Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 1408 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 1408 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 15/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 19718/2021 R.G . proposto da:
AZIENDA RAGIONE_SOCIALE LOCALE INDIRIZZO, elettivamente domiciliata in presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOMECODICE_FISCALE che la rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE , elettivamente domiciliata in Roma INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOMECOGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente autonomo, qualificato incidentale-
avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma n. 191/2021 depositata il 13.1.2021.
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 26.10.2023 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. La RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE (di seguito, semplicemente: RAGIONE_SOCIALE di cura o RAGIONE_SOCIALE) ha convenuto in giudizio dinanzi al Tribunale di Roma l’Azienda Complesso Ospedaliero San Filippo Neri (di seguito RAGIONE_SOCIALE San Filippo Neri) per ottenerne la condanna al pagamento della somma di € 1.105.143,24 quale importo residuo delle fatture n. 44,55,65,77 del 2011, oltre interessi moratori come stabiliti dall’art.5 d.lgs. 231 del 2002, emesse ai sensi dell’art. 10 del Protocollo di Intesa del 2009 intervenuto tra le parti.
Valle Fiorita ha dedotto che l’ACO San Filippo Neri aveva parzialmente pagato le suddette fatture, corrispondendo per ciascuna € 573.716,00, in luogo della maggior somma di € 850.000,00, come previsto dall’art. 10 del Protocollo, basandosi sull’erroneo presupposto che l’Azienda potesse modificare unilateralmente e autoritativamente il contenuto della Convenzione e sul fatto che l’Ente aveva illegittimamente rideterminato con sua deliberazione l’ammontare delle somme previste dall’art. 10 del Protocollo d’Intesa, riducendole da € 850.000,00 a € 573.716,00.
Si costituiva in giudizio l’Azienda Ospedaliera, contestando la domanda, eccependo in rito il difetto di giurisdizione del giudice ordinario in favore del giudice amministrativo e nel merito evidenziando vari profili di nullità del Protocollo di Intesa e del relativo art. 10.
Sempre nel merito, l’ ACO San Filippo Neri ha invocato la vigenza degli atti con i quali aveva rideterminato gli acconti mensili, ovvero le deliberazioni n. 6968 del 28.4.2011 e n. 7823 del 17.5.2011, pur impugnate dalla Casa di cura avanti al TAR Lazio ma non annullate. L’ACO San Filippo Neri ha proposto altresì domanda riconvenzionale per € 2.294.864,00, oltre interessi, al fine di ottenere quanto indebitamente pagato in base alle medesime fatture azionate da Valle Fiorita in forza di titolo invalido.
Il Tribunale di Roma con la sentenza n.6290/2017 ha rigettato l’eccezione relativa al difetto di giurisdizione e l’eccezione relativa al difetto del requisito dell’accreditamento, riconducendo il Protocollo all’ipotesi delle sperimentazioni gestionali ex art. 9 bis del d.lgs. 502/1992 e all’ipotesi dell’affitto di azienda; ha rigettato altresì l’eccezione di nullità per violazione delle norme imperative che regolano l’agire della Pubblica Amministrazione, con particolare riferimento al criterio di economicità nella gestione delle risorse pubbliche, ritenendo che dette norme fossero mere norme di azione inidonee a fondare una pronuncia di nullità del Protocollo; ha escluso infine l’ipotesi dell’appalto di servizi con il conseguente rigetto anche dell’eccezione fondata sull’art. 5 del d.l. n. 79/1997.
Il Tribunale ha quindi ritenuto la validità del Protocollo di Intesa, ha accolto la domanda di Valle Fiorita e ha rigettato la domanda riconvenzionale dell’Azienda Ospedaliera.
Avverso la predetta sentenza di primo grado ha proposto appello la ASL Roma 1, avente causa della originaria convenuta, a cui ha resistito l’appellata la Valle Fiorita.
La Corte di appello di Roma con sentenza del n. 191 del 13.1.2021 ha accolto l’appello della ASL Roma 1, escludendo sia l’ipotesi delle sperimentazioni gestionali che quella dell’affitto di azienda e ha dichiarato la nullità del Protocollo per difetto del requisito dell’accreditamento istituzionale previsto dall’art. 8 quinquies d.lgs. 502/90 e s.m.i.
La Corte ha rigettato anche la domanda di ripetizione dell’indebito, non avendo la ASL appellante censurato la motivazione della sentenza di primo grado nella parte in cui ne aveva dichiarato l’inammissibilità.
Avverso la predetta sentenza del 13.1.2021, non notificata, con atto notificato il 13.7.2021, a distanza di pochi minuti, hanno proposto autonomamente ricorso per cassazione sia la ASL Roma 1 (ore 13.27), svolgendo unico motivo, sia la Casa di cura Valle Fiorita (ore 13.35), svolgendo tre motivi.
Con l’unico motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360 cod.proc.civ., n. 3, la ASL Roma 1 denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 342 cod.proc.civ., dell’art. 112 cod.proc.civ., violazione del principio dell’effettività della tutela giurisdizionale sancito dall’art. 6 CEDU; violazione dell’art. 111 Cost., comma 1, violazione dell’art. 24 Cost., comma 1.
La ricorrente sostiene che il suo atto di appello conteneva puntuali censure con riferimento alla sentenza di primo grado sotto il profilo della non riconosciuta nullità del Protocollo, in considerazione del fatto che tutta la sentenza n. 6290/2017 poggiava sull’anzidetto, unico argomento che concentrava in sé la motivazione del rigetto in primo grado della domanda di ripetizione dell’indebito.
Inoltre la ricorrente rileva che la Corte di appello ha accolto l’appello della ASL, ha escluso l’ipotesi della sperimentazione gestionale e quella dell’affitto di azienda, e ha accolto, tra i vari profili di nullità eccepiti, quello relativo alla nullità della Convenzione per violazione della normativa imperativa in tema di accreditamento istituzionale, obbligatorio dall’anno 1999 per il pagamento con denaro pubblico di soggetti privati, comunque esercitanti attività sanitaria per conto del RAGIONE_SOCIALE
Secondo la Corte romana l’inammissibilità del gravame della ASL poggiava sul fatto l’Ente avrebbe dovuto anche articolare una
specifica censura nei confronti della sentenza di primo grado nella parte in cui non aveva accolto la sua domanda riconvenzionale.
Tale, apparente, mancanza non derivava però da alcuna omessa censura, non essendovi invero nulla da specificatamente censurare, dal momento che nessuna autonoma motivazione era stata posta dal Tribunale a fondamento del rigetto della domanda riconvenzionale, che era stato unicamente e meramente qualificato dal Tribunale come conseguente alla ritenuta validità del titolo (Protocollo) legittimante le fatture di cui si chiedeva la ripetizione del pagamento.
Con il primo motivo del suo ricorso, proposto ex art. 360, comma 1, n. 3, cod.proc.civ. la Valle Fiorita denuncia violazione dell’art. 8 bis del d.lgs. 502 del 1992 e del d.p.r. 141.1997 e sostiene che la sentenza debba essere cassata nella parte in cui ha ritenuto che il Protocollo d’intesa intercorso tra l’A.C.O. San Filippo Neri e la Casa di cura Valle Fiorita fosse nullo per mancanza dell’accreditamento.
Secondo la ricorrente ai sensi delle sopraindicate norme possono essere accreditati i soggetti erogatori di servizi pubblici e poiché la Casa di cura Valle Fiorita non aveva medici alle proprie dipendenze non poteva essere considerata tale.
Con il secondo motivo del suo ricorso, proposto ex art. 360, comma 1, n. 3 cod.proc.civ. la Valle Fiorita denuncia la violazione degli artt. 1362 e 1363 c.c. e sostiene che la sentenza in questione debba essere cassata laddove assume che la RAGIONE_SOCIALE Valle Fiorita rendeva prestazioni sanitarie, poiché tale statuizione violava le norme di cui al codice civile in tema di interpretazione dei contratti.
Con il terzo motivo del suo ricorso, proposto ex art. 360, comma 1, n. 3 cod.proc.civ. la Valle Fiorita denuncia violazione dell’art. 13 della legge regionale del Lazio n.55/1993 e sostiene che la sentenza in questione debba essere cassata, laddove non ha
ritenuto applicabile tale articolo alla convenzione del 2009, contraddicendosi peraltro nel riconoscere che le parti avevano inteso attribuirle lo schema negoziale dell’affitto d’azienda.
Entrambe le parti hanno presentato controricorso all’avversario ricorso proposto in via principale.
In data 21.9.2023 la controricorrente ha presentato istanza di abbinamento ad altri ricorsi afferenti alla stessa questione giuridica e pendenti fra le stesse parti in Cassazione.
Entrambe le parti hanno presentato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il ricorso proposto da ASL Roma 1 deve essere considerato principale e il ricorso autonomo proposto pochi minuti dopo da Valle Fiorita deve essere qualificato come ricorso incidentale.
Vale infatti l’orientamento consolidato secondo cui il principio dell’unicità del processo di impugnazione contro una stessa sentenza comporta che, una volta avvenuta la notificazione della prima impugnazione, tutte le altre debbono essere proposte in via incidentale nello stesso processo e perciò, nel caso di ricorso per cassazione, con l’atto contenente il controricorso; tuttavia quest’ultima modalità non può considerarsi essenziale, per cui ogni ricorso successivo al primo si converte, indipendentemente dalla forma assunta e ancorché proposto con atto a sé stante, in ricorso incidentale, la cui ammissibilità è condizionata al rispetto del termine di quaranta giorni (venti più venti) risultante dal combinato disposto degli artt. 370 e 371 cod.proc.civ., indipendentemente dai termini (l’abbreviato e l’ordinario) di impugnazione in astratto operativi. (Sez. 3, n. 36057 del 23.11.2021).
Non vi è ragione, innanzitutto, di ritardare, in accoglimento dell’istanza di abbinamento proposta, la decisione della presente controversia, giunta all’epilogo decisorio e del resto trattata nella
stessa camera di consiglio con numerosi altri ricorsi relativi allo stesso contenzioso.
Il Collegio ritiene che l’esame del ricorso qualificato incidentale di Valle Fiorita rivesta priorità logica e giuridica rispetto a quello del ricorso principale di ASL Roma 1, che ne presuppone il rigetto.
Si è detto supra che co n il primo motivo Valle Fiorita denuncia violazione dell’art. 8 bis del d.lgs. 502 del 1992 e del d.p.r. 141.1997 e sostiene che la sentenza debba essere cassata nella parte in cui ha ritenuto che il Protocollo d’intesa intercorso tra l’A.C.O. San Filippo Neri e la Casa di cura Valle Fiorita fosse nullo per mancanza dell’accreditamento, poiché possono essere accreditati solo i soggetti erogatori di servizi pubblici e poiché la Casa di cura Valle Fiorita non aveva medici alle proprie dipendenze non poteva essere considerata tale.
Con il secondo motivo COGNOME denuncia la violazione degli artt. 1362 e 1363 c.c. e sostiene che la sentenza in questione debba essere cassata laddove assume che essa rendeva prestazioni sanitarie poiché tale statuizione violava le norme di cui al codice civile in tema di interpretazione dei contratti.
Infine con il terzo motivo Valle Fiorita denuncia violazione dell’art. 13 della legge regionale del Lazio n.55/1993 e sostiene che la sentenza in questione debba essere cassata laddove non ha ritenuto applicabile tale articolo alla Convenzione del 2009, contraddicendosi peraltro nel riconoscere che le parti avevano inteso attribuirle lo schema negoziale dell’affitto d’azienda.
I tre motivi possono essere esaminati congiuntamente e appaiono fondati.
La Corte di appello ha ritenuto che il Protocollo di Intesa del 2009 non potesse essere qualificato come affitto di azienda e abbia costituito invece lo strumento negoziale per svolgere dietro remunerazione attività di assistenza sanitaria, mettendo a disposizione personale infermieristico e tecnico ausiliario e di
effettuazione dell’attività diagnostica al di fuori dell’imprescindibile accreditamento da parte del S.S.N.
Questo convincimento non è stato meglio spiegato dalla Corte romana, se non con la pedissequa trascrizione, nelle pagine da 3 a 6 della sentenza impugnata, del testo della comparsa conclusionale della ASL Roma 1, ritenuto condivisibile.
Al contrario il riferimento contenuto nella sentenza di primo grado all’art.13 della legge regionale del Lazio n.55 del 1993 è stato ritenuto non condivisibile dalla Corte romana, senza miglior spiegazione che il ritenuto chiaro tenore letterale della disposizione successivamente riprodotta.
La Corte territoriale ha infine escluso che si potesse ricondurre il Protocollo di Intesa alle ipotesi di sperimentazione gestionale, adducendo a tal riguardo una spiegazione del tutto contraddittoria, ossia perché era stato adottato con il Protocollo lo schema dell’affitto di azienda con chiara forzatura negoziale (assunto invece precedentemente smentito).
14. La ricostruzione del rapporto operata dalla Corte di appello, al di là della sua evidente apoditticità e contraddittorietà, non può essere condivisa.
In primo luogo, la decisione della Corte non tiene conto della normativa del d.lgs. 502 del 1992 e del d.p.r. 14.1.1997, e del contenuto dell’accreditamento che è il provvedimento con il quale una struttura sanitaria viene inserita in modo continuativo e sistematico nell’organizzazione della P.A., ed assume la qualifica di soggetto erogatore di un servizio pubblico.
L’accreditamento infatti è il provvedimento con il quale una struttura sanitaria viene inserita in modo continuativo e sistematico nell’organizzazione della P.A. ed assume la qualifica di soggetto erogatore di un servizio pubblico (Sez. U, n. 16336 del 18.6.2019), Con il riconoscimento dell’accreditamento, il legislatore ha inteso assicurare e garantire la serietà delle strutture private che agiscono
autonomamente in concorrenza con quelle pubbliche per conto del Servizio Sanitario Nazionale.
La Casa di cura Valle Fiorita, in base al Protocollo del 30.4.2009, non aveva alle proprie dipendenze medici e di conseguenza non avrebbe mai potuto erogare alcun servizio (cfr. art. 6 del Protocollo secondo cui « L’azienda per il funzionamento della Casa di cura Valle Fiorita si avvarrà di persona medico e sanitario che l’Azienda stessa si riserva di assegnare formalmente »).
Il Protocollo invece prevedeva che la Valle Fiorita sarebbe stata utilizzata dall’A.C.O. San Filippo Neri per rendere servizi sanitari: l’art. 3 stabiliva infatti « L’azienda individua la Casa di cura quale sede di Unità Operative Complesse e Semplici facenti parte dell’Azienda, con la conseguente denominazione ‘Azienda Complesso Ospedaliero San Filippo Neri -Casa di cura Valle Fiorita. (…). A tal fine l’Azienda si avvale della Casa di cura Valle Fiorita per erogare l’assistenza ospedaliera, a pazienti, che una volta accettati presso il P.S. dell’Azienda possano appropriatamente essere trattati in regime di ricovero ordinario, day hospital, day-surgery, ambulatoriale ed intra-moenia».
15. Tali elementi hanno indotto la Corte di Cassazione a Sezioni Unite in sede di regolamento di giurisdizione in varie controversie fra le stesse part, e relative al medesimo rapporto negoziale (sia pur riferibili alla Convenzione precedente del 2005), a qualificare il rapporto negoziale intercorso come un contratto riconducibile allo schema dell’affitto di azienda.
È pur vero che le decisioni emesse dalle Sezioni Unite in sede di regolamento di giurisdizione non vincolano nel merito della questione, avendo valore di giudicato solo sulla giurisdizione e sui presupposti fattuali della sua attribuzione, ma esse costituiscono, nondimeno, precedenti autorevoli, che ben possono essere valutati e condivisi.
Nella ordinanza n.9191 del 7.6.2012 le Sezioni Unite hanno affermato che il Protocollo di intesa tra l’attrice e l’Azienda convenuta era un accordo nel quale vi sono gli elementi propri del contratto di affitto di azienda.
L’ordinanza n.19062 del 12.11.2012 ha affermato « Il Protocollo di intesa costituente l’accordo a base del chiesto pagamento prevede alcuni obblighi con prestazioni fisse o forfetarie della Azienda concedente nei confronti della casa di cura concessionaria, il cui adempimento è comunque da eseguire e non è quindi collegabile immediatamente e soltanto con i servizi sanitari, essendo i corrispettivi dovuti anche per il godimento della struttura costituente la sede della casa di cura e per la fruizione dai pazienti di prestazioni erogate dalla concessionaria in luogo della concedente.
La somma dovuta, calcolata nel Protocollo di intesa in via forfetaria e a titolo di acconto, non determina la qualificazione delle prestazioni pecuniarie rimaste inadempiute come strumento necessario per la erogazione delle prestazioni del servizio pubblico di assistenza sanitaria e quindi non qualifica l’oggetto del giudizio come strettamente connesso alla materia dei servizi riservata alla giurisdizione esclusiva del G.A., perché le somme di danaro che si pretendono in pagamento sono oggetto di una obbligazione pecuniaria non qualificabile come strumentale al servizio di cui deve conoscere eventualmente il G.A., potendo su tali obblighi avere cognizione il giudice ordinario e quindi il Tribunale di Roma nella fattispecie concreta (così, con le sentenze citate, cfr. pure S. U. 27 dicembre 2011 n. 28809 e 23 febbraio 2010 n. 5029). In quanto non è connaturato alle obbligazioni di cui si chiede l’adempimento il servizio sanitario pubblico e quindi gli obblighi inadempiuti non costituiscono situazioni soggettive strumentali all’espletamento di prestazioni assistenziali o oneri per tale espletamento, ma mero corrispettivo dell’uso delle strutture e del
personale e dei servizi della casa di cura, la giurisdizione deve riconoscersi al G.C. ….»
Infine l’ordinanza n.3273 del 12.2.2013 ha affermato che « La controversia del giudizio principale di pagamento attiene a diritti e obblighi sorti dal protocollo di intesa tra le parti, atto integrativo della concessione da inquadrare per la istante nel D.Lgs.7 agosto 1990, n. 241, art. 11, nel quale vi sono elementi del contratto di affitto di azienda in ordine al pagamento degli acconti dovuti per prestazioni erogate dalla Casa di cura con proprio personale senza che su tali attività incidano poteri autoritativi della concedente.»
La citazione della sentenza della Corte di Cassazione 11600/2018, effettuata a pag.8 della sentenza impugnata come precedente inter partes , non ritenuto vincolante, è il frutto di un evidente errore materiale perché la pronuncia ha tutt’altro oggetto (compenso per l’affidamento di veicoli in custodia giudiziaria).
Invece questa Corte nella sentenza della Sez.3, n. 25844 del 31.1.2017 tra le stesse parti (che indubbiamente ha valore di autorevole precedente e non efficacia di giudicato, riguardando la precedente Convenzione inter partes del 2005) ha avuto modo di precisare che in mancanza del connotato della effettuazione delle cure mediche e di quelle chirurgiche la prestazione, effettuata in favore dell’Azienda Ospedaliera, non era qualificabile come sanitaria ed il contratto esulava dal contratto di spedalità. Non ricorreva pertanto l’esercizio di attività sanitaria o socio-sanitaria da parte della Casa di cura nel quadro del Servizio Sanitario Nazionale, tale da implicare l’accreditamento istituzionale previsto dall’art. 8 quater d.lgs. n. 502 del 1992.
Ai fini della validità ed efficacia della Convenzione non rilevava quindi la mancanza dell’accreditamento della Casa di cura Valle Fiorita, poiché il contratto andava ricondotto allo schema negoziale dell’affitto di azienda e non si trattava di prestazioni rese
nell’ambito del Servizio Sanitario nazionale, in cui operava l’ACO San Filippo Neri avvalendosi della struttura affittata.
E ciò perché la Valle Fiorita non ha mai avuto in affidamento la cura dei pazienti ma si è limitata, in attuazione degli accordi contrattuali succedutisi nel tempo, a mettere a disposizione dell’ACO San Filippo Neri la propria struttura, che senza medici non avrebbe potuto essere accreditata.
La Casa di cura Valle Fiorita non erogava quindi servizi sanitari per conto del Servizio Sanitario pubblico ma si limitava a mettere a disposizione la propria struttura munita di personale infermieristico, perché in quel luogo l’ACO San Filippo Neri con propri medici potesse curare parte dei propri pazienti che, per motivi di mancanza di spazio, non poteva ricoverare all’interno dell’ospedale.
A ciò si aggiunge il fatto che la Casa di cura Valle Fiorita, proprietaria della struttura, aveva chiesto l’accreditamento che gli era stato negato.
Il T.A.R. del Lazio che con sentenza n.36826 del 2010 in atti ha dichiarato che tale diniego era legittimo in quanto « come evidenziato da questa Sezione in ordine alle censure proposte avverso la delibera n. 11310 del 1995, la giurisprudenza, ha precisato, in materia che ‘sia nel regime del convenzionamento, ai sensi dell’art. 44, l. 23 dicembre 1978, n. 833, sia in quello attuale, basato sull’accreditamento, di cui all’art. 8, d.lg. 30 dicembre 1992, n. 504, e successive modificazioni ed integrazioni, il rapporto esistente tra l’Amministrazione e le strutture sanitarie private è di natura sostanzialmente concessoria di attività di servizio pubblico …’ (Consiglio di Stato, sez. V, 11 maggio 2010, n. 2828). Tale definizione assume particolare rilevanza per il caso in esame, poiché dagli atti di causa si evince che il rapporto intercorrente tra l’istante Casa di cura e l’Azienda ospedaliera (sin dal 1977; cfr. anche documenti allegati al ricorso introduttivo) non può essere ricondotto alla fattispecie del convenzionamento, ovvero del
rapporto concessorio, che -di regola -riguarda non solo l’utilizzo di locali ma anche le prestazioni mediche del personale sanitario dipendente dalle case di cura interessate ed è caratterizzato dalla natura pubblicistica dell’obbligazione del gestore, tenuto ad assicurare la continuità e la regolarità del servizio, pur dopo la scadenza contrattuale. Al contrario, nella fattispecie di interesse, rileva il fatto che le convenzioni stipulate sono state determinate dalla necessità di trovare ospitalità nei locali della ricorrente, situati in zona adiacente alla Azienda Ospedaliera (…), rimanendo come specificato in convenzione -a carico del personale sanitario dell’Azienda stessa la prestazione delle cure mediche ».
Ben può condividersi quindi l’assunto della ricorrente incidentale, secondo il quale, per essere accreditata e fornire pertanto ai cittadini un servizio sanitario in convenzione con il SSN, un’impresa non può limitarsi ad offrire una mera struttura, un immobile, con attrezzature mediche e il personale ausiliario tecnico-amministrativo (uffici ma anche servizio pulizie) o infermieristico, ma è fondamentale e necessario che oltre a quanto sopra venga fornito il personale medico; questo, invece, era invece alle sole dipendenze dell’ACO San Filippo Neri e per svolgere il proprio lavoro, per cui era responsabile verso i pazienti, usufruiva dei locali e delle attrezzature della Casa di cura Valle Fiorita, messe a disposizione secondo il Protocollo d’Intesa del 2009, pertanto riconducibile allo schema contrattuale dell’affitto di azienda, nel rispetto dell’autonomia negoziale delle parti.
Non può essere sottaciuto, infatti, che la sentenza impugnata ha del tutto ignorato l’elemento pacifico e decisivo, risultante dal Protocollo di Intesa, che la Casa di cura non aveva medici alle proprie dipendenze e che i medici operanti nella struttura erano dipendenti della ACO San Filippo Neri, ciononostante affermando che Valle Fiorita svolgeva attività di assistenza sanitaria (pag.2,
ultimo capoverso) e addirittura (pag.3, primo periodo) attività diagnostica.
Censurabile appare infine l’apodittico disconoscimento di rilevanza opposto dalla Corte capitolina al contenuto della legge regionale n.55 del 1993.
Infatti l ‘art.13 della legge regionale del Lazio n.55 del 20.9.1993, relativa a « Servizi ospedalieri pubblici ubicati in case di cura già convenzionate con l’ex Pio istituto di SINDIRIZZO e ospedali riuniti di Roma », disponeva che il Consiglio regionale, su proposta della Giunta regionale, in sede di adozione dei provvedimenti di riorganizzazione territoriale della rete ospedaliera, doveva stabilire la destinazione dei servizi ospedalieri pubblici ubicati nelle case di cura private già convenzionate con l’ex Pio istituto di SINDIRIZZO e ospedali riuniti di Roma, individuando le divisioni ed i servizi che devono essere ricondotti al l’ interno degli stabilimenti ospedalieri direttamente gestiti dalle unità sanitarie locali e quelli che devono essere mantenuti nelle strutture in cui sono collocati, in relazione alla relativa ubicazione nonché alle specifiche esigenze della popolazione.
Al fine della realizzazione di quanto sopra indicato, la Giunta regionale doveva individuare le modalità anche per la gestione della struttura privata utilizzata nello svolgimento delle attività ospedaliere pubbliche, ricorrendo anche alle forme di sperimentazione gestionale previste dal decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502.
È quindi chiaro che l’individuazione del contraente, quanto alle strutture da utilizzare attraverso l’utilizzo delle relative aziende, era stata comunque determinata una volta per tutte dal legislatore regionale con strumento avente a forza di legge e la scelta di utilizzare la struttura della Casa di cura Valle Fiorita e quindi la scelta del contraente erano state fatte direttamente dalla legge regionale n.55 del 1993, sicché neppur si poneva per la Pubblica
Amministrazione la possibilità di individuare liberamente la struttura in cui proseguire l’erogazione dei servizi ospedalieri pubblici ubicati in case di cura già convenzionate con l’ex Pio istituto di S. Spirito e ospedali riuniti di Roma.
Nel suo controricorso ASL Roma 1, sostiene la nullità del Protocollo di Intesa per la violazione delle regole di evidenza pubblica nella scelta del contraente, proponendo così una questione nuova, mista di fatto e di diritto, inammissibile in sede di legittimità.
Nella memoria illustrativa la ASL, al fine di contestare la qualificazione giuridica del rapporto adottata dalla Corte di appello, insiste particolarmente sulla recente sentenza del Consiglio di Stato n. 9200/2022 inter partes (prodotta come all.1.)
La ASL rappresenta come nella predetta decisione il Consiglio di Stato abbia ritenuto infondata la ricostruzione del Protocollo di Intesa, riproposta dalla RAGIONE_SOCIALE anche nel presente giudizio, quale convenzione avente ad oggetto un affitto di azienda.
La ricorrente principale evidenzia che il Consiglio di Stato, all’opposto, ha qualificato il Protocollo nei seguenti termini: « la convenzione del 30 aprile 2009 dà luogo ad una forma di integrazione tra Azienda ospedaliera pubblica e Casa di Cura privata ai fini della erogazione dei servizi assistenziali, come plasticamente si evince dal disposto dell’art. 3, laddove si prevede che ‘L’Azienda individua la Casa di Cura quale sede di Unità Operative Complesse e Semplici facenti parte dell’Azienda, con la conseguente denominazione di ‘Azienda Complesso Ospedaliero San Filippo Neri -Casa di Cura Valle Fiorita’ e che ‘A tal fine l’Azienda si avvale della Casa di Cura Valle Fiorita per erogare l’assistenza ospedaliera ai pazienti, che una volta accettati presso il P.S. dell’Azienda possano appropriatamente essere trattati in regime di ricovero ordinario, day hospital, day surgery, ambulatoriale ed intra moenia…mediante le seguenti unità
operative complesse e semplici (rispettivamente denominate UOC ed UOS) previste dall’Atto aziendale:…’. Trattasi, quindi, di una convenzione direttamente destinata a regolare, nei suoi aspetti organizzativi ed operativi, la gestione di un servizio pubblico, con la conseguente immanente esigenza di garantirne la coerenza con gli interessi pubblici, afferenti al delicato settore sanitario ed alle relative esigenze di complessivo equilibrio finanziario, che la caratterizzano sul piano teleologicofunzionale. Nel senso suindicato, del resto, milita il decisivo argomento relativo alle modalità di remunerazione della Casa di Cura, incentrate sul sistema (tipico della remunerazione delle prestazioni ospedaliere) dei DRG (cfr. art. 10 della convenzione), pur prevedendosi la decurtazione del costo relativo al personale medico afferente all’Azienda ospedaliera ed utilizzato presso la Casa di Cura: meccanismo che, sul piano della ricostruzione del rapporto tra le parti e dell’apporto dalle stesse dato alla erogazione della complessiva attività assistenziale (ed indipendentemente, si ripete, dalla qualificazione ed imputazione del rapporto con il singolo paziente), induce, da un lato, ad escludere che la convenzione avesse ad oggetto, come sostenuto dalla appellante, la mera disponibilità di immobili ed attrezzature della Casa di Cura da parte dell’ACO, piuttosto che la vera e propria attività sanitaria, dall’altro lato, ad individuare il soggetto erogatore della prestazione assistenziale (anche) nella medesima Casa di Cura, nel quadro di un rapporto di ‘avvalimento’ e di stretta integrazione organizzativa e funzionale con l’Azienda ospedaliera. »
Gli assunti della ASL non possono essere condivisi per varie ragioni.
In primo luogo, la stessa ASL riconosce che la pronuncia non è passata in giudicato ed è stata attualmente impugnata da Valle Fiorita avanti questa Corte con giudizio n.r.g. 10375/2023 (tuttora pendente) per eccesso di potere giurisdizionale.
In secondo luogo, la pronuncia del Consiglio di Stato deve essere opportunamente contestualizzata.
Valle Fiorita aveva impugnato la delibera n. 546 del 22.7.2010 dell’ACO San Filippo Neri, che aveva proceduto unilateralmente alla modifica dell’assetto organizzativo funzionale, trasferendo i servizi maggiormente qualificanti dalla Casa di Cura al presidio del San Filippo Neri, lasciando alla prima i diciotto posti letto di Medicina interna.
L’impugnazione, con successivi motivi aggiunti, era stata estesa alla nota prot. n. 2043 del 4.2.2011, concernente il trasferimento delle unità operative di Urologia e di Chirurgia plastica dalla Casa di Cura Valle Fiorita al presidio San Filippo Neri, alla nota prot. n. 57 del 29.4.2011, alla nota prot. n. 7823 del 17.5.2011, con la quale l’Azienda Ospedaliera aveva disposto la riduzione dell’acconto mensilmente garantito, e alla nota n. 145 del 20.6.2011, con la quale l’Azienda Ospedaliera aveva disposto il trasferimento dalla Casa di Cura al presidio INDIRIZZO delle attività ambulatoriali di Dermatologia e Dermochirurgia, Roncopatia e Foniatria.
Valle Fiorita aveva sostenuto che il Protocollo integrava un contratto di natura privatistica, con la conseguente preclusione dell’intervento modificativo unilaterale dell’Ente pubblico posto in essere con gli atti impugnati.
È proprio nel rispondere a questa argomentazione che il Consiglio di Stato ha opposto la natura pubblicistica del contesto in cui era destinata ad operare la Convenzione, per ribadire la persistenza die poteri pubblici, nel caso esercitati con la riduzione delle attività esercitate nella Casa di cura convenzionata e trasferite nel Presidio Ospedaliero, affermando che la Convenzione era direttamente destinata a regolare, nei suoi aspetti organizzativi ed operativi, la gestione di un servizio pubblico.
In ogni caso la natura pubblica del rapporto, in cui si dovrebbe contestualizzare la stipulazione della Convenzione, non è affatto
incompatibile con un contratto atipico contenente gli elementi di un rapporto di affitto di azienda, così come ravvisato dalla giurisprudenza delle Sezioni Unite e dalla sentenza impugnata e tantomeno rende necessario un accreditamento in difetto dell’elemento caratterizzante della prestazione sanitaria da parte di medici abilitati.
L’accoglimento dei motivi del ricorso qualificato incidentale, comporta l’assorbimento del ricorso principale che presuppone, oltre la rivendicata ritualità della proposizione del motivo di appello, l’invalidità del Protocollo di Intesa.
Per i motivi esposti occorre accogliere il ricorso qualificato incidentale, assorbito il ricorso principale, cassare la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinviare la causa alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, occorre dar atto che non sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13, poiché il motivo di ricorso è stato assorbito.
P.Q.M.
La Corte
accoglie il ricorso qualificato incidentale, assorbito il ricorso principale, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Prima Sezione civile il 26 ottobre 2023
Il Presidente
NOME COGNOME