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Azione revocatoria donazione: la prova della simulazione

La Corte di Cassazione si è pronunciata su un caso di azione revocatoria promossa da una curatela fallimentare contro gli atti di donazione di immobili posti in essere dall’ex amministratrice della società fallita in favore dei propri familiari. I convenuti sostenevano che le donazioni fossero in realtà vendite simulate. La Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, ribadendo che, per superare la presunzione di gratuità dell’atto e dimostrare la simulazione, è necessaria una prova scritta (controdichiarazione) con data certa anteriore alla dichiarazione di fallimento, non essendo sufficiente la produzione di assegni o scritture private prive di tale requisito.

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Azione revocatoria donazione: la prova della simulazione non ammette scorciatoie

Quando un debitore cede i propri beni a titolo gratuito, come una donazione, per sottrarli alle pretese dei creditori, questi ultimi possono difendersi con l’azione revocatoria. Ma cosa succede se il debitore sostiene che quella donazione fosse in realtà una vendita mascherata? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce i rigidi requisiti probatori necessari in un caso di azione revocatoria di una donazione simulata, sottolineando l’importanza cruciale della ‘data certa’.

I Fatti di Causa: Una Donazione Sospetta

Il caso trae origine dal fallimento di una società a responsabilità limitata. La curatela fallimentare aveva convenuto in giudizio l’ex amministratrice unica della società, insieme a suo marito e alla loro figlia. L’accusa era chiara: l’amministratrice, dopo la dichiarazione di fallimento e a fronte di un ingente debito personale derivante dalla sua mala gestio, aveva trasferito tutti i suoi beni immobili ai familiari tramite atti di donazione.

L’obiettivo della curatela era ottenere una dichiarazione di inefficacia di tali atti attraverso l’azione revocatoria ordinaria (art. 2901 c.c.), al fine di poter aggredire quei beni per soddisfare il credito vantato nei confronti dell’ex amministratrice.

La Difesa dei Debitori: Non una Donazione ma una Vendita Simulata

Di fronte alla richiesta della curatela, l’ex amministratrice e i suoi familiari hanno impostato la loro difesa su un punto specifico: gli atti di donazione erano fittizi. Essi sostenevano che, in realtà, si trattava di una compravendita (simulazione relativa). A supporto di questa tesi, producevano un contratto preliminare e una scrittura privata, oltre a delle copie di assegni circolari che, a loro dire, provavano l’avvenuto pagamento del prezzo.

Secondo la loro versione, la vendita era stata necessaria per reperire i fondi per estinguere un debito personale dell’amministratrice, estraneo alla società fallita. La forma della donazione sarebbe stata scelta unicamente per ragioni fiscali.

L’Azione Revocatoria della Donazione Simulata e la Decisione della Corte

Sia il Tribunale di primo grado che la Corte d’Appello hanno respinto la tesi della simulazione e accolto la domanda della curatela. I giudici di merito hanno ritenuto che i documenti prodotti dai debitori (contratto preliminare e scrittura privata) fossero privi di ‘data certa’ e, pertanto, non opponibili alla curatela fallimentare, che agisce come terzo. Anche gli assegni, in quanto titoli di credito astratti, non erano stati considerati prova sufficiente del collegamento causale con la presunta vendita.

La questione è quindi giunta dinanzi alla Corte di Cassazione, che ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la linea dei giudici di merito e cogliendo l’occasione per ribadire i principi fondamentali in materia.

Le Motivazioni: La Prova della Simulazione e il Requisito della Data Certa

La Corte ha spiegato in modo inequivocabile che chi intende dimostrare che un atto di donazione dissimula una compravendita, per sottrarsi al regime più severo della revocatoria degli atti gratuiti, ha un onere probatorio molto rigoroso.

Il punto centrale della decisione risiede nell’articolo 2704 del Codice Civile, che disciplina la ‘data certa’ delle scritture private nei confronti dei terzi. La curatela fallimentare è considerata ‘terzo’ rispetto agli accordi simulatori tra il debitore e i suoi familiari. Di conseguenza, qualsiasi documento volto a provare la simulazione (come la controdichiarazione che attesta la reale volontà di vendere) per essere valido contro la curatela, deve avere una data certa anteriore alla dichiarazione di fallimento.

Nel caso di specie, né il contratto preliminare né la successiva scrittura privata possedevano tale requisito. La Cassazione ha chiarito che non è sufficiente produrre una serie di documenti (come scritture e assegni) e sperare che il giudice ne deduca l’esistenza di un accordo simulatorio. Ciascun documento deve avere, secondo il proprio regime probatorio, il requisito della data certa.

In assenza di una prova scritta con data certa opponibile ai terzi, gli atti di disposizione patrimoniale restano qualificati per ciò che appaiono: donazioni. E per revocare una donazione successiva al sorgere del credito, è sufficiente dimostrare il pregiudizio per il creditore (in questo caso evidente, dato che la debitrice si era spogliata di tutti i suoi beni) e la consapevolezza di tale pregiudizio in capo al donante, consapevolezza che può essere presunta dalle circostanze.

Conclusioni: Le Implicazioni Pratiche della Sentenza

L’ordinanza in esame offre una lezione fondamentale: la legge pone una barriera molto solida contro i tentativi di mascherare atti gratuiti per sottrarre beni alla garanzia dei creditori. Chiunque intenda far valere un accordo simulatorio contro un terzo, come una curatela fallimentare, deve essere in grado di fornire una prova documentale inoppugnabile. Questa prova non può consistere in semplici scritture private tra le parti o in mezzi di pagamento astratti, ma deve essere un atto scritto, munito di data certa anteriore al fallimento, da cui emerga in modo chiaro ed esplicito la reale volontà delle parti. In mancanza, la forma prevale sulla sostanza e l’atto resta quello che appare, con tutte le conseguenze di legge.

Come può un creditore contestare una donazione fatta da un debitore per danneggiare le sue ragioni?
Un creditore può utilizzare l’azione revocatoria ordinaria, prevista dall’art. 2901 del Codice Civile. Con questa azione, può chiedere al giudice di dichiarare che l’atto di donazione sia inefficace nei suoi confronti, permettendogli di agire sui beni donati come se fossero ancora nel patrimonio del debitore.

Se una donazione viene impugnata con azione revocatoria, è possibile difendersi sostenendo che si trattava di una vendita?
Sì, è una linea difensiva possibile. Si tratta di allegare una ‘simulazione relativa’, sostenendo che il contratto apparente (donazione) nasconde un contratto diverso e realmente voluto dalle parti (vendita). Tuttavia, la prova di tale simulazione è molto rigorosa.

Che tipo di prova è necessaria per dimostrare che una donazione era una vendita simulata, specialmente nei confronti di una curatela fallimentare?
La sentenza stabilisce che non è sufficiente produrre copie di assegni o scritture private tra le parti. È indispensabile fornire una prova documentale scritta (la cosiddetta ‘controdichiarazione’) che sia munita di ‘data certa’ (ai sensi dell’art. 2704 c.c.) anteriore alla dichiarazione di fallimento. Senza questo requisito, l’accordo simulatorio non è opponibile alla curatela, che agisce a tutela di tutti i creditori.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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