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Cessione in blocco: prova e oneri del cessionario

La Corte di Cassazione accoglie il ricorso di una ex-coniuge, stabilendo che in una cessione in blocco di crediti, la società cessionaria deve fornire prova documentale specifica che il credito contestato sia incluso nell’operazione. Una semplice pubblicazione in Gazzetta Ufficiale non è sufficiente se contestata. Inoltre, il solo rapporto di parentela non basta a fondare la presunzione di conoscenza del pregiudizio arrecato al creditore (scientia damni) nell’ambito di un’azione revocatoria.

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Cessione in Blocco: La Cassazione e l’Onere della Prova del Cessionario

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fa luce su due aspetti cruciali del diritto civile e bancario: l’onere della prova nella cessione in blocco di crediti e i limiti dell’utilizzo della prova presuntiva nell’azione revocatoria. La decisione sottolinea come la società che acquista i crediti debba dimostrare in modo inequivocabile la titolarità del singolo credito e come il semplice vincolo familiare non sia sufficiente a provare la malafede di un terzo. Analizziamo insieme i fatti e i principi di diritto affermati dalla Suprema Corte.

I Fatti di Causa

La vicenda trae origine da un’azione revocatoria intentata da un istituto di credito nei confronti di due ex coniugi. Durante la loro separazione consensuale, omologata dal Tribunale nel 2013, il marito aveva trasferito alla moglie la proprietà di diversi immobili. La banca, creditrice del marito per garanzie prestate a favore di una società, riteneva che tale trasferimento avesse leso la garanzia patrimoniale, rendendo più difficile il recupero del proprio credito.

Successivamente, il credito della banca veniva ceduto a una società di cartolarizzazione nell’ambito di una cessione in blocco. Questa società subentrava nel processo, portando avanti la causa. Mentre il Tribunale di primo grado rigettava la domanda, la Corte d’Appello ribaltava la decisione, dichiarando l’inefficacia del trasferimento immobiliare. Secondo i giudici d’appello, la consapevolezza della moglie (terzo acquirente) del pregiudizio arrecato alla banca poteva essere presunta dal semplice rapporto di coniugio con il debitore.

Le Motivazioni della Cassazione sulla Cessione in Blocco

La Suprema Corte, investita del ricorso della donna, ha cassato la sentenza d’appello, evidenziando due errori fondamentali. Il primo riguarda la legittimazione ad agire della società cessionaria. La Corte ribadisce un principio consolidato: chi agisce in giudizio affermando di essere successore a titolo particolare di un credito, a seguito di una cessione in blocco ai sensi dell’art. 58 del Testo Unico Bancario, ha l’onere di dimostrare l’inclusione di quello specifico credito nell’operazione.

La sola pubblicazione dell’avviso di cessione sulla Gazzetta Ufficiale, pur essendo un requisito di legge per l’efficacia della cessione verso i debitori, non è una prova sufficiente se il debitore contesta specificamente l’appartenenza del suo debito al blocco ceduto. In tal caso, la società cessionaria deve fornire la prova documentale della propria legittimazione sostanziale, ad esempio producendo il contratto di cessione o un allegato che identifichi senza incertezze i crediti oggetto dell’operazione. La Corte d’Appello, secondo gli Ermellini, ha errato limitandosi ad affermare che l’avviso pubblicato non escludeva il credito in questione, invertendo di fatto l’onere della prova.

Le Motivazioni della Cassazione sulla Prova della Scientia Damni

Il secondo, e non meno importante, motivo di censura riguarda l’accertamento della scientia damni, ovvero la consapevolezza da parte della moglie di ledere le ragioni del creditore. La Corte d’Appello aveva fondato la sua decisione su un impianto presuntivo, ritenendo che il vincolo coniugale fosse di per sé un elemento sufficiente a presumere tale conoscenza.

La Cassazione ha smontato questa argomentazione, ricordando che la prova per presunzioni, ai sensi dell’art. 2729 c.c., richiede elementi gravi, precisi e concordanti. Un singolo indizio, come il rapporto di parentela o di coniugio, non possiede di per sé tali requisiti. Per affermare la conoscenza della situazione debitoria del disponente, sono necessarie ulteriori circostanze sintomatiche, come una comunanza di interessi patrimoniali o una condotta anomala volta a eludere le responsabilità. Affidarsi unicamente al legame familiare per desumere la malafede costituisce un’errata applicazione della legge e una semplificazione non consentita.

Conclusioni

La pronuncia in esame offre due importanti lezioni pratiche. Per gli operatori del settore bancario e finanziario, emerge la necessità di una documentazione rigorosa e precisa nelle operazioni di cessione in blocco, per non vedere vanificata la possibilità di agire in giudizio. Per i debitori e i terzi, la sentenza rafforza le garanzie processuali, impedendo che la loro posizione possa essere pregiudicata da presunzioni generiche e non adeguatamente circostanziate. La Corte riafferma che ogni accertamento giudiziale deve basarsi su prove concrete e non su scorciatoie probatorie che rischiano di violare i diritti delle parti.

Cosa deve provare una società che ha acquistato crediti in una cessione in blocco per poter agire contro il debitore?
La società deve fornire la prova documentale che lo specifico credito per cui agisce era effettivamente incluso nell’operazione di cessione in blocco. La sola pubblicazione dell’avviso in Gazzetta Ufficiale non è sufficiente se il debitore contesta l’inclusione del suo debito.

Il rapporto di coniugio è una prova sufficiente per dimostrare che un coniuge era a conoscenza dei debiti dell’altro in un’azione revocatoria?
No. Secondo la Corte di Cassazione, il solo vincolo di coniugio o di stretta parentela, in assenza di altre circostanze specifiche (come la comunanza di interessi patrimoniali), non è di per sé un elemento presuntivo dotato dei requisiti di gravità e precisione sufficienti a dimostrare la conoscenza del pregiudizio arrecato ai creditori (scientia damni).

Cosa accade se la Corte d’Appello basa la sua decisione su presunzioni non corrette?
La sentenza della Corte d’Appello viene annullata (cassata) dalla Corte di Cassazione. Il caso viene quindi rinviato a una diversa sezione della stessa Corte d’Appello, che dovrà riesaminare la questione attenendosi ai principi di diritto stabiliti dalla Cassazione, ovvero applicando correttamente le norme sulla prova della titolarità del credito e sui requisiti della prova presuntiva.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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