Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 8272 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 8272 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: AMATORE NOME
Data pubblicazione: 27/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso n. 7055-2019 r.g. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, con sede in Capoterra, INDIRIZZO, P_IVA, in persona del suo legale rappresentante pro tempore NOME COGNOME, rappresentata e difesa per procura in atti , unitamente all’AVV_NOTAIO, già costituito, dall’AVV_NOTAIO, elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO, presso l’AVV_NOTAIO.
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, P_IVA, in persona dei suoi curatori AVV_NOTAIO NOME COGNOME e AVV_NOTAIO NOME COGNOME, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO, come da procura in atti, elettivamente domiciliato in Roma INDIRIZZO nello studio dell’AVV_NOTAIO.
-controricorrente –
avverso il decreto del Tribunale di Cagliari, depositato in data 16.1.2019; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 13/2/2024 dal AVV_NOTAIO;
RILEVATO CHE
1.Con ricorso ex artt. 98 e 99 l. fall. l’ RAGIONE_SOCIALE proponeva opposizione allo stato passivo del RAGIONE_SOCIALE per contestare il decreto del g.d che aveva disposto la sua esclusione per il credito di euro 24.003,69, sul rilievo che la documentazione allegata (contratto e fatture) non era munita di data certa.
Il Tribunale, con il decreto qui oggetto di ricorso, ha rigettato la proposta opposizione, confermando pertanto il provvedimento di esclusione pronunciato dal g.d.
Il Tribunale ha rilevato che: (a) l’associazione opponente, costituita dagli operatori del RAGIONE_SOCIALE, aveva chiesto ex art. 93 l. fall. di essere ammessa al passivo per un credito che sarebbe derivato dalla adesione della RAGIONE_SOCIALE all a detta associazione, per effetto dell’affitto di ramo d’azienda avente ad oggetto un’ unità RAGIONE_SOCIALE compresa nel RAGIONE_SOCIALE I RAGIONE_SOCIALE; (b) l’associazione aveva infatti come scopo statutario di riunire gli operatori e i conduttori di esercizi all’interno d el RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE al fine di gestire gli spazi comuni, sviluppare il RAGIONE_SOCIALE e promuoverne l’attività, secondo le disposizioni contenute nello statuto e nel regolamento che disciplinavano anche gli obblighi di partecipazione di ciascun operatore alle spese e al funzionamento dell’associazione stessa; (c) a fondamento della domanda di opposizione dello stato passivo era stato prodotto in sede di ricorso il contratto di affitto di ramo di azienda del 2010, privo di data certa, nonché le fatture emesse e non pagate a decorrere dal 2012, specificando l ‘ opponente che, in sede di osservazione nel corso del procedimento di verifica, aveva altresì prodotto la relazione dei commissari del concordato preventivo COGNOME , un atto pubblico di affitto di ramo d’azienda risalente al 2000, nonché varie comunicazioni delle parti; (d) l’associazione opponente, con l’istanza di ammissione allo stato passivo, si era limitata ad allegare che il
credito derivava dall’adesione della RAGIONE_SOCIALE all’associazione degli operatori del RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE; (e) ai fini della dimostrazione della fondatezza del diritto di credito così azionato non rilevavano tuttavia i contratti di affitto di ramo d’azienda tra la società RAGIONE_SOCIALE, proprietaria del RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, e la RAGIONE_SOCIALE stessa , conduttrice di un suo ramo d’azienda, quanto piuttosto solo ed esclusivamente i rapporti tra l’associazione degli operatori del RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE, posto che il contratto di affitto regolava invero esclusivamente il rapporto tra la proprietà dell’azienda e la stessa RAGIONE_SOCIALE, ma non determinava automaticamente l’adesione della conduttrice COGNOME all’associazione degli operatori del RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE né pertanto l’opponibilità a d essa dello statuto e del regolamento associativo; (f) mentre nel contratto del 2010 (comunque privo di data certa), alcun riferimento era fatto all’associazione, nel contratto di affitto del 2000, tra le premesse , era solo previsto che RAGIONE_SOCIALE ‘renderà obbligatoria l’adesione degli operatori commerciali del RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE alla associazione degli operatori’, risultando dunque evidente che, al di là di tale previsione negoziale programmatica, non risultava che l’impegno di rendere obbligatoria l’adesione si fosse poi concretizzat o; (g) era comunque dirimente che il contratto di affitto del 2000, unico con data certa, era cessato nel 2006, non essendo previsto alcun rinnovo tacito e che pertanto esso non poteva ritenersi vincolante per COGNOME quanto all’obbligo di versare quote all ‘associazione opponente relative agli anni dal 2012 in poi; (h) l’opponente non aveva neanche documentato in altro modo l’adesione di COGNOME alla sua a ssociazione o comunque l’esistenza di un rapporto obbligatorio tra essa associazione e COGNOME per la partecipazione alle spese associative; (i) né aveva documentato che NOME avesse mai versato spese, oneri o quote associative in favore dell’associazione prece dentemente al 2012; (l) sebbene fosse circostanza non contestata che COGNOME avesse detenuto un locale all’interno del RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE fino al 2013, da ciò solo non si poteva far derivare -contrariamente a quanto sostenuto dall’opponente la prova della partecipazione di COGNOME all’associazione né di una obbligazione a contribuire alla spese associative; (m) la prova del rapporto associativo neanche poteva desumersi dalle fatture e messe dall’associazione
opponente, trattandosi di documentazione formata unilateralmente dal creditore; (n) quanto alla valenza probatoria della relazione del commissario giudiziale del concordato preventivo, il credito dell’opponente era stato indicato nel suo importo integrale, senza alcuna specificazione della natura e del titolo giustificativo del credito, così da impedire di cogliere quale fosse la fonte costitutiva del credito; (o) pur restando salvo l’eventuale diritto di credito derivante da un ingiustificato arricchimento della RAGIONE_SOCIALE per aver beneficiato dei servizi resi dall’associazione opponente , tale diritto non era stato tuttavia tempestivamente azionato con la domanda di ammissione al passivo e dunque non era proponibile nel successivo giudizio di opposizione. 2. Il decreto, pubblicato il 16.1.2019, è stato impugnato da RAGIONE_SOCIALE con ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, cui il RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso.
La ricorrente ha depositato memoria.
CONSIDERATO CHE
1.Con il primo composito motivo la ricorrente lamenta: (a) ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cpc e 2697 cc, in relazione agli artt. 48 CAD e successive modifiche; agli artt. 99 e 101 l. fall.; (b) ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 2729 cc, (c) ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., omessa motivazione su fatti decisivi ed omesso esame di fatti decisivi per il giudizio oggetto di discussione tra le parti; (d) ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., nullità della sentenza per violazione degli artt. 112 e 183 c.p.c. e 101, 2 comma, c.p.c.
1.1 Il motivo è complessivamente infondato.
1.1.1 Secondo la ricorrente sarebbe viziato il ragionamento contenuto nel decreto impugnato laddove aveva affermato l’assoluta ininfluenza dei contratti di affitto di ramo d’azienda per la dimostrazione del credito insinuato, in quanto il Tribunale aveva contemporaneamente anche affermato che costituiva fatto non contestato la detenzione da parte di NOME del
locale aziendale dal 2000 al 2013. Il Tribunale avrebbe, poi, perseverato nella violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. allorquando aveva affermato che essa associazione ricorrente non aveva documentato di aver precedentemente al 2012 ricevuto rimborsi ovvero pagamenti da parte della RAGIONE_SOCIALE, come invece documentato dalle fatture emesse e poi prodotte in giudizio. Aggiunge l’associazione ricorrente che, fronte di tali specifiche affermazioni, il fallimento opposto nulla aveva contestato, con la conseguenza che le dette circostanze, ai sensi degli artt. 115 e 116 c.p.c., avrebbero dovuto essere poste dal Tribunale a fondamento della decisione. Sottolinea ancora la ricorrente che il Tribunale, con la sopra richiamata motivazione, avrebbe dimostrato di non aver esaminato ulteriormente la circostanza secondo cui il rapporto associativo, dopo la sua instaurazione, avrebbe potuto terminare, per espressa disposizione statutaria, solo con la cessazione della detenzione dell’unit à aziendale da parte degli operatori del RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, cessazione che era stata incontestabilmente riconosciuta sia da parte del fallimento che dal Tribunale. La partecipazione all’associazione sarebbe stata, inoltre, dimostrata sia dalla circostanza che la società poi fallita era titolare di 135,35 millesimi nell’associazione stessa sia dal fatto che NOME COGNOME aveva rappresentato la COGNOME nel consiglio direttivo dell’associazione. Tali ultime circostanze -precisa la ricorrente -non sarebbero state considerate dal Tribunale, nonostante la loro evidente decisività. Neanche sarebbe stata condivisibile l’affermazione secondo cui non vi era nel c ontratto di affitto dell’8.7.2010 alcun riferimento all’associazione, posto che l’art. 8.1 del detto contratto avrebbe invece regolato proprio l’obbligo della conduttrice di rimborsare all’associazione tutte le spese specifiche. Si evidenzia inoltre l’erro neità della decisione impugnata anche laddove aveva rilevato l’irrilevanza probatoria del contratto di affitto di ramo d’azienda del 2000, unico dotato di data certa, stante la cessazione del suo vigore negoziale nel 2006, in quanto il titolo di pagamento delle spese associative, dopo l’acquisto della qualità di operatore del RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE attraverso la detenzione dell ‘ unità aziendale, non trovava più la sua fonte nel contratto, bensì nell’atto costitutivo e nel relativo regolamento. Errata doveva anche essere considerata l’affermata irrilevanza probatoria delle allegate fatture, posto che
quest’ultime risultavano emesse antecedentemente alla dichiarazione di fallimento e non ne era stata contestata datazione e ricezione e perché le stesse erano state richiamate nell’estratto contabile allegato alla dichiarazione di credito. Da ultimo non poteva neanche essere sottovalutato che il fallimento non avesse mai contestato la sua partecipazione all’associazione.
1.1.2 Le doglianze contenute nel primo sottomotivo (sub a) del primo motivo di ricorso sono all’evidenza inammissibili per due concorrenti ragioni.
Sotto un primo profilo di osservazione, non può sfuggire che le censure, proposte peraltro sotto l’egida applicativa del vizio di violazione e falsa applicazione di norme di diritto (sub specie degli artt. 115 e 116 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c.), tendono a sollecitare questa Corte di legittimità ad un nuovo scrutinio dell’intero compendio istruttorio di matrice documentale (contratti di affitto d’azienda; fatture) per accreditare in questo giudizio di legittimità, tramite la rilettura degli atti, un nuovo apprezzamento in ordine alla sussistenza dei fatti costitutivi del diritto di credito azionato dall’associazione in sede di verifica endoconcorsuale d ei crediti insinuati al passivo, con la dovuta precisazione -già correttamente contenuta nel decreto qui impugnato -che il fatto costitutivo principale di tale diritto creditorio risiedeva nella partecipazione (ritenuta non provata anche nel giudizio di opposizione) della RAGIONE_SOCIALE a ll’associazione più volte menzionata e non già, come opinato ripetutamente da parte della ricorrente, nella semplice detenzione dell’unità immobiliare all’interno del complesso edilizio I RAGIONE_SOCIALE sulla base del contratto di affitto di ramo d’azienda.
Sul punto giova ricordare che, in relazione agli indici normativi di cui si lamenta la violazione in questo primo motivo di ricorso (artt. 115 e 116 c.p.c.), la giurisprudenza di questa Corte di legittimità ha già avuto modo di precisare che, in tema di ricorso per cassazione, per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre
è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c. (cfr. Cass., Sez. U., Sentenza n. 20867 del 30/09/2020; Sez. 5, Ordinanza n. 16016 del 09/06/2021).
1.1.3 Sotto altro profilo di riflessione, le censure, attardandosi a rievocare in questo giudizio di legittimità un inammissibile nuovo scrutinio della quaestio facti , neanche censurano adeguatamente la ratio decidendi già sopra ricordata, che si fonda sul rilievo che l’asso ciazione opponente, per dimostrare la fondatezza della sua pretesa creditoria, avrebbe dovuto dimostrare documentalmente la partecipazione della società poi fallita all’associazione stessa e non limitarsi, invece, a dimostrare la detenzione, tramite l’allegazione dei contratti di affitto di ramo d’azienda, di una porzione delle unità immobiliari comprese nel RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE per inferirne invece la partecipazione della società ancora in bonis al vincolo associativo.
Le ulteriori censure (mancata valutazione delle fatture; partecipazione del COGNOME al consiglio direttivo) attingono sempre profili riguardanti l’apprezzamento delle prove documentali, qui neanche articolate sotto l’egida applicativa del vizio di cui all’ art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c. e, cioè, sotto la veste dell’omesso esame di fatti decisivi e comunque riguardano profili non rilevanti ai fini del decidere, stante la già affermata natura di atti di formazione unilaterali delle fatture e stante la mancata dimostrazione da parte dell’odierna ricorrente (anche tramite la lettura dello statuto dell’associazione) della necessaria partecipazione al predetto consiglio direttivo solo ed esclusivamente di rappresentanti delle parti associate.
1.2 Denuncia ancora l’associazione ricorrente che il Tribunale avrebbe comunque errato nel non aver apprezzato gli elementi di prova, già sopra elencati nel sottomotivo (a), come elementi indiziari che, qualora correttamente scrutinati ai sensi dell’art. 2729 c .c., avrebbero condotto il giudicante a ritenere provata la partecipazione della società poi fallita all’associazione stessa. Tali elementi sarebbero stati, più nel particolare: (i) l’incontestata protrazione della detenzione dell’azienda all’interno del RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE; (ii) l’incontestato pagamento delle quote sino alla fattura 165
del novembre 1982, (iii) il riconoscimento del rapporto da parte dei curatori giudiziali.
1.2.1 Anche tali censure sono inammissibili.
Sul punto risulta utile ricordare che, secondo il costante orientamento espresso da questa Corte di legittimità (cfr. da ultimo anche: Sez. 2, Ordinanza n. 9054 del 21/03/2022), in tema di prova presuntiva, il giudice è tenuto, ai sensi dell’art. 2729 c.c., ad ammettere solo presunzioni “gravi, precise e concordanti”, laddove il requisito della “precisione” è riferito al fatto noto, che deve essere determinato nella realtà storica, quello della “gravità” al grado di probabilità della sussistenza del fatto ignoto desumibile da quello noto, mentre quello della “concordanza”, richiamato solo in caso di pluralità di elementi presuntivi, richiede che il fatto ignoto sia -di regola -desunto da una pluralità di indizi gravi, precisi e univocamente convergenti nella dimostrazione della sua sussistenza, e ad articolare il procedimento logico nei due momenti della previa analisi di tutti gli elementi indiziari, onde scartare quelli irrilevanti, e nella successiva valutazione complessiva di quelli così isolati, onde verificare se siano concordanti e se la loro combinazione consenta una valida prova presuntiva (cd. convergenza del molteplice), non raggiungibile, invece, attraverso un’analisi atomistica degli stessi. Ne consegue che la denuncia, in cassazione, di violazione o falsa applicazione del citato art. 2729 c.c., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., può prospettarsi quando il giudice di merito affermi che il ragionamento presuntivo può basarsi su presunzioni non gravi, precise e concordanti ovvero fondi la presunzione su un fatto storico privo di gravità o precisione o concordanza ai fini dell’inferenza dal fatto noto della conseguenza ignota e non anche quando la critica si concreti nella diversa ricostruzione delle circostanze fattuali o nella mera prospettazione di una inferenza probabilistica diversa da quella ritenuta applicata dal giudice di merito o senza spiegare i motivi della violazione dei paradigmi della norma (cfr. anche: Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 5279 del 26/02/2020; Cass. n.15737 del 2003).
Ma nel caso di specie le doglianze -oltre a non essere state proposte secondo il paradigma sopra delineato dalla giurisprudenza di legittimità -si appuntano, più a monte, nel non aver il Tribunale applicato tale meccanismo
di giudizio fondato sulla prova presuntiva, così evidenziando viepiù la inammissibilità delle censure che vanno ad attingere proprio il modello di valutazione della prova applicato dai giudici del merito, che costituisce la prerogativa insindacabile di que st’ultimi e non può essere oggetto di rivalutazione nel giudizio di cassazione ove invece si incardina il sindacato di legittimità della decisione impugnata.
1.3 Sindaca, poi, la ricorrente, nel terzo sottomotivo (c), il provvedimento impugnato anche per aver omesso la valutazione di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, e cioè il ‘fatto’ dell’ originaria partecipazione della RAGIONE_SOCIALE, allorquando era in bonis , all ‘ associazione, come tale desumibile, da un lato, dalla sua individuazione nelle tabelle millesimali allegate al regolamento associativo e, dall’altro, dalla partecipazione del suo socio e amministratore delegato NOME COGNOME al consiglio direttivo dell’associazione.
Tali fatti decisivi sarebbero stati pretermessi dal Tribunale nelle sue valutazioni decisorie.
1.3.1 Ritiene il Collegio che tali fatti difettino, almeno nella prospettazione avanzata dalla ricorrente nel motivo di ricorso qui in esame, del requisito della decisività, secondo il paradigma applicativo del vizio di cui all’art. 360, primo comma n. 5, c.p.c., qui invocato, per come perimetrato anche dalla giurisprudenza di questa Corte di legittimità (Cass. Sez. Un. n. 8053/2014). In ordine al primo profilo di doglianza, riguardante il ‘fatto’ costituito dall’omesso esame delle tabelle millesimali, occorre precisare che ciò che avrebbe dovuto dimostrare in giudizio l’associazione ricorrente per legittimare l’ammissione del suo credito era la partecipazione della RAGIONE_SOCIALE all’associazione stessa nel momento in cui erano maturate le spese e gli oneri partecipativi, risultando irrilevante pertanto la documentazione attestante una possibile originaria partecipazione della predetta società al vincolo associativo.
In relazione al secondo profilo, la decisività della circostanza allegata (partecipazione del COGNOME al consiglio direttivo) sarebbe stata dimostrata qualora la ricorrente avesse allo stesso tempo dimostrato che la
partecipazione all’organo rappresentativo fosse riservato solo ai soci della predetta associazione, per vincolo statutario o di regolamento.
1.4 Sostiene da ultimo la ricorrente la violazione dell’art. 101, 2 comma, c.p.c., da parte del Tribunale che avrebbe sollevato ex officio una questione (peraltro, non contestata), e cioè la mancata dimostrazione della partecipazione all’associazione per escluderla dall’ammissione del suo credito al passivo, senza tuttavia sollecitare il contraddittorio delle parti sul punto.
1.4.1 La doglianza è manifestamente infondata.
Va infatti precisato che la questione della partecipazione della RAGIONE_SOCIALE all’associazione che, peraltro, risulta, dalla lettura del provvedimento impugnato, anche essere stata contestata dal fallimento opposto -non rappresenta un fatto sollevato a sorpresa dal Tribunale, attivando i suoi poteri officiosi, ma rappresenta invero un fatto costitutivo del diritto di credito insinuato al passivo, la cui dimostrazione spettava dunque alla parte richiedente la ammissione al passivo fallimentare e sul quale il Tribunale si è soffermato e ha argomentato, ritenendo la circostanza non dimostrata in giudizio, secondo un apprezzamento in fatto qui non più sindacabile.
Con il secondo mezzo si deduce violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., degli artt. 2704 e 2709 c.c.; e ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, c .p.c., vizio di omesso esame di fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti.
2.1 Sostiene di nuovo la ricorrente che avrebbe dimostrato la detenzione della unità immobiliare compresa nel RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE tramite una serie di documenti e circostanze allegate (contratto di affitto di ramo d’azienda; aumento quote millesimali; pagamento con frequenza progressiva degli oneri associativi tramite le fatture; comunicazione cessazione dalla unità immobiliare del 5.3.2013; partecipazione al consiglio direttivo; ammissione del credito nella procedura di concordato preventivo), circostanze tutte mai contestate dal RAGIONE_SOCIALE, con la conseguenza che la detenzione e l’esercizio dell’azienda sino al 28.2.2013 e il pagamento delle fatture dopo il luglio 2010 e sino al novembre 2012 sarebbero state circostanze erroneamente apprezzate ai fini decisori da parte del Tribunale, così violando gli artt. 115 e 116 c.p.c.
2.2 Sostiene inoltre la ricorrente che, pur essendo condivisibile che le fatture rappresentano documenti formati unilateralmente dal creditore e dunque non probanti, tuttavia il pagamento delle stesse da parte del debitore doveva valere come riconoscimento del titolo giuridico posto alla base della domanda di ammissione al passivo.
2.3 Le doglianze sono inammissibili.
2.3.1 Ancora una volta la ricorrente pretende, sotto l’egida applicativa del vizio di violazione e falsa applicazione di legge (artt. 2704 e 2709 c.c.), un nuovo apprezzamento in fatto degli elementi di prova di matrice documentale per addivenire ad un diverso ed alternativo scrutinio della fondatezza della sua domanda di riconoscimento del credito in sede endoconcorsuale.
Sul punto giova ricordare in termini generali che – in tema di ricorso per cassazione – il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità (così, Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019; cfr. anche Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 24155 del 13/10/2017). Più precisamente è stato affermato, sempre dalla giurisprudenza di questa Corte di legittimità, che le espressioni violazione o falsa applicazione di legge, di cui all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., descrivono i due momenti in cui si articola il giudizio di diritto: a) quello concernente la ricerca e l’interpretazione della norma ritenuta regolatrice del caso concreto; b) quello afferente all’applicazione della norma stessa una volta correttamente individuata ed interpretata. Il vizio di violazione di legge investe immediatamente la regola di diritto, risolvendosi nella negazione o affermazione erronea della esistenza o inesistenza di una norma, ovvero nell’attribuzione ad essa di un contenuto che non possiede, avuto riguardo alla fattispecie in essa delineata; il vizio di falsa applicazione di legge consiste, o nell’assumere la fattispecie concreta giudicata sotto una norma che non le si addice, perché la fattispecie astratta da essa prevista – pur rettamente
individuata e interpretata – non è idonea a regolarla, o nel trarre dalla norma, in relazione alla fattispecie concreta, conseguenze giuridiche che contraddicano la pur corretta sua interpretazione. Non rientra nell’ambito applicativo dell’art. 360, comma 1, n. 3, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa che è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta perciò al sindacato di legittimità (cfr. Sez. 1, Ordinanza n. 640 del 14/01/2019).
Le censure – che dunque sollecitano una nuova lettura della documentazione sopra ricordata (contratto di affitto di ramo d’azienda; fatture; note di credito), per addivenire ad un diverso apprezzamento della fattispecie concreta – devono pertanto ritenersi fuori del perimetro delimitante il sindacato del giudice di legittimità.
2.3.2 Sotto altro profilo ed in relazione alla dedotta violazione dell’art. 2704 cod. civ., le censure sono di nuovo inammissibili perché fuori fuoco rispetto alla ratio decidendi del provvedimento impugnato, posto che le fatture -di cui si lamenta l’erronea lettura da parte del Tribunale sono state ritenute probatoriamente irrilevanti non già perché non aventi data certa ex art. 2704 c.c., quanto piuttosto perché atti di formazione unilaterale del creditore.
In realtà, il Tribunale ha ritenuto non provata la partecipazione della società poi fallita all’associazione e dunque ha ritenuto non dimostrata l’ esistenza del vincolo negoziale sulla cui base sarebbe sorto il rapporto creditorio insinuato al passivo e non già l’opponibilità di un documento (cioè, a rigore, la dichiarazione di adesione della RAGIONE_SOCIALE all’associazione) del quale non è stata allegata e dedotta in giudizio neanche l’esistenza.
2.3.4 Ma non risulta neanche condivisibile l’affermata mancata valutazione del Tribunale della circostanza che le fatture versate in atti sarebbero state accompagnate anche dall’intervenuto pagamento delle stesse da parte della società in bonis , almeno per il primo periodo, posto che tale pagamento sarebbe stato dimostrato da una nota di credito proveniente dalle scritture contabili della stessa creditrice, che, per quanto osservato correttamente dal Tribunale, non sarebbero opponibili al curatore, ai sensi degli artt. 2709 e
2710 c.c., in quanto soggetto terzo rispetto alla massa (Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 27902 del 04/12/2020).
Con il terzo motivo si censura il provvedimento impugnato, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per violazione degli artt. 2704 c.c. e 244 c.p.c., nonché per vizio di omesso esame di fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti.
3.1 Sostiene la ricorrente che aveva dedotto in giudizio prova testimoniale articolata in capitoli attraverso la quale si era proposta di provare tutta la serie di circostanze che il Tribunale aveva ritenuto non dimostrate documentalmente, e cioè la sua partecipazione all’associazione, l’adempimento agli obblighi di pagamento per spese ed oneri associativi , prova testimoniale che tuttavia il Tribunale non aveva ammesso, con conseguente violazione degli articoli sopra indicati in rubrica.
3.2 Le doglianze sono in realtà infondate.
Osserva il Collegio che la prova testimoniale richiesta e non ammessa sarebbe stata rivolta a fornire la dimostrazione di un fatto equipollente ex art. 2704 c.c. volto a provare l’anteriorità del rapporto contrattuale (contratto di affitto) rispetto alla dichiarazione di fallimento. Se così è, allora la prova testimoniale articolata risulta del tutto irrilevante ai fini del decidere, perché la ratio decidendi del provvedimento impugnato risiede invece sul diverso profilo della mancata prova dell ‘ esistenza del vincolo associativo tra le parti e non già sul diverso profilo dell ‘ opponibilità del già menzionato documento alla curatela. Del pari inammissibile risulta essere la prova testimoniale articolata per dimostrare la detenzione dell’immobile, element o di per sé non idoneo a provare la partecipazione della società in bonis all’associazione. Anche le ulteriori circostanze capitolate (tabelle millesimali; partecipazione al consiglio direttivo) risultano irrilevanti per le circostanze già sopra spiegate.
4. Il quarto mezzo denuncia invece violazione e falsa applicazione degli artt. 93, 94, 99 , 101 l. fall., in relazione all’art. 183, 5 comma, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. ; nonché, ai sensi dell’art.360, primo comma, n. 4, c.p.c. , violazione dell’art. 112 c .p.c., sul rilievo che il tribunale aveva ritenuto erroneamente inammissibile la sua domanda subordinata di
ingiustificato arricchimento perché proposta per la prima volta nel giudizio di opposizione allo stato passivo, anziché in quello di verifica del passivo.
4.1 Le doglianze sono in ammissibili, ai sensi dell’art. 360bis c.p.c., perché la decisione impugnata ha correttamente applicato i principi consolidati, dettati nella materia in esame, dalla giurisprudenza di questa Corte.
Sul punto giova infatti ricordare che, nell’ambito del procedimento di opposizione allo stato passivo, sono inammissibili domande dell’opponente nuove rispetto a quelle spiegate nella precedente fase, non applicandosi il principio, proprio del giudizio di primo grado, secondo cui entro il primo termine di cui all’art. 183, comma 6, c.p.c., è consentita la “mutatio” di uno o entrambi gli elementi oggettivi della domanda, petitum e causa petendi , sempre che essa, così modificata, risulti comunque connessa alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio; il procedimento di opposizione allo stato passivo ha infatti natura impugnatoria, è disciplinato specificamente dall’art. 99 l.fall. e si coordina necessariamente con quanto previsto dall’art. 101 l.fall., non consentendo perciò l’applicazione, neppure analogica, dei principi espressi in tema di opposizione a decreto ingiuntivo (così, espressamente Cass. Sez. 1, Sentenza n. 6279 del 24/02/2022; v. anche: Sez. 1, Ordinanza n. 32750 del 07/11/2022, secondo cui verbatim : ‘ Il procedimento di opposizione allo stato passivo è un giudizio di carattere impugnatorio e, come tale, in difetto di una previsione espressa nell’art. 99 l.fall. che integralmente lo disciplina, non consente né l’introduzione di domande nuove, né la c.d.” emendatio libelli”, le quali vanificherebbero, d’altronde, l’obiettivo di semplificazione e celerità perseguito dal procedimento in parola nel rispetto dell’art. 24 Cost. ‘).
Ne consegue il complessivo rigetto del ricorso.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art.13 (Cass. Sez. Un. 23535 del 2019).
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore del fallimento controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 3.200 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15
per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, il 13.02.2024