Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 35090 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 35090 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 30/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 17198/2021 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALEgià RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa, giusta procura in calce al ricorso, dall’avv. NOME COGNOMEp.e.c.: ), elettivamente domiciliata presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME, in Roma, INDIRIZZO
-ricorrente –
contro
COGNOME NOME e COGNOME NOME COGNOME, rappresentati e difesi, giusta procura in calce al controricorso, dall’avv. NOME COGNOME con domicilio: p.e.c.: EMAIL
-controricorrenti –
avverso la sentenza del la Corte d’appello di Venezia n. 1240/2021, pubblicata in data 26 aprile 2021 e notificata il 2 maggio 2021; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 3 ottobre 2024 dal Consigliere dott.ssa NOMECOGNOME
Fatti di causa
Il Tribunale di Verona, revocando i due decreti ingiuntivi ottenuti da RAGIONE_SOCIALE nei confronti di NOME COGNOME con la quale aveva stipulato contratto di locazione finanziaria avente ad oggetto una imbarcazione, e nei confronti di NOME COGNOME fideiussore, con i quali si chiedeva il pagamento dei canoni scaduti e non pagati, dichiarava la nullità parziale del contratto a causa della indeterminatezza della clausola di indicizzazione degli interessi e, dando atto dell’intervenuto recesso della locatrice, accoglieva la domanda di restituzione delle somme ingiunte, pari ad euro 40.225,52, a titolo di indicizzazione.
La sentenza, impugnata dalla società locatrice in via principale e da NOME COGNOME e NOME COGNOME in via incidentale, è stata parzialmente riformata dalla Corte d’appello di Venezia, che ha respinto il gravame principale, accogliendo per quanto di ragione quello incidentale e, per l’effetto, dichiarando la risoluzione del contratto di leasing per inadempimento della locatrice e dichiarando che nulla era più dovuto dalla utilizzatrice e dal fideiussore.
In sintesi, i giudici di secondo grado, riportando il testo della lettera D) del contratto, che indicava i criteri di determinazione degli interessi, hanno ritenuto che il tenore della clausola contrattuale non presentasse il requisito richiesto dall’art. 1346 cod. civ., ponendo in rilievo che la clausola di indicizzazione a valute estere parametrata al Libor CHF e al rapporto di cambio Euro/Franco svizzero inserita nel contratto aveva ‹‹l’effetto di legare il rimborso alle variazioni del
cambio tra le due monete ››, sebbene l’assunzione di rischio, da parte del cliente, non avesse alcuna ragione nell’economia contrattuale, ‹‹ se non puramente speculativa ›› , e che di tale natura speculativa e delle conseguenze pregiudizievoli da essa derivanti i clienti non erano consapevoli. Sulla scorta di tale valutazione, ha conseguentemente ritenuto sussistente un grave l’inadempimento in capo alla Banca, idoneo a giustificare la risoluzione del contratto di leasing sia perché non aveva assolto gli obblighi informativi con riferimento alla clausola di rischio cambio, così impedendo al contraente di comprendere il concreto funzionamento del meccanismo della conversione del capitale residuo e di valutare adeguatamente il rischio della doppia alea connessa all’andamento del cambio euro/franco svizzero , sia perché la sentenza penale di patteggiamento, pronunciata dal Tribunale penale di Udine nei confronti dei dirigenti della banca, imputati per il reato di associazione per delinquere finalizzata alla commissione di truffe, aveva fatto emergere che i conteggi degli interessi erano stati eseguiti attraverso l’utilizzo di un software truffaldino, sia ancora perché la Banca aveva pure mancato di produrre i piani di ammortamento dai quali poter ricavare gli importi accreditati. Ha, pertanto, confermato la sentenza di primo grado anche con riguardo alle somme che RAGIONE_SOCIALE era stata condannata a restituire.
RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE) propone ricorso per la cassazione della suddetta decisione, con sei motivi.
NOME COGNOME e NOME COGNOME resistono con controricorso.
La trattazione è stata fissata in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 -bis .1. cod. proc civ. ed entrambe le parti hanno depositato memoria illustrativa.
Ragioni della decisione
Con il primo motivo la ricorrente denunzia: ‹‹ art. 360 n. 4 c.p.c. e art. 360 n. 3 c.p.c.: nullità della sentenza per apparente motivazione, con conseguente nullità della stessa ex art. 132 c.p.c. n. 4 ove rigetta il primo motivo d’appello della banca, senza tuttavia analizzare la clausola Libor (o rischio tasso) ma analizzando per contro la sola clausola rischio cambio; violazione e falsa applicazione dell’art. 1346 c.c. in relazione alla clausola rischio tasso e all’intera clausola di indicizzazione ››.
Sostiene che la decisione gravata, nel rigettare il primo motivo dell’appello principale e nel ritener condivisibile la conclusione cui era giunto il giudice di primo grado, che aveva rilevato l’indeterminatezza della clausola di indicizzazione, segue in realtà un percorso argomentativo del tutto diverso da quello fatto dal Tribunale, così rendendo una motivazione contraddittoria e, comunque, incomprensibile. Tanto perché, mentre il giudice di primo grado aveva dichiarato indeterminata l’intera clausola di indicizzazione, partendo dalla indeterminatezza della clausola Libor (cd. clausola rischio tasso) e travolgendo anche la clausola cd. rischio cambio, la Corte d’appello non ha affrontato il tema della clausola cd. rischio tasso, ma si è soffermata esclusivamente sulla clausola ‘rischio cambio’, evidenziandone la sua non meritevolezza piuttosto che la sua indeterminatezza, tanto che si è incentrata, alle pagine 6 e 7, sulla vantaggiosità o meno della stessa clausola, benché la questione non fosse stata trattata nel giudizio di merito. Negando che la clausola ‘D’ possa essere considerata affetta da nullità, lamenta che in ogni caso il giudice d’appello avrebbe omesso di verificare se fosse possibile attribuire alla clausola contrattuale un qualche significato, facendo ricorso ai criteri ermeneutici di interpretazione del contratto richiamati dagli artt. 1362, 1363, 1368, 1370 e 1371 cod. civ.
Con il secondo motivo -rubricato: ‘ art. 360 n. 4 c.p.c. e/o ex
art. 360 n. 5 c.p.c.: nullità della sentenza per apparente motivazione, con conseguente nullità della stessa ex art. 132 c.p.c. n. 4 ove omette di prendere posizione sul secondo motivo d’appello principale svolto dalla banca, sulla cui fondatezza non erano sorte contestazioni, confermando pertanto il punto 5 del dispositivo la sentenza gravata ‘ -la ricorrente lamenta che la Corte territoriale avrebbe omesso del tutto di trattare il secondo motivo di gravame da essa formulato, con cui aveva dedotto che il primo giudice era addivenuto a condannarla al pagamento dell’intera somma indicata dal c.t.u. come variazioni favorevoli al locatore in forza della clausola di indicizzazione.
Con il terzo motivo, censurando la sentenza impugnata, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., ‹‹ per apparente motivazione, con conseguente nullità della stessa ex art. 132 n. 4 c.p.c. nella parte in cui ha accertato la risoluzione del contratto di leasing per inadempimento della banca e violazione e errata applicazione degli artt. 1453 e 1455, non ché dell’art. 1458 cod. civ. ›› , la ricorrente si duole che la Corte territoriale abbia omesso di illustrare adeguatamente le ragioni che sorreggerebbero il ‘grave inadempimento’ ad essa imputabile e non avrebbe valutato che l’utilizzatore si era reso inadempiente alla principale obbligazione sullo stesso ricadente (il pagamento dei canoni), né considerato che la declaratoria di risoluzione del contratto importava, per il suo effetto retroattivo, l’obbligo di ciascuno dei contraenti di restituire la prestazione ricevuta, ma, con riguardo ai contratti di durata, non si estendeva alle prestazioni già eseguite.
Con il quarto motivo la ricorrente deduce , in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione degli artt. 2909 cod. civ. e 324 cod. proc. civ. nella parte in cui, pur in assenza di impugnazione di quanto statuito in primo grado e nonostante sul punto fosse quindi già sceso il giudicato, ha assimilato la clausola
rischio cambio ad un derivato, ravvisando quindi la violazione degli obblighi informativi.
Evidenzia, al riguardo, che i giudici d’appello avrebbero violato l’intangibilità del giudicato perché hanno fondato la dichiarata risoluzione del contratto su una asserita violazione degli obblighi informativi con riferimento alla clausola di rischio tasso, facendo applicazione del Testo Unico finanziario, sebbene tale argomentazione fosse stata irritualmente introdotta dagli appellati in comparsa conclusionale e senza interporre appello incidentale.
Con il quinto motivo, deducendo, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 1363, 1366, 1367 e 1371 cod. civ. e/o dell’art. 1 d.lgs. n. 58/98, la ricorrente contesta alla Corte territoriale di avere erroneamente assimilato la clausola rischio cambio ad un derivato.
Con il sesto motivo, denunciando, in relazione all’art. 360, primo c omma, n. 3 e n. 4, cod. proc. civ., la violazione dell’art. 445 c.p.p. e dell’art. 2697 cod. civ., la ricorrente lamenta che la Corte d’appello avrebbe dichiarato la risoluzione del contratto di leasing valorizzando, per il solo fatto che la RAGIONE_SOCIALE aveva rivestito la qualità di persona offesa nel giudizio penale, la sentenza di patteggiamento n. 70/16, pronunciata dal Tribunale di Udine e prodotta dalle controparti nel giudizio di appello, benché tale pronuncia non avesse efficacia vincolante e ne ppure comportasse inversione dell’onere della prova.
Il primo motivo è fondato.
7.1. Come denunciato dalla ricorrente, la corte territoriale, pur sottolineando di condividere le conclusioni cui era giunto il Tribunale con riguardo alla indeterminatezza della clausola di indicizzazione degli interessi e di voler, quindi, integrare la motivazione della sentenza di primo grado, è invece pervenuta a confermare la
decisione di primo grado – non per le medesime ragioni dal giudice di primo grado poste a suo fondamento – bensì per la declaratoria di non meritevolezza della clausola, salvo poi confermare la decisione di primo grado, così rendendo una motivazione che non illustra in modo adeguato il criterio logico-giuridico che sorregge la decisione.
7.2. Questa Corte ha già avuto modo di affermare (Cass., sez. U, 07/04/014, n. 8053 e n. 8054) che l’anomalia motivazionale, implicante una violazione di legge costituzionalmente rilevante, integra un error in procedendo che comporta la nullità della sentenza nel caso di ‘mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico’, di ‘motivazione apparente’, di ‘contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili’, di ‘motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile’.
Si è ulteriormente precisato che di ‘motivazione apparente’ o di ‘motivazione perplessa e incomprensibile’ può parlarsi quando essa non renda ‘percepibili le ragioni della decisione, perché consiste di argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere l’iter logico seguito per la formazione del convincimento, di talché essa non consenta alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice’ (Cass., Sez. U, 03/11/2016; Cass. , sez. U, 05/04/2016, n. 16599). Si è, pure, affermato che ricorre il vizio di omessa o apparente motivazione della sentenza allorquando il giudice di merito ometta ivi di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento (Cass., sez. 6 -5, 07/04/2017, n. 9105) ovvero che è nulla per mancanza -sotto il profilo sia formale che sostanziale -del requisito di cui all’art. 132 c.p.c., comma 1, n. 4), la sentenza la cui motivazione consista nel dichiarare sufficienti tanto i motivi esposti nell’atto che ha veicolato la domanda accolta,
quanto non meglio individuati documenti ed atti ad essa allegati, senza riprodurne le parti idonee a giustificare la valutazione espressa (Cass., sez. 3, 23/03/2017, n. 7402). Si è al riguardo specificato che il giudice di merito è tenuto a dare conto, in modo comprensibile e coerente rispetto alle evidenze processuali, del percorso logico compiuto al fine di accogliere o rigettare la domanda proposta, dovendosi ritenere viziata per apparenza la motivazione meramente assertiva o riferita solo complessivamente alle produzioni in atti (Cass., sez. 3, 30/05/2019, n. 14762).
7.3. Ebbene, la sentenza impugnata risulta affetta dal suindicato vizio di motivazione apparente in quanto intrinsecamente contraddittoria, posto che, da un lato, afferma la correttezza della decisione di primo grado che ha accertato l’indeterminatezza della clausola Libor (cd. clausola rischio tasso) e della clausola cd. rischio cambio, reputando che essa avesse trovato conferma nella disposta c.t.u., stante ‹‹l’impossibilità di verificare ex post la correttezza anche degli importi accreditati e l’assenza ex ante della documentazione necessaria per la determinazione della variazione dei tassi ›› – ma dall’altro si sofferma ad analizzare la sola clausola cd. rischio cambio, affermando, in modo apodittico, che il tenore della clausola di cui alla lettera ‘D’ del contratto non ha il requisito della determinabilità dell’oggetto del contratto ex art. 1346 c.c. e che ‹‹ il tasso di interesse non è desumibile dal contratto ›› ed ‹‹ i dati ed il criterio di calcolo non sono individuabili ›› , così omettendo di specificare, in modo chiaro ed esauriente, le ragioni sottese alla ritenuta indeterminatezza della clausola richiamata.
Inoltre, alle pagine 6 e 7 della motivazione, la c orte d’appello, anziché illustrare il percorso argomentativo che l’ ha condotta a ritenere infondato il motivo di gravame, svolge considerazioni che investono il diverso profilo della ‹‹ meritevolezza ›› della clausola, così
raggiungendo conclusioni confliggenti con quelle rese dal tribunale, che si era limitato a rilevare l’indeterminatezza dell’intera clausola di indicizzazione degli interessi, tanto che addiviene ad affermare la sua natura ‹‹ meramente speculativa ›› , desumibile da ‹‹ vistose alterazioni del sinallagma fra le reciproche prestazioni del contratto di leasing ›› .
Tanto si evince, in particolare, là dove i giudici di appello assumono che la prima posizione di irragionevole svantaggio derivante dalla clausola in esame risiede ‹‹ nel maggior vantaggio assicurato alla Banca in caso di esito favorevole al cambio denominato storico (in realtà deciso dal concedente) ›› , mentre la seconda emerge dalla ‹‹ quotazione del cambio denominato storico, però non individuato secondo il calcolo dell’oscillazione media nell ‘arco di un determinato lasso temporale, bensì in base ad un unilaterale insindacabile e non trattabile scelta dell’istituto finanziatore, il quale proclama il suo diritto di garantirsi dal rischio cambio, ma non esplicita nel contratto, né allega in qualche scritto difensivo, né prova, fornendo il documento (a lui vicino), quale fosse il cambio al quale si era procurato, sul mercato estero, la provvista in franchi, poi utilizzata per finanziare l’operazione richiesta dal cliente ›› .
Trattasi, a ben vedere, di valutazioni che non attengono alla dichiarata indeterminatezza della clausola contrattuale, ma che piuttosto ineriscono al diverso profilo della ‹‹ meritevolezza ›› della stessa, peraltro, non ponendosi in linea con i principi di recente espressi dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 5657 del 2023.
Con la pronuncia da ultimo richiamata, infatti, si è chiarito che:
la clausola inserita in un contratto di leasing , la quale preveda che: a) la misura del canone varia in funzione sia delle variazioni di un indice finanziario, sia delle fluttuazioni del
tasso di cambio tra la valuta domestica ed una valuta straniera; b) l’importo mensile del canone resti nominalmente invariato, e i rapporti di dare/avere tra le parti dipendenti dalle suddette fluttuazioni siano regolati a parte, non è un patto immeritevole ex art. 1322 cod. civ., né costituisce uno ‹‹ strumento finanziario derivato ›› implicito, e la relativa pattuizione non è soggetta alle previsioni del d. lgs. 58/98;
il giudizio di ‹‹ immeritevolezza ›› di cui all’art. 1322, secondo comma, cod. civ. va compiuto avendo riguardo allo scopo perseguito dalle parti, e non alla sua convenienza, né alla sua chiarezza, né alla sua aleatorietà.
In altri termini, secondo le Sezioni Unite il giudizio di ‘meritevolezza’ di cui all’art. 1322, secondo comma, cod. civ., non coincide col giudizio di liceità del contratto, del suo oggetto o della sua causa, conformemente all’orientamento secondo cui tale giudizio deve investire non il contratto in sé, ma il risultato con esso avuto di mira dalle parti, cioè lo scopo pratico o la causa concreta che dir si voglia (Cass., sez. U, 17/02/2017, n. 4222, n. 4223 e n. 4224); ed hanno pure escluso che l’essere il calcolo della variazione del saggio di interesse dovuto dall’utilizzatrice ‘astruso e macchinoso’ e l’essere clausola che disciplina il ‘rischio cambio’ caratterizzata da aleatorietà e squilibrio, in quanto prevede una differente base di calcolo dell’indicizzazione, a seconda che l’euro si sia apprezzato o deprezzato rispetto alla valuta di riferimento, possano costituire indici di ‘immeritevolezza’ della clausola di ‘rischio cambio’ ex art. 1322 cod. civ., ben potendo dinanzi a clausole contrattuali oscure il giudice ricorrere agli strumenti legali di ermeneutica (artt. 1362-1371 cod. civ.), e non ad un giudizio di immeritevolezza. Hanno, infine, precisato che non è il disallineamento, lo iato tra prestazione e c ontroprestazione che può rendere un contratto ‘immeritevole’ di
tutela ex art. 1322 cod. civ., se quella differenza sia stata in piena libertà ed autonomia compresa ed accettata, ‘ poiché è bene ricordare che la libertà negoziale è principio cardine del nostro ordinamento e del diritto dei contratti, ed il nostro ordinamento garantisce in egual misura tanto la protezione contro gli abusi di posizioni dominanti, quanto il diritto di iniziativa economica (per cui il soggetto abilitato all’esercizio del credito ha anche il diritto di pianificare in piena libertà le proprie strategie imprenditoriali e commerciali, come già ripetutamente affermato da questa Corte: da ultimo, con ampiezza di motivazioni, Cass., 21.01.2020, n. 1184; nello stesso senso, Cass., 14/10/2021, n. 28022).
Ancora, le Sezioni Unite hanno rilevato che la clausola di cui si discorre non è che una normale clausola valore, attraverso la quale le parti individuano il criterio al quale commisurare la prestazione del debitore. Pertanto, l’aleatorietà del contratto, lungi dal costituire un indice della presenza d’un ‘derivato implicito’, non è che un effetto naturale d’una altrettanto normale clausola -valore.
7.4. In difetto, dunque, di una puntuale esplicitazione dei criteri che sorreggono la ritenuta indeterminatezza della clausola contrattuale contraddistinta dalla lettera ‘ D ‘ , la motivazione della decisione in questa sede impugnata rientra paradigmaticamente nelle gravi anomalie argomentative individuate dagli arresti giurisprudenziali sopra richiamati e concretizza una ipotesi di motivazione apparente, perché si pone sicuramente al di sotto del ‹‹ minimo costituzionale ›› .
L’accoglimento del primo motivo comporta l’assorbimento dei restanti, considerato che la c orte d’appello è pervenuta ad affermare la risoluzione del contratto di leasing sulla scorta della ritenuta indeterminatezza della clausola di rischio cambio in termini meramente astratti, dovendo viceversa farsi luogo, come indicato
dalle Sezioni Unite di questa Corte, a una valutazione in concreto della portata della clausola de qua avuto riguardo alla causa concreta dello stipulato contratto, anche con riferimento al l’eventuale violazione dei doveri di correttezza nella fase delle trattative e di buona fede nell’esecuzione del contratto relativamente all’inserimento della clausola-valore in argomento ( v. Cass., Sez. Un., 23/2/2023, n. 5657 ).
La sentenza impugnata, in accoglimento del primo motivo, va pertanto cassata, con rinvio alla Corte d’ Appello di Venezia, che in diversa composizione procederà a nuovo esame attenendosi ai suesposti principi, e provvederà anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara assorbiti gli altri. Cassa in relazione la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’ Appello di Venezia, in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione