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Assistenza finanziaria: nullità acquisto azioni proprie

Il Tribunale di Torino si è pronunciato su un complesso caso di assistenza finanziaria. Alcuni investitori hanno citato in giudizio una banca per presunti illeciti in operazioni finanziarie. La corte ha dichiarato la nullità di un’operazione di acquisto di azioni della banca stessa, finanziata da un affidamento concesso dalla medesima, riducendo il debito degli attori. Tuttavia, ha rigettato gran parte delle altre domande, condannando gli investitori al pagamento del debito residuo e di ingenti spese legali, confermando la loro classificazione come clienti professionali.

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Acquisto Azioni Proprie con Fondi della Banca: Quando è Nullità per Assistenza Finanziaria?

Il divieto di assistenza finanziaria, sancito dall’articolo 2358 del Codice Civile, rappresenta un pilastro del diritto societario a tutela dell’integrità del capitale sociale. Una recente sentenza del Tribunale di Torino offre un’analisi dettagliata di questo principio, chiarendo le condizioni che determinano la nullità di un’operazione di acquisto di azioni proprie finanziata dalla stessa società emittente. Il caso esamina la sottile linea di demarcazione tra un lecito finanziamento e un’operazione vietata, con importanti conseguenze sul debito del cliente e sulla ripartizione delle spese legali.

I Fatti del Caso

La controversia vedeva contrapposti un gruppo di investitori e un istituto di credito. Gli investitori lamentavano una serie di illeciti e violazioni da parte della banca nella gestione dei loro rapporti, culminati in ingenti perdite economiche. Le loro richieste includevano l’annullamento di numerosi contratti, il risarcimento per la perdita del capitale e per altri danni subiti, per un valore complessivo di decine di milioni di euro. Di contro, la banca non solo respingeva ogni addebito, ma avanzava una domanda riconvenzionale per ottenere il pagamento di un cospicuo debito residuo da parte degli investitori, derivante dagli affidamenti concessi.

L’Analisi del Tribunale e la Prova dell’Assistenza Finanziaria

Il cuore della decisione del Tribunale ruota attorno alla valutazione della legittimità di alcune operazioni di acquisto di azioni della banca, effettuate dagli stessi investitori. La questione centrale era stabilire se la banca avesse fornito un’assistenza finanziaria vietata, finanziando di fatto l’acquisto dei propri titoli.

Il consulente tecnico d’ufficio (CTU) e il giudice hanno analizzato tre distinte operazioni di acquisto di azioni:

1. Un’operazione per cui mancava la prova della data.
2. Un’operazione avvenuta quando il conto corrente degli investitori presentava un saldo attivo.
3. Un’operazione del 22 febbraio 2013, avvenuta quando il conto era a debito per oltre 3,5 milioni di euro.

Il Tribunale ha escluso il nesso di assistenza finanziaria per le prime due operazioni. Per la terza, invece, ha riconosciuto la sussistenza di un “collegamento funzionale” tra un affidamento concesso in precedenza (24 settembre 2010) e l’acquisto delle azioni. Secondo il giudice, nonostante la distanza temporale, l’affidamento aveva messo a disposizione degli investitori, altrimenti privi di liquidità, le somme necessarie per compiere l’acquisto. Questa interdipendenza ha integrato la fattispecie di assistenza finanziaria vietata.

Un altro punto cruciale è stata la classificazione degli investitori come “clienti professionali su richiesta”. Il Tribunale ha ritenuto tale classificazione corretta, basandosi sull’enorme numero di operazioni effettuate, sull’entità del capitale gestito e sulla documentazione prodotta. Questa qualifica ha comportato un affievolimento delle tutele normalmente previste per i consumatori, portando al rigetto della maggior parte delle altre doglianze degli attori.

La Decisione Finale del Giudice

In virtù di queste valutazioni, il Tribunale ha emesso una sentenza complessa:

* Nullità parziale: Ha dichiarato la nullità parziale dell’affidamento del 2010 (limitatamente all’importo usato per l’acquisto illecito) e la nullità dell’acquisto delle 5.382 azioni del 2013.
* Condanna della Banca: Ha condannato la banca a restituire agli investitori le somme relative all’acquisto nullo, per un totale di circa 405.000 euro oltre interessi.
* Riduzione del Debito: Di conseguenza, il debito complessivo degli investitori verso la banca è stato ricalcolato, riducendolo di circa 10.000 euro per interessi non dovuti.
* Condanna degli Investitori: Ha condannato gli investitori, in solido tra loro, a pagare alla banca il debito residuo, pari a quasi 12,6 milioni di euro.
* Spese Legali: A causa del rigetto della stragrande maggioranza delle loro domande, gli investitori sono stati condannati a rimborsare alla banca le ingenti spese di lite (oltre 224.000 euro) e a pagare un’ulteriore somma di circa 50.000 euro a titolo di risarcimento per lite temeraria, a causa del loro comportamento processuale.

Le Motivazioni della Sentenza

La motivazione della sentenza si fonda su una distinzione netta tra le diverse domande degli attori. Il rigetto della maggior parte delle pretese deriva dalla conferma dello status di “cliente professionale”, che esclude l’applicazione della disciplina a tutela del consumatore e presuppone un elevato grado di consapevolezza dei rischi da parte dell’investitore. Gli attori non sono riusciti a provare specifiche violazioni dei doveri di correttezza da parte della banca.

L’accoglimento della domanda sull’assistenza finanziaria si basa, invece, sull’applicazione rigorosa dell’art. 2358 c.c. e della giurisprudenza di legittimità. Il Tribunale ha ritenuto provato il “collegamento funzionale” tra l’erogazione del credito e l’acquisto delle azioni, poiché il primo è stato la condizione necessaria per il compimento del secondo, in un momento in cui il conto era passivo. Questo nesso strumentale, finalizzato al raggiungimento di uno scopo vietato dalla legge, ha determinato la nullità dell’operazione. Infine, la pesante condanna alle spese legali è una diretta conseguenza del principio di soccombenza e di una sanzione per il comportamento processuale ritenuto ostruzionistico.

Conclusioni

Questa pronuncia ribadisce che la prova dell’assistenza finanziaria vietata richiede un’indagine rigorosa sul nesso causale e funzionale tra il finanziamento e l’acquisto di azioni proprie. La sola contestualità non è sufficiente, ma non è nemmeno necessaria se il legame strumentale è dimostrabile. La sentenza evidenzia inoltre le profonde implicazioni della classificazione come “cliente professionale”, che riduce drasticamente le tutele per l’investitore. Infine, emerge un monito sui rischi del contenzioso: avanzare pretese per valori esorbitanti, che vengono poi in larga parte respinte, può portare a condanne alle spese legali e per lite temeraria di importo tale da vanificare economicamente l’esito favorevole ottenuto su singoli punti.

Quando un finanziamento bancario per l’acquisto di azioni della banca stessa è considerato ‘assistenza finanziaria’ vietata?
Secondo la sentenza, si configura un’assistenza finanziaria vietata quando è dimostrabile un ‘collegamento funzionale’ tra il finanziamento e l’acquisto. Ciò avviene quando l’affidamento, anche se concesso in un momento diverso, serve oggettivamente a fornire al cliente le risorse per acquistare le azioni della banca, specialmente se il suo conto corrente è in una posizione debitoria.

La classificazione di un cliente come ‘professionale su richiesta’ può essere contestata con successo?
Nel caso di specie, la contestazione non ha avuto successo. Il Tribunale ha confermato la validità della classificazione basandosi su elementi concreti come l’elevato numero di operazioni finanziarie complesse (oltre 33.000 in un decennio), l’ingente ammontare dei capitali movimentati e la presenza di una richiesta formale da parte del cliente, ritenendo questi fattori sufficienti a supportare la scelta della banca.

Cosa comporta la dichiarazione di nullità di un’operazione per assistenza finanziaria?
La dichiarazione di nullità comporta che l’operazione di acquisto delle azioni e la parte di finanziamento a essa collegata vengono considerate come mai avvenute. Di conseguenza, la banca è tenuta a restituire le somme addebitate per l’acquisto (in questo caso circa 405.000 euro) e il debito complessivo del cliente viene ricalcolato escludendo gli interessi maturati su quella porzione di finanziamento dichiarata nulla.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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