Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 11626 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 11626 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 03/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 4990/2023 R.G. proposto da: COGNOME rappresentati e difesi dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE, domicilio digitale ex lege ;
-ricorrenti-
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del procuratore, NOME COGNOME, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME (CODICE_FISCALE) e COGNOME (CODICE_FISCALE);
COGNOME NOME;
-intimata- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA n. 1769/2022, depositata il 15/12/2022, notificata il 19/01/2023. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 17/04/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Il Tribunale di Teramo, con la sentenza n. 788/2018, dichiarava inefficaci, nei confronti della Banca Monte Paschi di Siena S.p.A., creditrice dell’importo di euro 401.358,13 nei confronti di MAS Legno S.r.L., garantito sino alla concorrenza di euro 550.000,00 dai coniugi NOME COGNOME e NOME COGNOME, in forza del contratto di fideiussione stipulato il 27/2/2012, l’atto con cui i coniugi COGNOME –
nonché contro
RAGIONE_SOCIALE per questo atto rappresentata da RAGIONE_SOCIALE in persona del procuratore, NOME COGNOME elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE) rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME (CODICE_FISCALE), NOME COGNOME (CODICE_FISCALE);
-controricorrente-
nonché contro
COGNOME avevano costituito un fondo patrimoniale, destinandovi due immobili ad uso negozio ed un appartamento con annesse quote di proprietà condominiale siti nel Comune di Pineto, e l’atto con cui avevano donato alla figlia NOME COGNOME un fabbricato, sito anch’esso nel Comune di Pineto.
La Corte d’appello di L’Aquila, con la sentenza n. 1769/2022, resa pubblica in data 15/12/2022 e notificata il 19/01/2023, all’esito del giudizio di appello, in cui era intervenuta l’RAGIONE_SOCIALE (d’ora in avanti, per brevità, RAGIONE_SOCIALE), esponendo che la Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.A., a seguito di scissione parziale, le aveva trasferito un compendio di attività e passività, fra cui il credito vantato nei confronti di RAGIONE_SOCIALE e dei suoi fideiussori, ha confermato la pronuncia resa dal giudice di primo grado.
Segnatamente, la corte territoriale:
-ha ritenuto l’eccezione d’inammissibilità dell’intervento di RAGIONE_SOCIALE, contenuta nelle memorie di replica, tardiva e infondata, perché: i) l’atto di scissione parziale con cui la Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.A. aveva conferito alla RAGIONE_SOCIALE.ARAGIONE_SOCIALE, fra gli altri, il credito deteriorato vantato nei confronti di RAGIONE_SOCIALE e dei coniugi COGNOME e COGNOME, aveva prodotto effetti traslativi e, sul piano processuale, una successione a titolo particolare nel diritto controverso, che, intervenuta nel corso del giudizio, comportava l’applicazione della disciplina di cui all’art. 111 cod.proc.civ.; ii) gli appellanti non avevano contestato il trasferimento ad Amco S.p.A. del credito vantato da Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.A. nei loro confronti, da ritenersi pertanto provato; iii) il cessionario del credito beneficiava ope legis degli effetti dell’azione revocatoria esperita dal cedente, acquistando il diritto di agire esecutivamente sui beni oggetto dell’azione revocatoria promossa dal suo dante causa (Cass. n. 20315/2022; Cass. n. 6130/2018);
ha giudicato non assoggettabile a sospensione necessaria ai sensi dell’art. 295 cod.proc.civ. il giudizio in corso, in rapporto alla pendenza della controversia sul credito da accertare, poiché tale accertamento non costituisce l’indispensabile antecedente logicogiuridico della pronuncia sulla domanda revocatoria, non potendosi neppure ipotizzare un conflitto di giudicati tra la sentenza che, a tutela dell’allegato credito litigioso, dichiari inefficace l’atto di disposizione e la sentenza che accerti l’inesistenza del credito (Cass., Sez.Un., n. 9440/2004);
ha rigettato il secondo motivo di gravame con cui gli appellanti lamentavano l’omessa pronuncia sulla eccezione di carenza di interesse ad agire della banca, basata sul fatto che quest’ultima poteva sottoporre a pignoramento i beni vincolati nel fondo patrimoniale e sulla sussistenza di un’iscrizione ipotecaria sul bene oggetto della donazione, ritenendo il negozio costitutivo del fondo patrimoniale aggredibile per avere reso più difficile il soddisfacimento del credito e perché la valutazione tanto della idoneità dell’atto dispositivo a costituire un pregiudizio, quanto della possibile incidenza, sul valore del bene, della causa di prelazione connessa all’ipoteca va compiuta con riferimento non al momento del compimento dell’atto, ma con giudizio prognostico, al fine di apprezzare l’eventualità del verso venir meno o del ridimensionamento della garanzia ipotecaria: nel caso di specie l’ipoteca era stata iscritta al momento dell’acquisto del bene a garanzia della restituzione del mutuo di lire 110.000.000, nella donazione il notaio aveva dato atto che i donanti rimanevano obbligati al pagamento del ‘residuo mutuo’, con conseguente ammissione che il credito assistito da ipoteca si era ridotto al momento dell’atto dispositivo, risultando conseguentemente utile per Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.A. la sottoposizione del bene ad esecuzione forzata per il soddisfacimento del suo credito;
-ha reputato sussistente l’ eventus damni , perché, a fondamento dell’azione, non è richiesta la totale compromissione della consistenza del patrimonio del debitore, ma soltanto il compimento di un atto che renda più incerta o difficile la soddisfazione del credito, e perché i debitori non avevano provato l’idoneità del loro patrimonio residuo a soddisfare le ragioni della banca procedente;
ha ritenuto il credito vantato dalla banca successivo agli atti impugnati, perché l’azione revocatoria ordinaria presuppone per la sua esperibilità la sola esistenza di un debito e non anche la sua concreta esigibilità, sicché, prestata fideiussione a garanzia delle future obbligazioni del debitore principale nei confronti di un istituto di credito, gli atti dispositivi del fideiussore, successivi alla prestazione della fideiussione, sono soggetti alla predetta azione, ai sensi dell’art. 2901, n. 1, prima parte, cod.civ., in base al solo requisito soggettivo della consapevolezza del fideiussore (e, in caso di atto a titolo oneroso, del terzo) di arrecare pregiudizio alle ragioni del creditore (“scientia damni”), senza che rilevi la successiva esigibilità del debito restitutorio o il recesso; la scientia damni in capo al COGNOME è stata dedotta dal fatto che non poteva ignorare la esposizione debitoria della RAGIONE_SOCIALE, di cui era amministratore unico, e quanto alla COGNOME, oltre che dal rapporto coniugale, dal fatto che era stato provato che aveva svolta in prima persona attività di impresa nella RAGIONE_SOCIALE
Il NOME COGNOME e la COGNOME propongono ora ricorso per cassazione avverso la suindicata sentenza della corte di merito, formulando cinque motivi., illustrati da memoria.
Le società Banca Monte dei Paschi di Siena S.pRAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE resistono con rispettivo controricorso, illustrato da memoria.
L’intimata NOME COGNOME non ha svolto attività difensiva.
La trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell’art. 380 -bis 1 cod.proc.civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1) Con il primo motivo i ricorrenti denunziano la violazione e falsa applicazione degli artt. 105 e 111 cod.proc.civ., ex art. 360 comma 1°, n. 3 cod.proc.civ., per avere la corte d’appello ritenuto tardiva e infondata l’eccezione di inammissibilità dell’intervento di RAGIONE_SOCIALE
Si dolgono che la corte d’appello: abbia ritenuto prodotto l’atto di scissione parziale da cui risultava la avvenuta cessione del credito vantato dalla Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.A. nei confronti di RAGIONE_SOCIALE e nei loro confronti laddove tale atto non è stato allegato; abbia qualificato quale intervento volontario quello della RAGIONE_SOCIALE S.p.A., ritenendola subentrata nel diritto controverso, benché priva di legittimazione ad agire per la revocatoria degli atti presuntivamente pregiudizievoli e/o comunque di titolarità della posizione soggettiva vantata in giudizio; non abbia -anche d’ufficiovalutato la sussistenza della legittimazione in capo alla intervenuta, dichiarando l’inammissibilità dell’intervento della RAGIONE_SOCIALE S.p.a., e per essa, quale mandataria, della RAGIONE_SOCIALE Management S.p.A., a prescindere da qualsivoglia eccezione delle parti: essendo la legittimazione ad agire un presupposto del diritto di azione, la sua carenza può essere eccepita in ogni stato e grado del giudizio e può essere rilevata d’ufficio dal giudice. Invece, erroneamente la corte territoriale ha ritenuto tardiva l’eccezione, sebbene essa non fosse tale, ma fosse une mera difesa con cui si erano limitati a dedurre ed argomentare (senza contrapporre e chiedere di provare fatti impeditivi, estintivi o modificativi) che l’attore non era titolare del diritto azionato.
Il motivo è infondato.
La corte territoriale ha affermato -e detta statuizione non risulta impugnata -che gli odierni ricorrenti non hanno contestato che il credito di cui erano garanti fosse incluso tra quelli che, rientrando nell’atto di scissione parziale, erano stati trasferiti alla RAGIONE_SOCIALE
e che fosse pertanto provato il subentro della RAGIONE_SOCIALE alla banca procedente nella titolarità del diritto di credito.
La corte di merito ha fatto invero corretta applicazione del consolidato principio enunciato da Cass. 23/06/2022, n. 20315, secondo cui la sentenza di accoglimento dell’azione revocatoria <>.
Tale conclusione trova il suo fondamento in plurime indicazioni normative:
i) nell’art. 2902 cod.civ., a mente del quale il creditore, per effetto dell’accoglimento della domanda di revocazione d’un atto dispositivo, <> nei confronti dell’avente causa del debitore, atteso che se <>;
ii) nell’art. 1263 cod.civ., il quale prevede che per effetto della cessione si trasferiscono i “privilegi”, senza distinzione. <>;
iii) nell’art. 2755 cod.civ. che annovera tra i crediti privilegiati le spese di giustizia per atti conservativi, atteso che i privilegi, come già detto, si trasferiscono per effetto di cessione del credito; non può escludersi che il cessionario d’un credito benefici degli effetti dell’azione revocatoria proposta dal cedente, perché altrimenti si dovrebbe ammettere che il credito ceduto conservi privilegio per le spese dell’azione revocatoria, ma non possa giovarsi degli effetti
dell’azione revocatoria, dato che il pignoramento è un vincolo preordinato all’esecuzione che, come l’ actio pauliana , evita la dispersione della garanzia patrimoniale; detto principio è stato ripetutamente enunciato dalla Terza Sezione civile di questa Corte cfr. senza pretesa di esaustività, Cass. 17/2/2023, n. 5162; Cass. 23/02/2023, n. 5649; Cass. 31/05/2023, n. 1540; Cass. 29/08/2023 n. 25424; Cass. 3/11/2023, n. 30506; Cass. 26/02/2024, n. 5085; Cass. 21/11/2024, n. 30105 -tanto da potersi considerare in via di consolidamento.
La corte d’appello ha correttamente applicato detto indirizzo, secondo cui:
il cessionario, successore a titolo particolare nel diritto controverso, è legittimato non solo a proporre l’azione revocatoria, ma anche ad intervenire nel giudizio promosso dal cedente, in quanto “portatore di interesse attuale e concreto ad un risultato utile e giuridicamente rilevante” (Cass. 14/03/2018, n. 6130 );
b) in tema di azione revocatoria, qualora la parte attrice ceda il proprio credito durante la controversia, il cessionario può intervenire nel processo ai sensi dell’art. 111 cod.proc.civ. quale successore nel diritto affermato in giudizio, poiché con la domanda ex art. 2901 c.c. si esplica la facoltà del creditore – che costituisce contenuto proprio del suo diritto di credito (presupposto e riferimento ultimo dell’azione esercitata) – di soddisfarsi su un determinato bene nel patrimonio del debitore (Cass. 23/02/2023, n. 5649).
È opportuno sottolineare che la pronuncia Cass. n. 20315/2022 ha chiarito perché nel caso di specie non siano pertinenti né i principi enunciati da Cass. 04/12/2014, n. 25660, ripresi da Cass. 12/12/2017, n. 29637 (entrambe evocate da parte ricorrente, insieme con altre decisioni di analogo tenore) secondo cui <>:
non si discuteva della legittimazione a proporre l’azione pauliana o a beneficiare dei suoi effetti, ma della legittimazione a resistere alla suddetta azione, ed opporvisi con l’appello;
a circolare per effetto di cessione in quel caso – al contrario del caso oggi in esame – non fu il credito garantito dalla revocatoria, ma il credito impugnato con la revocatoria;
non si trattava di stabilire se la revocatoria accolta producesse effetto rispetto al cessionario del credito, ma se un soggetto estraneo all’atto revocando potesse impugnare la sentenza di accoglimento dell’azione revocatoria, sostenendo per la prima volta in appello di essere divenuto, per effetto di cessione, titolare del credito oggetto di revocazione, e non già titolare del credito che si intese conservare con l’azione pauliana né quelli enunciati da Cass. n. 29637/2017 -che non si era occupata della estensibilità degli effetti dell’azione revocatoria.
Il che rende assorbite le restanti censure.
Con il secondo motivo i ricorrenti denunziano <> degli artt. 115, 116 e art. art. 2901 c.c., ai sensi dell’art. 360, 1° comma, n. 3 cod.proc.civ., per non avere la corte d’appello rilevato il difetto di una valida ragione di credito quale presupposto indefettibile dell’ actio pauliana .
Attinta da censura è la statuizione con cui il giudice a quo ha ritenuto che il credito litigioso, contestato in separato giudizio anche mediante l’opposizione di un controcredito, è idoneo a determinare l’insorgere della qualità di creditore abilitato all’esperimento dell’azione revocatoria ordinaria avverso l’atto dispositivo compiuto dal debitore, con la conseguenza che il giudizio non è soggetto a sospensione necessaria ai sensi dell’art. 295 cod.proc.civ.
Secondo i ricorrenti nel caso di specie non esisteva affatto il credito della procedente, perché nel giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo ottenuto dalla banca procedente era stato opposto in compensazione un controcredito, perciò in capo alla Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.A. non era ravvisabile un’aspettativa di diritto in ordine al succitato ritenuto credito, bensì, al più, una mera aspettativa di fatto, che, però, non poteva giustificare certamente la sussistenza del presupposto sancito dal cit. 2901 ai fini del positivo vaglio della domanda proposta.
Il motivo è inammissibile.
Con i motivi di ricorso per cassazione la parte non può limitarsi a riproporre le tesi difensive svolte nelle fasi di merito e motivatamente disattese dal giudice dell’appello, senza considerare le ragioni offerte da quest’ultimo, poiché in tal modo si determina una mera contrapposizione della propria valutazione al giudizio espresso dalla sentenza impugnata che si risolve, in sostanza, nella proposizione di un “non motivo”, come tale inammissibile ex art. 366, 1° comma, n. 4, cod.proc.civ. (Cass. 24/09/2018, n. 22478; Cass. 25/08/2000, n. 11098; Cass. 17/11/2003, n. 17402; Cass. 23/09/2003, n. 12632).
3) Con il terzo motivo i ricorrenti si dolgono dell’ asseritamente omessa motivazione, in quanto apparente ed apodittica, basata su clausole di stile inidonee a rendere esplicito l’ iter logico giuridico delle statuizioni rese e senza effettivamente confutare i motivi di appello, ex art. 360 comma 1 n. 4, in violazione e falsa applicazione dell’art. 132 cod.proc.civ. e art. 111 Cost.
Le critiche riguardano le statuizioni con cui la corte d’appello ha ritenuto aggredibili, ai sensi dell’art. 2901 cod.civ., sia l’atto di costituzione del fondo patrimoniale sia l’atto di donazione, confermando la sentenza di primo grado.
Segnatamente, alla corte d’appello si imputa di non essersi pronunciata sull’eccezione di omessa pronuncia sulla carenza di
interesse ad agire della banca, ma di avere esaminato nel merito l’eccezione, ritenendola infondata; in aggiunta, di aver erroneamente applicato l’art. 170 cod.civ., non avendo individuato le obbligazioni che in quanto non contratte nell’interesse della famiglia erano aggredibili.
I ricorrenti si dolgono che la corte territoriale abbia rigettato il motivo di appello con cui avevano rappresentato l’assenza di interesse della banca ad aggredire l’atto di donazione perché l’immobile donato era gravato da ipoteca, ravvisando la sussistenza di un interesse concreto della banca procedente ad una declaratoria di revocatoria in ragione del fatto che lil mutuo era stato estinto solo parzialmente, ma senza indicare il residuo mutuo da pagare.
Il motivo è infondato.
La corte d’appello si è pronunciata, disattendendola, sulla questione oggetto del vizio di omessa pronuncia; il che significa che in questa sede la pronuncia d’appello può essere censurata non già per il fatto di non contenere una statuizione sul vizio di omessa pronuncia vanamente eccepito, ma unicamente per la invalidità della decisone assunta (Cass. 29/05/2024, n.15100).
Ebbene, le statuizioni con cui la corte d’appello ha ritenuto aggredibili l’atto di costituzione del fondo patrimoniale e l’atto di donazione non meritano le censure che le sono state rivolte.
Va ribadito che il fondo patrimoniale rappresenta effettivamente come afferma parte ricorrente – un sistema idoneo a garantire la soddisfazione dei bisogni della famiglia, ma non esclude la possibilità per i creditori di aggredire i beni in esso inclusi, poiché nella definizione del punto di equilibrio tra l’interesse della famiglia e quello dei creditori non si è totalmente obliterato il principio di cui all’art. 2740 cod.civ., ma si è introdotto uno speciale regime di responsabilità patrimoniale. Inoltre, esso non crea uno schermo impermeabile ai rimedi che i creditori possono esperire avverso le
attività dirette ad eludere o vanificare in toto la garanzia patrimoniale generica.
Più precisamente, il fondo patrimoniale costituito ex art. 167 cod.civ. impone un vincolo di destinazione su determinati beni, per far fronte ai bisogni della famiglia, con la conseguenza, in ragione di quanto dispone l’art. 170 cod.civ., che <>. Deve, pertanto, accertarsi in fatto se il debito si possa dire contratto per soddisfare i bisogni della famiglia (o se il titolare del credito non ne conosceva l’estraneità a tali bisogni), precisando, tuttavia, che, se è vero che tale finalità non si può dire sussistente per il solo fatto che il debito sia sorto nell’esercizio dell’impresa, è vero altresì che tale circostanza non è nemmeno idonea ad escludere, in via di principio, che il debito si possa dire contratto, appunto, per soddisfare tali bisogni (v. Cass. 28/5/2020 , n. 10166). La rispondenza o meno dell’atto ai bisogni della famiglia richiede una verifica estesa al riscontro di compatibilità con le più ampie esigenze dirette al pieno mantenimento e all’armonico sviluppo familiare, cosicché l’estraneità non può considerarsi desumibile soltanto dalla tipologia di atto (ad es. la fideiussione prestata in favore di una società, come nella vicenda per cui è causa) in sé e per sé considerata (Cass. 25/10/2021, n. 29983).
In sostanza, i creditori vengono distinti, in base alla natura dei bisogni dai quali originava il rapporto obbligatorio e della condizione soggettiva in cui si trovavano al momento dell’insorgenza dell’obbligo, in:
creditori della famiglia, ai quali è riservata la garanzia generica sui beni attributi al fondo;
ii) creditori che ignoravano l’estraneità dei debiti ai bisogni familiari, che dall’art. 170 cod.civ., sono equiparati ai precedenti;
iii) creditori che conoscevano tale estraneità, ai quali è preclusa l’esecuzione sui beni del fondo e sui relativi frutti.
Destinare i beni ai bisogni della famiglia significa sottrarli all’azione esecutiva di una specifica categoria di creditori, ferma restando la possibilità per tutti i creditori di agire, se ne ricorrono i presupposti, in revocatoria ordinaria, posto che l’atto di costituzione del fondo patrimoniale, anche se compiuto da entrambi i coniugi, è un atto a titolo gratuito, soggetto ad azione revocatoria ai sensi dell’art. 2901 cod.civ., se sussiste la conoscenza del pregiudizio arrecato ai creditori (Cass. 07/03/2005, n. 4933; Cass. 07/07/2007, n. 15310; Cass. 07/10/2008, n. 24757; Cass. 10/02/2015, n. 2530).
Nella specie, l’istituto di credito non ha preteso di agire esecutivamente sui beni del fondo patrimoniale, ma ha lamentato che la costituzione del fondo patrimoniale recava pregiudizio alle sue ragioni e quindi ha chiesto e ottenuto che l’atto venisse dichiarato inefficace nei suoi confronti ai sensi dell’art. 2901 cod.civ.
L’azione pauliana è diretta a far dichiarare giudizialmente l’inefficacia, nei confronti del creditore procedente, degli atti di disposizione del patrimonio con cui il debitore arrechi pregiudizio alle sue ragioni, per consentire allo stesso di esercitare sui beni oggetto dell’atto azioni esecutive e cautelari. L’accoglimento della domanda proposta ex art. 2901 cod.civ., produce quindi l’effetto di rendere inopponibile, e solo nei confronti del creditore che ha agito in revocatoria, l’atto dispositivo del debitore, senza incidere sulla validità inter partes dell’atto stesso, né sulla sua opponibilità ai terzi rimasti estranei al giudizio revocatorio (Cass. 13/12/2023, n. 34872), ed assicura la fruttuosità e la speditezza dell’azione esecutiva diretta a far valere la garanzia patrimoniale generica.
Con l’accoglimento della domanda revocatoria banca ha la possibilità di agire liberamente sui beni del fondo patrimoniale, pur se questo resta validamente costituito.
L’effetto tipico della costituzione del fondo, sostanziantesi nella (parziale) sottrazione dei beni alla garanzia patrimoniale generica, non si produce nei confronti del creditore vittorioso nell’esperimento dell’azione pauliana e non sarà quindi necessario, in questo caso, verificare se il credito per cui si agisce deriva da obbligazione contratta nell’interesse della famiglia e se il creditore ne fosse consapevole o meno.
Correttamente, pertanto, la corte di merito ha focalizzato l’attenzione non già sulla conoscenza da parte della banca della pretesa estraneità del credito vantato rispetto ai bisogni della famiglia, quanto sulla sussistenza dei tre presupposti tipici dell’azione revocatoria ordinaria: il credito del creditore procedente, l’ eventus e la scientia damni (Cass. 13/12/2023, n. 34872), rilevando – in sintonia con l’indirizzo di questa Corte – che la costituzione del fondo patrimoniale è atto a titolo gratuito e che può essere dichiarato inefficace nei confronti dei creditori in quanto rende i beni conferiti aggredibili solo a determinate condizioni (art. 170 cod.civ.).
<> (Cass. 07/07/2007, n. 15310), onde escluderne l’ammissibilità i costituenti hanno l’onere di provare l’insussistenza del pericolo di danno costituito dalla eventuale infruttuosità di una futura azione esecutiva (Cass. 17/01/2007, n. 966).
Né è fondata la censura volta a sottrarre alla revocabilità l’atto donativo, per il fatto che il bene donato era gravato da ipoteca.
L’orientamento di questa Corte ( cfr. Cass. 28/03/2024, n. 8422; Cass. 1°/02/2024, n. 3020; Cass. 29/01/2024, n.2711; Cass., 27/02/2023, n. 5815; Cass. 26/11/2019, n. 30736) è nel senso che l’esistenza di un’ipoteca sul bene oggetto dell’atto dispositivo non esclude la ricorrenza dell’ eventus damni ; l’ eventus damni consiste nel pericolo attuale di un danno futuro dipendente dalla lesione dell’interesse del creditore alla conservazione della garanzia generica del credito; per integrarne i presupposti non è necessario che ricorra una effettiva diminuzione del patrimonio del debitore altrimenti non si spiegherebbe per quale ragione l’azione revocatoria possa essere esperita sol perché il debitore sostituisca beni facilmente aggredibili con altri più difficili da sottoporre all’eventuale e futura azione esecutiva del creditore – né che il debitore si renda insolvente; proprio perché non postula un pregiudizio attuale e certo del creditore medesimo, derivante da uno stato effettivo di insolvenza del debitore, bastando anche il semplice pericolo di insolvenza, e, cioè, l’eventualità che il patrimonio del debitore non offra adeguate garanzie per il soddisfacimento del credito (Cass. 27/06/1977, n. 2761); perciò, la motivazione con cui la corte d’appello ha giustificato l’accoglimento della dichiarazione di inefficacia dell’atto donativo è da ritenersi corretta in iure ; è vero infatti che, secondo questa Corte, <> (così, in
motivazione, Cass. 8/08/2018, n. 20671; nello stesso senso già Cass. 12/03/2018, n. 5860; Cass. 25/05/2017, n. 13172, Cass. 10/06/2016, n. 11892).
E’ stato del resto opportunamente chiarito che <> (Cass. 29/03/1999, n. 2971).
Deve allora riconoscersi che una <>, sicché <>; di conseguenza <> (Cass. 10/06/2016, n. 11892).
Non è dunque necessario che il creditore dimostri, onde veder accolta l’ actio pauliana , la concreta possibilità di soddisfazione del credito, atteso che l’azione revocatoria opera a tutela dell’effettività della responsabilità patrimoniale del debitore, ma non produce effetti recuperatori o restitutori, al patrimonio del medesimo, del bene dismesso, tali da richiederne la libertà e capienza, poiché determina solo l’inefficacia dell’atto revocato e l’assoggettamento del bene al diritto del revocante di procedere ad esecuzione forzata sullo stesso; ne consegue che la presenza di ipoteche sull’immobile trasferito con l’atto oggetto di revoca non esclude, di per sé, un
pregiudizio per creditore (e, dunque, il suo interesse ad esperire tale azione), posto che le iscrizioni ipotecarie possono subire vicende modificative o estintive ad opera sia del debitore che di terzi; ciò esclude, diversamente da quanto sostenuto dai ricorrenti, che, ai fini della sussistenza dell’ eventus damni , il creditore che agisce in revocatoria debba dimostrare, al fine di esperire l’azione di cui all’art. 2901 cod. civ., l’effettiva e concreta probabilità di realizzo del proprio credito sul bene oggetto dell’atto di disposizione.
Diverso è invece allorquando una procedura esecutiva immobiliare è in atto sul bene, giacché in tal caso, in applicazione del principio enunciato da Cass.15/07/2009, n. 16464 , non può ritenersi impossibile sapere se e come la garanzia ipotecaria avrebbe agito in futuro, sicché si sarebbe dovuto ribadire che <>.
Del tutto privo di rilievo è, di conseguenza, il fatto che la corte d’appello non ha indicato l’ ammontare del mutuo residuo.
4) Con il quarto motivo i ricorrenti denunziano <> degli artt. 115 cod.proc.civ. e 2697 c.c. in relazione all’art. 2901 cod.civ., ex art. 360, 1° comma, n. 3 cod.proc.civ., per avere il giudice a quo ritenuto sussistente l’ eventus damni , nonostante avessero provato che il patrimonio residuo era idoneo a soddisfare le ragioni creditorie, ritenendo che
detto patrimonio, consistente nel capitale di RAGIONE_SOCIALE di cui il COGNOME era socio unico, era costituito da beni di difficile collocamento in sede di esecuzione forzata, essendo il suo valore legato all’esercizio dell’impresa sociale, inoltre gli appellanti non avevano fornito nessun elemento di valutazione delle predette quote, non avendo prodotto i bilanci della società, né contestato la documentazione prodotta dalla banca, da cui risultava che il patrimonio immobiliare di RAGIONE_SOCIALE era gravato da ipoteche e sottoposto a pignoramento, limitandosi a chiedere l’ammissione di consulenza tecnica d’ufficio meramente esplorativa, come tale non ammessa dal tribunale, volta ad accertare il valore delle quote societarie, dei beni di proprietà di RAGIONE_SOCIALE e dei beni oggetto degli atti dispositivi,
L’errore consiste, secondo i ricorrenti nel non avere considerato che tutti i beni conferiti nel fondo patrimoniale erano rimasti nella loro proprietà esclusiva, che, quindi, l’atto di costituzione del fondo patrimoniale non rappresentava affatto un atto di disposizione e/o dispersione anche parziale del patrimonio, in quanto tutto il patrimonio immobiliare degli esponenti era ed è rimasto nella loro disponibilità, che i beni costituiti nel fondo patrimoniale non erano sottoponibili ad esecuzione forzata, che l’atto di donazione non aveva dato luogo a un depauperamento effettivo del patrimonio dell’obbligato, tanto più perché il bene donato era gravato da numerose ipoteche volontarie, che prima di chiedere la debitore di provare la idoneità del patrimonio residuo a soddisfare le ragioni creditorie, il creditore avrebbe dovuto dimostrare la modificazione quantitativa e qualitativa della garanzia patrimoniale, con violazione dell’art. 2697 cod.civ.
Il motivo è inammissibile.
I ricorrenti si limitano invero a riproporre, in termini di mera contrapposizione, le tesi già sottoposte all’attenzione della corte
territoriale e dalla medesima motivatamente disattese (v. supra, sub § 2).
5) Con il quinto motivo i ricorrenti si dolgono della <> degli artt. 115 cod.proc.civ. e 2697 c.c. in relazione all’art. 2901 c.c., ex art. 360, 1° comma, n. 3 cod.proc.civ.
Sostengono di avere rilevato il difetto di sussistenza dell’elemento della scientia damni , perché la COGNOME non risultava socia della RAGIONE_SOCIALE e, in ogni caso, perché i beni conferiti nel fondo patrimoniale e quello donato non risultavano gli unici beni di proprietà degli stessi.
Nel caso di specie, essendo gli atti dispositivi precedenti al sorgere del presunto credito, in ragione del fatto che gli atti impugnati (costituzione del fondo patrimoniale e donazione) risalivano all’agosto 2013, mentre i ritenuti crediti erano stati azionati solo nell’anno 2016 anche nei confronti dei fideiussori, alla Banca MPS Spa spettava dimostrare la preordinazione dolosa deli atti al preciso fine di pregiudicare il futuro soddisfacimento delle sue ragioni creditorie.
Alla corte d’appello rimproverano di avere ritenuto assolto l’onere probatorio della banca, rilevando esclusivamente che la fideiussione prestata dagli scriventi doveva ritenersi a garanzia delle future obbligazioni del debitore principale, e dunque ritenendo sufficiente il solo requisito soggettivo della consapevolezza del fideiussore di arrecare pregiudizio alle ragioni creditorie, senza che rileva la successiva esigibilità del debito restitutorio.
Il motivo è infondato.
L’azione revocatoria ordinaria presuppone, per la sua esperibilità, la semplice esistenza di un debito, e non anche la sua concreta esigibilità, con la conseguenza che, concessa fideiussione in relazione alle future obbligazioni del debitore principale connesse all’apertura di credito regolata in conto corrente, gli atti dispositivi
del fideiussore successivi alla detta apertura di credito ed alla prestazione della fideiussione, se compiuti in pregiudizio delle ragioni del creditore, sono soggetti all’azione revocatoria, ai sensi dell’articolo 2901, n. 1, prima parte, cod.civ., in base al mero requisito soggettivo della consapevolezza del fideiussore (e, in caso di atto a titolo oneroso, del terzo) di arrecare pregiudizio alle ragioni del creditore ( scientia damni ) ed al solo fattore oggettivo dell’avvenuto accreditamento, giacché l’insorgenza del credito deve essere apprezzata con riferimento al momento dell’accreditamento e non a quello, eventualmente successivo, dell’effettivo prelievo da parte del debitore principale della somma messa a sua disposizione (Cass. 05/09/2023, n.25883).
All’ inammissibilità e infondatezza dei motivi consegue il rigetto del ricorso.
Le spese del giudizio di cassazione seguono la soccombenza e sono liquidate, in favore di ciascuna delle controricorrenti società Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.A. e Amco S.p.A., nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti al solidale pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi euro 7.200,00, di cui euro 7.000,00 per onorari, oltre a spese generali e accessori di legge, in favore di ciascuna delle controricorrenti società Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.A. e Amco S.p.A.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , d.p.r. 30 maggio 2002, n. 115, come modif. dalla l. 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti all’ufficio del merito competente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.