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Concessione abusiva di credito: la responsabilità

Una società finanziaria è stata condannata per concessione abusiva di credito dopo aver stipulato un accordo transattivo con un’impresa già in grave dissesto. La Corte di Appello di Firenze ha confermato la sentenza di primo grado, ritenendo la finanziaria responsabile per aver aggravato lo stato di insolvenza dell’impresa, non essendoci ragionevoli prospettive di risanamento. Il danno è stato quantificato nelle somme percepite dalla finanziaria in forza dell’accordo illecito.

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Quando la banca è responsabile per concessione abusiva di credito?

La concessione abusiva di credito è un tema di grande attualità che tocca il delicato equilibrio tra il dovere delle banche di sostenere l’economia e la loro responsabilità nel non aggravare situazioni di crisi aziendale. Una recente sentenza della Corte di Appello di Firenze offre spunti cruciali, confermando la condanna di una società finanziaria per aver prolungato artificialmente la vita di un’impresa già decotta. Analizziamo insieme i dettagli di questo caso emblematico.

I fatti del caso: un finanziamento in odore di crisi

Una società, operante tramite un contratto di locazione finanziaria (leasing) per un immobile, si trova in difficoltà e accumula un debito significativo nei confronti della società concedente. Nonostante lo stato di crisi fosse evidente, tanto che la finanziaria aveva già minacciato la risoluzione del contratto, le parti stipulano un accordo transattivo nel novembre 2017.

Questo accordo prevede una moratoria e una ristrutturazione del debito, in cambio di un pagamento parziale immediato e della cessione di crediti futuri. Pochi anni dopo, nel 2021, la società utilizzatrice viene dichiarata fallita. La curatela fallimentare cita quindi in giudizio la società finanziaria, accusandola di concessione abusiva di credito per aver mantenuto in vita un’impresa già insolvente, aggravandone il dissesto a danno degli altri creditori.

La decisione della Corte: confermata la responsabilità

Sia il Tribunale di Siena in primo grado che la Corte di Appello di Firenze hanno dato ragione alla curatela fallimentare. I giudici hanno stabilito che la società finanziaria ha agito con colpa, concedendo un’ulteriore dilazione di pagamento in un contesto dove non esistevano ragionevoli prospettive di superamento della crisi.

La Corte d’Appello ha respinto tutti i motivi di ricorso della società finanziaria, confermando integralmente la sentenza di primo grado e la condanna al risarcimento del danno, quantificato in oltre 270.000 euro.

Le motivazioni: perché si configura una concessione abusiva di credito?

La decisione dei giudici si fonda su un’analisi rigorosa della situazione finanziaria della società al momento dell’accordo transattivo. Vediamo i punti chiave delle motivazioni.

L’analisi dello stato di crisi

La Corte ha evidenziato come lo stato di crisi non fosse affatto transitorio. I bilanci degli anni precedenti mostravano una costante e drastica riduzione del fatturato e un’incapacità cronica di pagare i canoni di leasing. Già nel 2017, la stessa società finanziaria aveva invocato la clausola risolutiva espressa, un chiaro segnale della gravità della situazione. I debiti verso fornitori, banche ed enti previdenziali erano ingenti e sproporzionati rispetto al fatturato.

La mancanza di prospettive di risanamento

L’elemento decisivo, secondo la Corte, non è tanto la conoscenza dello stato di crisi, ma l’assenza di una valutazione diligente sulle reali possibilità di ripresa. La società finanziaria non ha dimostrato di aver agito sulla base di un piano economico-finanziario credibile o di elementi oggettivi che potessero far sperare in un risanamento. Al contrario, ha concesso ulteriore credito basandosi su un accordo che, di fatto, riduceva ulteriormente la liquidità dell’impresa (tramite la cessione dei crediti) rendendo ancora più difficile onorare i debiti verso gli altri creditori.

Il calcolo del danno e le conclusioni

Il danno risarcibile è stato correttamente individuato non nella differenza di patrimonio, ma nelle somme che la società finanziaria ha indebitamente percepito grazie all’accordo transattivo. Queste includono i pagamenti diretti, i crediti incassati e persino l’IMU, che in caso di risoluzione anticipata del contratto sarebbe gravata sulla concedente. Questa decisione ribadisce un principio fondamentale: un istituto finanziario deve agire con prudenza e diligenza professionale. L’intento di ‘salvare’ un’impresa non è una giustificazione sufficiente se non è supportato da una valutazione ex ante rigorosa e da concrete e ragionevoli prospettive di successo. In assenza di ciò, la concessione abusiva di credito costituisce un illecito che espone la banca a pesanti richieste di risarcimento, proteggendo così la parità di trattamento tra tutti i creditori nel contesto di una crisi d’impresa.

Quando un finanziamento a un’impresa in crisi diventa ‘abusivo’?
Un finanziamento è considerato abusivo quando viene concesso, rinnovato o prorogato a un’impresa che si trova in uno stato di dissesto economico-finanziario noto o conoscibile con la normale diligenza, senza che vi siano fondate e ragionevoli prospettive di superamento della crisi. L’atto di finanziare aggrava il dissesto a danno degli altri creditori.

Come viene calcolato il danno risarcibile in caso di concessione abusiva di credito?
In questo caso, il danno è stato quantificato come la somma di tutti gli importi che la società finanziaria ha percepito in esecuzione dell’accordo illecito. Ciò include i pagamenti diretti ricevuti, i crediti di terzi incassati e persino le imposte (come l’IMU) che sarebbero state a carico della finanziaria se il contratto fosse stato risolto tempestivamente.

Basta l’intento di ‘risanare’ l’azienda per escludere la responsabilità della banca?
No. Secondo la Corte, non è sufficiente che il creditore agisca con l’intento di risanare l’impresa. È necessario che l’intervento non sia irragionevole e che sia basato su una valutazione ex ante, fondata su documenti e dati oggettivi, che dimostri una concreta possibilità di superare la crisi o almeno di garantire una proficua permanenza sul mercato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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