Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 8044 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 8044 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 25/03/2024
Oggetto: Somministrazione.
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 253/2022 R.G. proposto da
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dagli AVV_NOTAIO NOME COGNOME, in forza di procura in calce al ricorso, elettivamente domiciliata nello studio del secondo in Roma, INDIRIZZO;(pec:EMAIL;
EMAIL);
-ricorrente – contro
NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, sia in proprio che quali soci della cessata RAGIONE_SOCIALE
C.C. 9 gennaio 2024 r.g.n. 253/2022 Pres. RAGIONE_SOCIALE
RAGIONE_SOCIALE
RAGIONE_SOCIALE, tutti rappresentati e difesi dall’AVV_NOTAIO giuste procure speciali in calce al controricorso, ed elettivamente domiciliati in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’AVV_NOTAIO (pec EMAIL);
-controricorrenti –
Avverso la sentenza n. 1270/2021 della Corte di Appello di Bologna pubblicata il 25 maggio 2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 9 gennaio 2024 dalla Consigliera NOME COGNOME.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
RAGIONE_SOCIALE conveniva in giudizio la RAGIONE_SOCIALE, nonché i soci personalmente, al fine di ottenere la declaratoria di illegittimità del recesso da essi comunicato in relazione al contratto di somministrazione merci sottoscritto il 03.12.1991, e la loro condanna al pagamento di € 709.442,80 a titolo di mancato guadagno per il periodo residuo del rapporto in virtù della clausola penale ivi prevista all’art. 5 .
Si costituivano la RAGIONE_SOCIALE convenuta, con i soci personalmente, contestando la domanda e chiedendone il rigetto.
ll Tribunale di Forlì accoglieva la domanda attorea, condannando i convenuti al pagamento, a favore della RAGIONE_SOCIALE attrice , della somma di € 610.296,00, oltre agli interessi e le spese di lite; in particolare, il Giudice di prime cure riteneva che la clausola n. 5 del contratto, sebbene unilateralmente titolata dalla proponente RAGIONE_SOCIALE ‘Penali’, non fosse una vera e propria penale, in quanto le parti ‘non avrebbero voluto’ prevedere una somma che, a prescindere dalla dimostrazione effettiva del danno, fungesse appunto da ‘penale’, ma avevano invece inteso indicare quanto previsto dall’art. 1223 c.c. ‘in merito all’obbligo della parte inadempiente di risarcire il mancato guadagno subito dalla controparte tramite una completa restitutio in integrum ‘.
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2. Avverso la sentenza del Tribunale di Forlì, RAGIONE_SOCIALE ed i soci proponevano appello, parte appellata ne chiedeva il rigetto.
La Corte d’appello di Bologna c on la sentenza n. 1270/2021 accoglieva l’appello proposto dalla RAGIONE_SOCIALE e dai soci, ritenendo fondato il motivo di gravame relativo all’erroneità dell’esclusione della natura penale della clausola n. 5 del contratto intercorso tra le parti, e per l’effetto, rigettava la domanda risarcitoria della RAGIONE_SOCIALE, compensando integralmente le spese tra le parti.
Per quanto ancora qui di interesse, la Corte d’appello, contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale di Forlì, aveva dapprima (con ordinanza 13/3/2020) sottoposto all’attenzione delle parti il seguente quesito d’ufficio: ‘la clausola invocata dall’appellato per il ristoro del proprio pregiudizio potrebbe essere ritenuta nulla per indeterminatezza della prestazione che ne costituisce oggetto’ , e poi, sentite le parti, aveva accolto l’appello sul punto , ritenendo la clausola de qua a tutti gli effetti una penale, atteso che non era affatto riproduttiva della disciplina ordinaria in tema di risarcimento di cui all’art. 1223 c.c., ma limitativa della responsabilità, in caso di unilaterale interruzione del rapporto, al solo lucro cessante; i l giudice d’appello richiamava in proposito, sia il tenore letterale della pattuizione unilateralmente predisposta dalla somministrante RAGIONE_SOCIALE che escludeva il danno emergente, ritenendo che con tale clausola, si era voluto delimitare il ristoro dovuto dalla parte che anticipatamente abbia interrotto il rapporto, esonerando la parte non inadempiente dalla prova del danno effettivo, sia il contenuto della domanda giudiziale formulata dalla RAGIONE_SOCIALE, nonché la concorde interpretazione data in proposito da entrambe le difese nel corso di tutto il giudizio di primo grado e conseguentemente, riteneva tale clausola penale nulla per indeterminatezza.
La RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione articolato in cinque motivi. Hanno resistito con controricorso COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e
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RAGIONE_SOCIALE
COGNOME NOME, sia in proprio che quali soci della cessata RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE
La trattazione del ricorso è stata fissata in adunanza camerale ai sensi dell’art. 380 -bis.1. c.p.c.
La parte ricorrente ha depositato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo, la RAGIONE_SOCIALE ricorrente denuncia la ‘ Violazione dell’art. 360 n. 3 c.p.c. per violazione o falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti segnatamente l’art. 1382 c.c.’ per avere la Corte d’appello con la pronuncia impugnata erroneamente ritenuto che l’art. 5 del contratto 3/12/1991 avesse natura di clausola penale, pur non avendone le caratteristiche. Nello specifico, la ricorrente RAGIONE_SOCIALE sostiene che, diversamente da quanto statuito dalla Corte d’ appello, la clausola n. 5 del contratto del 3.12.1991 non avrebbe natura di clausola penale, come appare evidente dal suo stesso tenore secondo cui : ‘nel caso che una delle parti interrompa anticipatamente e unilateralmente il rapporto dovrà corrispondente all’altra, a titolo di rimborso i mancati guadagni derivanti dalla cessazione del rapporto per il periodo di tempo mancante alla scadenza del contratto ‘; difatti , difetterebbe di un’automaticità nella determinazione del risarcimento, caratteristica peculiare di tal specie di clausola ai sensi dell’art. 1382, comma 2, c.c. ; e ciò indipendentemente dal suo nomen juris , a detta della odierna ricorrente, irrilevante, poiché l’ammontare dei ‘mancati guadagni’ richiede un’attività istruttoria per la loro determinazione; risulterebbe, quindi , corretto, l’operato del Tribunale, secondo il quale le parti, con tale clausola, non avrebbero preventivamente liquidato il danno conseguente al prematuro recesso, ma si sarebbero limitate a richiamare il principio di cui all’art. 1223 c.c. in merito all’obbligo, per la parte inadempiente, di risarcire il danno.
Con il secondo motivo denuncia inoltre la ‘ Violazione dell’art. 360 n. 5 c.p.c., motivazione apparente, comunque, per omesso esame
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di un fatto decisivo ‘; a parere della parte ricorrente, manca completamente la motivazione circa la natura penale della disposizione di cui all’art. 5 del contratto ; peraltro, l’apodittica affermazione, secondo cui essa reca « l’evidente intento di rafforzare il vincolo contrattuale e di esonerare la parte non inadempiente dalla prova del danno effettivo », non tiene conto della sua reale portata e di quanto appunto prevede. L ‘argomentazione richiamata si limita, a tutto concedere, ad indicarne la finalità, non si sofferma certo sulla sua natura; inoltre, una simile conclusione ignora completamente l’effettivo della medesima clausola, che non esonera certo la parte adempiente dall’onere di dimostrare il proprio ‘mancato guadagno’, come, del resto, si dà atto, nella stessa sentenza.
3. Con il terzo motivo, denuncia la ‘ Violazione dell’art. 360 n. 5 c.p.c. per motivazione apparente ‘ ; la sentenza impugnata, a parere della ricorrente, contiene delle palesi contraddizioni, da un lato, per giustificare il fatto che si tratterebbe di clausola penale, sostiene che essa aveva introdotto un automatismo nel calcolo del danno, dall’altro, al fine di dichiarane la nullità, sotto il profilo dell’indeterminatezza, assume l’esatto contrario, che cioè la quantificazione del pregiudizio aveva richiesto l’acquisizione di elementi istruttori.
Con il quarto motivo di ricorso, altresì, contesta la ‘ Violazione dell’art. 360 n. 3 c.p.c. per violazione o falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti segnatamente l’art. 1346 c.c., in combinato disposto con l’art. 1421 c.c. ed in relazione all’art. 1382 c.c. ‘ ; secondo la parte ricorrente, la clausola n. 5 del contratto, anche qualora si concludesse per la sua natura penale, non potrebbe ritenersi nulla per indeterminatezza, dal momento che contiene gli elementi necessari per quantificare il danno (se non preventivamente determinato, il pregiudizio patito dal contraente adempiente è comunque determinabile, atteso che il ‘ mancato guadagno ‘ ben si può ricavare, come appunto nel giudizio di primo grado, tenendo conto del guadagno degli anni pregressi, moltiplicato per il numero delle
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RAGIONE_SOCIALE annualità ancora mancanti rispetto alla scadenza del contratto), né peraltro l’art. 1382 c.c. impone necessariamente che lo stesso sia predeterminato;
5. Con il quinto motivo di ricorso, infine, denuncia la ‘ violazione dell’art. 360 n. 3 per violazione o falsa applicazione di norme di diritto segnatamente l’art. 112 c.p.c. nonché dell’art. 360 n. 5 c.p.c. per non omesso esame di un fatto decisivo ‘ e lamenta che l a Corte d’ appello ha ingiustificatamente omesso di pronunciarsi sulla richiesta risarcitoria, formulata sulla base dei principi generali, prescindendo dal disposto di cui all’art. 5, così come era tenuta, sussistendone i presupposti e come, del resto espressamente richiesto sin dal primo grado; sostiene, infine, parte ricorrente come sia evidente che la domanda proposta aveva ad oggetto una richiesta di risarcimento danni, che, in effetti non era strettamente fondata sull’art. 5 del contratto, ben avrebbe dunque potuto la Corte d’ appello liquidare il danno ai sensi dell’art. 1123 c.c., tenendo appunto conto del mancato guadagno, sussistendone i presupposti di legge. Contesta, quindi, come errata la conclusione della Corte d’ appello che ha omesso di pronunciarsi al riguardo, limitandosi a rilevare che «in difetto di domanda, allegazione e prova della parte somministrante non inadempiente, alla stessa nulla spetta a tale titolo».
6. In via preliminare, giova evidenziare in sintesi quanto ancora in contestazione nella vicenda sottesa al giudizio in esame.
Tra le parti è intercorso un contratto di somministrazione merci stipulato il 3/12/1991 a fronte del quale il RAGIONE_SOCIALE si impegnava ad associarsi alla RAGIONE_SOCIALE ed acquistare dalla medesima, a prezzi di listino, tutti i prodotti trattati. Il contratto aveva durata di sette anni con previsione di tacito rinnovo, salvo disdetta da comunicare 12 mesi prima, e , a fronte dell’ultimo automatico rinnovo, sarebbe scaduto il 2/12/2012.
In data 21/12/2007, la RAGIONE_SOCIALE comunicava la cessazione della propria attività, e conseguentemente, la cessazione del contratto di somministrazione.
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Risultava che, diversamente da quanto prospettato nella comunicazione di disdetta, l’attività della soc ietà RAGIONE_SOCIALE non era cessata, avendo la stessa ceduto l’azienda a lla RAGIONE_SOCIALE al prezzo complessivo di €1.165.000,00 , e che tale condotta costituiva un inadempimento rispetto alle obbligazioni contrattualmente assunte.
A fronte di tale inadempimento, parte attrice aveva domandato il risarcimento del danno, richiamandosi, tra l’altro, all’art. 5 del contratto nel quale era stabilito che:
‘a) Nel caso che una delle parti interrompa anticipatamente ed unilateralmente il rapporto dovrà corrispondere all’altra a titolo di rimborso i mancati guadagni derivati dalla cessazione del rapporto per il periodo di tempo mancante alla scadenza del contratto ;
nel caso di inadempimento agli obblighi contrattuali la parte inadempiente sarà tenuta a corrispondere all’altra i danni procurati dall’inadempimento ‘.
La parte odierna ricorrente precisava che dal momento del recesso, alla scadenza del contratto, mancavano ancora 59 mesi, che il totale della merce mensilmente vendute al RAGIONE_SOCIALE era stato, nell’anno 2006, di € 144.293,48 e che il guadagno si aggirava sul 5 % dei ricavi, tutto ciò premesso, concludeva che il danno da risarcire era pari ad € 709.448,80.
Venendo all’esame del ricorso , vanno esaminati in via prioritaria per ragioni logico-giuridiche i motivi terzo e quarto che in quanto fondati meritano accoglimento.
7.1. Effettivamente l’affermazione del giudice d’appello secondo cui la clausola in esame non sarebbe valida – in quanto, pur prevedendo una pattuizione relativa alle conseguenze derivanti dal recesso anticipato o dall’inadempimento, non solo non individuerebbe la misura della penale od un criterio, minimo e massimo, entro cui determinare la cifra, ma neppure le modalità e gli estremi per effettuare il calcolo dell’importo dovuto ,
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RAGIONE_SOCIALE nonostante il rinvio alla previsione del ‘rimborso dei mancati guadagni’ (lett. a), e i danni di cui alla lett. b) -, è insanabilmente contraddittoria e si pone al di sotto del limite del c.d. ‘ minimo costituzionale ‘ previsto a norma dell’ art 360 n. 5 c.p.c. ultima formulazione (tra tante, Cass. Sez. 1, 03/03/2022 n. 7090).
Nello specifico, la Corte d’appello ha affermato: «La questione è stata sollevata d’ufficio e sottoposta al contraddit torio delle parti con ordinanza collegiale che, a tal fine, ha rimesso la causa sul ruolo. Infatti, va rilevato che la clausola penale, in quanto finalizzata alla preventiva e forfettaria liquidazione del danno, deve predeterminare la misura della specifica prestazione risarcitoria, fissandone l’importo in un ammontare determinato o facilmente determinabile, mentre, nel caso di specie, il richiamo ai ‘mancati guadagni’ non costituisce indicazione di un preciso ammontare della prestazione risarcitoria convenzionalmente liquidata né offre elementi di calcolo di immediata applicazione da parte dell’interprete. E, difatti , il Tribunale ha dovuto acquisire elementi istruttori (dichiarazioni testimoniali) per determinare l’entità degli ordini di acquisto da parte del somministrato e il margine di utili in favore del somministrante, dati economici che non sono fattori né esclusivi né univoci rispetto ai ‘mancati guadagni’ cui, nell’intenzione delle parti, andrebbe ragguagliata la prestazione dovuta in forza della clausola penale: ciò che rafforza la valutazione di indeterminatezza del contenuto della clausola in questione e di conseguente nullità della stessa. Esclusa, pertanto, la validità della clausola nel rapporto inter partes , consegue che, in difetto di domanda, allegazione e prova della parte somministrante non inadempiente, alla stessa nulla spetta a tale titolo, restando impregiudicato il diverso diritto di risarcimento del danno effettivamente patito’» (sentenza impugnata pag. 8).
7.2. Ebbene, con la sopra riportata argomentazione, la Corte d’appello dopo aver ritenuto, conformemente all’orientamento ampiamente maggioritario nella giurisprudenza di legittimità, che alla clausola penale deve applicarsi la disciplina generale dell’oggetto del contratto, la cui natura
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può essere tanto determinata quanto determinabile; subito dopo, contravviene al medesimo pacifico principio a mente del quale la determinazione ben può avvenire ex post sulla base di un criterio predeterminato, di cui sia fatta applicazione in un momento successivo all’inadempimento ; in tale prospettiva, è stato affermato che le parti possono convenire, ad esempio, il pagamento di una somma rapportata all’entità temporale di durata dell’inadempimento, o convenire soltanto il tetto della penale, suscettibile di essere poi rapportata alla effettiva consistenza dell’inadempimento consumato (in questo senso espressamente in motivazione Cass. Sez. 1, 18/01/2018, n. 1189), nel qual caso, parimenti, l’entità della penale diviene concretamente determinato soltanto in un momento successivo.
Nello stesso solco, la previsione secondo cui in caso di inadempimento «saranno applicate, a carico della parte inadempiente, penali pari al doppio del valore dell’inadempimento», è stat a ritenuta conforme alla previsione dell’articolo 1382 c.c., dal momento che predetermina il danno in funzione di un parametro individuato ex ante e considerato dalle parti nella sua oggettività, tale da vincolare il giudice, fatto salvo il potere di riduzione (beninteso, esercitabile nell’osservanza dei rigidi criteri che questa Corte ha fissato: v. ad es. Cass. Sez. 2, 10/05/ 2012, n. 7180), tant’è che nella fattispecie esaminata, si è osservato che l’arbitro, ricorrendo all’ausilio di un tecnico, non ha incontrato soverchie difficoltà a fissare il valore dell’inadempimento, rapportato al valore dei maggiori volumi edificati dall’originaria convenuta in arbitrato, e pervenire per questa via all’elementare calcolo aritmetico della penale dovuta ( in tal senso: Cass. Sez. 1, 03/05/2023 n. 11548).
Ciò evidentemente, mutatis mutandis, vale anche per la clausola in esame limitata al lucro cessante e rapportata al ‘rimborso dei mancati guadagni derivati dalla cessazione del rapporto per il periodo di tempo mancante alla scadenza del contratto’, indicati specificatamente da parte attrice che allegava come dal momento del recesso, alla scadenza del
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COGNOMEAVV_NOTAIO COGNOME contratto, mancavano ancora 59 mesi, che il totale della merce mensilmente vendute al RAGIONE_SOCIALE era stato, nell’anno 2006, di € 144.293,48 e che il guadagno si aggirava sul 5 % dei ricavi.
Va data continuità, pertanto, al seguente principio che il Collegio condivide pienamente e cioè che: « in materia di clausola penale, la prestazione posta a carico della parte inadempiente ai sensi dell’articolo 1283 c.c. è soggetta all’applicazione della disciplina generale dell’oggetto del contratto, sicché può essere determinata o determinabile sulla base di un criterio predeterminato, quantunque la determinazione possa aver luogo soltanto ex post, in un momento successivo al consumarsi dell’inadempimento ».
Passando all’esame del primo e del secondo motivi di ricorso, da esaminare in modo congiunto, stante l’evidente nesso di connessione, attenendo entrambi alla natura, contenuto, funzione ed efficacia della clausola n. 5 titolata ‘ PENALI ‘ del contratto in questione, essi vanno disattesi perché non fondati.
8.1. La Corte d’appello ha debitamente ritenuto in proposito che, contrariamente a quanto ritenuto dal primo giudice, la clausola non è affatto riproduttiva della disciplina ordinaria in tema di risarcimento, in quanto non prevede la risarcibilità integrale del pregiudizio sofferto, ma limita la responsabilità per l’unilaterale interruzione del rapporto al solo lucro cessante, con esclusione del danno emergente, come si evince dal tenore letterale della pattuizione in questione. In particolare, ha ritenuto evidente che «al di fuori della pattuita facoltà di recesso di cui alla precedente clausola n.4, con la clausola n.5 si è voluto delimitare l’ambito del ‘ristoro’ dovuto da quella delle parti che abbia interrotto il rapporto di somministrazione», e che quindi la clausola contiene «l’evidente intento di rafforzare il vincolo contrattuale e di esonerare la parte non inadempiente dalla prova del danno effettivo» e che ciò comporta «l’affermazione della natura della pattuizione in termini di clausola penale, in conformità, del resto, al nomen juris attribuito in contratto, alla richiesta formulata
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RAGIONE_SOCIALE indennitaria dalla RAGIONE_SOCIALE odierna appellata ed alla concorde interpretazione in tal senso data in primo grado da entrambe le parti alla clausola in questione, indica la portata e le finalità della clausola giustificandone la natura di penale» (pag. 7 della sentenza impugnata).
Pertanto, non sussiste la paventava violazione dell’art. 1382 c.c. né la dedotta motivazione apparente, tenuto conto che il ragionamento compiuto dal giudice d’appello si è posto in linea con quanto da questa Corte ha da tempo chiarito, e cioè che la clausola penale – pur nella complessità della sua fisionomia, da rapportarsi alla concreta conformazione che le parti le hanno di volta in volta assegnato – svolge una funzione, non tanto sanzionatorio-punitiva, quanto risarcitoria, con calcolo forfettario del danno, essendo intesa a rafforzare il vincolo contrattuale ed a stabilire preventivamente la prestazione cui è tenuto uno dei contraenti qualora si renda inadempiente, con l’effetto di limitare a tale prestazione il risarcimento, indipendentemente dalla prova dell’esistenza e dell’entità del pregiudizio effettivamente sofferto (da ultimo, Cass. Sez. 6-3, 26/07/2021, n. 21398): funzione risarcitoria, più che sanzionatoria-punitiva, evidentemente confermata dalla riducibilità, anche officiosa (Cass., Sez. U., 13/09/ 2005, n. 18128), quand’anche le parti ne abbiano convenuto l’irriducibilità (Cass. Sez. 2, 16/12/2019, n. 33159), della penale manifestamente eccessiva (in tale prospettiva: da ultimo Cass. Sez. 1, 03/05/2023 n. 11548).
Dall’accoglimento del terzo e quarto motivo, consegue l’assorbimento del quinto motivo.
In conclusione, il ricorso è accolto quanto al terzo e quarto motivo, rigettati il primo e secondo e assorbito il quinto, la sentenza impugnata cassata in relazione ai due motivi accolti , con rinvio alla Corte d’appello di Bologna, in diversa composizione, che si atterrà ai principi sopra ricordati ai fini della determinazione di quanto previsto dalla clausola penale, provvedendo anche sulle spese di questo giudizio di legittimità.
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La Corte accoglie il terzo e il quarto motivo di ricorso, rigetta il primo e il secondo, dichiara assorbito il quinto. Cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte d’ Appello di Bologna, in diversa composizione.
Così deciso nella Camera di consiglio della Terza Sezione Civile 9