto, se il piano aziendale è vago sulle modalità di vendita dei beni non essenziali, il tribunale può legittimamente nominare un liquidatore giudiziale per garantire una procedura competitiva e tutelare i creditori, applicando in via sussidiaria l’art. 182 della Legge Fallimentare.

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Concordato in continuità: la Cassazione stabilisce quando il Giudice può nominare un liquidatore

In una recente sentenza, la Corte di Cassazione ha affrontato un tema cruciale per le aziende in crisi che optano per la via del concordato in continuità. La decisione chiarisce i poteri del tribunale nella fase di omologazione, specialmente quando il piano di risanamento prevede, accanto alla prosecuzione dell’attività, anche la liquidazione di alcuni beni non strategici. La pronuncia stabilisce che, in caso di vaghezza del piano sulle modalità di vendita, il giudice ha il potere e il dovere di intervenire nominando un liquidatore giudiziale per tutelare gli interessi dei creditori.

Il Caso: Un Piano di Risanamento “Misto”

Una società unipersonale aveva presentato una proposta di concordato preventivo definito “misto”. Il piano prevedeva la prosecuzione dell’attività d’impresa per soddisfare una parte dei creditori, ma anche la liquidazione di due immobili non funzionali all’attività aziendale per generare ulteriore liquidità. La società proponente aveva specificato nel piano di voler gestire autonomamente la vendita di tali beni, al fine di ridurre i costi della procedura, escludendo la necessità di un liquidatore giudiziale.

Il Tribunale, pur omologando il concordato, ha ritenuto di dover nominare un liquidatore giudiziale per la vendita degli asset immobiliari. La motivazione del giudice di merito si basava sulla constatazione che il piano era troppo generico e non esplicitava le modalità competitive con cui sarebbero avvenute le vendite, né come si sarebbe proceduto alla cancellazione delle ipoteche gravanti sugli immobili. La società ha quindi presentato ricorso in Cassazione, sostenendo che il Tribunale avesse agito oltre i propri poteri, modificando un piano già approvato dai creditori.

Le Motivazioni della Cassazione sul concordato in continuità

La Suprema Corte ha respinto il ricorso della società, confermando la legittimità della decisione del Tribunale. Il ragionamento dei giudici si fonda su un’attenta analisi della normativa fallimentare e sulla necessità di bilanciare l’autonomia dell’imprenditore con la tutela dei creditori.

Il Ruolo Sussidiario dell’Art. 182 Legge Fallimentare

Il punto centrale della sentenza è l’individuazione della norma applicabile alla liquidazione di beni non funzionali in un concordato in continuità. La Corte ha spiegato che la norma di riferimento per questa tipologia di concordato, l’art. 186-bis della Legge Fallimentare, non disciplina espressamente le modalità di vendita di tali beni. Di conseguenza, è necessario fare riferimento alla norma generale che regola la cessione dei beni nel concordato, ovvero l’art. 182 della stessa legge.

Questo articolo prevede espressamente che, se il concordato consiste nella cessione di beni e il piano «non dispone diversamente», il tribunale nomina nel decreto di omologazione uno o più liquidatori. Questo potere di intervento del giudice è definito “suppletivo”: si attiva quando il piano presentato dal debitore presenta delle lacune.

La Necessità di un Piano Dettagliato

Nel caso specifico, il piano della società si limitava a prevedere di «destinare ai creditori il ricavato dell’alienazione a terzi attraverso cessioni», senza fornire alcuna “specifica e dettagliata modalità liquidatoria”. Questa genericità, secondo la Cassazione, equivale a una mancata disposizione, legittimando pienamente l’intervento del Tribunale.

L’assenza di dettagli non permetteva al giudice di verificare la legittimità e l’efficacia delle procedure di vendita proposte. La nomina di un liquidatore giudiziale, quindi, non rappresenta una modifica del piano, ma un’integrazione necessaria per sopperire a un’inattività del proponente e garantire che la liquidazione avvenga tramite procedure competitive, trasparenti e finalizzate al miglior soddisfacimento possibile dei creditori.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

Questa pronuncia della Corte di Cassazione offre un importante monito per le imprese che intendono percorrere la strada del concordato in continuità di tipo misto. Le aziende devono redigere piani di risanamento estremamente dettagliati, non solo per la parte relativa alla prosecuzione dell’attività, ma anche per quella liquidatoria. Indicare genericamente l’intenzione di vendere beni non è sufficiente. È indispensabile specificare le procedure che si intendono adottare, dimostrando che esse sono competitive e idonee a massimizzare il ricavato a favore dei creditori. In caso contrario, l’intervento del tribunale con la nomina di un liquidatore giudiziale è da considerarsi non solo possibile, ma del tutto legittimo.

In un concordato in continuità, il tribunale può nominare un liquidatore giudiziale se il piano non lo prevede?
Sì, il tribunale può nominarlo se il piano, pur prevedendo la vendita di beni non funzionali all’attività, non ne specifica in modo dettagliato le modalità. In tale circostanza, si applica la norma generale (art. 182 l. fall.) che prevede l’intervento suppletivo del giudice per colmare la lacuna.

Quale norma si applica alla liquidazione dei beni non essenziali in un concordato in continuità?
La sentenza chiarisce che, poiché l’art. 186-bis l. fall. (specifico per la continuità) non disciplina questo aspetto, si deve fare riferimento alla norma generale sulla cessione dei beni nel concordato, ovvero l’art. 182 l. fall., nei limiti della sua compatibilità.

Perché la vaghezza del piano sulla vendita dei beni ha portato alla nomina di un liquidatore?
La mancanza di una “specifica e dettagliata modalità liquidatoria” nel piano ha impedito al tribunale di verificare la legittimità delle forme di cessione programmate. Questa genericità ha reso necessario l’intervento del giudice per sopperire alla lacuna, nominando un liquidatore al fine di garantire una procedura trasparente e competitiva a tutela dei creditori.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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