Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 12859 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 12859 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 13/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 17921/2023 R.G. proposto da :
COGNOME con domicilio digitale ex lege , rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE per procura allegata al ricorso; -ricorrente- contro
MUNAFÒ COGNOME, con domicilio digitale ex lege , rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME COGNOME (CODICE_FISCALE per procura allegata al controricorso; -controricorrente- avverso la sentenza della Corte d’appello di Messina n. 490/2023, depositata il 1°/6/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18/2/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con ricorso ex art. 447-bis c.p.c., depositato il 12/6/2009, NOME COGNOME chiese al Tribunale di Messina di disporre il rilascio del fondo illegittimamente detenuto da NOME COGNOME in forza di un contratto verbale di comodato modale precario, nel quale quest’ultimo era subentrato al padre. Costituitosi in giudizio, il COGNOME eccepì l’avvenuta usucapione del diritto di proprietà sul terreno (in quanto posseduto uti domini , dapprima dal padre e poi da lui stesso, a partire dal 1966 ), nonché la prescrizione dell’azione di restituzione, ‘dato che d al 4.3.1996 (data della missiva con cui la restituzione era stata richiesta) erano passati oltre dieci anni’ (pag. 5 del ricorso per cassazione).
In pendenza di questo processo, NOME COGNOME convenne in separato giudizio (poi riunito al primo) NOME COGNOME invocando l’accertamento dell’avvenuta usucapione del fondo.
Il Tribunale di Messina rigettò la domanda del COGNOME accogliendo, per converso, quella della COGNOME, con conseguente condanna del primo al rilascio del terreno e al risarcimento dei danni in favore di quest’ultima . Rilevò, il giudice di primo grado, che, a seguito di un ulteriore, precedente giudizio possessorio intentato dalla COGNOME (deciso con sentenza n. 1929/2008 del Tribunale di Messina), si era formato il giudicato sulla configurazione della situazione giuridica soggettiva vantata dal COGNOME in termini di mera detenzione qualificata , originata da ‘un accordo intervenuto con la proprietaria dell’immobile, che gli aveva concesso in uso il terreno con contestuale obbligo del Cacciola di cura e mantenimento del fondo e degli alberi di agrumi, e con la possibilità di godere dei frutti’ (pag. 3 della sentenza in questa sede impugnata). La Corte d’appello di Messina osservò che l’esistenza del suddetto giudicato non era stata contestata dall’appellante, e che in ogni caso -la natura obbligatoria del rapporto intercorrente tra le parti era stata provata attraverso l’interrogatorio formale reso dal COGNOME nel processo di
primo grado, dal quale era possibile desumere che quest’ultimo era subentrato al padre nella detenzione del fondo, senza che poi fosse intervenuta alcuna interversio possessionis (ché anzi il COGNOME aveva sottoscritto le promesse di vendita fatte dalla COGNOME in suo favore, con ciò inequivocabilmente riconoscendo la persistente titolarità del diritto di proprietà in capo alla stessa). Quindi, qualificata l’azione esercitata dalla Munafò come contrattuale, la Corte d’appello ne escluse la prescrizione, richiamando Cass., n. 8515/2004.
NOME Bruno COGNOME ha proposto ricorso per cassazione, sulla base di tre motivi.
Ha depositato controricorso NOME COGNOME.
Con atto del 28/12/2023, il Consigliere delegato ha formulato proposta di definizione del ricorso ex art. 380bis c.p.c., nel senso della sua inammissibilità, osservando, in primo luogo, come il ricorrente non avesse censurato la ‘autosufficiente ratio decidendi posta a fondamento della sentenza sul punto, rappresentata dal rilievo della mancata contestazione da parte dell’appellante, odierno ricorrente, dall’affermata (già dal primo giudice) sussistenza di giudicato esterno sull’esistenza di un rapporto di comoda to tra le parti (v. sentenza, pagg. 7-8) e sul connesso rilievo della non configurabilità di una interversione del possesso nel passaggio dall’originari o comodatario al di lui figlio, odierno ricorrente (v. sentenza, pag. 10)’. Ha rimarcato, inoltre, il Consigliere delegato, come la Corte di merito avesse deciso conformemente alla giurisprudenza di legittimità, affermando che ‘il diritto del proprietario di un fondo di conseguire il diretto godimento del proprio bene esercitando l’azione contrattuale volta a far dich iarare che è venuto meno il titolo in forza del quale il godimento era stato attribuito ad altri, non è soggetto a prescrizione, trattandosi di facoltà costituente manifestazione intrinseca del diritto di proprietà’. Il terzo motivo di ricorso deve ritenersi, invece, ai termini della
proposta, un ‘non motivo’, ‘limitandosi a postulare la caducazione delle statuizioni accessorie sulla pretesa risarcitoria e sulle spese come conseguenza dell’accoglimento di alcuno dei due motivi precedenti e, dunque, un effetto disposto dalla norma dell’art. 336, primo comma, c.p.c., posto che entrambe le statuizioni dipendono da quelle della decisione sul ‘merito’ della lite’.
Il ricorrente ha chiesto la decisione ex art. 380bis , secondo comma, c.p.c., successivamente depositando memoria ex art. 380bis .1 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione degli artt. 1158, 1146 e 1163 c.c., per non avere rilevato la mancanza di qualsivoglia atto interruttivo del possesso esercitato dal padre del ricorrente, che aveva determinato – già in suo favore -il maturare dell’ usucapione del diritto di proprietà sul bene, nel quale era poi succeduto il figlio NOME COGNOME
Il motivo è inammissibile, perché non censura la statuizione della sentenza di merito relativa all’esistenza del giudicato circa l’esistenza di un rapporto di comodato tra le parti (rispetto al quale nessuna rilevanza spiega la ricorrenza o meno di atti interruttivi, non configurandosi, a monte, un potere di fatto riconducibile a una possessio ad usucapionem ). D’altra parte, la qualificazione in termini di detenzione della situazione giuridica soggettiva riferibile al ricorrente (e, prima di lui, a suo padre) è stata affermata dalla Corte d’appello di Messina (anche) sulla scorta della valutazione delle risultanze istruttorie, secondo il tipico giudizio di merito insindacabile in sede di legittimità.
Con il secondo motivo il ricorrente censura la violazione degli artt. 2934, 2946 e 948 c.c., per avere impropriamente sovrapposto, dall’angolo visuale della prescrizione, l’azione di restituzione avanzata dall’odierna controricorrente con quella di rivendicazione,
assoggettando anche la prima (l’unica che effettivamente veniva in rilievo) al regime di imprescrittibilità proprio della seconda (che la stessa Corte d’appello aveva accertato non essere stata, nella specie, esercitata). Sul punto, nel controricorso la COGNOME osserva che, anche a voler ritenere operante la prescrizione decennale, dopo la raccomandata del 1996 (con la quale era stata richiesta la restituzione dell’immobile), essa era stata interrotta dal ricorso per reintegrazione nel possesso del 20/3/2000 , con il quale ‘aveva chiesto il riconoscimento e la tutela giuridica del medesimo diritto (di avere la restituzione del terreno ex art. 1810 c.c.) di cui è stata eccepita poi la prescrizione’ (pag. 23 del controricorso).
Il motivo è inammissibile ex art. 360bis , n. 1, c.p.c., limitandosi a postulare la preferibilità di un orientamento giurisprudenziale più risalente, rispetto a quello (consolidatosi in tempi più recenti) posto dalla Corte di merito a fondamento della propria decisione (rappresentato da Cass., n. 14810/2004; Cass., n. 13452/2004; Cass., n. 8515/2004).
Con il terzo motivo, viene censurata la conferma, da parte dei giudici di secondo grado, della statuizione risarcitoria adottata dal primo giudice, da ritenersi, invece, infondata in considerazione della necessità di accogliere la domanda di usucapione (conseguentemente rigettando quella di restituzione formulata dalla COGNOME).
Il motivo è inammissibile, in quanto, come già evidenziato dalla proposta di definizione, si limita a postulare un effetto che discenderebbe dalla legge (art. 336, primo comma, c.p.c.) nell’ipotesi (non avveratasi) di accoglimento di alcuno degli altri motivi di gravame.
In definitiva, il ricorso dev’essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali (liquidate in dispositivo) in favore della controricorrente. La conferma della proposta di definizione del ricorso impone
l’ulteriore condanna ai sensi dell’art. 96, commi terzo e quarto, c.p.c. (secondo il disposto dell’art. 380 -bis c.p.c.).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso;
condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, che si liquidano in € 5.000,00, oltre a € 200,00 per esborsi , le spese generali e gli accessori come per legge;
condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, della somma di € 2.500,00 , ai sensi dell’art. 96, terzo comma, c.p.c.; condanna il ricorrente al pagamento, in favore della Cassa delle ammende, della somma di € 1.000,00 , ai sensi dell’art. 96, quarto comma, c.p.c.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento al competente ufficio di merito, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione