Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 21159 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 21159 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 24/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 15086/2023 R.G. proposto da: COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE, domicilio digitale ex lege ;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE rappresentata da RAGIONE_SOCIALE in persona del procuratore speciale, NOME COGNOME cessionaria pro soluto di un portafoglio di crediti pecuniari di Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.A., rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE, domicilio digitale ex lege ;
-controricorrente-
RAGIONE_SOCIALE, COGNOME RAGIONE_SOCIALE, COGNOME;
-intimati- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di NAPOLI n. 1929/2023, depositata il 03/05/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 16/05/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.A., premettendo che vantava un credito di euro 721.342,87 nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE e di NOME COGNOME e NOME COGNOME, costituitisi fideiussori, e che il COGNOME aveva trasferito alla moglie NOME COGNOME il diritto di abitazione vita natural durante sull’appartamento sito in Napoli alla INDIRIZZO e contestualmente aveva venduto a NOME COGNOME l’appartamento sito in Napoli alla INDIRIZZO, una cantina sita in Napoli alla INDIRIZZO, due garage e due posti auto scoperti siti in Napoli alla INDIRIZZO chiedeva che il COGNOME e la COGNOME, quali fideiussori della RAGIONE_SOCIALE fossero condannati al pagamento della complessiva somma di euro 721.342,87, che gli atti dispositivi indicati fossero dichiarati, in via principale, nulli per simulazione, in via subordinata, inefficaci ex art. 2901 cod.civ.
Il Tribunale di Napoli, con la sentenza n. 7925/2017, condannava i fideiussori al pagamento di euro 240.115,20, oltre agli interessi al tasso legale dalla domanda al soddisfo, quale saldo debitore del conto corrente n. 916873, rigettava la domanda di simulazione e, in parziale accoglimento della domanda revocatoria, dichiarava inefficace nei confronti della Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.A. l’atto con il quale il COGNOME aveva trasferito alla COGNOME a titolo gratuito il diritto di abitazione sull’appartamento sito in Napoli alla INDIRIZZO
All’esito del giudizio di appello promosso, in via principale, dalla Banca Monte dei Paschi S.p.A., che contestava la sentenza di primo grado nella parte in cui il tribunale aveva ritenuto non provata parte del credito vantato nei confronti della debitrice principale e dei garanti e assente la prova della mala fede in capo al terzo acquirente, e, in via incidentale dal COGNOME, che si doleva per avere il tribunale condannato la banca al pagamento delle spese di lite in misura di gran lunga inferiore anche rispetto ai minimi previsti dai parametri di cui al d.m. 55/2014, la Corte d’appello di Napoli, con la sentenza n. 1929/23, pubblicata il 3 maggio 2023 e notificata il 4 maggio 2023: ha rigettato il primo motivo di appello concernente la quantificazione del credito spettante alla banca, ha accolto il secondo motivo, ritenendo sussistente la scientia damni dell’acquirente COGNOME così revocando la compravendita, ha dichiarato inammissibile l’appello incidentale, in quanto tardivo.
NOME COGNOME propone ricorso per la cassazione di detta sentenza, formulando tre motivi.
RAGIONE_SOCIALE resiste con controricorso.
La trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell’art. 380 -bis 1 cod.proc.civ.
Le parti hanno depositato rispettiva memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo si denunzia la violazione di cui all’art. 360, 1° comma, n. 5 cod.proc.civ., per aver il giudice a quo omesso l’esame di fatti decisivi, ponendo a fondamento della prova per presunzioni di cui all’art. 2729 cod.civ. fatti e/o circostanze ritenute vere, quando, al contrario, erano del tutto errate o addirittura inesistenti ed in taluni casi contrarie alle stesse previsioni contrattuali.
La corte d’appello avrebbe erroneamente ritenuto che:
-i beni oggetto dell’atto revocando erano stati immediatamente consegnati contestualmente alla sottoscrizione del contratto, invece
l’art. 7 del contratto di compravendita prevedeva che l’acquirente sarebbe stato immesso nel possesso al momento del saldo prezzo, come aveva posto in evidenza nella comparsa di costituzione nel giudizio di primo grado, nella seconda memoria ex art. 183 6° comma cod.proc.civ., nella comparsa conclusionale, nella comparsa di costituzione in appello;
la dilazione del prezzo era stata concessa senza acquisire alcuna garanzia ed anzi con l’espressa rinuncia dei venditori all’ipoteca legale, omettendo di considerare che proprio il fatto che l’acquirente non era stato immesso nel possesso dei beni costituiva garanzia del pagamento dell’intero prezzo e che la mancata previsione degli interessi per pochi mesi di dilazione rientrava nella normale trattativa di qualsiasi compravendita tra privati;
la distanza tra i beni oggetto di vendita era tale per cui non si sarebbe potuto parlare di vendita in blocco di più beni tra loro serventi, bensì di atto traslativo plurimo contestuale: la distanza a piedi tra i cespiti era di soli 170 mt. e quindi richiedeva al massimo 2 min. a piedi e non gli ‘oltre 20 min.’ indicati dalla corte d’appello;
la differenza tra il valore di mercato dei beni, come accertato dal C.T.U., e il prezzo pagato era del 25% piuttosto che del 21%.
L’erroneo apprezzamento delle suddette circostanze ha impedito alla corte d’appello di cogliere la relazione funzionale che legava i beni delle dette compravendite tra loro e in particolare che la decisione di acquistare l’appartamento su cui la COGNOME aveva il diritto di abitazione era finalizzata ad ottenerne la rinuncia, dietro corrispettivo, al diritto di abitazione e che detto appartamento era sprovvisto di posti auto, perciò si era determinato ad acquistare anche i due box e gli stalli esterni che erano di fatto ‘a servizio’ dell’alloggio, perché situati a soli 2 minuti di distanza a piedi.
Con il secondo motivo si contesta la violazione principalmente dell’art. 2729 cod.civ. (in riferimento all’art. 360, 1° comma, nn. 3
e 4 cod.proc.civ.), per avere il giudice a quo considerato raggiunta la prova per presunzioni circa la sua scienza fraudis , nonostante le presunzioni siano state basate su presupposti omessi, inesistenti o errati.
Innanzitutto, il ricorrente si duole che tra gli elementi utilizzati per il ragionamento presuntivo la corte d’appello abbia considerato l’assenza di rapporti di parentela, amicizia o anche semplice di conoscenza tra le parti, quando, al contrario, la giurisprudenza pressoché unanime ritiene proprio la circostanza opposta indizio utile ai fini della revocatoria e cioè che sia proprio la conoscenza tra le parti o il rapporto di parentela a fondare il sospetto che il terzo sia a conoscenza del danno arrecato ai creditori del venditore.
I motivi, esaminabili congiuntamente in quanto connessi, sono infondati.
L’erronea considerazione delle circostanze denunciate (a onor del vero dallo svolgersi dell’intero ragionamento del giudice a quo risulta evidente che erroneamente ha indicato in alcuni passaggi argomentativi l’immediato trasferimento del possesso, mentre intendeva riferirsi all’immediato trasferimento del diritto di proprietà) non inficia il ragionamento della corte d’appello che ha fatto leva su più indizi, alcuni dei quali trascurati dal ricorrente.
In particolare, il giudice a quo ha ritenuto anomala la vendita per cui è causa ed ha basato tale conclusione su fatto che, pur non essendovi tra il terzo acquirente e gli alienanti alcun vincolo di parentela o una pregressa conoscenza, il primo era a conoscenza o avrebbe dovuto capire che l’atto riduceva la garanzia patrimoniale dei creditori, perché: a) gli era stata concessa una dilazione di pagamento; b) se detta dilazione di pagamento fosse stata prevista per consentirgli di reperire la liquidità necessaria vendendo altri suoi beni, sarebbe stato più logico ricorrere alla stipulazione di un contratto preliminare, rinviando il pagamento dell’intero corrispettivo alla stipulazione del definitivo; c) dagli atti di causa
emergeva che in data 22.6.2009 il ricorrente aveva stipulato un preliminare di vendita di alcuni suoi beni e che aveva incassato a titolo di acconto euro 500.000,00, che il contratto prevedeva il versamento di un altro acconto di euro 500.000,00 e il versamento del saldo entro il 31/12/2010; ciononostante qualche giorno prima della data della stipulazione del definitivo, prima, quindi, di procurarsi la liquidità che aveva ritenuto necessaria, si era indotto a stipulare l’atto revocando, con la prevista dilazione di pagamento; aveva versato un acconto di euro 250.000,00 a fronte dei 775.000,00 pattuiti, ed aveva immediatamente conseguito la proprietà dei beni; d) la COGNOME aveva rinunciato al diritto di abitazione concessole in sede di separazione; e) lo scostamento del valore di mercato dei beni accertato dal C.T.U. rispetto a quello pattuito.
Di talché trova applicazione il seguente principio di diritto: <> (Cass. 21/03/2022, n. 9054), in quanto <> (Cass. 26/02/2020, n. 5279); la critica deve concentrarsi sull’insussistenza dei requisiti della presunzione nel ragionamento condotto nella sentenza impugnata, mentre non può svolgere argomentazioni dirette ad infirmarne la plausibilità, criticando la ricostruzione del fatto ed evocando magari altri fatti che non risultino dalla motivazione; ai suddetti principi si è correttamente attenuta la corte territoriale, la quale ha preso le mosse da plurimi indizi, la cui gravità, precisione e concordanza non sono inficiate dalle censure di parte ricorrente, atteso che: a) la <>, che significa solo che <>, non essendo <> (così Cass. 4/08/2017, n. 19485), come, invece, mostra di ritenere il COGNOME. Infatti, <>, essendo, invece, <<sufficiente che dal fatto noto sia desumibile univocamente quello ignoto, alla stregua di un giudizio di probabilità basato sull'"id quod plerumque accidit" (così Cass. 15/03/2018, n . 6387); b) la precisione <> (Cass.
21/01/2025, n.1467); c) la concordanza individua un <> (Cass. n. 19485/2017).
Né ha rilievo l’asserita mancata considerazione di alcune circostanze, perché il procedimento logico si articola in due momenti: quello della previa analisi di tutti gli elementi indiziari, onde scartare quelli irrilevanti; quello della successiva valutazione complessiva di quelli così isolati, onde verificare se siano concordanti e se la loro combinazione consenta una valida prova presuntiva (c.d. convergenza del molteplice) (Cass. n. 9054/2022, cit.) .
3) Con il terzo motivo si contesta la violazione degli artt. 343, 166 e 167 cod.proc.civ., in riferimento all’art. 360, 1° comma, n. 3 cod.proc.civ., per avere il giudice a quo ritenuto tardiva la sua costituzione in giudizio e, quindi, inammissibile l’appello incidentale proposto, nonostante il deposito telematico della comparsa di costituzione risalisse al 16.1.2018, dunque, a 20 giorni prima dell’udienza fissata dall’appellante in citazione per il 5.2.2018.
La corte d’appello avrebbe ritenuto tardiva la costituzione dell’appellato, per avere preso per ‘buona’ la data del 17.1.2018 in cui la cancelleria aveva registrato il deposito eseguito dalla difesa del COGNOME; deposito che, però, era stato eseguito il 16.1.2018 alle 18:05:36, come dimostrato dalle copie delle ricevute di accettazione e deposito allegate al ricorso. L’appello incidentale, pertanto, era tempestivo e come tale avrebbe dovuto essere esaminato.
Di conseguenza, il ricorrente ripropone il motivo di appello incidentale con cui si era doluto della incongrua condanna alle spese della banca procedente.
Precisa che il valore della causa promossa dalla banca era parametrabile sia al prezzo fissato per l’acquisto dell’immobile (e ciò in funzione specificamente della domanda di simulazione) e sia anche all’entità del credito per il quale la banca agiva. In entrambi i casi, il valore della causa era da individuarsi in misura superiore a euro 520.000,00, sicché il compenso minimo da riconoscere in favore della parte vittoriosa ammontava ad euro 16.481,00, mentre il compenso medio era pari ad euro 27.804,00.
Il tribunale, invece, aveva condannato la banca al pagamento di euro 4.850,00.
Il motivo è inammissibile per difetto di interesse.
La corte d’appello ha riformato la sentenza del tribunale e perciò ha provveduto ad una nuova liquidazione delle spese di lite, compensando per ½ le spese di lite dei due gradi di giudizio e condannando NOME COGNOME, NOME COGNOME e l’odierno ricorrente, in solido tra loro, a provvedere al rimborso in favore della Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.A. della restante metà, liquidata, per il primo grado di giudizio, in euro 737,42 per spese ed euro 7.600,00 per compensi professionali, oltre al rimborso forfettario al 15%, IVA e c.p.a. come per legge, ed euro 1.278,00 per spese ed euro 5.000,00 per compensi professionali, oltre al rimborso forfettario al 15%, IVA e c.p.a, come per legge, per il secondo grado di giudizio.
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo in favore della controricorrente, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che
liquida in complessivi euro 7.200,00, di cui euro 7.000,00 per onorari, oltre a spese generali e accessori di legge, in favore della controricorrente.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , d.p.r. 30 maggio 2002, n. 115, come modif. dalla l. 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente all’ufficio del merito competente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso nella Camera di Consiglio del 16 maggio 2025 dalla