Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 9581 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 9581 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 12/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 24895/2022 R.G. proposto da:
COGNOME rappresentato e difeso, giusta procura in calce al ricorso, dall’avv. NOME COGNOME e da ll’avv. NOME COGNOME
-ricorrente – contro
COGNOME NOMECOGNOME rappresentata e difesa, giusta procura in calce al controricorso, dall’avv. NOME COGNOME e dall’avv. NOME COGNOME domiciliati ex lege
-controricorrente – nonché nei confronti di RAGIONE_SOCIALE
-intimata –
avverso la sentenza del la Corte d’appello di Bologna n. 1545/2022, pubblicata in data 6 luglio 2022; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 14
febbraio 2025 dal Consigliere dott.ssa NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Il Tribunale di Bologna, accogliendo la domanda proposta da NOME COGNOME, creditrice del coniuge NOME COGNOME della somma di euro 41.400,00 dovuta per assegni di mantenimento in favore del figlio, dichiarava l’inefficacia, ai sensi dell’art. 2901 cod. civ., dell’atto del 23 febbraio 2016 con il quale il COGNOME , dando esecuzione alla delibera di aumento del capitale sociale della RAGIONE_SOCIALE, avente sede in Londra, aveva conferito alla società la piena proprietà di un fabbricato sito in Loiano, con annesso terreno, la quota del 50 per cento di usufrutto sulla porzione di fabbricato condominiale in Cesenatico e la quota di un quarto di usufrutto su altro fabbricato sito in Cesenatico.
Il Giudice di primo grado osservava che il COGNOME aveva disposto di tutti i suoi beni, con conseguente modificazione peggiorativa del suo patrimonio, e che tale circostanza comprovava la conoscenza, in capo al disponente, del pregiudizio arrecato alla creditrice; la partecipatio fraudis in capo al terzo RAGIONE_SOCIALE il cui legale rappresentante era NOME COGNOME si ricavava, inoltre, da una serie di indizi gravi, precisi e concordanti, ed in particolare dal fatto che la società era stata costituita in data 5 febbraio 2016, pochi giorni prima del conferimento dei beni, e che l’intero capitale era detenuto dal COGNOME, anche se la carica di legale rappresentante era rivestita da NOME COGNOME
All’esito del gravame interposto da RAGIONE_SOCIALE
la Corte d’appello di Bologna confermava la sentenza impugnata.
Dopo avere rilevato che i motivi di gravame erano volti a contestare esclusivamente la sussistenza dell’elemento psicologico in capo all’appellante, cosicché dovevano ritenersi coperti dal giudicato interno gli altri presupposti dell’azione (ragioni di credito della Ravaioli e consapevolezza del pregiudizio in capo al COGNOME), la Corte territoriale ha acclarato, in fatto, che il COGNOME, obbligato a pagare gli assegni di mantenimento per il figlio, durante le trattative instaurate per il recupero dell’importo insoluto, aveva costituito la RAGIONE_SOCIALE con capitale sociale di euro 100,00 e sede legale in Londra; successivamente, nel febbraio 2016, la società RAGIONE_SOCIALE aveva deliberato un aumento di capitale ed il RAGIONE_SOCIALE, con atto del 23 febbraio 2016, aveva conferito alla stessa i beni immobili di sua proprietà, mantenendo la qualità di socio unico della conferitaria; a sua volta la RAGIONE_SOCIALE aveva poi conferito gli immobili ricevuti dal RAGIONE_SOCIALE alla RAGIONE_SOCIALE, avente sede in Londra. Avallando la conclusione raggiunta dal Tribunale, ha quindi ritenuto che la ricostruzione della vicenda fattuale comprovava anche la consapevolezza del pregiudizio, in capo alla RAGIONE_SOCIALE nella persona del company director , NOME COGNOME tenuto conto che la costituzione della società era avvenuta a ridosso dell’iniziativa di recupero del credito, che non era mai stata chiarita in corso di causa quale fosse la ragione economica dell’operazione e che il conferimento aveva riguardato la totalità del patrimonio del Tamburini.
COGNOME NOME propone ricorso per la cassazione della suddetta decisione, con due motivi.
NOME COGNOME resiste mediante controricorso, mentre RAGIONE_SOCIALE non ha svolto attività difensiva in questa sede.
All’esito del deposito di proposta di definizione accelerata, il
ricorrente ha depositato istanza di decisione.
Il ricorso è stato avviato per la trattazione in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 -bis .1. cod. proc civ., in prossimità della quale la controricorrente ha depositato atto che non può qualificarsi memoria illustrativa, in difetto dei relativi requisiti di legge.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, deducendo la violazione e falsa applicazione dell’art. 2901 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 e n. 5, cod. proc. civ., il ricorrente, premettendo che difettano tutti i presupposti dell’azione revocatoria, sostiene che la Corte d’appello non avrebbe considerato che ‘il supposto elemento presuntivo del conferimento immobiliare quale indice rivelatore del consilium fraudis veniva a contrastare direttamente con la qualifica immobiliare della società stessa’ .
Nell’evidenziare la liceità dell’operazione, richiama giurisprudenza di merito a supporto della doglianza, ribadendo che la sentenza impugnata avrebbe operato una semplicistica valutazione delle risultanze istruttorie dalle quali, inequivocamente, emergeva che vi era stato un trasferimento immobiliare per congruo valore, a titolo oneroso, senza che fosse stato arrecato danno al creditore, e che difettava il consilium fraudis .
1.1. La censura è inammissibile sotto diversi profili.
1.2. Anzitutto è inammissibile nella parte in cui si estende l’impugnazione anche all’elemento oggettivo ( eventus damni) ed all’elemento soggettivo in capo al debitore, sebbene la Corte d’appello abbia preliminarmente rilevato che tali presupposti, in difetto di impugnazione della sentenza di primo grado sul punto, fossero ormai coperti dal giudicato interno, così circoscrivendo l’oggetto del giudizio d’appello alla sola valutazione della sussistenza dell’elemento soggettivo della partecipatio fraudis in capo al terzo Pangea
RAGIONE_SOCIALE conferitaria dei beni oggetto dell’atto dispositivo.
1.3. La censura difetta, inoltre, di specificità, in quanto non si confronta con la parte della sentenza contro la quale il ricorrente dichiara di voler ricorrere (pag. 7 paragrafo 7 della motivazione), né indica quali affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata si porrebbero in contrasto con le disposizioni normative evocate in rubrica.
Questa Suprema Corte ha già affermato che, quando nel ricorso per cassazione è denunziata violazione o falsa applicazione di norme di diritto, il vizio della violazione o della falsa applicazione della legge, di cui all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., giusta il disposto di cui all’art. 366, primo comma n. 4, cod. proc. civ. deve essere dedotto, a pena d’inammissibilità, mediante la specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, non risultando altrimenti consentito alla Corte di Cassazione di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione (Cass., sez. U, 28/10/2020, n. 23745; Cass., sez. 3, n. 15177 del 28/10/2002; Cass., sez. 2, 26/01/2004, n. 1317; Cass., sez. 6 – 5, n. 635 del 15/01/2015).
Sul punto, le Sezioni Unite hanno chiarito che l’onere di specificità dei motivi, di cui all’art. 366, primo comma, n. 4 cod. proc. civ., impone al ricorrente, a pena d’inammissibilità della censura, di indicare puntualmente le norme di legge di cui intende lamentare la violazione, di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che è tenuto espressamente ad indicare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo, non potendosi demandare
alla Corte il compito di individuare -con una ricerca esplorativa officiosa che trascende le sue funzioni -la norma violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa.
Tale onere non è stato assolto dal ricorrente, che si limita, a supporto della doglianza, a sottolineare la ‘qualifica immobiliare’ della società RAGIONE_SOCIALE omettendo di spiegarne la rilevanza, ed a richiamare precedenti della giurisprudenza di merito del tutto inconferenti rispetto alla fattispecie in esame.
1.4. Peraltro, il motivo in disamina, là dove si denuncia il vizio ex art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., non si misura con la preclusione processuale di cui all’art. 348ter, ultimo comma, cod. proc. civ., non avendo il ricorrente specificato in ricorso che le ragioni di fatto poste rispettivamente a fondamento della decisione di primo e di secondo grado sono tra loro diverse (Cass., sez. 1, 22/12/2016, n. 26774; Cass., sez. 3, 28/02/2023, n. 5947; Cass., sez. 3, 20/09/2023, n. 26934).
Con il secondo motivo, denunciando la violazione e falsa applicazione dell’art. 2901 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 e n. 5, cod. proc. civ., nonché dell’art. 2729 cod. civ., il ricorrente censura la decisione impugnata nella parte in cui riconosce sussistente la partecipazione soggettiva anche in capo all’amministratore di RAGIONE_SOCIALE
Lamenta, in particolare, che il giudice di merito avrebbe motivato in modo sintetico sugli elementi indiziari desumibili dalla vicenda storica, oltre che sul contegno processuale assunto dalla stessa società, per addivenire a dedurre la sussistenza dell’elemento soggettivo in capo al terzo, senza considerare che: – il COGNOME aveva ricevuto la controprestazione in azioni del controvalore delle proprietà conferite; -nel diritto societario inglese la facoltà di emissione di azioni era potere esclusivo ed insindacabile del company
director , che non poteva essere minimamente condizionato dalle indicazioni dei soci; – il conferimento altro non realizzava se non l’adempimento della obbligazione traslativa necessaria alla esecuzione della delibera di aumento di capitale; -tra il COGNOME ed il COGNOME non esisteva alcun rapporto di parentela; -l’operazione di conferimento rispondeva ad esigenze di investimento dei propri asset immobiliari.
Sostiene, quindi, che le argomentazioni poste dal giudice d’appello a sostegno della decisione non sono volte a motivare sulla effettiva sussistenza di una presunzione semplice, ma sono piuttosto espressione di mera congettura arbitraria, come tale priva di efficacia probatoria.
2.1. Il motivo è inammissibile sotto tutti i profili denunciati.
2.2. Come già evidenziato nella proposta di definizione accelerata, la censura, oltre a essere generica, sotto l’apparente deduzione di vizi di motivazione o di violazione di norme sostanziali, è in realtà volta esclusivamente ad ottenere da questa Corte una valutazione delle risultanze processuali difforme da quella operata dal giudice del merito, non sindacabile in sede di legittimità se non nei ristretti limiti di cui all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., ovvero per aver il giudice del tutto omesso, in sede di accertamento della fattispecie concreta, l’esame di uno o più fatti storici, principali o secondari, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbiano costituito oggetto di discussione tra le parti e abbiano carattere decisivo, vale a dire che, se esaminati, avrebbero determinato un esito diverso della controversia.
La valutazione delle prove raccolte, compresa la ricorrenza dei requisiti di precisione, gravità e concordanza richiesti dall’art. 2729 c.c. (Cass., sez. 6 -1, 17/01/2019, n. 1234; Cass., sez. 3, 23/01/2006, n. 1216) e l’idoneità degli elementi presuntivi dotati di
tali caratteri a dimostrare, secondo il criterio dell’ id quod plerumque accidit, i fatti ignoti da provare (Cass., sez. 3, 16/05/2017, n. 12002), costituisce infatti attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito.
Occorre, al riguardo, ribadire che, in tema di prova presuntiva, la denuncia, in cassazione, di violazione o falsa applicazione del citato art. 2729 cod. civ., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., può prospettarsi soltanto quando il giudice di merito affermi che il ragionamento presuntivo può basarsi su presunzioni non gravi, precise e concordanti ovvero fondi la presunzione su un fatto storico privo di gravità o precisione o concordanza ai fini dell’inferenza dal fatto noto della conseguenza ignota e non anche quando la critica si concreti nella diversa ricostruzione delle circostanze fattuali o nella mera prospettazione di una inferenza probabilistica diversa da quella ritenuta applicata dal giudice di merito o senza spiegare i motivi della violazione dei paradigmi della norma (Cass., sez. U, 24/01/2018, n. 1785; Cass., sez. 2, 21/03/2022, n. 9054; Cass., sez. 1, 21/12/2023, n. 35782).
Nella specie, la censura, per come formulata, non risulta dedotta, con riguardo alla violazione di cui all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., in conformità ai criteri indicati dalle Sezioni Unite con le sentenze n. 8053 e n. 8054 del 2014 e, come evidenziato nella proposta di definizione accelerata, non individua effettivamente la violazione degli artt. 2901 cod. civ. e 2729 cod. civ., ma la postula sulla base di una non consentita rivisitazione dell’apprezzamento di merito che il ricorrente sollecita a questa Corte di legittimità.
Il ricorso, per le considerazioni esposte, deve essere dichiarato inammissibile.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
La definizione del giudizio in conformità alla proposta ex art. 380bis cod. proc. civ. comporta l ‘ applicazione del terzo e del quarto comma dell ‘ art. 96 cod. proc. civ., come testualmente previsto dal citato art. 380bis, ultimo comma, cod. proc. civ. (Cass., sez. U, 27/12/2023, n. 36069).
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente: delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, pari ad euro 200,00, ed agli accessori di legge, nonché al pagamento della somma di euro 5.000,00 ex art. 96, terzo comma, cod. proc. civ. Condanna il ricorrente al pagamento della somma di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende, ai sensi dell’art. 96, quarto comma, cod. proc. civ.
Ai sensi dell ‘ art. 13, comma 1quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall ‘ art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, al competente ufficio di merito dell ‘ ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione