Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 9649 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 9649 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 13/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 4490/2020 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE COGNOME, domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE)
-controricorrente-
nonchè contro RAGIONE_SOCIALEintimati- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO MILANO n. 4278/2019 depositata il 24/10/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 31/01/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Fatti di causa
1.- La società RAGIONE_SOCIALE, di cui era amministratore NOME COGNOME, ha un immobile soggetto ad ipoteca a favore della Banca Intesa San Paolo, a garanzia di un credito da scoperto bancario, e, dopo poco che il credito era sorto, ma prima che il pignoramento iniziato dalla banca venisse trascritto, ha concesso in locazione l’immobile alla società RAGIONE_SOCIALE, che, a sua volta, l’ha sublocato ad RAGIONE_SOCIALE.
2.- La banca, per tramite di RAGIONE_SOCIALE, ha agito per la revocatoria di tale atto di disposizione, asserendo che l’esistenza di una locazione avrebbe reso più difficile l’espropriazione del bene.
La causa è stata poi proseguita dalla società RAGIONE_SOCIALE quale procuratrice della società RAGIONE_SOCIALE, cui il credito era stato ceduto dalla banca creditrice.
3.- Si sono costituiti in giudizio sia la società RAGIONE_SOCIALE che il suo rappresentante legale ed amministratore NOME COGNOME. Si è altresì costituita RAGIONE_SOCIALE, mentre è rimasta contumace RAGIONE_SOCIALE.
4.- Il Tribunale di Pavia ha accolto la revocatoria, ed ha dichiarato inefficace la locazione ultranovennale.
La decisione è stata confermata dalla Corte di Appello di Milano.
5.- La società RAGIONE_SOCIALE e NOME COGNOME hanno proposto ricorso per Cassazione con quattro motivi illustrati da memoria. La
RAGIONE_SOCIALE si è costituita con controricorso. Con ordinanza del 7.6.2023, la causa è stata rinviata a nuovo ruolo in attesa della decisione delle Sezioni Unite su questione posta con il ricorso, intervenuta la quale, il PG ha depositato requisitoria con cui ha chiesto il rigetto del ricorso, ed a cui i ricorrenti hanno replicato con ulteriore memoria.
Ragioni della decisione
1.- Va premesso che, durante il giudizio di primo grado, prima della udienza di precisazione delle conclusioni, è intervenuto fallimento della società RAGIONE_SOCIALE (la sub conduttrice dell’immobile) rimasta contumace.
Non è stata dichiarata interruzione del procedimento, con la conseguenza che i primi due motivi di ricorso censurano tale omissione e dunque assumono nullità della sentenza.
La questione della mancata interruzione del procedimento era stata posta in appello, ed era stata tuttavia rigettata, in quanto i giudici avevano escluso un interesse a farla valere in capo ai due attuali ricorrenti.
Le censure a tale decisione sono le seguenti.
1.1.Con il primo motivo si prospetta violazione dell’articolo 43 della legge fallimentare. Si sostiene che quella norma prevede l’automatica interruzione del processo, la quale opera a prescindere dalla dichiarazione del fatto interruttivo e solo che esso emerga agli atti e deve essere decisa d’ufficio. Il che non è avvenuto. Ed essendo il procedimento proseguito nei confronti della parte fallita, tutti gli atti compiuti devono ritenersi affetti da nullità.
1.2.- Con il secondo motivo si prospetta omesso esame di un fatto decisivo, ossia della circostanza che, essendo la pronuncia di revocatoria, e dunque di inefficacia dell’atto, intervenuta dopo il fallimento, la società fallita, RAGIONE_SOCIALE, non può vedersi opposta quella inefficacia, poiché essa aveva quest’ultima la disponibilità del bene quando l’azione revocatoria è stata intrapresa.
I motivi, che possono congiuntamente esaminarsi in quanto connessi, sono infondati.
Come correttamente osservato anche dal PG nella sua requisitoria, se pure si fosse verificata nullità degli atti successivi al fallimento, a causa del fatto che quegli atti non potevano essere compiuti dovendo invece il procedimento essere interrotto, tuttavia la nullità in questione non è assoluta bensì relativa: deve essere fatta valere dal soggetto interessato, che altri non è qui se non la stessa Habitat, rectius il curatore di quest’ultima (Cass. Sez. U., 12154/2021; Cass. 12980/2002, 24025/2009, 17199/2016, 18804/2021).
Del resto, neanche con la memoria di replica i ricorrenti smentiscono la tesi della natura relativa della nullità, e dunque la circostanza che a farla valere può essere solo la parte interessata.
2.Con il terzo motivo si prospetta violazione dell’articolo 2901 c.c., oltre che travisamento delle prove.
La tesi è la seguente: sin dal primo grado erano stati depositati documenti che attestavano come la società RAGIONE_SOCIALE si era sobbarcata le spese di ristrutturazione dell’immobile e dunque aveva un credito verso la RAGIONE_SOCIALE, credito che la locazione concessa a RAGIONE_SOCIALE mirava a soddisfare.
La Corte di Appello, nel dire che la locazione non era un atto di estinzione del debito, dunque un atto non soggetto a revocatoria, aveva travisato la prova, non avendo tenuto conto dei documenti che invece attestavano l’esistenza del debito ed il suo pagamento.
Per tale ragione la causa era stata rinviata a nuovo ruolo in attesa che le Sezioni Unite risolvessero la questione degli ambiti e dei presupposti del travisamento del fatto.
Il motivo è inammissibile.
Ed infatti, la censura di travisamento del fatto può essere fatta valere se, in appello, si era discusso di quel fatto e del suo valore
probatorio o della sua rilevanza ai fini della decisione (Cass. su 5792/2024).
Nella fattispecie, i ricorrenti hanno, si, allegato i documenti, ma non dimostrano di avere posto ai giudici di merito la questione cui quei documenti attenevano, ossia il fatto che essi indicavano chiaramente l’esistenza di un debito da soddisfare mediante la locazione del bene. Non basta ovviamente allegare i documenti. E’ necessario porre e far discutere la questione che su quei documenti è basata.
E non vi è prova che essa sia stata posta ai giudici di appello, che, infatti, non la menzionano. Né i ricorrenti riportano i termini in cui sarebbe stata effettivamente discussa.
Ma, al di là di ciò, anche ammesso che la società conduttrice si fosse sobbarcata le spese di ristrutturazione, ciò non renderebbe l’atto di locazione un atto solutorio. Si tratta di due prestazioni reciproche: da un lato, la società conduttrice si obbliga a ristrutturare l’immobile, dall’altro, la società locatrice decurta il canone, o sconta diversamente. La locazione è dunque la causa dell’obbligo di ristrutturazione, non già il corrispettivo di essa. Il conduttore si obbliga a ristrutturare in ragione del fatto che gli viene concesso l’immobile in locazione.
Diversamente, occorre dimostrare che la locazione del l’immobile si atteggia a corrispettivo della ristrutturazione.
In altri termini, la locazione è di norma la causa dell’obbligazione di ristrutturazione assunta dal conduttore, non già il corrispettivo di essa.
Ove si deduca che la locazione costituisce il corrispettivo per l’estinzione di un debito pregresso, in quanto un terzo soggetto (che ovviamente non è ancora conduttore, altrimenti si torna all’ipotesi precedente) ha deciso di ristrutturare l’immobile , ne va data la relativa prova.
Va cioè dimostrato che la ristrutturazione non è stata assunta e concordata nell’ambito degli accordi di locazione, ma effettuata in base ad altro titolo, con la conseguenza che colui il quale ha effettuato la ristrutturazione è creditore del proprietario dell’immobile, il quale ha concesso il bene in locazione per estinguere il proprio debito.
3.Con il quarto motivo i ricorrenti denunziano violazione dell’articolo 2901 c.c.
Contestano che vi fossero i presupposti del danno e della conoscenza di esso.
Sostengono i ricorrenti che la concessione della locazione sul bene non può avere costituito danno per il creditore, in quanto non si è trattato di un atto che comportato la perdita del bene, o meglio l’uscita di esso da patrimonio del debitore.
Si sostiene inoltre che gli elementi sulla base dei quali la corte di merito ha ritenuto che la D&D fosse consapevole della esistenza del debito sono insussistenti e non autorizzano la conclusione che fosse consapevole del pregiudizio arrecato al creditore.
Il motivo è inammissibile.
Con esso i ricorrenti propongono una diversa ricostruzione dei fatti, o meglio, mirano ad inammissibilmente confutare un accertamento di fatto di spettanza del giudice del merito.
Va d’altro canto ribadito che l’azione revocatoria è esperibile anche quando l’atto di disposizione rende semplicemente meno agevole o più gravosa l’esecuzione, non essendo necessario dunque che il patrimonio sia effettivamente ridotto di quantità, con la conseguenza che anche la locazione è atto che giustifica una revocatoria (Cass. 25854/ 2020). E comunque, la scientia fraudis è integrata dalla conoscibilità del pregiudizio, a prescindere dalla specifica conoscenza del credito (Cass. 7262/ 2000; Cass. 14489/ 2004). E il relativo accertamento è rimesso al giudice di merito, insindacabile se motivato: qui sono addotti elementi (la coincidenza
di alcuni amministratori tra le due società; la comunicazione inviata anche all’avente causa della esistenza del credito, ecc.) che rendono adeguatamente motivato quell’accertamento.
All’inammissibilità e infondatezza dei motivi consegue il rigetto del ricorso.
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo in favore della controricorrente, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti al solidale pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi euro 7.200,00 euro, di cui euro 7.000,00 per onorari, oltre a spese generali e accessori di legge, in favore della controricorrente.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, al competente ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, il 31/1/2025