Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 8559 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 8559 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: AMATORE NOME
Data pubblicazione: 29/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso n. 6485-2019 r.g. proposto da:
NOME COGNOME (c.f.: CODICE_FISCALE), nato a COGNOME, il DATA_NASCITA, rappresentato e difeso, in virtù di procura speciale in calce al ricorso , dall’AVV_NOTAIO .
ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore il Curatore AVV_NOTAIO, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO (c.f.: CODICE_FISCALE -p.e.c.: EMAIL);
-controricorrente –
contro
NOME COGNOME, nato a COGNOME il DATA_NASCITA;
-intimato – avverso la sentenza della Corte di appello di COGNOME, depositata in data 16.11.2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 12/3/2024 dal AVV_NOTAIO;
RILEVATO CHE
1.Con atto di citazione notificato il 31.7.2009 il RAGIONE_SOCIALE conveniva in giudizio NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, COGNOME, nato a COGNOME il DATA_NASCITA , e COGNOME, nato a COGNOME il DATA_NASCITA , chiedendone la condanna al risarcimento dei danni arrecati alla società nell’esercizio delle cariche sociali di amministratori da loro svolte nel corso del tempo.
Il giudizio di primo grado veniva sospeso nei soli confronti di NOME COGNOME e NOME COGNOME anno DATA_NASCITA, in attesa della definizione dei giudizi aventi ad oggetto le querele di falso da loro proposte ed il giudizio avente ad oggetto l’azione di responsabilità non veniva riassunto tempestivamente nei confronti di NOME COGNOME anno DATA_NASCITA, dopo che quello riguardante la querela di falso dal medesimo proposta era stato definito con la sentenza passata in giudicato n. 12928/2012 del Tribunale di COGNOME; per tale motivo, il fallimento proponeva un nuovo giudizio nei suoi confronti, con atto di citazione notificato il 31.7.2014, che veniva riunito al precedente (rg. 34864/2009), con ordinanza del 3.2.2015.
Sempre nel corso del giudizio venivano definite le posizioni di NOME COGNOME ed NOME COGNOME, con ordinanza ex art. 186quater c.p.c., con la quale il Tribunale li condannava al pagamento della somma di euro 500.000.
Con sentenza n. 5877/2017, il Tribunale di COGNOME accoglieva la domanda nei confronti di NOME COGNOME e lo condannava al risarcimento dei danni in favore della curatela che determinava in complessivi euro 4.614.955,80
(riconoscendo la sua responsabilità per l’omesso versamento dei contributi previdenziali, il mancato rinvenimento dell’attivo circolante e gli ingiustificati prelievi in contanti ovvero con assegni circolari), oltre interessi legali; rigettava invece le domande risarcitorie proposte nei confronti dei due NOME COGNOME.
Avverso la predetta sentenza di primo grado proponeva appello la curatela fallimentare di RAGIONE_SOCIALE e la Corte di appello di COGNOME, con la sentenza qui impugnata, ha accolto parzialmente il gravame, accogliendo la domanda risarcitoria nei confronti di COGNOME, nato a COGNOME il DATA_NASCITA, e lo ha condannato al pagamento a titolo risarcitorio nei confronti del RAGIONE_SOCIALE della somma di euro 500.000, confermando tuttavia nel resto la sentenza impugnata.
La corte del merito ha ritenuto, per quanto qui di interesse, che: (a) pur essendo pacifico che, per la posizione di NOME COGNOME DATA_NASCITA, la firma apposta sul modulo ‘intercalare P’, attestante l’accettazione della carica di componente del consiglio di amministrazione fosse falsa, in considerazione dell’accoglimento della querela di falso con sentenz a n. 12928/2012 del Tribunale di COGNOME, ormai definitiva, doveva tuttavia ritenersi, alla luce dei verbali di assemblea straordinaria del 17.10.2005 e del 30.12.2005, che il COGNOME, quanto meno a partire dalla data della prima di tali assemblee, avesse rivestito effettivamente tale carica, in quanto la predetta sentenza aveva dichiarato l’inammissibilità della querela di falso, con riguardo alla veridicità delle affermazioni contenute in tali atti, con la conseguenza che il contenuto di tali documenti e la veridicità delle dichiarazioni ivi contenute potevano essere valutate nel giudizio; (b) contrariamente a quanto sostenuto nella sentenza di primo grado, il AVV_NOTAIO non aveva dichiarato di non ricordare la presenza del COGNOME DATA_NASCITA, bensì di non essere in grado di distinguere i due COGNOME, presenti in aula, e di non ricordare di quale dei due avesse attestato la presenza nel verbale del 17.10.2015, con la conseguenza che le dichiarazioni rese dal AVV_NOTAIO rivestivano un significato ben diverso rispetto a quello attribuito loro dal Tribunale e confermavano la presenza di COGNOME DATA_NASCITA alla assemblea straordinaria del 17.10.2005; (c) quanto alla qualifica di componente del consiglio di amministrazione, se era
pur vero che si trattava di un’affermazione fatta dal presidente NOME COGNOME, era tuttavia altrettanto vero che la stessa era stata fatta alla presenza di NOME COGNOME DATA_NASCITA, con la conseguenza che risultava inverosimile che quest’ultimo avesse presenz iato alla detta assemblea, nella quale veniva indicato quale membro del consiglio di amministrazione ed avesse sottoscritto il verbale nel quale di tale carica si dava atto, senza rendersi conto di nulla; (d) alla luce di tali considerazioni assumevano rilevanza anche il rapporto di parentela strettissima con NOME COGNOME e l’ulteriore circostanza che comunque veniva indicato formalmente anche presso il RAGIONE_SOCIALE delle Imprese, come membro del consiglio di amministrazione; (e) per rintracciare gli addebiti di responsabilità, occorreva tuttavia in primo luogo chiarire che nessun atto di amministrazione diretta era stato allo stesso imputato e che, per tutto il periodo oggetto di esame giudiziale, l’amministratore delegato della società era stato NOME Bilott a; (f) non risultava possibile ipotizzare una responsabilità solidale di tutti gli amministratori, anche per gli atti compiuti dall’amministratore delegato, atteso che, ove anche non fossero state conferite deleghe, tale responsabilità non poteva atteggiarsi nei termini di una responsabilità oggettiva e che la stessa doveva per lo meno concretarsi in una responsabilità di tipo soggettivo, in base ai parametri di diligenza indicati nell’art. 2392 cod. civ.; (g) a maggior ragione nella ipotesi in cui fossero state invece conferite deleghe ad uno o più amministratori, i non delegati avrebbero risposto sostanzialmente di culpa in vigilando e la loro diligenza avrebbe dovuto essere valutata alla stregua degli artt. 2392 e 2381, ultimo comma, cod. civ., e ciò anche per le RAGIONE_SOCIALE; (h) all’appellato non era imputabile la responsabilità per la distrazione delle somme che si sarebbe verificata nel 2001 per l’acquisto delle quote della società a nome di NOME COGNOME e dello stesso COGNOME, non essendo stato dimostrato che all’epoca NOME COGNOME avesse rivestito qualsivoglia carica e perché inoltre la condotta sembrava compiuta esclusivamente da NOME COGNOME nell’interesse di NOME COGNOME; (i) anche per la condotta relativa all’assunzione di dipendenti per finalità clientelari, non poteva essere avanzato alcun addebito, in ragione della genericità delle contestazioni mosse sul punto dalla curatela fallimentare; (l) anche l’addebito della distrazione di
ingenti somme di denaro non era imputabile al NOME COGNOME; (m) quanto agli ulteriori tre addebiti consistenti nella evasione fiscale e contributiva, nell’omesso o ritardato deposito dei bilanci e nella prosecuzione dell’attività di impresa, nonostante l’esistenza di cause di scioglimento ovvero dei presupposti per la dichiarazione di fallimento, già alla fine del 2005 si erano realizzati tutti i presupposti per la dichiarazione di fallimento, tenuto conto del fatto che non risultava che la società avesse beni di proprietà e che dal bilancio al 30.9.2005 risultava un attivo di euro 1.775.142, peraltro costituito prevalentemente di crediti ed immobilizzazioni immateriali e la sostanziale assenza di utili; (n) pertanto doveva ritenersi sussistente la responsabilità da culpa in vigilando del AVV_NOTAIO, posto che quest’ultimo avrebbe potuto facilmente rendersi conto della situazione economica della società, interpellando gli enti previdenziali e fiscali; (o) il mancato deposito dei bilanci a partire dall ‘esercizio 2002 avrebbe dovuto , poi, indurlo in sospetto; (q) la vicenda del bilancio chiuso al 30.9.2005 evidenziava inoltre un ulteriore profilo di responsabilità dell’appellato in quanto, qualora la firma del NOME COGNOME, apposta in calce al bilancio stesso, fosse stata falsa, allora quest’ultimo avrebbe dovuto insospettirsi e svolgere approfondite verifiche e, diversamente, e cioè qualora la sottoscrizione fosse stata autentica, allora sarebbe emersa la circostanza dell’approvazione di un bilancio f also; (r) il risarcimento del danno conseguente non poteva che essere quantificato in via equitativa e doveva essere parametrato ai maggiori interessi maturati sui crediti ammessi al passivo già esistenti ovvero maturati nel periodo in cui NOME COGNOME svolgeva l’incarico di amministratore, a causa del ritardo nella dichiarazione di fallimento, dovendosi dunque riconoscere a tale titolo la somma di euro 500.000.
La sentenza, pubblicata il 16.11.2018, è stata impugnata da COGNOME, nato a COGNOME il DATA_NASCITA, con ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, cui il RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso.
NOME COGNOME, nato a COGNOME il DATA_NASCITA, intimato, non ha svolto difese.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
CONSIDERATO CHE
1.Con il primo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 2475, 2383 e 1326 cod. civ., sul rilievo che la Corte di appello avrebbe erroneamente ritenuto provata la circostanza del conferimento dell’incarico di amministratore a lui ricorrente.
1.1 Osserva il ricorrente che la riforma del diritto delle società di capitali del 2003 non aveva dedicato all’accettazione della carica alcuna disciplina apposita ed essa, come in precedenza, risulta invece necessaria per l’instaurazione del rapporto, in quanto in ragione delle norme sopra citate di cui agli artt. 2475 e 2383 cod. civ., il legame che vincola l’amministratore alle società riveste natura contrattuale e, per l’effetto, si perfeziona con l’accettazione da parte del destinatario della proposta di nomina effettuata dall’assemblea sociale.
1.2 Ricorda, inoltre, il ricorrente che, ai sensi del quarto comma dell’art. 2383 cod. civ. (norma che disciplina la nomina degli amministratori nelle s.p.a.), espressamente richiamato dall’art. 2475 cod. civ. (norma che, invece, disciplina la nomina degli amministratori nelle s.r.l.), gli amministratori provvedono a chiedere l’iscrizione della nomina nel registro delle imprese, sostanzialmente producendo la loro accettazione. Tale accettazione -aggiunge il ricorrente -sarebbe del tutto mancante nel caso di specie, ove si era appurato che gli altri convenuti (peraltro indagati anche in sede penale) avevano provveduto motu proprio e all’insaputa degli ignari nominati, anche all’iscrizione al registro delle imprese delle varie nomine abusivamente effettuate con allegate dichiarazioni di accettazione delle cariche contraffatte, ovvero contenenti firme apocrife dei diversi soggetti di volta in volta nominati. Con la conseguenza che avrebbe dovuto escludersi che si fosse perfezionata l’instaurazione di un rappor to gestorio con la RAGIONE_SOCIALE, in forza del fisiologico iter previsto dal sistema normativo societario, che prevede la nomina da parte dell’assemblea cui segue la formale accettazione della stessa da parte del nominato che ne cura la registrazione presso la camera di commercio. La suddetta conclusione sembrerebbe confermata -precisa
sempre il ricorrente -anche dalla Corte di appello di COGNOME che infatti aveva escluso che avesse assunto la carica nel 2001, e tuttavia avrebbe, poi, sorprendentemente, ritenuto di poter individuare la successiva instaurazione del rapporto gestorio con la società in virtù della sua partecipazione a due assemblee sociali tenutesi rispettivamente nell’ottobre e nel dicembre del 2005
1.3 Si evidenzia sempre da parte del ricorrente che aveva sempre recisamente contestato la propria presenza in tali assemblee, proponendo anche querela di falso avverso i relativi verbali deliberativi, querele che tuttavia erano stato dichiarate inammissibili, non essendosi riconosciuto alle dichiarazioni contenute nei verbali medesimi valore di fede pubblica, attribuita solo alla loro provenienza, attestata dal AVV_NOTAIO. Ciò nonostante, la Corte territoriale aveva ritenuto che la sua presenza alle predette assemblee, tenutesi nell’ottobre e nel dicembre del 2015, certificata dal AVV_NOTAIO, fosse idonea a configurare, a far data da tale momento, l’instaurazione del rapporto gestorio.
1.4 Aggiunge il ricorrente che tali conclusioni sarebbero errate sia in fatto che in diritto, posto che, sotto il primo profilo, occorreva invece valutare la circostanza che era socio della società RAGIONE_SOCIALE e dunque in tale qualità aveva partecipato alle due assemblee straordinarie tenutesi nel 2015 e non già in quella di amministratore, carica invece mai ricoperta, abusivamente attribuita dagli altri convenuti e furtivamente indicata nel verbale assembleare dal presidente del C.d.A. e giammai accertata dal AVV_NOTAIO. In punto di diritto, poi, doveva escludersi qualsiasi valore giuridico a tale partecipazione : se infatti era vero che l’accettazione della nomina effettuata dall’assemblea potesse e ssere anche tacita, la stessa doveva comunque rispettare alcune caratteristiche, sostanziali e formali, dovendosi richiedere, dal punto di vista sostanziale, che l’accettazione tacita deve concretizzarsi in condotte inequivoche incompatibili con la volontà di rifiutarla, dal punto di vista formale, richiedendosi che tale accettazione sia tempestiva, caratteristiche invece mancanti nel caso di specie.
1.5 Ritiene, invero, il ricorrente che risultava incomprensibile come potesse attribuirsi alla sua partecipazione all ‘assemblea dell’ottobre del 2005 valore
di accettazione della proposta di nomina formulata dall’assemblea dell’ottobre del 2001, dovendosi invece ritenere tale accettazione tacita evidentemente invalida, in quanto macroscopicamente tardiva rispetto al termine ordinariamente necessario secondo la natura dell’affare, che nel caso di specie risultava agevolmente individuabile nei trenta giorni indicati dall’art. 2383, 4 comma, cod. civ., termine entro il quale, ai sensi del secondo comma dell’art. 1326 cod. civ., l’accettazione deve giungere al prop onente.
1.6 Il motivo, così articolato, presenta profili di infondatezza, per un verso, ed evidenti profili di inammissibili, per altro verso.
1.6.1 Quanto ai primi, non risulta condivisibile l’opinione espressa dal ricorrente secondo cui l’accettazione dovrebbe seguire un iter formale, per come descritto dalle norme sopra ricordate in rubrica.
Sul punto la giurisprudenza di legittimità si è già espressa, ritenendo che, in tema di esercizio dell’azione di responsabilità ex art. 146 l.fall. da parte del curatore, per fatti di “mala gestio” compiuti dall’amministratore, la natura contrattuale della responsabilità nei confronti della società poi fallita richiede l’accertamento dell’accettazione da parte dell’amministratore dell’atto di nomina; tale accettazione non richiede specifiche formalità, potendo risultare anche in modo tacito, dal compimento di atti positivi incompatibili con la volontà di rifiutare l’incarico ed il relativo accertamento costituisce una questione di fatto, non censurabile in sede di legittimità, se non nei ristretti limiti di cui all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c. (cfr. Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 14592 del 09/05/2022; Cass. n. 30542/21018; Cass. n. 6928/2001).
1.6.2 Va, infatti, ricordato che il rapporto di amministrazione, di natura contrattuale, si instaura mediante l’incontro dei consensi, avendo l’accettazione la funzione di perfezionare il relativo accordo. Invero, come questa Corte ha da tempo chiarito (Cass. 22 maggio 2001, n. 6928), l’accettazione della nomina ad amministratore di una società è necessaria, avendo i poteri degli amministratori fonte contrattuale. L’accettazione della nomina non è oggetto di una specifica disciplina nell’art. 2364 c.c., né nell’art. 2383 c.c., laddove si occupano della nomina e della revoca degli
amministratori; lo stesso è a dirsi con riguardo agli artt. 2475 e 2479 c.c., in tema di società a responsabilità limitata.
1.6.3 L’accettazione è invece menzionata, per il sistema monistico, dall’art. 2409-septiesdecies c.c., statuendo che, al «momento della nomina dei componenti del consiglio di amministrazione e prima dell’accettazione dell’incarico, sono resi noti all’assemblea gli incarichi di amministrazione e di controllo da essi ricoperti presso altre società» (così, Cass. Sez. 1, Ord. n. 14592/2022, cit. supra ). In tema di società in accomandita per azioni all’art. 2457 c.c., laddove, occupandosi della sostituzione degli amministratori da parte dell’assemblea, secondo le maggioranze ex lege previste, stabilisce che il «nuovo amministratore assume la qualità di socio accomandatario dal momento dell’accettazione della nomina». Dell’accettazione discorre anche l’art. 2385 c.c., in tema di cessazione degli amministratori, ed in particolare in ipotesi di rinuncia da parte della maggioranza del consiglio di amministrazione, al fine di stabilire che, in tal caso la rinuncia avrà effetto solo «dal momento in cui la maggioranza del consiglio si è ricostituita in seguito all’accettazione dei nuovi amministratori». In tema di sindaci, l’art. 2400 c.c. si occupa dell’accettazione stabilendo che, al «momento della nomina dei sindaci e prima dell’accettazione dell’incarico, sono resi noti all’assemblea gli incarichi di amministrazione e di controllo da essi ricoperti presso altre società», disposizione introdotta dall’art. 2, comma 2, lett. a), l. 28 dicembre 2005, n. 262, allo scopo di limitare la cd. incetta degli incarichi, del tutto analoga a quella prevista per i membri del consiglio di amministrazione nel sistema monistico, sopra ricordata (così, sempre in termini ricostruttivi: Cass. Sez. 1, Ord. n. 14592/2022, cit. supra ).
1.6.5 Ne consegue che sia le esplicite disposizioni di diritto positivo, sia la struttura del contratto di amministrazione inducono, dunque, a concludere nel senso che l’accettazione dell’amministratore sia necessaria e perfezioni l’accordo: atteso che, come questa Corte ha già affermato nella citata decisione, «la fonte dei poteri degli amministratori ha natura contrattuale, non potendosi ipotizzare che dalla sola nomina possano discendere doveri per un terzo» (Cass. 22 maggio 2001, n. 6928, cit. supra ).
Allo stesso tempo, si è ivi anche sottolineato che l’accettazione, ed in genere il contratto di amministrazione societario, non richiede l’osservanza di specifiche formalità. Da ciò consegue che l’accettazione può desumersi anche da atti positivi incompatibili con la volontà di rifiutare la nomina: l’accettazione della nomina può essere anche tacita, né dipende in sé dall’adempimento degli oneri pubblicitari, previsti dall’art. 2383, comma 4, c.c.
1.6.6 Ne consegue ancora, come ulteriore corollario, che se essa non richiede l’osservanza di specifiche formalità, l’accettazione può essere desunta da atti positivi incompatibili con la volontà di rifiutare la nomina.
Tuttavia, il relativo accertamento, concernendo una questione di fatto, non è censurabile in sede di legittimità, se non nei ristretti limiti permessi in tale sede dalla tassatività dei vizi, contemplati nell’art. 360 c.p.c.
1.6.7 Orbene, osserva il Collegio che, nel caso di specie, la corte del merito ha accertato, sulla base di numerosi elementi probatori già sopra ricordati in premessa, che il ricorrente ricoprì la carica di amministratore nel periodo oggetto di causa. Si tratta di un giudizio di fatto, cui il giudice del merito è giunto dopo una complessa attività di ricostruzione della vicenda concreta, sulla base dei documenti e delle prove presuntive tratte dall’istruttoria, secondo gli elementi in motivazione ampiamente illustrati e sopra riferiti.
Tale accertamento – che sotto nessun profilo contrasta con i principi di diritto sopra riaffermati – non può essere rimesso qui in discussione, dunque, in punto di fatto, ed il motivo al riguardo si palesa inammissibile.
A ciò va aggiunto che anche le ulteriori censure articolate in punto di iscrizione della delibera assembleare di nomina dell’amministratore nel registro delle imprese sono destinate a naufragare contro il consolidato principio affermato dalla giurisprudenza di questa Corte di legittimità secondo cui la detta iscrizione è adempimento di natura dichiarativa e non costitutiva (Cass., Sez. 1 – , Ordinanza n. 30542 del 26/11/2018).
Con il secondo mezzo si deduce violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., dell’art. 2476 cod. civ., in relazione all’art. 112 c.p.c.
2.1 Il motivo è infondato.
2.1.1 Sostiene il ricorrente che, non potendosi qualificare come amministratore di diritto, non potrebbe comunque essere qualificato come amministratore di fatto, in quanto la parte attrice mai aveva richiesto un tale accertamento giudiziale sul quale le parti non avevano neanche preso posizione nel corso dei giudizi di merito. Difetterebbero del tutto -aggiunge il ricorrente -i requisiti indicati dalla giurisprudenza di legittimità per l’esatta individuazione dell’amministratore di fatto, dovendosi riten ere che, nel caso di specie, l’unica attività dimostrata in giudizio sarebbe stata quella della sua partecipazione a due assemblee straordinarie.
2.1.2 Osserva ancora il ricorrente che sarebbe stato ritenuto responsabile dalla Corte territoriale non già per le condotte allegate dalla curatela attrice ed appellante, ma solo per non aver richiesto la dichiarazione di fallimento, di cui, una volta assu nta la carica nell’ottobre del 2005, avrebbe dovuto immediatamente avvedersi in termini di necessità. Si evidenzia che una tale negligente condotta gestoria non sarebbe mai stata contestata da parte attrice e non avrebbe comunque formato oggetto di contraddittorio processuale, né sottoposta all’attenzione delle parti, ex art. 101, 2 comma, c.p.c. La curatela avrebbe, infatti, affrontato la questione della incapienza della società, non già per rilevare che gli amministratori erano tenuti a provocarne la dichiarazione di fallimento, pena la loro responsabilità per il cd. danno da aggravamento del dissesto, ma piuttosto per rilevare la sussistenza, a far tempo dal 2001, di una causa di scioglimento, con conseguente responsabilità da nuove operazioni degli amministratori, ai sensi degli artt. 2484 e s. cod. civ.
2.1.3 Osserva ancora il ricorrente che l’azione di responsabilità ex art. 2476 cod. civ. richiede, invero, l’allegazione e la prova del danno eziologicamente riconducibile alla condotta illegittima contestata agli amministratori e apparendo evidente come la curatela attrice non avesse mai effettuato alcuna specifica allegazione in merito al danno derivante dalla mancata dichiarazione di fallimento della società, quello da aggravamento del dissesto.
La sopra descritta condotta ed il relativo danno non sarebbero stati, dunque, mai compiutamente allegati dal Fallimento e la Corte del merito, fondando su di essi la sua condanna, avrebbe perciò violato l’art. 112 c.p.c.
2.2 Le doglianze sono manifestamente infondate, posto che la Corte non ha in alcun modo pronunciato ultra petita , essendosi solo limitata ad accertare il titolo di responsabilità dell’amministratore, circoscrivendolo ad uno degli addebiti contestati dalla curatela, e cioè la mancata tempestiva richiesta di dichiarazione di fallimento con il conseguente danno da dissesto ritardato, condotta invero espressamente fatta oggetto di addebito, come emerge chiaramente dalla lettura del provvedimento impugnato e ammesso implicitamente in realtà dallo stesso ricorrente nel motivo di ricorso qui in esame.
Con il terzo motivo si censura il provvedimento impugnato, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per violazione dell’art. 55 l. fall. e dell’art. 101, 2 comma, c.p.c.
3.1 Anche il terzo mezzo è infondato.
3.2 Sostiene, in primo luogo, il ricorrente che erroneamente la Corte di merito avrebbe considerato quattro mesi un lasso di tempo sufficiente per un amministratore per verificare lo stato di decozione di una società di cui riveste la qualifica di amministratore e che altrettanto erroneamente avrebbe fissato, in via equitativa, in euro 500.000 il danno conseguente alla ritardata dichiarazione di fallimento della società debitrice. Non si comprenderebbesecondo il ricorrente -l’arrotondamento ad euro 500.0 00 del danno liquidato, posto che il computo degli interessi legali sulla debitoria complessiva (debiti erariali e dei lavoratori ammessi al passivo) avrebbe portato alla liquidazione della diversa e minor somma pari ad euro 404.804,92. Non sarebbe neanche corretto, dal punto di vista giuridico, il criterio di calcolo del danno, incentrato sugli interessi maturati sul debito sopra considerato, posto che, ai sensi dell’art. 55 l. fall., la dichiarazione di fallimento non determina la sospensione del corso degli interessi derivanti dai crediti privilegiati, quali erano tutti i crediti indicati dalla Corte territoriale , costituiti da crediti erariali e crediti di lavoratori dipendenti, con la conseguenza che, quand’anche avesse provocato il fallimento, giammai avrebbe potuto evitare la maturazione degli interessi in capo ai crediti (tutti privilegiati) indicati dalla Corte di appello. Aggiunge il ricorrente che non era stata neanche posto in grado di esporre tali considerazioni, in quanto la questione, officiosamente sollevata dalla Corte di
merito, non era appartenuta al contraddittorio processuale, in violazione de ll’art. 101, 2 comma, c.p.c.
3.3 Il motivo presenta profili di inammissibilità e di infondatezza.
3.3.1 Sotto il primo profilo ed in relazione alla contestazione della liquidazione equitativa del danno, va osservato che costituisce principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte quello secondo cui l’esercizio in concreto del potere discrezionale conferito al giudice di procedere alla liquidazione del danno in via equitativa è suscettibile di sindacato in sede di legittimità soltanto se la motivazione non dia adeguatamente conto dell’uso di tale facoltà, indicando il processo logico e valutativo seguito (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 6285 del 30/03/2004; v. anche: Cass. n. 4788 del 2001; n. 7379 del 2003; n. 9626 del 2003; n. 14678 del 2003 ). E’ stato altresì specificato, peraltro proprio nella materia in esame, che, in tema di responsabilità degli organi sociali per l’appunto l’esercizio in concreto del potere discrezionale del giudice di liquidare il danno in via equitativa, nonché l’accertamento del relativo presupposto, costituito dall’impossibilità o dalla rilevante difficoltà di precisare il danno nel suo esatto ammontare, sono il frutto un giudizio di fatto, non sindacabile in sede di legittimità se correttamente motivato (così, Cass. Sez. 1, Sentenza n. 23233 del 14/10/2013; v. anche in termini più generali: Sez. 3, Sentenza n. 11007 del 14/07/2003; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 6285 del 30/03/2004).
Ciò posto, va osservato che il ricorrente neanche contesta il profilo argomentativo, ma appunta le sue censure sul diverso profilo della correttezza giuridica del criterio adottato dalla Corte partenopea per la quantificazione del danno, profilo che si fonda invece su accertamenti in fatto (quantificazione del montante dei debiti ammessi al passivo; calcolo del periodo di maturazione degli interessi), che non possono essere più sindacati in questo giudizio di legittimità.
3.3.2 Né può ritenersi -e qui in relazione invece ai profili di infondatezza delle doglianze -che vi sia stata violazione dell’art. 101, 2 comma, c.p.c., posto che il titolo di responsabilità dell’amministratore era stato oggetto di contestazione da parte della curatela fallimentare appellante e dunque
sottoposto al contraddittorio processuale anche in relazione al conseguente danno cagionato e del quale il fallimento reclamava il ristoro.
Ne discende il complessivo rigetto del ricorso.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art.13 (Cass. Sez. Un. 23535 del 2019).
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 16.000 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, il 12.3.2024