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Azione revocatoria: accordi di divorzio a rischio

La Corte d’Appello ha confermato la decisione di primo grado, rigettando l’appello di un debitore che aveva trasferito un immobile alla ex coniuge. I giudici hanno stabilito che, nonostante il trasferimento fosse parte di accordi di divorzio, l’azione revocatoria del creditore era fondata. La Corte ha qualificato l’atto come gratuito, poiché eccedeva la logica compensativa del divorzio, e ha ritenuto sufficiente la consapevolezza del debitore di arrecare un danno al creditore, rendendo l’atto inefficace nei suoi confronti.

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Azione revocatoria: gli accordi di divorzio non sono uno scudo contro i creditori

L’azione revocatoria è uno strumento fondamentale per la tutela dei creditori. Ma cosa succede quando un atto di disposizione patrimoniale, come il trasferimento di un immobile, avviene nel contesto di un accordo di divorzio? Una recente sentenza della Corte d’Appello chiarisce che tali accordi non garantiscono un’immunità automatica, soprattutto se l’operazione danneggia le ragioni di chi vanta un credito. Analizziamo insieme questo interessante caso.

I Fatti di Causa

La vicenda trae origine da un debito significativo che un soggetto aveva accumulato nei confronti di una società creditrice, derivante da un mutuo e un altro finanziamento. Parallelamente all’insorgere delle difficoltà finanziarie, il debitore, nel contesto degli accordi per la cessazione degli effetti civili del matrimonio, trasferiva due immobili alla sua ex coniuge.

La società creditrice, vedendo diminuire la garanzia patrimoniale su cui poter soddisfare il proprio credito, decideva di agire in giudizio. Da un lato, chiedeva l’accertamento e la condanna al pagamento del debito; dall’altro, esercitava un’azione revocatoria per far dichiarare inefficaci i trasferimenti immobiliari, sostenendo che fossero stati compiuti al solo scopo di sottrarre i beni alla sua aggressione.

Il Tribunale di primo grado dava ragione alla creditrice. Il debitore, non accettando la decisione, proponeva appello, sostenendo diverse tesi difensive, tra cui la violazione del principio del ne bis in idem e, soprattutto, l’errata qualificazione del trasferimento immobiliare, che a suo dire era un atto oneroso e dovuto, in quanto parte di un accordo di divorzio.

La Decisione della Corte d’Appello sull’azione revocatoria

La Corte d’Appello ha rigettato integralmente l’appello, confermando la sentenza di primo grado. I giudici hanno smontato punto per punto le difese del debitore, fornendo importanti chiarimenti sull’applicazione dell’azione revocatoria in contesti familiari.

Inesistenza della violazione del ‘ne bis in idem’

In primo luogo, la Corte ha respinto la tesi secondo cui la richiesta di un decreto ingiuntivo durante una causa ordinaria per lo stesso credito violasse il principio del ne bis in idem. La giurisprudenza consolidata ammette tale possibilità, prevedendo la riunione dei procedimenti, come correttamente avvenuto nel caso di specie.

La prova del credito

Anche le censure sulla presunta carenza di prova del credito sono state ritenute infondate. La Corte ha ribadito che, in caso di contratti di mutuo e finanziamento, la produzione dei contratti stessi e delle certificazioni che attestano l’erogazione e l’esposizione debitoria è sufficiente a provare il credito. Spetta al debitore, invece, dimostrare di aver adempiuto al pagamento.

L’applicazione dell’azione revocatoria agli accordi di divorzio

Il cuore della sentenza riguarda l’azione revocatoria. La Corte ha chiarito che qualificare un atto come oneroso o gratuito non dipende dalla sua mera inclusione in un accordo di divorzio. È necessario analizzare la sua funzione concreta. Nel caso specifico, il trasferimento dell’immobile di Cagliari è stato ritenuto un atto a titolo gratuito. Era avvenuto a oltre ventisei anni dalla separazione, in un contesto in cui non rispondeva più a una funzione di mantenimento o compensazione, ma eccedeva la normale logica solutoria dei rapporti tra ex coniugi.

Le Motivazioni della Sentenza

La motivazione della Corte si fonda su principi giuridici consolidati. Per l’azione revocatoria di un atto a titolo gratuito, il creditore deve provare due elementi:

1. L’eventus damni: il pregiudizio alle ragioni del creditore. La Corte ha specificato che non è necessario un danno effettivo, ma è sufficiente che l’atto di disposizione renda più incerta o difficile la riscossione del credito. La presenza di un’ipoteca su uno degli immobili non è bastata a escludere questo rischio, dato l’ammontare complessivo del debito.

2. La scientia damni: la consapevolezza del debitore di arrecare tale pregiudizio. Essendo un atto gratuito, non era necessario dimostrare la complicità del terzo (l’ex coniuge). La Corte ha ritenuto evidente che il debitore, trovandosi in una conclamata situazione di difficoltà economica, fosse pienamente consapevole che spogliarsi del suo principale bene immobile avrebbe danneggiato le garanzie patrimoniali a disposizione dei creditori.

I giudici hanno quindi concluso che il trasferimento, pur formalmente inserito in un accordo divorzile, aveva di fatto la natura di un atto gratuito, preordinato a sottrarre il bene alla garanzia del creditore, e come tale era legittimamente soggetto a revocatoria.

Le Conclusioni

Questa sentenza ribadisce un principio cruciale: gli accordi patrimoniali stipulati in sede di divorzio non sono una zona franca immune dall’azione revocatoria. I tribunali sono chiamati a valutare la sostanza e la causa concreta di ogni trasferimento. Se un atto, pur giustificato formalmente da un accordo familiare, eccede la sua funzione compensativa e si traduce in una liberalità che pregiudica i creditori, può essere dichiarato inefficace. Si tratta di una decisione che bilancia la tutela dell’autonomia privata negli accordi familiari con la necessità di proteggere l’integrità della garanzia patrimoniale del debitore, principio cardine del nostro ordinamento civile.

Un trasferimento immobiliare previsto in un accordo di divorzio può essere soggetto ad azione revocatoria?
Sì. La Corte ha stabilito che non è sufficiente che l’atto sia inserito in un accordo di divorzio per escluderne la revocabilità. È necessario verificare se l’atto risponda a una concreta funzione solutoria-compensativa o se, eccedendo tale logica, si configuri come un atto a titolo gratuito che pregiudica i creditori.

Cosa deve provare il creditore per ottenere la revoca di un atto di disposizione a titolo gratuito?
Il creditore deve provare due elementi: l’esistenza di un pregiudizio alle sue ragioni (eventus damni), che consiste nel rendere più difficile o incerto il recupero del credito, e la consapevolezza del debitore di arrecare tale pregiudizio con il suo atto (scientia damni).

La pendenza di una causa ordinaria per un debito impedisce al creditore di chiedere un decreto ingiuntivo per lo stesso credito?
No, la giurisprudenza costante ammette che un creditore possa chiedere un decreto ingiuntivo anche se è già in corso un giudizio ordinario per lo stesso credito. In caso di opposizione al decreto, i due procedimenti possono essere riuniti.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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