Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 2511 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 2511 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 03/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 8713/2022 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE rappresentata da RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME
-ricorrente-
contro
COGNOME NOMECOGNOME elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME
-controricorrente-
nonchè contro
NOME
-intimata- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO FIRENZE n. 1791/2021 depositata il 22/09/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 08/01/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1.- Il ricorso riguarda la sentenza con cui la Corte d’appello di Firenze ha confermato la decisione resa dal locale Tribunale con la quale era stata accolta l’opposizione proposta dai signori NOME COGNOME e NOME COGNOME contro il precetto notificato il 13.2.2017 con cui la Banca Monte dei Paschi di Siena intimava il pagamento della complessiva somma di euro 153.773,48, di cui 5.458,62 per rate insolute e 148.314,86 per residuo capitale, in forza del contratto di mutuo fondiario sottoscritto dagli opponenti in data 20.4.2004.
Gli opponenti si dolevano del fatto che la banca avesse esercitato il diritto di recesso dal contratto e comunicato la decadenza dal beneficio del termine in violazione del capitolato allegato al mutuo, che prevede detta decadenza nel caso di mancato pagamento di più di una sola rata; la MPS precisava che le rate scadute erano semestrali e che alla data della notifica del precetto, il 13 Febbraio 2017, le rate scadute erano due.
Il Tribunale – premesso che con il precetto la banca aveva intimato il pagamento della rata venuta a scadenza il 1 luglio 2016 e del residuo capitale -ha escluso che il contratto potesse ritenersi risolto, mentre il precetto poteva ritenersi legittimo rispetto alla decadenza del beneficio del termine ai sensi dell’articolo 7 del capitolato allegato al contratto, onde la banca poteva procedere all’esecuzione forzata limitatamente all’importo di 5.458,62 euro, condannando gli opponenti al pagamento di detta somma oltre interessi.
La Corte d’Appello, su gravame di MPSRAGIONE_SOCIALE ha preliminarmente ritenuto che RAGIONE_SOCIALE -intervenuta in giudizio in fase conclusionale del giudizio di appello quale cessionaria in blocco dei crediti di MPS -non avesse provato, come eccepito dagli appellati, « la cessione della posizione creditoria di cui è causa » non risultando la stessa iscritta nel registro delle imprese come previsto dal comma 2 dell’art. 58 d.lgs. 385/1993 ma solo pubblicata nella Gazzetta Ufficiale, detta iscrizione essendo necessaria per «poter opporre pienamente ad eventuali terzi la cessione e ancor l’eventuale adempimento avvenutone in conseguenza».
Inoltre ha respinto la censura concernente il fatto che il giudice di primo grado non avesse preso in considerazione – agli effetti del proprio diritto a dichiarare risolto il contratto – la situazione di insolvenza del sig. COGNOME che, secondo il regolamento contenuto nel contratto di mutuo, costituiva presupposto dell’intimato pagamento della somma pretesa oggetto del precetto: e ciò in quanto – ha affermato la Corte di merito – non era consentito alla Banca ampliare, in sede di opposizione del debitore, la causa petendi relativa dell’atto di precetto che riguardava il solo omesso versamento alla scadenza della rata dovuta deducendo un’ipotesi di risoluzione del contratto per una situazione di insolvenza già nota, e che la banca avrebbe potuto dedurre già nel precetto notificato sulla base del titolo contrattuale che la prevedeva.
4.- Avverso detta sentenza RAGIONE_SOCIALE ha presentato ricorso, affidandolo a due motivi di cassazione. Ha resistito con controricorso NOME COGNOME La ricorrente ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.- Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c. dell’articolo 111 comma 3 c.p.c. e dell’art. 58 d. lgs. n. 385/93 in quanto, sostiene RAGIONE_SOCIALE ricorrente, la sua dante causa MPS aveva provato l’intervenuta
cessione mediante la pubblicazione dell’avviso di cessione dei crediti nella Gazzetta Ufficiale che, come affermato da questa Corte (cita Cass. n. 20495/2020), costituisce presupposto di efficacia della cessione «in blocco» dei rapporti giuridici nei confronti dei debitori ceduti, dispensando la banca dall’onere di procedere alla notifica della cessione alle singole controparti dei rapporti acquisiti, non incidendo però sul perfezionamento della fattispecie traslativa e sulla circolazione del credito, che, fin dal momento in cui la cessione si è perfezionata, è nella titolarità del cessionario, il quale, quindi, è legittimato a ricevere la prestazione dovuta anche se gli adempimenti richiesti non sono stati ancora eseguiti, adempimenti pubblicitari di cui all’art. 58 comma 2 d.lgs. 385/93 che producono gli effetti indicati dall’art. 1264 c.c.; aggiunge Siena NPL che, nell’ambito dell’estratto della Gazzetta Ufficiale prodotto, si individuano le categorie di crediti oggetto di cessione e viene indicato il link che consente di verificare se il credito sia stato effettivamente oggetto della stessa; assume che nella rinuncia al mandato da parte del legale di MPS veniva espressamente dato atto che la rinuncia si giustificava per l’intervenuta cessione del credito in favore della cessionaria Siena NPL 2018.
1.1L’esame del motivo , che rileva, in quanto Siena RAGIONE_SOCIALE -cessionaria del credito, è l’unica ricorrente e i controricorrenti insistono sulla sua carenza di legittimazione perché la cessione non sarebbe stata efficace per difetto di pubblicazione nel R.I – merita di essere preceduto da una ricognizione degli arresti di legittimità sulla questione, previa individuazione della stessa alla luce di quanto eccepito e rilevato dalla Corte d’appello a proposito dell’intervento della terza cessionaria del credito controverso in ragione di una c.d. cessione «in blocco» di un portafoglio di crediti della banca cedente.
1.2- La questione attiene -secondo quanto afferma la stessa sentenza gravata – alla fondatezza « dell’eccezione di carenza di
prova della cessione della posizione creditoria di cui è causa in capo alla intervenente RAGIONE_SOCIALE» (pag. 9 sent. terzo capoverso), questione attinente -è bene precisare – non alla legittimazione processuale all’intervento da quest’ultima spiegato in appello ex art. 111 comma 2 c.p.c., bensì alla prova della titolarità del diritto che la parte «afferma», onde ottenerne la tutela in giudizio, ovvero ad una questione di merito o di legittimazione sostanziale.
1.3- Ciò precisato – e premesso che vanno distinte le questioni (i) della prova dell’avvenuta cessione in blocco quale vicenda traslativa, (ii) della prova che detta cessione riguardo alla posizione creditoria controversa, (iii) della efficacia della cessione verso i debitori ceduti agli effetti di cui all’art. 1264 c.c. – si osserva che questa Corte (v. Cass. 17944/2023) ha di recente svolto sul punto una ricognizione della questione affermando per quanto qui interessa:
che «In linea generale, ai fini della prova della cessione di un credito, benché non sia di regola necessaria la prova scritta, di certo non può ritenersi idonea, di per sé, la mera notificazione della stessa operata al debitore ceduto dal preteso cessionario ai sensi dell’art. 1264 c.c., quanto meno nel caso in cui sul punto il debitore ceduto stesso abbia sollevato una espressa e specifica contestazione, trattandosi, in sostanza, di una mera dichiarazione della parte interessata anche se la cessione sia avvenuta nell’ambito di un’operazione di cessione di crediti individuabili in blocco da parte di istituti bancari a tanto autorizzati e la notizia della cessione sia eventualmente stata data dalla banca cessionaria mediante pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, ai sensi dell’art. 58 T.U.B .»;
che « la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale esonera, sì, la cessionaria dal notificare la cessione al titolare del debito ceduto» ma «non prova l’esistenza di quest’ultima (così espressamente
Cass. n. 22151/2019; cfr. già in precedenza Cass. n. 5997/2006 secondo cui ‘ la parte che agisca affermandosi successore a titolo particolare del creditore originario, in virtù di un’operazione di cessione in blocco secondo la speciale disciplina di cui all’art. 58 del d.lgs. n. 385 del 1993, ha anche l’onere di dimostrare l’inclusione del credito medesimo in detta operazione, in tal modo fornendo la prova documentale della propria legittimazione sostanziale, salvo che il resistente non l’abbia esplicitamente o implicitamente riconosciuta ‘ (Cass. n. 24798/2020, Cass. n. 4116/2016 )».
e) premesso inoltre che « la prova della cessione di un credito non è, di regola, soggetta a particolari vincoli di forma; dunque, la sua esistenza è dimostrabile con qualunque mezzo di prova, anche indiziario, e il relativo accertamento è soggetto alla libera valutazione del giudice del merito, non sindacabile in sede di legittimità » e che « va, comunque, sempre distinta la questione della prova dell’esistenza della cessione (e, più in generale, della fattispecie traslativa della titolarità del credito) dalla questione della prova dell’inclusione di un determinato credito nel novero di quelli oggetto di una operazione di cessione di crediti individuabili in blocco ai sensi dell’art. 58 T.U.B. , si può certamente confermare, in primo luogo, che, in caso di cessione di crediti individuabili blocco ai sensi dell’art. 58 T.U.B., quando non sia contestata l’esistenza del contratto di cessione in sé, ma solo l’inclusione dello specifico credito controverso nell’ambito di quelli rientranti nell’operazione conclusa dagli istituti bancari, l’indicazione delle caratteristiche dei crediti ceduti, contenuta nell’avviso della cessione pubblicato dalla società cessionaria nella Gazzetta Ufficiale, può ben costituire adeguata prova dell’avvenuta cessione dello specifico credito oggetto di contestazione, laddove tali indicazioni siano sufficientemente precise e consentano, quindi, di ricondurlo con certezza tra quelli compresi nell’operazione di trasferimento in blocco, in base alle sue caratteristiche concrete. In
tal caso, infatti, in mancanza di contestazioni specificamente dirette a negare l’esistenza del contratto di cessione, quest’ultimo non deve essere affatto dimostrato (in quanto i fatti non contestati devono considerarsi al di fuori del cd. thema probandum): il fatto da provare è costituito soltanto dall’esatta individuazione dell’oggetto della cessione»
1.4 – Traendo le conclusioni di questi principi nel caso di specie, il Collegio osserva che qui non si trattava di una contestazione specifica sulla sussistenza della cessione, avendo la Corte stessa precisato che la questione riguardava « l’eccezione di carenza di prova della cessione della posizione creditoria di cui è causa in capo alla intervenente RAGIONE_SOCIALE» (pag. 9 sent. terzo capoverso) fondata sull’assenza dell’iscrizione della cessione in blocco nel Registro delle Imprese, ovvero sull’omissione di un adempimento che non ha funzione né costitutiva né probatoria del negozio di cessione .
1.6 -Perciò la Corte di appello ha errato nel ritenere che in ragione di detta eccezione l’intervenuta cessionaria non avesse provato la titolarità del rapporto controverso in ragione della mancata iscrizione nel R.I.: l’adempimento dell’iscrizione è estraneo alla fattispecie traslativa e serve solo ad escludere l’efficacia liberatoria del pagamento a terzi (Cass. n. 5997/2006).
Ciò tuttavia non giustifica la cassazione della pronuncia in quanto, una volta riconosciuta la successione di Siena RAGIONE_SOCIALE nel rapporto processuale, occorre verificare se la pronuncia meriti censura con riguardo al tema che è fatto oggetto del secondo motivo di ricorso.
2.Il secondo motivo denuncia la violazione ai sensi dell’art. 360, comma 1, nn. 3 e 5, c.p.c., degli art. 480 c.p.c. e art. 8 Lett. C del Capitolato, allegato B, al contratto di mutuo, e 1186 c.c.. in quanto la banca non era tenuta a redigere e notificare un atto di precetto nel quale a giustificazione dell’intimazione di pagamento
venisse esplicitata la più ampia situazione di insolvenza a sostegno della richiesta di risoluzione il contratto e di decadenza dal beneficio del termine; né l’insolvenza del sig. COGNOME costituiva un ampliamento della causa petendi ma espressione delle difese di MPS nell’ambito di un giudizio instaurato dal debitore opponente nel quale si realizza l’accertamento nel merito della sussistenza della pretesa creditoria azionata, che riguardava non solo le rate scadute e non pagate ma anche il residuo capitale; ha sostenuto che la complessiva situazione di insolvenza era stata indicata anche nella diffida che aveva preceduto la notifica del precetto. La Corte avrebbe omesso di considerare dette circostanze e di pronunciarsi sui presupposti dell’insolvenza dedotti.
2.1- Il motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza.
La fattispecie riguarda un’opposizione all’esecuzione in cui la parte opponente ha contestato il diritto del creditore di procedere all’esecuzione forzata opponendosi al precetto, la quale instaura un normale giudizio di cognizione che, pur potendo influire sull’esecuzione, si inserisce in essa come una parentesi autonoma.
2.2- Con il precetto, nella specie, il creditore aveva intimato il pagamento della somma complessiva di 153.763,48 euro, parte della quale riguardava rate insolute e per il resto il residuo del capitale mutuato in forza di contratto di mutuo fondiario sottoscritto dal sig. COGNOME e da NOME COGNOME quale terzo datore di ipoteca. Gli opponenti contestavano il diritto del creditore a procedere all’esecuzione, poiché l’omesso pagamento di una sola rata del mutuo era insufficiente – alla luce del capitolato allegato al mutuo fondiario – a determinare la risoluzione del contratto ed anche la decadenza dal beneficio del termine: l’articolo 7 del capitolato prevedeva la decadenza del beneficio del termine nel caso del mancato pagamento di «rate» intendendosi con ciò che l’omesso versamento dovesse riguardare almeno due scadenze andate insolute.
La statuizione del giudice di prime cure è stata impugnata dalla MPS che ha insistito sul fatto che, tramite il precetto notificato, la banca avesse fatto valere anche la risoluzione del contratto di mutuo per insolvenza del mutuatario.
La Corte d’appello ha respinto il gravame perché ha ritenuto che il precetto dovesse trovare esatta corrispondenza nel titolo formale cui si riferiva non potendo il creditore allargare la causa petendi invocando « due ipotesi tipiche contrattualmente previste (di risoluzione per inadempimento e di decadenza dal beneficio del termine per mancato pagamento di una sola rata) » ovvero deducendo quale ulteriore fonte della intimata decadenza dal termine una situazione di insolvenza di cui era già a conoscenza e che, essendo contemplata nel contratto di mutuo, avrebbe potuto azionare e indicare nel precetto notificato.
2.3- Ebbene – precisato che nel giudizio di opposizione le eventuali “eccezioni” sollevate dall’opponente per contrastare il diritto del creditore a procedere ad esecuzione forzata, le quali costituiscono la causa petendi della domanda proposta con il ricorso in opposizione, sono soggette al regime sostanziale e processuale della domanda – si osserva che la ricorrente, pur lamentando che il giudice di prima cure abbia erroneamente ritenuto che il creditore opposto pretendesse un indebito allargamento delle ragioni poste a fondamento della intimata decadenza dal beneficio del termine di cui al notificato precetto, non consente di verificare ciò che afferma, ovvero che l’intimata decadenza dal beneficio del termine riguardasse anche l’insolvenza del debitore; invero non riproduce o riassume e neppure localizza, all’interno del fascicolo di primo grado, il documento di diffida che cita (la lettera del 14.11.2016), così da dimostrare che l’intimazione di decadenza dal beneficio del termine avrebbe contemplato non solo il mancato pagamento della rata scaduta ma la più ampia insolvenza del debitore. Infatti, la decadenza dal
beneficio del termine non opera automaticamente e, pur non richiedendo una preventiva pronuncia giudiziale, né un’espressa domanda, postula la manifestazione della sua volontà di avvalersene.
Perciò il motivo è del tutto carente di autosufficienza in violazione dell’art. 366 co. 1 n. 4 e 6 c.p.c. essendo onere della parte ricorrente, al fine di evitare una statuizione d’inammissibilità, non solo di allegare l’avvenuta deduzione delle circostanze asseritamente non considerate innanzi al giudice di merito, ma anche, in ossequio al principio di autosufficienza e, dunque, specificità del motivo: a) di indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Suprema Corte di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione (Cass., 18/10/2013, n. 23675); b) riprodurre in via diretta il contenuto che sorregge la censura oppure in via indiretta, con specificazione della parte del documento cui corrisponde l’indiretta riproduzione (Cass., 09/04/2013, n. 8569, Cass., 15/07/2015, n. 14784, Cass., 27/07/2017, n. 18679) c) « specificare anche in quale sede processuale il documento risulta prodotto, poiché indicare un documento significa necessariamente, oltre che specificare gli elementi che valgano ad individuarlo, riportandone il contenuto, dire dove nel processo esso è rintracciabile, sicché la mancata localizzazione del documento basta a dichiarare l’inammissibilità del ricorso (Cass. n. 28184 del 2020).
3.In definitiva, il secondo motivo deve essere dichiarato inammissibile, mentre con riguardo al primo non deve farsi luogo a cassazione, in quanto la sentenza della Corte territoriale, che ha respinto l’appello avverso la sentenza di primo grado, va confermata pur se con diversa motivazione sul punto della legittimazione di Siena RAGIONE_SOCIALE.
Il ricorso è dunque dichiarato inammissibile.
Le spese processuali seguono la soccombenza e si liquidano come nel dispositivo, ai sensi del D.M. 12 luglio 2012, n. 140. Sussistono i presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato se dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento delle spese in favore della controricorrente, liquidate nell’importo di euro 7.200,00 di cui euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15% sul compenso ed agli accessori come per legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dalla I. 24 dicembre 2012, n. 228, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1bis.
Cosí deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima