Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 8872 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 8872 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 03/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 18559/2020 R.G. proposto da:
COGNOME NOME COGNOME, elettivamente domiciliati in ROMA, COGNOME, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME che li rappresenta e difende unitamente agli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME;
– ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
nonché contro
RAGIONE_SOCIALE
intimati avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO di VENEZIA n. 2503/2019 depositata il 06/03/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 14/03/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Banco BPM (già Banco Popolare soc. coop.) citava in giudizio NOME COGNOME e NOME COGNOME per far dichiarare l’inefficacia ex art. 2901 c.c. dell’atto di compravendita del 24.3.2016 a rogito del Notaio dott. NOME COGNOME con cui il primo convenuto aveva trasferito alla nuora NOME COGNOME la proprietà di un immobile sito in Roverbella (MN) al prezzo di € 70.000, riservando per sé il diritto di abitazione. Con tale atto dispositivo la convenuta aveva pregiudicato le ragioni creditorie della banca attrice a favore della quale aveva prestato fideiussione specifica in relazione al mutuo agrario concesso all’Azienda RAGIONE_SOCIALE, gestita dal figlio NOME COGNOME mutuo per il quale successivamente era stata comunicata la decadenza dal beneficio del termine e concesso decreto ingiuntivo dal Tribunale di Verona in data 10.1.2017.
I convenuti si costituivano chiedendo il rigetto della domanda per mancanza dei presupposti di cui all’art. 2901 c.c., evidenziando che la fideiussione era stata rilasciata prima dell’erogazione del mutuo e che non sarebbe stato provato l’elemento soggettivo dell’azione .
Il Tribunale accoglieva la domanda ricorrendo nella fattispecie i presupposti dell’azione revocatoria, tanto sul piano
oggettivo (esistenza del credito, compimento dell’atto dispositivo, effettività del danno) quanto sul piano soggettivo (consapevolezza del pregiudizio arrecato alle ragioni dei creditori). Non assumeva rilevanza la natura litigiosa del credito né tantomeno l’anteriorità della fideiussione rispetto all’erogazione del mutuo, al fine di escluderne la natura sussidiaria rispetto all’obbligazione principal e, infatti, nel testo della fideiussione era indicata testualmente la sua natura ‘specifica’ e l’accessorietà rispetto alle obbligazioni ‘assunte e/o assumende’ dall’Azienda RAGIONE_SOCIALE di COGNOME a titolo di ‘mutuo agrario chirografario diretto di euro 120.000,00’ .
Era altresì pacifico il compimento dell’atto dispositivo e la natura onerosa dello stesso. Si trattava infatti di un atto notarile di compravendita stipulato il 24.3.2016, con cui la COGNOME aveva trasferito alla Sorio la proprietà dell’immobile sito in Roverbella (MN), INDIRIZZO a fronte del pagamento di un prezzo di € 70.000,00, riservando per sé il relativo diritto di abitazione .
Quanto a ll’ eventus damni , la fuoriuscita di un bene immobile di rilevante valore dal patrimonio della debitrice era circostanza tale da alterare in senso peggiorativo la garanzia patrimoniale generica dei creditori ex art. 2740 c.c., sia perché era in re ipsa il maggiore rischio di infruttuosità dell’azione esecutiva avente ad oggetto somme di denaro in luogo di beni immobili, sia perché, nel caso concreto, parte attrice aveva allegato la non congruità del corrispettivo pattuito e parte convenuta non aveva contestato in alcun modo la circostanza. L ‘onere probatorio posto in capo al creditore, limitato alla dimostrazione della variazione patrimoniale, era soddisfatto.
Una volta accertato che la fideiussione era stata prestata il 9 aprile 2015, il mutuo agrario era stato concesso il 20 aprile 2015 e l’atto dispositivo era stato compiuto il 24 marzo 2016, quest’ultimo doveva considerarsi successivo rispetto alla ragione creditoria vantata dalla banca attrice, sorta al momento dell’erogazione del mutuo, restando irrilevante il fatto che il credito della banca fosse divenuto esigibile solo con la decadenza dal beneficio del termine e la richiesta di rientro dell’esposizione, comunicata con lettera del 27 maggio 2016 rivolta sia all’obbligato principale (RAGIONE_SOCIALE) sia ai garanti NOME COGNOME e NOME COGNOME. Sul piano probatorio, pertanto, per l’attrice era sufficiente dimostrare la mera consapevolezza della disponente e della terza acquirente, al momento della compravendita, di arrecare un pregiudizio alle ragioni del creditore (art. 2901, co. 1, n. 1, c.c.).
In capo a NOME COGNOME si poteva presumere la consapevolezza della natura pregiudizievole dell’atto dispositivo sulla base di una serie di elementi connotati da gravità, precisione e concordanza. In particolare, oltre alla sua qualità di fideiussore, al fatto che la debitrice garantita fosse l’impresa gestita da suo figlio NOME COGNOME e al fatto -infine -che il bene ceduto costituisse il cespite più rilevante del suo patrimonio, anche tenuto conto che nel medesimo periodo l’unico altro immobile di propr ietà era stato vincolato con un contratto di locazione trentennale in favore di altra azienda riconducibile al figlio e successivamente gravato di ipoteche.
L’elemento soggettivo della scientia damni poteva dirsi accertato in via presuntiva anche in capo all’acquirente. Parte convenuta eccepiva che la COGNOME non era al corrente dell’impegno fideiussorio assunto dalla COGNOME.
La tesi era infondata alla luce della giurisprudenza costante per cui il requisito della consapevolezza, da parte del terzo acquirente, del pregiudizio prodotto dall’atto dispositivo prescinde dalla conoscenza specifica del credito a tutela del quale l’azione revocatoria viene esperita (Cass. 19.3.1996 n. 2303; Cass. 23.3.2004 n. 5741, Cass. 3.5.2010 n. 10623).
In altre parole, ben poteva sussistere l’elemento soggettivo della COGNOME a prescindere dalla sua effettiva conoscenza della qualità di fideiussore della COGNOME La sua positiva conoscenza della situazione debitoria della garante e la conseguente conoscenza del potenziale pregiudizio arrecato ai creditori dall’atto dispositivo potevano invece presumersi in base a una valutazione complessiva degli elementi acquisiti e segnatamente: (i) il rapporto di coniugio con NOME COGNOME titolare dell’impresa obbligata principale nei confronti della banca; (ii) il rapporto di affinità con la venditrice e garante NOME COGNOME;(iii) l’entità del corrispettivo, di cui parte convenuta non contestava ex art. 115 c.p.c. la difformità dai valori di mercato; (iv) le peculiari condizioni della compravendita (assenza di un contratto preliminare, riserva del diritto di abitazione in favore della venditrice).
Alla luce di tale motivazione la Corte d’Appello disponeva la revoca ai sensi dell’art. 2901 c.c. dell’atto di compravendita del 24 marzo 2016 a rogito del Notaio dott. NOME COGNOME e la dichiarazione di inefficacia dello stesso nei confronti di Banco BPM.
COGNOME e NOME proponevano appello avverso la suddetta sentenza n. 589/19 del Tribunale di Verona.
La Corte d’Appello di Venezia dichiarava inammissibile l’appello ai sensi dell’art. 348 ter c.p.c.
COGNOME e NOME hanno proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza del Tribunale di Verona e avverso l’ordinanza di inammissibilità della Corte d’Appello di Venezia.
RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso
Entrambe le parti con memoria depositata in prossimità dell’udienza ha nno insistito nelle rispettive richieste.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo di ricorso è così rubricato: Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1936 cod. civ.
I ricorrenti premettono che ‘la nullità della fideiussione posta a fondamento dell’azione revocatoria è rilevabile d’ufficio anche in sede di legittimità’ (Cass. 4175/2020), pur dovendosi basare su di un’eccezione già svolta nel corso del processo e richiamano gli atti di causa laddove la nullità della garanzia sarebbe stata più volte contestata dalla parte ricorrente (comparsa di risposta in 1°grado, pag.3 -citazione in opposizione a decreto ingiuntivo, pag.12, allegato n.3 alla comparsa di risposta).
L a fideiussione posta a fondamento dell’azione revocatoria sarebbe nulla per i seguenti motivi: le clausole della fideiussione in atti sono del tutto uniformi a quelle adottate nel modello ABI del 2003, contestato e dichiarato nullo, con ogni conseguenza di legge, sia in tema di concorrenza, sia in materia di garanzie per il cittadino; si richiama, al proposito, il provvedimento n.55 del 2 maggio 2005 di Banca d’Italia, per la palese violazione della l.n.287/90 senza che rilevi il tempo della stipula. Già con ordinanza 28810 del 12/12/2017, infatti, la Suprema Corte chiariva come il giudice di merito non potesse escludere le nullità del patto
fideiussorio sull’assunto che lo stesso fosse stato realizzato prima del ‘dictum’ del provvedimento dell’autorità.
L’art. 20 della l.n. 287/90 sanziona, infatti, le intese volte a limitare la concorrenza all’interno del mercato nazionale. Pertanto, il problema che rileva è se al contraente sia stata o meno sottoposta una fideiussione con clausole contrastanti con l’art. 20, co. 2, lettera A, della l.n. 287/90 (Cass. 22/05/2019 n. 13846). Ciò è quanto accaduto nel caso di specie: ne deriverebbe l’automatica nullità dei contratti fideiussori redatti in modo conforme al modello ABI, senza necessità che il giudice di merito debba provvedere ad una valutazione in ordine all’illegittimità delle clausole fideiussorie, in quanto la valutazione di tale illegittimità è stata fatta a suo tempo dalla Banca di Italia con il provvedimento n. 55 del 02/05/2005.
Nel contratto di specie le condizioni di garanzia sarebbero coincidenti con il testo espresso dalla citata intesa restrittiva. Lo schema contrattuale del contratto in esame, infatti, importa una indeterminata diluizione dei termini di escussione del garante, una estensione dell’obbligo di restituzione a seguito dell’invalidità del rapporto principale, in sostanza obblighi ulteriori e diversi rispetto a quelli garantiti (art. 2 delle condizioni contrattuali ABI dichiarate nulle). Inoltre, l’art. 1957 c .c. dispone che il fideiussore rimanga obbligato anche dopo la scadenza dell’obbligazione principale, purché il creditore abbia proposto le sue istanze contro il debitore entro sei mesi e le abbia coltivate con diligenza. Il creditore che non attiva tempestivamente gli strumenti di recupero del proprio credito nei confronti del debitore principale decade dal diritto di pretendere l’adempim ento dal fideiussore.
Palese sarebbe la sovrapposizione ricalcata del contratto con l’art 6 delle condizioni contrattuali dichiarate nulle dalla Banca d’Italia. Ancora, nel caso in cui il debito sia ripartito, come nel caso di specie, in scadenze periodiche, ognuna con un grado di autonomia tale da potersi considerare esigibile a prescindere dalla pretesa complessiva, il ‘dies a quo’ per calcolare il termine decadenziale previsto dall’art 1957 cc a ndrebbe individuato in quello di scadenza delle singole prestazioni e non già dell’intero rapporto (Cass. 15902/2014). Ciò che rileva è il solo oggettivo decorso del termine senza che il creditore abbia tempestivamente iniziato e diligentemente coltivato l’azione di recupero contro il debitore principale.
1.1 Il primo motivo di ricorso è inammissibile.
Sul punto, si osserva che dalla lettura del ricorso e della sentenza impugnata non risulta che in primo grado i ricorrenti abbiano allegato i presupposti di fatto posti a fondamento dell’eccezione di nullità in commento né tantomeno che abbiano proposto la suddetta eccezione, non risulta infine che la sussistenza di detti presupposti sia emersa dall’istruttoria. Peraltro, come emerge dai motivi di appello riportati nel ricorso, la nullità della fideiussione non è stata neanche dedotta come motivo di gravame.
Deve darsi continuità al l’insegnamento di questa Corte secondo cui: sebbene le nullità contrattuali siano rilevabili d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio e siano denunciabili dalle parti anche in relazione a profili originariamente non dedotti, tuttavia le nuove censure sono suscettibili di considerazione solo se fondate su tempestive allegazioni, alle quali devono necessariamente coordinarsi, e se i relativi presupposti di fatto, ancorché non
interessati da specifica deduzione della parte interessata, siano stati comunque acquisiti al giudizio di merito nel rispetto delle preclusioni assertive e istruttorie (cfr. Sez. 3, Ordinanza n. 28983 del 18/10/2023, Rv. 669320; Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 4867 del 23/02/2024, Rv. 670332).
Peraltro, non risulta neanche che nel giudizio di primo grado la parte ricorrente abbia eccepito l’estinzione della garanzia ex art. 1957 c.c.. In proposito questa Corte ha affermato che: La nullità parziale del contratto di fideiussione “a valle”, dipendente da intesa restrittiva della concorrenza “a monte”, è rilevabile d’ufficio a condizione che risultino dagli atti tutte le circostanze fattuali necessarie alla sua integrazione e la concreta ricaduta della nullità delle clausole conformi al modello ABI, con la precisazione che – al detto fine – si deve considerare che l’eccezione di estinzione della garanzia ex art. 1957 c.c. ha natura di eccezione propria e non di mera difesa, con la conseguenza che il rilievo officioso della nullità della clausola di deroga non interferisce con la eventualmente ormai consumata preclusione dell’eccezione fondata sulla stessa (Cass. Sez. 1, 25/01/2025, n. 1851, Rv. 673553 – 01).
Infine, per completezza, deve anche richiamarsi la più recente giurisprudenza in materia secondo cui: In tema di tutela della concorrenza e del mercato, il provvedimento n. 55 del 2005 della Banca d’Italia, concernendo le sole fideiussioni omnibus, non può essere utilizzato per ricavare la nullità di un’intesa restrittiva atta a incidere su contratti di garanzia di diverso contenuto, rispetto ai quali chi eccepisce la nullità è tenuto a dimostrare l’illecito antitrust, senza potersi avvalere di alcuna prova privilegiata. (Cass. Sez. 1, 16/10/2024, n. 26847, Rv. 672503 – 01). Infatti, la natura
anticoncorrenziale pronunciata dalla Banca d’Italia, di clausole del modello ABI del contratto di fideiussione “omnibus”, per contrasto con gli artt. 2, comma 2, lett. a), della l. n. 287 del 1990 e 101 del TFUE, determina l’invalidità e la possibile espunzione delle corrispondenti clausole inerenti a quel solo modello di contratto, in quanto la natura anticoncorrenziale di quelle sanzionate è stata valutata rispetto ai possibili effetti derivanti dalla loro estensione ad una serie indefinita e futura di rapporti, tale da addossare sul fideiussore le conseguenze negative derivanti dall’inosservanza degli obblighi di diligenza della banca; tale giudizio sfavorevole e la conseguente invalidità non si estendono perciò anche alle fideiussioni ordinarie, oggetto di specifica pattuizione tra banca e cliente (Cass. Sez. 1, 02/08/2024, n. 21841, Rv. 671967 – 01)
Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 5, co. 1 bis, d.l. n. 28/2010 come modificato dal d.l. n. 69/2013 (art. 360 1°co. n. 3 c.p.c.) e dell’art. 128 bis del T.U.B.
Il potenziale attore, nel caso di specie l’Istituto Bancario, che agisce per la revocatoria, deve, in alternativa, esperire il procedimento di mediazione disciplinato da tale decreto (art. 5 comma 1 d.lgs. n. 28 del 2010) oppure quello istituito in attuazione dell’art. 128 bis T.U.B.. Per la materia di cui trattasi è quindi previsto un duplice istituto mediativo sia ordinario che speciale e ciò a seguito della particolare attenzione posta dal legislatore alla delicatissima fascia dei contratti bancari, laddove la posizione delle parti è disposta in piani diseguali e dove la tutela del contraente privato deve essere particolarmente attenta. Attualmente la preventiva instaurazione di una procedura di mediazione
costituisce condizione di procedibilità dell’intero giudizio e la mancata instaurazione è rilevabile d’ufficio sin dal primo grado.
2.1 Il secondo motivo di ricorso è inammissibile.
La questione posta con il motivo in esame non risulta mai sollevata nel corso del giudizio di merito e, dunque, è inammissibile. Secondo l’indirizzo consolidato di questa Corte, infatti, «In tema di ricorso per cassazione, qualora siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, il ricorrente deve, a pena di inammissibilità della censura, non solo allegarne l’avvenuta loro deduzione dinanzi al giudice di merito ma, in virtù del principio di autosufficienza, anche indicare in quale specifico atto del giudizio precedente ciò sia avvenuto, giacché i motivi di ricorso devono investire questioni già comprese nel ” thema decidendum ” del giudizio di appello, essendo preclusa alle parti, in sede di legittimità, la prospettazione di questioni o temi di contestazione nuovi, non trattati nella fase di merito né rilevabili di ufficio» ( ex plurimis Sez. 2, Sent. n. 20694 del 2018, Sez. 61, Ord n. 15430 del 2018).
Tale principio vale anche nel caso il ricorrente proponga in sede di legittimità una determinata questione giuridica rilevabile di ufficio ma che implichi preliminarmente accertamenti di fatto.
Si è detto, infatti che nel giudizio di cassazione non si possono prospettare nuove questioni di diritto ovvero nuovi temi di contestazione che implichino indagini ed accertamenti di fatto non effettuati dal giudice di merito, nemmeno se si tratti di questioni rilevabili d’ufficio (Cass. Sez. 1, 25/10/2017, n. 25319, Rv. 645791 – 01). D’altra parte anche in questo caso la questione posta con il
motivo in esame non ha costituito motivo di appello ad ulteriore dimostrazione del suo carattere di novità.
Il terzo motivo di ricorso è così rubricato: Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c. in relazione all’art.2901 cod. civ.
La Corte ha valutato il materiale probatorio allegato dalle parti in aperto contrasto e violazione dell’art.115 c .p.c., che impone al Giudice: ‘di porre a fondamento della propria decisione le prove proposte dalle parti…, nonché i fatti non specificatamente contestati’. Nella seconda memoria ex art. 183 c.p.c. depositata nel corso del giudizio di primo grado la difesa delle Sigg.re COGNOME aveva rilevato la congruità del prezzo di compravendita dell’immobile oggetto di revocatoria
Il quarto motivo di ricorso è così rubricato: Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2901 cod. civ.
Si contesta che la compravendita contestata da Banco BMP abbia intaccato, anche solo in via potenziale, la possibilità dello stesso di recuperare quanto, in ipotesi, dovuto dalla Sig.ra COGNOME. Non è stata infatti esperita alcuna azione esecutiva nei confronti dell’obbligato principale, pure proprietaria di beni immobili che avrebbero consentito il soddisfacimento del credito di Banco BPM pur senza aggredire il patrimonio della Sig.ra COGNOME. In secondo luogo, non è stata provata, nel caso specifico, la variazione qualitativa del patrimonio della stessa, proprietaria di altri beni immobili, oltre quello oggetto dell’azione revocatoria da parte dell’Istituto di credito che ben avrebbero potuto garantire il credito vantato.
Il terzo e quarto motivo di ricorso sono inammissibili.
Ric. 2020 n. 18559 sez. S2 – ud. 14/03/2025
Quanto alla censura di violazione dell’art. 115 c.p.c. è sufficiente ribadire che: con il ricorso per cassazione, per dedurre una tale violazione, occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c. (Sez. U – , Sentenza n. 20867 del 30/09/2020, Rv. 659037 – 01).
Nella specie, il Tribunale ha ampiamente motivato sulla sussistenza di tutti i presupposti di fatto necessari per l’accoglimento della domanda revocatoria ex art. 2901 c.c.
La corte territoriale è giunta alle dette conclusioni con corretto apprezzamento di merito esponendo adeguatamente le ragioni del suo convincimento. Di conseguenza anche la censura di violazione dell’art. 2901 c.c. è inammissibile risolvendosi esplicitamente la censura proposta nella sollecitazione ad effettuare una nuova valutazione di risultanze di fatto emerse nel giudizio di merito. Come si è più volte sottolineato, compito della Corte di cassazione non è quello di condividere o non condividere la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata, né quello di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dai giudici del merito (cfr. Sez. 3, Sentenza n.
3267 del 12/02/2008, Rv. 601665), dovendo invece la Corte di legittimità limitarsi a controllare se costoro abbiano dato conto delle ragioni della loro decisione e se il ragionamento probatorio, da essi reso manifesto nella motivazione del provvedimento impugnato, si sia mantenuto entro i limiti del ragionevole e del plausibile; ciò che, come dianzi detto, nel caso di specie è dato riscontrare.
Il ricorso è rigettato.
Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater D.P.R. n. 115/02, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità nei confronti della parte controricorrente che liquida in euro 7000, più 200 per esborsi, oltre al rimborso forfettario al 15% IVA e CPA come per legge;
ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, inserito dall’art. 1, co. 17, I. n. 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto;
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2^ Sezione civile in data 14 marzo 2025.
La Presidente
Ric. 2020 n. 18559 sez. S2 – ud. 14/03/2025
NOME COGNOME