Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 29019 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 29019 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 03/11/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 19105/2020 R.G. proposto da : COGNOME NOME, NOME, domiciliati ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di RAGIONE_SOCIALEZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME
-ricorrente-
contro
BANCA CARIGE RAGIONE_SOCIALE, domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di RAGIONE_SOCIALEZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME
-controricorrente-
nonchè contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato
COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO PALERMO n. 373/2020 depositata il 03/03/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 23/10/2025 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
1.- Banca RAGIONE_SOCIALE aveva chiesto al Tribunale di Marsala la revocatoria ordinaria del fondo patrimoniale che i coniugi NOME COGNOME e NOME COGNOME avevano costituito su diversi immobili -in parte di proprietà di entrambi e in parte del solo COGNOME dopo l’emissione di due decreti ingiuntivi nei confronti delle società correntiste debitrici principali RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE di cui il sig. COGNOME era fideiussore per l’intero importo dovuto.
Il Tribunale aveva accolto la domanda respingendo le difese dei convenuti che deducevano il carattere controverso del credito vantato essendo pendenti giudizi di opposizione ai due decreti ingiuntivi e, comunque, l’insussistenza di qualsivoglia pregiudizio stante il complessivo patrimonio del COGNOME e di malafede
3.- La sentenza è stata confermata dalla Corte d’appello di Palermo per quanto qui ancora interessa sulla base delle seguenti considerazioni:
i giudizi di opposizione ai decreti ingiuntivi di cui era parte anche COGNOME erano stati definiti con sentenze che, seppure abbattendo il credito preteso della banca, avevano accertato il dovuto nel rilevante importo e 662.889,76 euro oltre interessi e spese;
l’azione revocatoria poteva essere proposta non solo da chi al momento dell’atto dispositivo era già titolare di un credito certo di
esigibile, ma anche dal titolare di un credito contestato o litigioso o anche di una semplice aspettativa che non si rivelasse prima face pretestuosa ma probabile anche se non definitivamente accertata;
sussisteva il requisito dell’ eventus damni, attese le conseguenze pregiudizievoli sulla garanzia patrimoniale determinate dall’atto di disposizione oggetto del giudizio, indifferente essendo lo scopo ulteriore del debitore, laddove la costituzione del fondo patrimoniale ex art. 167 c.c. sui beni vincolati a soddisfare i bisogni della famiglia limitava l’aggredibilità dei beni stessi alla ricorrenza di determinate circostanze, rendendo di per sé più incerta e difficile la soddisfazione del credito e conseguentemente riducendo la garanzia generale spettante ai creditori; nè risultava significativo il fatto che la costituzione del vincolo in oggetto non avesse avuto riguardo all’intera proprietà immobiliare del sig. COGNOME e che il valore della quota di questo ancora disponibile superasse – in tesi – l’entità del debito garantito, perché gli appellanti non si erano soffermati sulle precise ragioni che avevano portato il Tribunale ad una diversa valutazione attraverso la valorizzazione dei dati ricavati dal contratto preliminare stipulato dallo stesso COGNOME con indicazione del tutto diversa – e inferiore di molto- del valore del cespite costituito dal complesso immobiliare industriale indicato dagli appellanti estraneo al vincolo costituito tramite il fondo;
quanto della scientia damni in capo al debitore (essendo questo l’unico requisito soggettivo richiesto in presenza di atto a titolo gratuito qual è la costituzione di fondo patrimoniale) era ragionevole ritenere che al momento della stipula dell’atto il debitore garante fosse consapevole del pregiudizio che l’atto di disposizione determinava sulla garanzia dell’istituto di credito, non essendo contestato che l’atto costitutivo del 16.12.2009 era intervenuto quando era già in atto un aggravamento della situazione debitoria tanto della società garantita RAGIONE_SOCIALE
(culminata nel 2011 in dichiarazioni di fallimento) che della società collegata RAGIONE_SOCIALE amministrata dal COGNOME, e che entrambe le società erano da tempo gravemente esposte verso la banca, come evidenziato dal primo giudice in base alla documentazione versata in atti e non oggetto di specifiche censure degli appellanti.
4.- Avverso detta sentenza, NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno presentato ricorso affidandolo a due motivi di cassazione; hanno resistito RAGIONE_SOCIALE quale mandatario di RAGIONE_SOCIALE cessionaria di parte del credito vantato originariamente da Banca RAGIONE_SOCIALE s.p.a. nonché quest’ultima. Entrambe le parti resistenti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.- Il primo motivo denuncia, ex art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c. omesso esame delle perizie estimative prodotte sin dal primo grado di giudizio che -a dire dei ricorrenti- davano prova del fatto che i beni del COGNOME non facenti parte del fondo patrimoniale erano abbondantemente idonei a garantire il credito della banca, con il che la Corte d’appello di Palermo avrebbe errato nel ritenere non significativo fatto che il residuo patrimonio era tale da soddisfare pienamente le richieste del creditore resistente.
1.1.- il motivo è evidentemente inammissibile in quanto è rivolto a censurare il convincimento raggiunto dal giudice di merito sulla questione di fatto che il residuo patrimonio del ricorrente -estraneo al vincolo costituito dal fondo patrimoniale – fosse idoneo a soddisfare le pretese creditorie della banca e non si fosse quindi prodotto l’effetto di ridurre la garanzia patrimoniale di cui all’art. 2740 c.c. nei termini individuati dalla consolidata giurisprudenza di legittimità come, invece, ritenuto dalla Corte territoriale, ovvero a sottoporre alla corte di legittimità in modo inammissibile una riconsiderazione di valutazioni in fatto che appartengono al giudice di merito; è noto infatti che la norma invocata che -in ragione della
pronuncia delle Sezioni Unite n. 8053/2014 cui questa Corte ha dato continuità con innumerevoli sentenze -deve attenere a un «fatto storico», principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali; come ben spiegato nel precedente predetto, «poiché la sentenza, sotto il profilo della motivazione, si sostanzia nella giustificazione delle conclusioni, oggetto del controllo in sede di legittimità è la plausibilità del percorso che lega la verosimiglianza delle premesse alla probabilità delle conseguenze. L’implausibilità delle conclusioni può risolversi tanto nell’apparenza della motivazione, quanto nell’omesso esame di un fatto che interrompa l’argomentazione e spezzi il nesso tra verosimiglianza delle premesse e probabilità delle conseguenze e assuma, quindi, nel sillogismo, carattere di decisività: l’omesso esame è il “tassello mancante” alla plausibilità delle conclusioni rispetto alle premesse date nel quadro del sillogismo giudiziario. Ciò non significa che possa darsi ingresso, in alcun modo, ad una surrettizia revisione del giudizio di merito, dovendosi tener per fermo, mutatis mutandis , il rigoroso insegnamento di questa Corte secondo cui: «in sede di legittimità il controllo della motivazione in fatto si compendia nel verificare che il discorso giustificativo svolto dal giudice del merito circa la propria statuizione esibisca i requisiti strutturali minimi dell’argomentazione (fatto probatorio – massima di esperienza – fatto accertato) senza che sia consentito alla Corte sostituire una diversa massima di esperienza a quella utilizzata o confrontare la sentenza impugnata con le risultanze istruttorie, al fine di prendere in considerazione un fatto probatorio diverso o ulteriore rispetto a quelli assunti dal giudice del merito a fondamento della sua decisione» (Cass. n. 14953 del 2000). E’ del resto evidente che le perizie estimative prodotte non sono neppure una risultanza istruttoria, bensì integrano l’allegazione di parte sul punto controverso, onde rispetto ad esse neppure può prospettarsi la violazione della invocata violazione per omesso esame di un
«fatto storico», discusso tra e parti e decisivo per l’esito del giudizio.
2.- Il secondo motivo denuncia ex art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 1421 c.c. in relazione all’art. 2 l. n. 287/1990 perché la Corte d’appello non si sarebbe avveduta e non avrebbe rilevato la nullità dei contratti di fideiussione in ragione dei quali il sig. COGNOME era costituito garante dei crediti con l’intero suo patrimonio ex art. 2740 c.c. perché in contrasto con la legge c.d. antitrust , ciò in quanto, sostengono i ricorrenti, la nullità di un contratto è rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del processo e come noto questa Corte ha sancito la nullità delle fideiussioni bancarie «a valle» dell’intesa RAGIONE_SOCIALE in materia di norme bancarie uniformi in materia di contratti di fideiussione, ritenuta anticoncorrenziale con provvedimento della Banca d’Italia n. 55/2005.
2.1- Il motivo è inammissibile sotto diversi profili.
2.1.1Il ricorrente sottopone alla Corte un’eccezione riconvenzionale avente ad oggetto la nullità del titolo in ragione del quale è chiamato a rispondere dei crediti per cui è causa che si fonda su fatti, anzitutto, mai dedotti nel giudizio di merito, laddove è noto che la rilevazione della nullità – sia pure d’ufficio presuppone che la parte abbia tempestivamente allegato, nel corso del giudizio (di merito), le circostanze fattuali che consentono la rilevazione medesima (v. da ultimo Cass. n. 16102/2024), poiché anche la rilevazione d’ufficio della nullità per violazione di norme imperative ha come condizione che i relativi presupposti di fatto, sebbene non dedotti sotto forma di eccezione della parte interessata, siano stati acquisiti al giudizio nel rispetto delle preclusioni assertive e istruttorie (v. ex aliis Cass. n. 4867/2024, Cass. n. 34053/2023), dal momento che il principio affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte a proposito della rilevabilità d’ufficio delle nullità contrattuali (sentenza 26242/2014, i cui princìpi sono
stati peraltro successivamente ribaditi, tra le altre, da Cass. n. 19251/2018, Cass. n. 26495/ 2019, Cass. n. 20170/2022 e Cass. n. 28377/2022) deve essere applicato tenendo presenti le regole generali del processo civile, onde evitare che l’esercizio di un potere officioso consenta alle parti di aggirare i limiti processuali scanditi dal maturare delle preclusioni assertive ed istruttorie; in breve, la rilevazione officiosa della nullità è circoscritta alla sola valutazione in iure dei fatti già allegati e provati (cfr., anche nelle rispettive motivazioni, Cass. n. 20713/ 2023 e Cass. nn. 2607, 5038, 5478, 10712 e 19401 e 30383 del 2024). Mentre nel caso di specie è pacifico che alcuno dei presupposti di fatto della pronuncia invocata era stato dedotto né allegato.
2.1.2- In secondo luogo i ricorrenti intendono coltivare con le osservazioni svolte la nullità «integrale» della fideiussione, laddove, va rammentato, i contratti di fideiussione «a valle» dell’intesa sanzionata dall’allora Autorità Garante, con il menzionato provvedimento n. 55 del 2005, sono stati ritenuti parzialmente nulli, ex art. 1419 c.c. dalla Sezioni Unite di questa Corte, salvo che sia desumibile dal contratto, o sia altrimenti comprovata, una diversa volontà delle parti: salvo che, in altri termini, non risulti che senza le tre clausole oggetto dell’intesa vietata i contraenti non avrebbero concluso il contratto di fideiussione, aspetto questo che spetta « a chi ha interesse alla totale caducazione dell’assetto di interessi programmato l’onere di provare l’interdipendenza del resto del contratto dalla clausola o dalla parte nulla, mentre è precluso al giudice rilevare d’ufficio l’effetto estensivo della nullità parziale all’intero contratto » (Cass. n. 18794 del 2023); perciò è destituita di qualunque fondamento la pretesa di veder rilevata d’ufficio dal giudice la totale nullità della fideiussione perché le parti non avrebbero concluso il contratto in mancanza delle tre clausole, laddove le parti stesse non abbiano dedotto e provato siffatto assetto della loro volontà, come è in questo caso.
2.1.3- Comunque anche la rilevazione officiosa della nullità parziale del contratto «a valle» dell’intesa anticoncorrenziale -che, nell’ottica della pronuncia delle Sezioni Unite, si produce di default -richiede che risultino dagli atti tutte le circostanze fattuali necessarie alla sua integrazione, e cioè: i) l’esistenza del provvedimento della Banca d’Italia; ii) la natura della fideiussione, giacché il provvedimento della Banca d’Italia è riferito solo ed esclusivamente alle fideiussioni omnibus , non a quelle prestate per un affare particolare, fideiussioni omnibus le quali vengono specificamente prese in considerazione per la loro attitudine, evidenziata dall’RAGIONE_SOCIALE, quale strumento di tutela macroprudenziale del sistema bancario, sicché l’accertamento effettuato dall’allora Autorità Garante è stato limitato a tale tipologia di fideiussione, e solo rispetto ad essa può possedere l’efficacia probatoria privilegiata che l’ordinamento gli riconosce: aspetto neppure dedotto dai ricorrenti; iii) l’epoca di stipulazione della fideiussione, che deve essere stata stipulata entro l’ambito temporale al quale può essere riferito l’accertamento della Banca d’Italia, evidente essendo che detto accertamento, operato nel 2005, non può affatto consentire di reputare esistente, e cioè persistente, in epoca successiva il pregresso accordo anticoncorrenziale, di modo che, in caso di compresenza delle tre clausole successivamente al 2005, l’interessato ben può dedurre e comprovare che l’intesa anticoncorrenziale c’è, ma non certo in base al provvedimento precedente, bensì offrendone altra e specifica prova; iv) il contenuto delle clausole contrattuali di cui si invoca la nullità e la loro esatta corrispondenza con quelle oggetto di esame da parte della Banca d’Italia nel provvedimento in precedenza richiamato, esatta corrispondenza da riguardare, beninteso, in termini di compresenza, giacché, nella prospettiva seguita dal provvedimento n. 55, è la compresenza delle clausole ad essere lesiva della concorrenza; v) la concreta ricaduta della
nullità delle clausole contrattuali sulla sussistenza, in tutto o in parte, del debito gravante sul fideiussore, sempre che tale ricaduta possa ancora essere invocata, il che impone di rammentare, quanto alla rinuncia ai termini di cui all’articolo 1957 c.c., che, come questa Corte ha ribadito numerosissime volte, l’eccezione di estinzione della garanzia fideiussoria ha natura di eccezione propria e non di mera difesa (a mero titolo di esempio Cass. n. 8023/2024), onde il rilievo officioso della nullità della clausola non interferisce con la eventualmente ormai consumata preclusione dell’eccezione fondata sulla stessa.
Ebbene nella specie è assorbente rilevare che, benché il ricorrente indichi nel ricorso le clausole della fideiussione corrispondenti allo schema ABI ritenuto contrario alla c.d. legge antitrust dal provvedimento della Banca d’Italia (richiamando il documento contrattuale prodotto), non deduce alcunché a proposito della riferibilità delle fideiussioni -che afferma contratte nel 2008 -all’intervallo temporale rilevante secondo detto provvedimento, che non ha neppure prodotto, come sarebbe stato doveroso (trattandosi di atto regolamentare per cui, non opera il principio iura novit curia ) unitamente allo schema ABI cui il medesimo fa riferimento.
Perciò va data continuità alla giurisprudenza di questa Corte per cui in relazione alla contrarietà alla normativa antitrust di un contratto di fideiussione omnibus posto a valle di intese anticoncorrenziali è precluso il rilievo officioso della nullità in appello se la parte interessata non ha prodotto il provvedimento della Banca d’Italia ed il modello ABI cui lo stesso fa riferimento onde documentare la conformità a detto modello delle clausole contrattuali del contratto di fideiussione ritenuto nullo appunto in ragione di detta conformità (v. da ultimo Cass. 30383/2014, conforme a Cass. n.24380/2024 e n. 20713/2023).
2.1.4Quanto precede a proposito dell’inammissibilità dell’eccezione riconvenzionale di nullità proposta, esime il Collegio dall’affrontare la diversa questione -che pure emerge dagli atti della pregiudizialità rispetto al presente giudizio revocatorio dell’accertamento della sussistenza e validità del titolo debitorio in ragione del quale le odierne resistenti hanno promosso l’azione revocatoria ordinaria, che risulta essere stata oggetto dei giudizi di opposizione ai decreti ingiuntivi emessi su richiesta di Banca RAGIONE_SOCIALE dei quali, come consta dalla sentenza, era parte anche l’odierno ricorrente (v. pag. 4 sentenza gravata:« (…) vale i osservare che i giudizi in seno ai quali era stata prospettata ogni doglianza sulle fideiussioni erano quelli di opposizione i due decreti ingiuntivi evocati dalla banca a sostegno della pretesa creditoria in seno ai quali il COGNOME era parte e che, per quanto dagli stessi appellanti prodotto da ultimo, sono stati definiti con sentenze che seppur in parte abbattendo il credito della banca non danno in alcun modo conto delle invalidità dei contratti di garanzia »), del cui esito -definitivo o meno – in questa sede il ricorrente neppure riferisce.
Invero l’accertamento qui richiesto che è circoscritto agli effetti della costituzione di un vincolo su una parte del patrimonio immobiliare del presunto debitore garante e alla sussistenza dei presupposti della sua revoca ordinaria ex art. 2901 c.c., laddove per giurisprudenza costante di questa Corte – « l’accoglimento della domanda revocatoria, non costituisce titolo sufficiente per procedere ad esecuzione nei confronti del terzo acquirente, essendo a tal fine necessario che il creditore disponga anche di un titolo sull’esistenza del credito, che può procurarsi soltanto nella causa relativa al credito e non anche in quella concernente esclusivamente la domanda revocatoria, nella quale la cognizione del giudice sul credito è meramente incidentale» (Cass.n. 5246/2006; conformi tra le tante Cass. n. 199289/2007; Cass. n.
16722/2009; Cass. n. 2673/2016;Cass. n. 3369/2019). Invero il rapporto tra azione di nullità (delle fideiussioni) e azione revocatoria si pone, non in termini di dipendenza dallo stesso titolo, ai sensi dell’art. 36 c.p.c., ma in termini di pregiudizialità e, pertanto, l’azione revocatoria ai sensi dell’art. 2901 cod. civ. può essere proposta anche al fine di tutelare crediti eventuali o litigiosi, come da costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, che il Collegio condivide e intende ribadire; perciò, l’esperimento dell’azione revocatoria non può ritenersi precluso e comunque impedito dalla domanda di accertamento della nullità proposta in via di domanda riconvenzionale o anche solo in via di eccezione riconvenzionale (v. da ultimo anche Cass. n. 15275/2023: « In ragione della sufficienza della natura eventuale o “litigiosa” del credito, quale fondamento della legittimazione attiva a proporre l’azione ex art. 2901 c.c., quest’ultima non è preclusa dall’eccezione riconvenzionale di nullità del titolo, avanzata dal debitore convenuto, ponendosi il rapporto tra azione di nullità e azione revocatoria in termini non di dipendenza dallo stesso titolo, ai sensi dell’art. 36 c.p.c., ma di pregiudizialità .»
– In conclusione il ricorso va dichiarato inammissibile. Le spese seguono la soccombenza. Sussistono i presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato se dovuto
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna i ricorrenti in solida far loro al pagamento delle spese di lite in favore di ciascuna delle resistenti liquidate nell’importo di 7.200,00 di cui 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15% sul compenso ed agli accessori come per legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dalla I. 24 dicembre 2012, n. 228, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a
titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1- bis.
Cosí deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima Sezione Civile del 23.10.2025
Il Presidente NOME COGNOME