Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 3175 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 3175 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 07/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 7218/2022 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in TORINO INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME COGNOME che la rappresenta e difende -ricorrente- contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in GENOVA LARGO INDIRIZZO-29, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME COGNOME che l a rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO TORINO n. 1152/2021 depositata il 25/10/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 07/01/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1.Il ricorso riguarda la sentenza con cui la Corte d’Appello di Torino ha respinto l’impugnazione del lodo arbitrale con cui gli arbitri – ritenuto con una prima pronuncia non definitiva che la potestas iudicandi nel caso competesse loro, in ragione della clausola compromissoria contenuta nell’« Accordo normativo per la disciplina di operazioni in strumenti finanziari derivati eseguiti fuori dai mercati regolamentati » del 2008 – accoglieva la domanda proposta da RAGIONE_SOCIALE e dichiarava la nullità dell’ interest rate swap (IRS) stipulato da Autocorsica s.p.a in data 29.5.2008 a copertura del rischio connesso al rialzo del tasso di interesse previsto stante la indicizzazione del canone del contratto di l easeback contestualmente stipulato per l’importo di 5.100.000 €, contratto IRS successivamente ceduto in data 30.12.2009 -unitamente al contratto di leaseback – alla società Palazzo s.r.l., che sottoscriveva nella stessa data con Intesa Sanpaolo un nuovo « Accordo normativo per l’operatività in strumenti finanziari derivati su tassi di interesse e valute ». In particolare il collegio arbitrale dichiarava la nullità del contratto IRS per difetto di causa «in concreto», in quanto sbilanciato a favore della banca e non in grado di svolgere alcuna reale funzione di copertura rispetto a un possibile rischio di aumento del tasso Euribor a 3 mesi; conseguentemente condannava Intesa Sanpaolo a restituire alla Palazzo s.r.l. la somma di euro 486.778,23 e dichiarava non dovuta dalla medesima la somma di euro 484.549,84 corrispondente agli addebiti effettuati in forza del contratto IRS, condannando la banca allo storno di tale importo.
2.Con un unico motivo d’appello Intesa San Paolo ha impugnato ambedue i Lodi deducendo l’improcedibilità dell’arbitrato rituale per giurisdizione esclusiva del giudice ordinario e
conseguente nullità del lodo parziale e di quello definitivo per difetto della potestas iudicandi , e ciò in quanto il rapporto negoziale in essere con la società Palazzo relativo al contratto IRS doveva considerarsi disciplinato non già dal contratto-quadro del 2008 (alla luce del quale lo swap era stato stipulato dalla RAGIONE_SOCIALEp.aRAGIONE_SOCIALE, originaria contraente) contenente la clausola compromissoria in forza della quale era stato promosso il procedimento arbitrale, bensì dal contratto-quadro 2009 (stipulato dalla RAGIONE_SOCIALE dopo la cessione dell’IRS) che invece devolve le controversie alla giurisdizione ordinaria.
La Corte d’Appello ha respinto l’impugnazione condividendo l’assunto degli arbitri per cui doveva ravvisarsi un legame inscindibile fra l’accordo-quadro del 23 maggio 2008 e il contratto IRS del 30 maggio 2008, per cui il consenso della banca alla cessione del secondo non poteva che implicare anche un implicito consenso alla cessione del contratto-quadro che ne conteneva la regolamentazione, essendo quest’ultimo, oltretutto, condizione di validità del primo ai sensi dell’articolo 23 TUF; in particolare osservando:
che detto vincolo inscindibile andava ravvisato anche in concreto, nel testo contrattuale, laddove l’art. 5 del contrattoquadro 2008 – intitolato «Unicità del rapporto giuridico» – recita « che i contratti regolamentati dal presente accordo formano insieme a quest’ultimo e alle eventuali modifiche concordate un unico atto che le parti accettano e conoscono come tale », l’art. 7 del contratto-quadro – «Interpretazione» – prevede che i termini utilizzati nell’accordo quadro del 2008 e nei singoli contratti devono essere interpretati secondo le norme e le definizioni contenute nell’accordo, e l’art. 19 – contenente la clausola compromissoria estende la sua applicabilità anche a ciascun contratto derivato recitando « ogni disputa contestazione o controversia tra le parti, comunque derivante dal presente Accordo e/o da ciascun Contratto
anche relative alla validità di accordi e contratti, verrà deferita un collegio di tre arbitri…» ; infine il frontespizio del contratto IRS oggetto della cessione, prima di riportare le condizioni di interest rate swap , richiama le disposizioni contenute nel contrattoquadro/accordo normativo del 2008 che disciplinano nei rapporti reciproci le operazioni in strumenti finanziari derivati negoziati fuori dai mercati regolamentati, senza riprodurre la regolamentazione dell’Accordo, che ne era parte, evidentemente, per relationem;
b) che non era possibile – anche a mente dell’articolo 23 T.U.F. una valida cessione del solo contratto IRS disgiunta dalla cessione della regolamentazione che lo disciplina; né detta regolamentazione poteva ritenersi sostituita – nel silenzio delle parti e in assenza di alcuna traccia «scritta» (prevista pena di nullità) – da quella del nuovo Accordo normativo del 2008, che, circa la retroattività o l’innovazione del precedente accordo-quadro nulla prevede, disponendo, anzi, espressamente la sua destinazione a regolamentare i «futuri rapporti» tra la nuova contraente Palazzo e la banca, esclusa dunque la posizione pregressa di Palazzo quale cessionaria del contratto IRS del 2008 già in corso;
c) era manifestamente pretestuosa l’eccezione con cui la banca invocava la violazione del divieto di cessione dei contratti in contestazione, dal momento che l’art. 23 del contratto – pur regolamentando effettivamente il divieto di cessione – non impone un divieto assoluto, ma prevede che i contratti e i diritti ed obblighi da essi derivanti non sono cedibili da una parte senza il preventivo consenso scritto dell’altra, consenso che in questo caso era stato manifestato pacificamente per iscritto dalla banca, senza eccezioni o limitazioni di sorta (a parte la mancata liberazione del cedente):
d) che non era pertinente il richiamo alla presunta anteriorità del contratto di «Prestazione di servizi di investimento» che, secondo Intesa Sanpaolo, risalirebbe a due giorni prima della sottoscrizione
dell’Accordo Normativo del 2009, in quanto quello disciplinava, secondo la sua stessa denominazione, servizi differenti (oltre a non essere stato prodotto in giudizio):
che Banca Intesa, nell’impugnare il lodo, confonde la disciplina della cessione del credito con quella della cessione del contratto, dimenticando che, come precisato dalla giurisprudenza di legittimità, « la cessione del contratto realizzando una successione a titolo particolare nel rapporto giuridico contrattuale mediante la sostituzione di un nuovo soggetto (cessionario) nella posizione giuridica attiva e passiva di uno degli originari contraenti (cedente) comporta anche il trasferimento del vincolo nascente dalla clausola compromissoria con la quale le parti originarie si sono impegnate a deferire da arbitri ogni e qualsiasi controversia insorta tra le parti circa l’attuazione, l’interpretazione e la risoluzione del contratto».
3.- Avverso la sentenza Intesa Sanpaolo ha presentato ricorso affidandolo a due motivi di cassazione. Ha resistito RAGIONE_SOCIALE La ricorrente ha depositato memoria
RAGIONI DELLA DECISIONE
-Il primo motivo di ricorso denuncia « in relazione all’art. 360 c.p.c. comma 1 n° 2 e 3 c.p.c. violazione e falsa applicazione dell’art. 23 T.U.F., artt. 30 e 31 reg. Consob n. 11522 del 1998, art. 828-829 co. 1 n. 1 c.p.c., artt. 1325, 1352, 1362, 1341 co. 2, 1406, 1418, 1711, 1731 c.c. per avere la Corte di Appello di Torino ritenuto idoneo a regolamentare l’operazione di investimento di cui al ceduto contratto IRS datato 30-5-2008, un accordo normativo per l’operatività in strumenti finanziari derivati OTC su tassi di interesse e valute, stipulato da altro investitore (RAGIONE_SOCIALE) e non quello per il quale nell’ambito della propria attività l’investitore (RAGIONE_SOCIALE aveva già firmato, prima del subentro, una richiesta di adesione al contratto quadro ed. 2009 con la Banca (Intesa San Paolo) ed il relativo accordo normativo ed.2009; nonché in relazione all’articolo 360 comma 1 numero 4 c.p.c. per
illogicità e contraddittorietà del percorso motivazionale risultante dal testo della sentenza. » Per quanto si riesce a comprendere di un motivo che mescola due vizi di cassazione e indica una congerie di norme senza articolare e distinguere, nella sovrabbondante illustrazione, le ragioni specifiche della loro violazione, la banca censura la sentenza gravata sotto diversi profili.
a) La Corte distrettuale non avrebbe fatto corretta applicazione della normativa a tutela degli investitori, perché pur dando atto della necessità per la Palazzo di avere un contratto-quadro adeguato al proprio profilo, sarebbe giunta a conclusioni contra legem « autorizzando Palazzo ad avvalersi della disciplina dell’accordo normativo 2008 – che non aveva sottoscritto – al posto di quello successivo del 2009, sottoscritto» – a suo dire -« cronologicamente prima di autorizzare la banca ad operare nel derivato già di Autocorsica », in quanto ciò contrasterebbe con l’art. 23 TUF; la motivazione in proposito sarebbe anche illogica e contraddittoria.
b) Nell’esaminare il frontespizio del contratto IRS la Corte distrettuale affermerebbe erroneamente l’impossibilità – anche a mente dell’art. 23 TUF – di una valida cessione del solo contratto IRS disgiunta dalla concorde cessione della regolamentazione che lo disciplina, ovvero quella contenuta nell’accordo quadro del 2008, che non sarebbe sostituita dal nuovo accordo del 2009, che in punto alla retroattività o alla innovazione del precedente accordo nulla prevede: reputa la ricorrente che la Corte non abbia letto il contratto IRS del 29.5.2008 e che la contraddittorietà e illogicità del percorso motivazionale sarebbe lampante perché l’articolo 23 T.U.F. impone alla banca di informare ogni investitore prima di operare sui derivati, con la conseguenza che se la banca avesse operato come dice la Corte « si troverebbe di fronte a un investitore che non ha sottoscritto l’accordo-quadro ma che vi subentra illogicamente in quello sottoscritto da altro investitore », con il che,
al medesimo soggetto, vedrebbe applicato un contratto-quadro sottoscritto da altro cliente per l’IRS oggetto di cessione, e un altro accordo normativo per tutti i futuri rapporti;
la Corte di Torino avrebbe fatto confusione tra ordini di acquisto -negozi attuativi del contratto quadro originario, rispetto ai quali la banca ha meri obblighi di informazione ed esecuzione a supporto della volontà del cliente -e l’IRS, vero e proprio contratto autonomo che, perciò, non costituirebbe un unicum inscindibile con il contratto normativo del 2008, ed andava perciò regolato dal nuovo accordo quadro stipulato, il quale non conteneva alcuna clausola compromissoria: donde la competenza giurisdizionale in capo al Tribunale.
1.1Giova premettere all’esame delle sollevate censure, ripercorrendo itinerari argomentativi ampiamente esplorati da questa Corte, che il giudizio di impugnazione per nullità del lodo arbitrale che ha luogo davanti alla Corte d’Appello, costituisce un giudizio a critica limitata, proponibile soltanto per determinati errores in procedendo specificamente previsti, nonché per inosservanza, da parte degli arbitri, delle regole di diritto nei limiti indicati dall’art. 829, comma 2, cod. proc. civ. (Cass., Sez. I, 18/10/2013, n. 23675). Si tratta di una sorta di giudizio che di legittimità ante litteram (Cass., Sez I, 25/09/2015, n. 19080), posto che, pur svolgendosi avanti alla Corte d’appello, esso non ha la consistenza di una revisio prioris instantiae , non costituisce, cioè una reiterazione in secondo grado del giudizio svoltosi avanti agli arbitri, all’esito del quale come in un ordinario giudizio di appello sia consentito al decidente di sindacare nel merito la decisione assunta dagli arbitri sostituendola, in caso di riforma, con la propria. Esso, piuttosto, dà più esattamente vita, in coerenza con la struttura bifasica del procedimento, al c.d. iudicium rescindens , che consiste unicamente nell’accertare se sussista taluna delle nullità previste come conseguenza di errores in procedendo oppure in
iudicando , sicché soltanto se il giudizio rescindente si conclude con il positivo accertamento di uno dei motivi di nullità del lodo è possibile, giusta l’art. 830 cod. proc. civ., il riesame nel successivo iudicium rescissorium , del merito della pronuncia arbitrale (Cass., Sez. I, 22/03/2007, n. 6986; Cass., Sez. 2, 26/05/2015, n. 10809; Cass., Sez. VI-I, 7/02/2018, n. 2985).
In questa cornice si delinea uno specifico ed ulteriore limite al sindacato esperibile in rapporto alla specificità della res dedotta in giudizio ove, come qui, si questioni dell’interpretazione di un contratto, che in quanto implichi un accertamento in fatto dell’accordo delle parti si traduce in un’indagine di fatto affidata al giudice del merito e quindi, nel caso di arbitrato, solo agli arbitri, censurabile solo in termini di controllo di legittimità nel giudizio affidato al giudice dell’impugnazione per nullità del lodo ex art. 829 cod. proc. civ., e quindi sindacabile soltanto nel caso in cui la motivazione sia così inadeguata da non consentire la ricostruzione dell’iter logico seguito dagli arbitri per giungere ad attribuire al contratto un determinato contenuto, oppure per violazione delle norme ermeneutiche di cui agli artt. 1362 e ss c.c. (Cass., Sez. I, 8/04/2011, n. 8049).
Pertanto, coerentemente con le regole che sovrintendono alla ricorribilità per cassazione dell’errore ermeneutico (Cass., Sez. III, 28/11/2017, n. 28319), colui che impugna il lodo deve specificare i canoni in concreto violati, nonché il punto ed il modo in cui l’arbitro si sia da essi discostato, non essendo sufficiente una semplice critica della decisione sfavorevole, formulata attraverso la mera prospettazione di una diversa (e più favorevole per sé) interpretazione rispetto a quella adottata dal giudicante, traducendosi questa nella richiesta di un nuovo accertamento di fatto, inammissibile in un giudizio di legittimità (Cass., Sez. I, 25/09/2015, n. 19080).
1.2 – Tanto premesso il Collegio, venendo al merito della proposta impugnazione, rileva che il motivo è inammissibile sotto tutti profili sopra indicati, che sono connessi e riguardano l’Accordo Normativo da cui è regolato il contratto IRS.
1.3 – La ratio decidendi della decisione gravata riguarda la ritenuta inscindibilità del contratto IRS rispetto al regolamento del contratto normativo del 2008 che ne ha preceduto la stipulazione e a cui il contratto stesso fa riferimento e l’impossibilità di ritenerlo sostituito, in mancanza di pattuizioni scritte specifiche, con un contratto normativo diverso, ovvero quello stipulato da Intesa Sanapaolo con la Palazzo s.r.l. il 30.12.2009 dopo che la banca aveva ricevuto comunicazione della cessione del contratto IRS concluso con RAGIONE_SOCIALE e vi aveva espressamente consentito. Tanto l’inscindibilità tra il regolamento contrattuale contenuto nel contratto-quadro e il relativo contratto di interest rate swap , quanto la cronologia delle diverse operazioni negoziali erano state accertate dal lodo arbitrale impugnato, con un giudizio in fatto di cui la Corte d’Appello ha confermato la correttezza senza, peraltro, che la banca avesse dedotto specifici vizi di legittimità dell’operazione ermeneutica condotta, che, invero, non deduce neppure in questa sede, non bastando certamente la mera indicazione, tra le norme asseritamente violate, dell’art. 1362 c.c.
La valutazione compiuta nella fattispecie dal giudice d ell’impugnazione , perciò, è incensurabile in questa sede quale conferma di un accertamento compiuto nel merito già dagli arbitri, anche con riguardo alla cedibilità del contratto normativo del 2008 e all’interpretazione del contratto normativo del 2009 tra Palazzo e Intesa SanPaolo con riguardo alla sua destinazione a regolare solo i futuri rapporti tra le parti.
1.4 – Inoltre la ricorrente censura infondatamente la decisione, da un lato, invocando un contrasto del ragionamento decisorio con
l’art. 23 T.U.F. che, invece, sarebbe violato proprio laddove come afferma la Corte di Torino, si sostituisse alla normazione quadro di riferimento una regolamentazione diversa senza che la volontà negoziale in tal senso fosse stata espressa nella necessaria forma scritta (nella quale, invece, era espressa -nel nuovo Accordo normativo del 2009 -la destinazione del medesimo a regolare i futuri rapporti tra la nuova contraente RAGIONE_SOCIALE e la banca); dall’altro, denunciando che la motivazione sul punto sarebbe illogica o contraddittoria, quando, invece, la stessa è del tutto lineare e non presenta alcuna contraddittorietà che, del resto, pur essendo invocata non viene neppure specificamente illustrata; invero, poiché il vizio di motivazione contraddittoria sussiste solo in presenza di un contrasto insanabile tra le argomentazioni addotte nella sentenza impugnata che non consenta la identificazione del procedimento logico-giuridico posto a base della decisione (Cass. n. 17196/2020), è evidente che la relativa denuncia – in conformità al dovere di specificità di cui all’art. 366 , comma 1, n. 4, c.p.c. dev’essere effettuata mediante la precisa indicazione delle lacune argomentative, ovvero delle illogicità consistenti nell’attribuzione agli elementi di giudizio di un significato estraneo al senso comune, oppure con l’indicazione dei punti inficiati da mancanza di coerenza logica, e cioè connotati da un’assoluta incompatibilità razionale degli argomenti, sempre che questi vizi emergano appunto dal ragionamento logico svolto dal giudice di merito, quale risulta dalla sentenza (v. Cass. n. 4178/2007).
Pertanto la ricorrente intende, in realtà, sottoporre alla Corte di legittimità in modo inammissibile una nuova ricognizione della fattispecie onde pervenire alla conclusone dell’inapplicabilità della clausola compromissoria in funzione della nullità di un lodo, cui – si osserva ancora – la banca non ha mosso alcuna censura a proposito della valutazione circa la nullità per carenza di causa in concreto del contratto IRS concluso.
2.- Il secondo motivo denuncia « In relazione all’art. 360 c.p.c. comma 1 n° 2 e 3 c.p.c. violazione e falsa applicazione dell’artt. 1260,1341, 1362, 1406 c.c. e 808 c.p.c., in relazione alla clausola compromissoria di cui all’art. 19 -contenuta nell’accordo quadro sottoscritto da RAGIONE_SOCIALE in data 23.5.2008, per avere la Corte di Appello di Torino ritenuto competente a giudicare il Collegio Arbitrale adito dalla Palazzo s.r.l. e non il Tribunale; nonché in relazione all’articolo 360 comma 1 numero 4 c.p.c. per illogicità e contraddittorietà del percorso motivazionale risultante dal testo della sentenza .» Intesa Sanpaolo contesta, in sintesi, l’errore in cui sarebbe incorsa la Corte d’Appello di Torino per non avere tenuto conto che « la clausola compromissoria non viene trasmessa al cessionario, salvo esistenza di un consenso espressamente reso da tutti e tre i soggetti coinvolti »; e non avendo Intesa Sanpaolo prestato alcun consenso all’applicabilità della clausola compromissoria la Corte avrebbe errato nel ritenere infondata l’impugnazione del lodo per improcedibilità dell’arbitrato.
2.1- Il motivo è inammissibile in quanto, oltre a mescolare due vizi di legittimità diversi senza articolarne almeno la illustrazione in modo da consentirne l’autonomo scrutinio, è del tutto carente dello specifico esame delle norme di legge di cui lamenta la violazione, ovvero del loro contenuto precettivo e del raffronto con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata onde dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo, « non potendosi demandare alla Corte il compito di individuare -con una ricerca esplorativa ufficiosa, che trascende le sue funzioni -la norma violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa .» (Cass. Sez. Un. n. 23745/2020). Si può aggiungere che, come osservato dalla Corte d’appello avanti la quale era stata dedotta analoga argomentazione, la cessione del contratto è cosa diversa dalla cessione del diritto che nasce del
medesimo (diritto di credito) e che gli argomenti predetti sono quindi inconferenti nella fattispecie.
Pertanto il ricorso va dichiarato inammissibile. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come nel dispositivo, ai sensi del D.M. 12 luglio 2012, n. 140. Sussistono i presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato se dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara il ricorso inammissibile; condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite in favore di parte controricorrente liquidate nell’importo di euro 10.200,00 di cui euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15% sul compenso ed agli accessori come per legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dalla I. 24 dicembre 2012, n. 228, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1- bis.
Cosí deciso in Roma, nella camera di consiglio della 1° Sezione