Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 32003 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 32003 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 11/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso 4329-2021 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dagli Avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME per procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE rappresentato e difeso dall ‘ Avvocato NOME COGNOME per procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso la SENTENZA n. 3298/2020 della CORTE D ‘ APPELLO DI ROMA, depositata l ‘ 8/7/2020;
udita la relazione della causa svolta dal Consigliere NOME COGNOME nell ‘ adunanza in camera di consiglio del 15/10/2024;
FATTI DI CAUSA
1.1. Il Tribunale di Latina, con sentenza del 13/4/2017, ha dichiarato, ai sensi degli artt. 2901 c.c. e 66 l.fall., l ‘ inefficacia, nei confronti del RAGIONE_SOCIALE, del contratto con il quale, in data 29/4/2009, la società poi
fallita aveva dichiarato di vendere alla RAGIONE_SOCIALE due fabbricati ed un terreno per il prezzo complessivo di €. 80.000,00, oltre all ‘ accollo da parte dell ‘ acquirente delle spese di estinzione delle ipoteche iscritte da Equitalia sugli immobili alienati.
1.2. Il Tribunale, in particolare, per quanto ancora rileva, ha ritenuto che: – innanzitutto, sussisteva l ‘ eventus damni, sul rilievo che l ‘ atto dispositivo aveva arrecato una diminuzione del patrimonio della società alienante e che il patrimonio residuo della stessa, a fronte del debito di circa venti milioni di euro nei confronti di Equitalia, non era sufficiente a soddisfare le ragioni dei creditori, a nulla, per contro, rilevando il fatto che i beni alienati erano gravati da iscrizioni ipotecarie; – in secondo luogo, sussisteva, in ragione dell ‘ entità del debito nei confronti di Equitalia, ‘ la consapevolezza, in capo alla venditrice, del pregiudizio che l ‘ atto avrebbe arrecato alle ragioni dei creditori, sia pure soltanto in termini di maggiore difficoltà nell ‘ ottenere il soddisfacimento dei propri crediti ‘.
1.3. L ‘ RAGIONE_SOCIALE ha proposto appello avverso tale sentenza, cui il Fallimento ha resistito, chiedendone il rigetto.
1.4. La Corte distrettuale, con la sentenza in epigrafe, ha rigettato l ‘ appello.
1.5. La Corte, in particolare, per quanto ancora rileva, ha ritenuto, per un verso, che ‘ l ‘ indicazione nell ‘ atto di compravendita oggetto di revocatoria della preesistenza di un debito dell ‘ alienante di circa un milione di euro verso la Equitalia ‘, poi ammessa al passivo del fallimento per venti milioni di euro, ‘ nonché verso altra società ‘ costituiva la ‘ prova certa della conoscenza in capo all ‘ acquirente, ed a maggior ragione in capo alla stessa alienante, del fatto che il
trasferimento immobiliare ledeva le ragioni dei creditori ‘ , e, per altro verso, che, ai fini della revoca di un atto di disposizione compiuto dal debitore successiv amente all’insorgenza del debito, basta la mera consapevolezza di arrecare pregiudizio agli interessi del creditore ( scientia damni ) , la cui prova può essere fornita anche tramite presunzioni, senza che assumano, viceversa, rilevanza l ‘ intenzione del debitore medesimo di ledere la garanzia patrimoniale generica del creditore ( consilium fraudis ), né la relativa conoscenza o partecipazione da parte del terzo.
2.1. L ‘ RAGIONE_SOCIALE con ricorso notificato il 2/2/2021, ha chiesto, per due motivi, la cassazione della sentenza della Corte d ‘ appello.
2.2. Il Fallimento ha resistito con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
3.1. Con il primo motivo, la società ricorrente, lamentando la violazione e la falsa applicazione dell ‘ art. 2901 c.c., in relazione all ‘ art. 360 n. 3 c.p.c., ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la Corte d ‘ appello ha ritenuto la sussistenza dell ‘ eventus damni in ragione del pregresso debito nei confronti di Equitalia e dell ‘ ipoteca iscritta a garanzia dello stesso sul bene oggetto del contratto impugnato, senza, tuttavia, considerare la possibilità che, nel futuro, tale garanzia può venir meno o essere ridimensionata.
3.2. Con il secondo motivo, la società ricorrente, lamentando la violazione e la falsa applicazione dell ‘ art. 2901 c.c., in relazione all ‘ art. 360 n. 3 c.p.c., ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la Corte d ‘ appello ha ritenuto la sussistenza della scientia damni in ragione del pregresso debito nei confronti di Equitalia e alle ipoteche iscritte dalla stessa e da altro creditore sul bene oggetto del contratto impugnato, senza,
tuttavia, considerare la possibilità che, nel futuro, tale garanzia può venir meno o essere ridimensionata.
3.3. I motivi, da trattare congiuntamente, sono inammissibili.
3.4. La società ricorrente, invero, pur lamentando la violazione di norme di legge, ha, in sostanza, censurato la ricognizione asseritamente erronea dei fatti che, alla luce delle prove (anche indiziarie) raccolte, hanno operato i giudici di merito, lì dove, in particolare, questi, a dispetto delle presunte emergenze contrarie delle stesse, hanno ritenuto la sussistenza dei presupposti richiesti dall ‘ art. 2901 c.c. per la revoca del contratto traslativo stipulato tra la società poi fallita e quella convenuta, e cioè: a) il pregiudizio che tale atto aveva arrecato alle ragioni dei creditori della società alienante, poi ammessi al passivo; b) la consapevolezza della società debitrice e della società acquirente di ledere, attraverso il compimento dell ‘ atto, tali ragioni creditorie.
3.5. Il compito di questa Corte, tuttavia, non è quello di condividere o non condividere la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata né quello di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dai giudici di merito (Cass. n. 3267 del 2008), anche se il ricorrente prospetta (con le prove ammesse ovvero offerte) un migliore e più appagante (ma pur sempre soggettivo) coordinamento dei dati fattuali acquisiti in giudizio (Cass. n. 12052 del 2007), dovendo, invece, solo controllare se costoro abbiano dato effettivamente conto, in ordine ai fatti storici rilevanti in causa, delle ragioni del relativo apprezzamento, come imposto dall ‘ art. 132 n. 4 c.p.c., e se tale motivazione sia solo apparente ovvero perplessa o contraddittoria (ma non più
se sia sufficiente: Cass. SU n. 8053 del 2014), e cioè, in definitiva, se il loro ragionamento probatorio, qual è reso manifesto nella motivazione del provvedimento impugnato in ordine all ‘ accertamento dei fatti storici rilevanti ai fini della decisione sul diritto azionato, si sia mantenuto, come in effetti è accaduto nel caso in esame, nei limiti del ragionevole e del plausibile (Cass. n. 11176 del 2017, in motiv.).
3.6. La sentenza impugnata, in effetti, dopo aver valutato le prove raccolte in giudizio ed (implicitamente) escluso quelle (asseritamente contrarie) invocate dall ‘ appellante, ha ritenuto, motivando il proprio convincimento sul punto in modo non apparente, perplesso o contraddittorio, che sussistevano, in fatto, i presupposti richiesti dall ‘ art. 2901 c.c., e cioè: a) il pregiudizio che, sia pure soltanto in termini di maggiore difficoltà nell ‘ ottenere il soddisfacimento delle relative pretese, il contratto impugnato aveva arrecato alle ragioni creditorie vantate verso la società poi fallita e come tali ammesse allo stato passivo del suo fallimento, come quelle vantate da Equitalia per circa venti milioni di euro, a fronte dell ‘ incapienza del residuo patrimonio della venditrice ad assicurare la loro soddisfazione; b) la consapevolezza della società alienante e di quella acquirente, a fronte dell ‘ indicazione nella compravendita impugnata della ‘preesistenza di un debito dell’ alienante di circa un milione di euro verso la RAGIONE_SOCIALE ‘ nonché verso altra società’ , di arrecare, attraverso il compimento dell ‘ atto impugnato, un pregiudizio a tali ragioni creditorie.
3.7. La ricorrente, per contro, non ha utilmente censurato tale apprezzamento (nell ‘ unico modo possibile, e cioè, a norma dell ‘ art. 360 n. 5 c.p.c.) per aver il giudice di merito supposto l ‘ inesistenza (o, per contro, l ‘ esistenza) di uno o più fatti storici, principali o secondari, controversi tra le parti, la cui
esistenza (o, per contro, inesistenza) sia risultata con certezza (come doverosamente esposto in ricorso ed emergente dagli atti allo stesso allegati nel rigoroso rispetto degli artt. 366 n. 6 e 369 n. 4 c.p.c.) dal testo degli atti del processo ed aventi carattere decisivo ai fini della soluzione della controversia, nel senso che, ove percepiti (o esclusi), avrebbero senz ‘ altro imposto al giudice di merito di ricostruire la vicenda storica in termini tali da escludere il fondamento storico e fattuale della domanda proposta dal Fallimento.
3.8. Ed una volta che il giudice di merito ha ritenuto, in fatto, che, alla luce delle prove raccolte, il contratto traslativo impugnato dal Fallimento aveva danneggiato le ragioni creditorie vantate nei confronti della società venditrice, così come risultano ammesse al passivo del relativo fallimento, e che la venditrice poi fallita, al pari della società acquirente, era consapevole del pregiudizio che tale contratto avrebbe arrecato a tali crediti, non si presta, evidentemente, a censure, per violazione di norme di legge, la decisione che lo stesso ha conseguentemente assunto, e cioè l ‘ accoglimento della domanda proposta dal Fallimento in quanto volta, appunto, alla revoca, a norma degli artt. 2901 c.c. e 66 l.fall., del predetto contratto.
3.9. Il curatore che, in forza di tali norme, domandi la revoca di un atto di disposizione patrimoniale compiuto dal debitore poi fallito, deve, in effetti, dimostrare in giudizio tanto il pregiudizio alle ragioni dei creditori ( eventus damni ), quanto la consapevolezza di tale pregiudizio ( scientia damni ) da parte del debitore poi fallito e del terzo contraente: – il primo presupposto (oggettivo) è costituito dal pregiudizio che l ‘ atto impugnato abbia arrecato alle pretese vantate da uno o più creditori nei confronti del debitore che ha compiuto l ‘ atto
dispositivo, che si verifica quando, a seguito del compimento dello stesso (e salvo il caso, nella specie neppure prospettato, della dolosa preordinazione dell ‘ atto a danneggiare i crediti non ancora sorti nei confronti del suo autore), il patrimonio del debitore sia diventato, sul piano quantitativo e/o qualitativo, tale da rendere impossibile ovvero più incerta o difficile l ‘ integrale soddisfazione dei diritti di credito già vantati nei confronti del suo titolare e, come tali, in quanto insoddisfatti, ammessi poi al passivo del fallimento del debitore che ne è stato l ‘ autore; – il secondo presupposto (soggettivo) consiste, a norma dell ‘ art. 2901, comma 1°, n. 1, c.c., nella scientia damni del debitore e del terzo contraente e si risolve, in sostanza, nella conoscenza da parte di costoro del danno che il compimento dell ‘ atto può arrecare alle ragioni dei suoi creditori sicché, ai fini della sua sussistenza, è sufficiente la prova (che può essere fornita anche tramite presunzioni) che il debitore e l ‘ acquirente, erano, a seconda dei casi, consapevoli che l ‘ atto impugnato avrebbe arrecato un pregiudizio agli interessi dei creditori ovvero potevano ragionevolmente prevedere che gli stessi dal compimento dell ‘ atto in questione potevano subire un danno, nei termini in precedenza illustrati, alle rispettive ragioni.
3.10. A tali principi si è, con ogni evidenza, attenuta la sentenza impugnata la quale, pertanto, si sottrae alle censure svolte sul punto dalla società ricorrente.
Il ricorso, per l ‘ inammissibilità di tutti i suoi motivi, è, a sua volta, inammissibile e come tale dev ‘ essere dichiarato.
Le spese del giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
La Corte dà atto, ai sensi dell ‘ art. 13, comma 1quater , del d.P.R. n. 115/2002, nel testo introdotto dall ‘ art. 1, comma 17, della l. n. 228/2012, della sussistenza dei presupposti
processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara l ‘ inammissibilità del ricorso; condanna la ricorrente a rimborsare al Fallimento le spese del giudizio, che liquida nella somma di €. 10.200,00, di cui €. 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge e spese generali nella misura del 15%; dà atto, ai sensi dell ‘ art. 13, comma 1quater , del d.P.R. n. 115/2002, nel testo introdotto dall ‘ art. 1, comma 17, della l. n. 228/2012, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso a Roma, nella Camera di consiglio della Prima