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Accreditamento sanitario: l’accordo scritto è cruciale

Una struttura sanitaria è stata condannata a restituire oltre 685.000 euro a un’Azienda Sanitaria Locale per prestazioni erogate oltre la capacità operativa massima. La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso della struttura, confermando le decisioni dei giudici di merito. Il punto centrale della vicenda è la mancata prova di un formale accordo scritto che giustificasse tali prestazioni, rendendo i pagamenti ricevuti indebiti e soggetti a restituzione secondo il principio dell’accreditamento sanitario.

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Pubblicato il 24 ottobre 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Accreditamento Sanitario: Senza Accordo Scritto, le Prestazioni Non Vanno Pagate

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha riaffermato un principio fondamentale nel rapporto tra strutture sanitarie private e Servizio Sanitario Nazionale: l’importanza dell’accordo scritto. Il tema dell’accreditamento sanitario torna al centro del dibattito, con una pronuncia che sottolinea come, in assenza di un contratto formale, le prestazioni erogate oltre i limiti concordati non solo non danno diritto a un compenso, ma possono portare alla richiesta di restituzione delle somme già versate. Analizziamo insieme questo caso emblematico.

I Fatti del Caso: una Richiesta di Restituzione da 685.000 Euro

La vicenda ha origine quando un’Azienda Sanitaria Locale (ASL) ha richiesto a una struttura sanitaria privata la restituzione di un importo complessivo di 685.529,56 euro. Secondo l’ASL, tale somma era stata erogata indebitamente tra il 1999 e il 2001 per prestazioni sanitarie che eccedevano la capacità operativa massima (COM) assegnata alla struttura.

La struttura sanitaria, ritenendo di aver diritto a tali compensi, ha reagito in due modi: ha avviato una causa per far accertare l’inesistenza del debito e si è opposta al decreto ingiuntivo che nel frattempo l’ASL aveva ottenuto. I due procedimenti sono stati riuniti e portati davanti al Tribunale.

Il Tribunale di primo grado ha dato ragione all’ASL, rigettando sia la domanda della struttura che la sua opposizione al decreto ingiuntivo. La decisione è stata confermata anche in secondo grado dalla Corte d’Appello, la quale ha sottolineato come la struttura non avesse fornito la prova né di un valido accreditamento né, soprattutto, di un accordo scritto che regolasse le prestazioni per il periodo in questione.

L’Appello in Cassazione e le Regole sull’accreditamento sanitario

Non soddisfatta delle decisioni dei giudici di merito, la struttura sanitaria ha presentato ricorso in Cassazione, basandolo principalmente su due motivi.

Con il primo motivo, la ricorrente lamentava che la Corte d’Appello avesse ignorato documenti cruciali, come una vecchia convenzione del 1987 e una delibera dell’ASL del 2000, che a suo dire avrebbero dimostrato il suo diritto a operare. Con il secondo motivo, contestava l’obbligo di restituzione, sostenendo che l’ASL non avesse adeguatamente provato l’indebito pagamento.

La Corte di Cassazione, tuttavia, ha dichiarato il ricorso inammissibile per diverse ragioni procedurali e di merito.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha evidenziato diverse carenze nel ricorso presentato. In primo luogo, la struttura sanitaria non aveva specificato in modo adeguato quando e come i documenti ritenuti decisivi fossero stati prodotti nei precedenti gradi di giudizio, un requisito formale indispensabile per la loro valutazione in sede di legittimità.

Ma il punto cruciale della decisione risiede altrove. La Corte ha ribadito che, secondo la normativa sull’accreditamento sanitario (in particolare il D.Lgs. 502/1992), il passaggio dal vecchio sistema basato su convenzioni a quello nuovo basato su accreditamento e accordi contrattuali richiedeva necessariamente un accordo in forma scritta. Questo accordo definisce sia i limiti quantitativi delle prestazioni (il budget) sia le tariffe. L’originaria convenzione, invocata dalla ricorrente, era da considerarsi superata e inefficace dopo la riforma.

La Corte d’Appello aveva correttamente ritenuto che, anche nel periodo transitorio, fosse necessario un accordo scritto per giustificare le remunerazioni. Il ricorso della struttura sanitaria non ha censurato efficacemente questa ratio decidendi, limitandosi a ribadire la propria tesi senza affrontare il cuore del ragionamento dei giudici di merito. Di conseguenza, non sussistendo un diritto a ricevere i pagamenti per le prestazioni extra, era fondato il diritto dell’ASL a ottenerne la restituzione ai sensi dell’art. 2033 del Codice Civile (indebito oggettivo).

Le Conclusioni e le Implicazioni Pratiche

La decisione della Cassazione è un monito per tutte le strutture sanitarie private che operano in regime di accreditamento. La pronuncia chiarisce che la semplice autorizzazione o un accreditamento provvisorio non sono sufficienti a garantire il pagamento delle prestazioni. È indispensabile che il rapporto con l’ente pubblico sia formalizzato attraverso un contratto scritto che definisca chiaramente l’oggetto, la quantità e la remunerazione dei servizi da erogare.

In assenza di tale accordo, qualsiasi pagamento ricevuto per prestazioni eccedenti i limiti stabiliti può essere considerato indebito e soggetto a restituzione. Questa ordinanza rafforza il principio di legalità e trasparenza nei rapporti con la pubblica amministrazione, sottolineando come la forma scritta sia un elemento essenziale per la validità e l’efficacia degli accordi nel settore sanitario.

Perché la struttura sanitaria è stata condannata a restituire le somme?
Perché aveva ricevuto pagamenti per prestazioni sanitarie erogate oltre la capacità operativa massima (COM) senza che vi fosse un accordo scritto con l’Azienda Sanitaria Locale che autorizzasse e regolamentasse tali prestazioni. In assenza di un titolo contrattuale valido, i pagamenti sono stati considerati indebiti.

Qual è il requisito fondamentale per una struttura privata per poter essere remunerata dal Servizio Sanitario Nazionale?
Oltre all’accreditamento, è necessario stipulare un accordo contrattuale in forma scritta con l’ente sanitario pubblico. Questo accordo definisce i limiti quantitativi (budget), la tipologia e le tariffe delle prestazioni che la struttura è autorizzata a erogare per conto del sistema pubblico.

Cosa succede se un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
La decisione impugnata diventa definitiva. La parte che ha presentato il ricorso (soccombente) viene condannata a pagare le spese legali del giudizio di cassazione e, se sussistono i presupposti di legge, è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello già versato per l’iscrizione del ricorso.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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