Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 1460 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 1460 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 21/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 15282/2020 R.G. proposto da :
COGNOME NOMECOGNOME e COGNOME NOME COGNOME, elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME COGNOME (CODICE_FISCALE, rappresentati e difesi dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE per procura in calce al ricorso,
-ricorrenti- contro
RAGIONE_SOCIALE e per essa la mandataria RAGIONE_SOCIALE già RAGIONE_SOCIALE in persona del dirigente NOME COGNOME in forza dei poteri spettanti giusta procura del notaio COGNOME COGNOME del 27.12.2018, rep. n. 72340, racc. n. 25436,
elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende per procura in calce al controricorso,
-controricorrente-
nonchè contro
RAGIONE_SOCIALE e per essa la mandataria RAGIONE_SOCIALE in persona del Consigliere delegato NOME COGNOME giusta delibera del verbale del Consiglio di amministrazione del 23.9.2015, in base alla procura per atto del notaio NOME COGNOME dell’11.12.2015, rep. n. 291207, racc. n. 26805, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE, che la rappresenta e difende per procura in calce al controricorso, -controricorrente-
nonchè contro
COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME BANCA NAZIONALE DEL LAVORO SPARAGIONE_SOCIALE
-intimati- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di ROMA n.7086/2019 depositata il 19.11.2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 10.1.2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La RAGIONE_SOCIALE (poi RAGIONE_SOCIALE, quale mandataria della RAGIONE_SOCIALE, quale creditrice di COGNOME NOME, nel corso della procedura esecutiva a carico dello stesso, pendente davanti al Tribunale di Viterbo, promuoveva davanti a quello stesso Tribunale il 20.2.2008 giudizio incidentale di divisione nei confronti degli eredi testamentari di COGNOME NOME, deceduto l’11.5.1995, ossia dei fratelli COGNOME NOME, NOME e NOME, COGNOME NOME e NOME, succeduti per rappresentazione alla madre premorta COGNOME NOME, e nei confronti di COGNOME NOME quale erede della defunta comproprietaria, COGNOME NOME, nonché nei confronti dei creditori, Banca Nazionale del Lavoro SPA, Banco di Brescia SPA, Italfondiario SPA, Deutsche Bank AGH, e dei comproprietari COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME. Della comunione ereditaria faceva parte la quota di alcuni immobili siti in Tuscania ed in Tessennano (VT), mentre della comunione ordinaria di COGNOME NOME coi comproprietari COGNOME NOMECOGNOME NOME e COGNOME NOME facevano parte ulteriori immobili siti in Viterbo.
Rimasti contumaci COGNOME NOME, che non si presentava neanche a rendere interrogatorio formale, il Banco di Brescia SPA, l’RAGIONE_SOCIALE, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, il Tribunale di Viterbo, con la sentenza n. 905/2016 accoglieva la domanda di collazione della somma di £ 44.870.768 versata da COGNOME NOME a COGNOME NOME il 7.4.1995 avanzata da COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, dichiarava lo scioglimento della comunione ereditaria con condanna di COGNOME NOME al pagamento di € 5.793,45 in favore di COGNOME NOME e COGNOME NOME, e di € 2.986,72 in favore di COGNOME NOME e COGNOME NOME, oltre interessi legali dall’apertura della successione, e lo scioglimento della comunione ordinaria,
dichiarava l’indivisibilità degli immobili e ne disponeva la vendita come da separata ordinanza.
La suddetta sentenza veniva appellata da COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, che in particolare chiedevano la sospensione dell’esecutività della sentenza di primo grado, e l’attribuzione in piena proprietà degli immobili della comunione ereditaria secondo il progetto di divisione predisposto dal CTU, geometra NOME COGNOME.
Nel giudizio di appello interveniva il 24.9.2019 COGNOME NOME, figlia legittima di COGNOME NOME, al pari di COGNOME NOME, NOME ed NOME, ed eccepiva che non era stata accertata nel giudizio di primo grado la qualità di erede del chiamato all’eredità, COGNOME NOME, della quale neppure era stato chiesto l’accertamento, e che in realtà il predetto non aveva mai accettato l’eredità del padre, COGNOME NOME, ai sensi degli articoli 475 e 476 cod. civ., essendo stato peraltro convenuto in giudizio quando il suo diritto di accettare l’eredità era già prescritto ex art. 480 cod. civ., per cui l’eredità del nonno si era devoluta a lei ed ai suoi fratelli per rappresentazione ex art. 467 cod. civ..
La stessa NOME interveniva anche nel giudizio di reclamo promosso davanti al Tribunale di Viterbo dalla RAGIONE_SOCIALE contro la riserva alla trascrizione della sentenza di divisione, come atto di accettazione tacita di eredità, formulata dal Conservatore dei Registri Immobiliari, giudizio che si concludeva col decreto del 29.11.2018, che dichiarava l’improcedibilità per tardività del reclamo, riconoscendo comunque che era stato corretto l’operato del Conservatore, in quanto COGNOME NOME era rimasto contumace nel giudizio di divisione, nel quale non si era fatto alcun riferimento alla posizione dell’intestataria catastale COGNOME Armida.
La Corte d’Appello di Roma, nella resistenza della RAGIONE_SOCIALE quale mandataria della RAGIONE_SOCIALE e della Phoenix
RAGIONE_SOCIALE quale mandataria della RAGIONE_SOCIALE e nella contumacia delle altre parti, con la sentenza n. 7086/2019 dell’11.9/19.11.2019, in parziale riforma della sentenza di primo grado, assegnava gli immobili della comunione ereditaria di COGNOME Guido ai singoli coeredi COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e congiuntamente a COGNOME NOME e COGNOME NOME, determinando i conguagli relativi, rigettava l’atto di intervento di COGNOME NOME e compensava tra le parti costituite le spese processuali.
In particolare la Corte d’Appello, oltre a procedere alla divisione in natura ed all’assegnazione degli immobili della comunione ereditaria, in conformità alle richieste avanzate dai coeredi di COGNOME COGNOME, dava atto che nelle successioni mortis causa l’apertura della successione non era di per sé sufficiente ad attribuire al chiamato all’eredità la qualifica di erede, occorrendo la materiale accettazione dell’eredità, espressa, o tacita, e che l’onere di provare l’assunzione della qualità di erede gravava su chi agiva in giudizio nei confronti del preteso erede (in tal senso Cass. n.21436/2018 e Cass. n. 10525/2010), che non era esonerato dalla relativa prova per effetto della contumacia in primo grado di COGNOME NOME, trattandosi di un comportamento neutro che non permetteva di invocare il principio di non contestazione, valevole solo per le parti costituite.
Dopo l’espressione di tali principi, la Corte d’Appello osservava che COGNOME NOME era rimasto contumace, e la sua qualità di erede, per la parte degli immobili in comproprietà col padre, non era stata contestata dalle parti costituite, tra le quali anche i coeredi; che anzi COGNOME NOME aveva prodotto il testamento olografo di COGNOME NOME, che attribuiva quote uguali ai figli COGNOME NOME, NOME e NOME ed ai figli della figlia NOME, premorta, COGNOME NOME e COGNOME NOME; che la situazione apparente, in mancanza di contestazioni, non imponeva al giudice la verifica d’ufficio
dell’effettiva qualità di erede di COGNOME NOME, potendosi presumere in base al rapporto col de cuius ed alle disposizioni testamentarie; che il CTU nell’esame degli atti catastali nulla aveva rilevato al riguardo, avendo anzi attribuito a COGNOME NOME la sua quota di comproprietà, oltre alla quota ereditaria sulla parte di proprietà del padre; che la contestazione della qualità di erede di COGNOME NOME era stata effettuata solo in secondo grado dalla figlia, NOMECOGNOME che peraltro non aveva neanche prodotto atti dai quali ricavare l’accettazione implicita dell’eredità di COGNOME NOME da parte dei nipoti, figli di COGNOME NOME; che quanto all’avvenuta trascrizione solo con riserva della sentenza di divisione, come accettazione tacita, da parte del Conservatore dei Registri Immobiliari di Viterbo, per la contumacia di COGNOME NOME valevano le considerazioni già svolte, mentre relativamente a NOME era stata citata anche come erede di NOME pur non essendo stato ciò riportato puntualmente nella sentenza impugnata.
Avverso tale sentenza, non notificata, hanno proposto tempestivo ricorso a questa Corte COGNOME COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOMECOGNOME affidandosi a due motivi, ed hanno resistito con distinti controricorsi la RAGIONE_SOCIALE quale mandataria della RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE quale mandataria della RAGIONE_SOCIALE, mentre sono rimasti intimati COGNOME NOME, la Banca Nazionale del Lavoro SPA, la Banca Ifis SPA, la UBI Banca SPA, l’RAGIONE_SOCIALE, la Cooperativa produttori agricoli RAGIONE_SOCIALE.RAGIONE_SOCIALE., COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME.
Nell’imminenza dell’adunanza camerale la sola COGNOME COGNOME ha depositato memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c..
RAGIONI DELLA DECISIONE
Col primo motivo i ricorrenti lamentano, in relazione all’art. 360 comma primo n. 3), 4) e 5) c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli articoli 459, 474, 480 e 2697 cod. civ. in rapporto all’art. 784 c.p.c., l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio in violazione degli articoli 112 e 115 c.p.c. e la nullità del procedimento e della sentenza impugnata.
Si dolgono i ricorrenti che la Corte d’Appello dopo avere correttamente richiamato in astratto i principi che l’accettazione dell’eredità espressa o tacita non é implicita nella delazione della stessa e va dimostrata da chi agisce contro il preteso erede (richiamando in proposito Cass. sez. lav. n. 21436/2018 e Cass. n.10525/2010), quale elemento costitutivo del diritto azionato, e che il principio di non contestazione non é utilizzabile nei confronti del contumace, qual era appunto COGNOME NOME nei giudizi di primo e di secondo grado, abbia però disapplicato tali principi nel caso concreto, ritenendo di poter presumere l’effettiva qualità di erede di COGNOME NOME dallo stato di fatto legittimante la partecipazione al giudizio di divisione anche nella detta qualità. In particolare l’impugnata sentenza ha ritenuto di poter applicare il principio di non contestazione ai chiamati coeredi ed ai creditori convenuti che si erano costituiti, e che non avevano, a differenza dei ricorrenti, alcun interesse a negare la qualità di erede di COGNOME NOME, rimasto invece contumace, ancorché non fosse stato neppure chiesto dalla parte attrice di accertare la qualità di erede del predetto, ha fatto riferimento alla circostanza che la qualità di erede di COGNOME NOME era stata messa in dubbio dalla figlia solo nel giudizio di secondo grado senza dimostrare che avessero accettato l’eredità di COGNOME NOME i figli di COGNOME NOME, così invertendo l’onere probatorio dell’art. 2697 cod. civ., ha richiamato la CTU del geometra COGNOME che nulla aveva rilevato in proposito dall’esame degli atti catastali, notoriamente privi di valore probatorio perché inidonei a manifestare la volontà del chiamato
all’eredità, ed ha ignorato i documenti allegati alla CTU COGNOME, che dimostravano il possesso degli immobili ereditari da parte di COGNOME NOME e NOME, e non da parte di COGNOME NOME, e che provavano che l’imposta Tarsu ed il servizio idrico e fognario risultavano ancora intestati al defunto COGNOME NOME.
Da ultimo i ricorrenti lamentano che la Corte d’Appello abbia ritenuto, in assenza di prove sul punto, che NOME fosse stata citata anche come erede di NOME, moglie di COGNOME NOME, deceduta nel 2003, i cui eredi, pertanto, non avevano partecipato al giudizio di divisione di COGNOME NOME, e che nonostante la mancata prova dell’accettazione dell’eredità di COGNOME NOME, e la mancata attivazione della procedura di fissazione del termine di accettazione dell’eredità dell’art. 481 c.p.c., non abbia adottato i provvedimenti necessari a garantire l’integrità del contraddittorio ex artt. 350 e 354 c.p.c. e non si sia pronunciata sull’eccezione di prescrizione del diritto di accettare l’eredità di NOME NOME da parte di COGNOME NOME sollevata da NOME.
2) Col secondo motivo i ricorrenti lamentano, in relazione all’art. 360 comma primo n. 3), 4) e 5) c.p.c., la violazione o falsa applicazione degli articoli 784, 331, 350, 354, 101, 102, 107, 111 e 270 c.p.c., l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio e la nullità del procedimento e della sentenza impugnata.
Deducono i ricorrenti che l’art. 784 c.p.c. prevede il litisconsorzio necessario dei coeredi e dei creditori opponenti nei giudizi di divisione dei beni ereditari, e che il difetto d’integrità del contraddittorio é rilevabile in ogni stato e grado del giudizio, per cui se viene rilevato in appello il giudice deve rimettere la causa al giudice di primo grado ex art. 354 c.p.c..
Osservano i ricorrenti che non essendo stati convenuti in giudizio gli eredi di COGNOME NOMECOGNOME moglie di COGNOME NOME deceduta nel 2003, che era legataria di usufrutto in base al testamento del
marito, ma anche comproprietaria di uno dei terreni oggetto di divisione, e non essendo stata provata l’accettazione dell’eredità da parte del contumace COGNOME NOME, peraltro convenuto nel giudizio di divisione nel febbraio 2008, quando erano già trascorsi oltre dieci anni dalla morte di COGNOME NOME (11.5.1995), il suo diritto di accettare l’eredità doveva ritenersi prescritto ex art. 480 cod. civ., e non era stata neppure attivata la procedura per la fissazione del termine di accettazione dell’eredità ex art. 481 cod. civ.; la Corte d’Appello di Roma avrebbe dovuto rilevare il difetto del contraddittorio nel giudizio di primo grado per la mancata citazione di tutti gli eredi di NOME (essendo stata citata solo NOME nella qualità di erede della defunta comproprietaria NOME) e dei figli di NOME NOME (NOME, NOME, NOME e NOME) succeduti per rappresentazione in luogo del padre, che non aveva inteso accettare l’eredità di COGNOME NOME, e la conseguente nullità derivata della sentenza del Tribunale di Viterbo.
Aggiungono poi i ricorrenti che la Corte d’Appello rigettando l’intervento spiegato da COGNOME COGNOME senza illustrarne le ragioni, aveva anche violato l’art. 112 c.p.c..
I due motivi del ricorso, da esaminare congiuntamente per la loro evidente connessione, sono fondati e meritano accoglimento.
Va premesso che avendo spiegato COGNOME NOME intervento litisconsortile nel giudizio di secondo grado, la stessa deve ritenersi legittimata a proporre ricorso contro la sentenza della Corte d’Appello di Roma n. 7086/2019, mentre quello di COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOMECOGNOME che con lei hanno sottoscritto il ricorso, ma non hanno partecipato ai precedenti due gradi di giudizio, va qualificato come intervento adesivo al ricorso di NOME.
Per giurisprudenza consolidata di questa Corte ” in tema di successioni mortis causa, la delazione che segue l’apertura della
successione, pur rappresentandone un presupposto, non è di per sè sola sufficiente all’acquisto della qualità di erede, essendo a tale effetto necessaria anche, da parte del chiamato, l’accettazione, mediante “aditio” oppure per effetto di “pro herede gestio” oppure per la ricorrenza delle condizioni di cui all’art. 485 c.c.. Ne consegue che, in ipotesi di giudizio instaurato nei confronti del preteso erede per debiti del “de cuius”, incombe su chi agisce, in applicazione del principio generale di cui all’art. 2697 c.c., l’onere di provare l’assunzione da parte del convenuto della qualità di erede, la quale non può desumersi dalla mera chiamata all’eredità, non essendo prevista alcuna presunzione in tal senso, ma consegue solo all’accettazione dell’eredità, espressa o tacita, la cui ricorrenza rappresenta, quindi, un elemento costitutivo del diritto azionato nei confronti del soggetto evocato in giudizio nella predetta qualità ” (Cass. sez. lav. n.21436/2018; Cass. n. 10525/2010; Cass. 30.10.1991 n. 11634; Cass. 22.2.1988 n. 1885; Cass. 10.3.1987 n. 2489).
Nel caso di specie la RAGIONE_SOCIALE (poi RAGIONE_SOCIALE, quale mandataria della Unicredito Italiano RAGIONE_SOCIALE, creditrice di COGNOME NOME, avendo chiesto la divisione dei beni appartenenti al suo debitore quale coerede di COGNOME NOME, aveva l’onere di provare la qualità di erede di COGNOME NOME di COGNOME NOME, costituente elemento costitutivo della sua domanda, tanto più che quando ha iniziato il giudizio di divisione (20.2.2008) erano trascorsi oltre dieci anni dalla morte di COGNOME NOME (11.5.1995) e che la contumacia di COGNOME NOME, comportamento neutro, non consentiva di desumere dalla sua costituzione in giudizio l’accettazione tacita dell’eredità. La contumacia, infatti, al pari del silenzio in campo negoziale, non equivale ad alcuna manifestazione di volontà favorevole alla pretesa della controparte, ma lascia del tutto inalterato il substrato di contrapposizione su cui si articola il contraddittorio (Cass. 11.7.2003 n. 10947; Cass. 9 dicembre 1994,
n. 10554; Cass. 13 novembre 1989, n. 4800), dando luogo solo a quei particolari effetti ed incombenti che sono espressamente previsti dal legislatore, e mantenendo per il resto un carattere neutro (Cass. 7.12.1984 n. 6462; Cass. 28.1.1982, n.560).
Non è quindi possibile considerare come non contestati dal convenuto contumace fatti costitutivi della domanda della cui sussistenza l’attore ha l’onere della prova (Cass. 11.7.2003 n. 10947; Cass. 6.2.1998 n. 1293; Cass. 20.7.1985 n. 4301; Cass. 11 aprile 1985, n. 2410), ed il giudice in presenza di un contumace ha il dovere di accertare se da parte dell’attore sia stata data dimostrazione probatoria dei fatti costitutivi e giustificativi della pretesa, indipendentemente dalla circostanza che, in ordine ai medesimi, siano state o meno proposte, dalla parte legittimata a contraddire, contestazioni specifiche, difese ed eccezioni improprie (Cass. 11.7.2003 n. 10947; Cass. 9.3.1990, n.1898). Va poi considerato che il principio di non contestazione, in disparte la sua invocabilità solo per i fatti che siano a conoscenza delle parti e ad esse comuni, non poteva essere applicato neppure per desumere dal fatto che i coeredi ed i creditori costituiti in primo grado non avessero effettuato rilievi sul punto, che COGNOME NOME avesse tacitamente accettato l’eredità paterna, data la contumacia del predetto in primo ed in secondo grado. L’impossibilità di applicare il principio dell’art. 115 comma 1° c.p.c. quando non siano costituiti tutti i convenuti destinatari dell’azione a litisconsorzio necessario, deriva dal fatto che la controversia deve svolgersi in maniera unitaria e con applicazione della medesima disciplina sull’onere probatorio tra tutti i soggetti del rapporto processuale unitario ed inscindibile, e deve concludersi con una decisione uniforme per tutti i soggetti che vi partecipano (Cass. n.21096/2016; Cass. n.3567/2013; Cass. n. 3011/2006).
La Corte d’Appello ha basato la ritenuta accettazione tacita dell’eredità di COGNOME NOME da parte di COGNOME NOME su elementi totalmente inconsistenti:
La mancata contestazione dei coeredi e dei creditori costituitisi, che in realtà non avevano alcun interesse a mettere in dubbio la qualità di erede di COGNOME NOME, ancorchè nei casi di litisconsorzio necessario quale quello del giudizio di divisione, ove non siano costituiti tutti i convenuti, non é applicabile il principio di non contestazione dell’art. 115 comma 1° c.p.c., come sopra osservato;
La presenza di disposizioni testamentarie di COGNOME NOME a favore di tutti i figli e quindi anche di COGNOME NOME, che in realtà costituisce prova solo della delazione e non dell’accettazione dell’eredità da parte dei chiamati alla successione;
La situazione apparente, non meglio specificata, priva di qualsiasi riferimento al possesso di beni ereditari da parte di COGNOME NOME o al compimento da parte sua di atti che non avrebbe potuto compiere se non in qualità di erede di COGNOME NOME;
Il fatto che il CTU nell’esame degli atti catastali nulla abbia rilevato sul punto, attribuendo a COGNOME NOME sia la quota già di sua proprietà, sia quella ereditaria, quando in realtà all’intestazione catastale non accompagnata da indicazioni su chi l’abbia richiesta non può essere attribuito alcun valore probatorio circa l’avvenuta accettazione dell’eredità da parte degli intestatari, a maggior ragione in un caso come quello in esame, in cui la trascrizione della sentenza di divisione di primo grado come accettazione dell’eredità era avvenuta con riserva da parte del Conservatore dei Registri Immobiliari proprio in ragione della contumacia di COGNOME NOME;
La circostanza che NOME, intervenuta nel giudizio di secondo grado, non avesse fornito prova dell’accettazione dell’eredità di COGNOME NOME da parte sua e dei suoi fratelli COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME per rappresentazione rispetto al padre COGNOME NOME, laddove era sulla parte attrice e non certo su COGNOME NOME che gravava l’onere della prova dell’accettazione dell’eredità da parte di COGNOME NOME.
Mancando quindi le prove dell’accettazione espressa, o tacita dell’eredità di COGNOME NOME da parte di COGNOME NOME, e non avendo l’originaria parte attrice attivato la procedura dell’art. 481 c.p.c. per acquisire certezza nell’identificazione degli eredi di COGNOME NOME, la Corte d’Appello non avrebbe potuto considerare COGNOME NOME come erede di COGNOME NOME, ed avrebbe dovuto rilevare che i figli dello stesso, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, dovevano essere chiamati in causa nel giudizio di primo grado perché destinati a succedere al nonno paterno per rappresentazione in luogo del padre.
A ciò va aggiunto, che anche se COGNOME NOME, moglie di COGNOME NOME deceduta prima dell’inizio del giudizio di divisione, avendo ricevuto per testamento dal marito solo un legato di usufrutto, non era litisconsorte necessaria nel giudizio di divisione dei beni della comunione ereditaria, poiché era anche comproprietaria di un terreno oggetto di divisione era per tale ragione litisconsorte necessaria, per cui al suo posto dovevano essere citati in qualità di eredi nel giudizio di primo grado tutti i suoi eredi, e non la sola NOME sicché anche sotto questo profilo la sentenza impugnata é viziata per nullità per violazione del principio del contraddittorio.
La violazione delle norme sul litisconsorzio necessario, non rilevata dal giudice di primo grado, che non ha disposto l’integrazione del contraddittorio, né da quello di appello, che non ha provveduto a
rimettere la causa al primo giudice ai sensi dell’art. 354 c.p.c., comma 1, comporta infatti che resta viziato l’intero processo, imponendo, pertanto, in sede di giudizio di cassazione, l’annullamento, anche d’ufficio, delle pronunce emesse ed il conseguente rinvio della causa al giudice di primo grado, a norma dell’art. 383 c.p.c., comma 3°, (Cass. 2.2.2022 n. 3252; Cass. n.20243/2021; Cass. n. 4645/2021; Cass. n.23315/2020; Cass. n.6644/2018; Cass. n. 18127/2013; Cass. sez. un. n.3678/2009; Cass. n. 8825/2007).
Il Tribunale di Viterbo in persona di diverso magistrato, davanti al quale il giudizio dovrà essere riassunto per integrare il contraddittorio nei confronti dei figli di COGNOME NOME e di tutti gli eredi di COGNOME NOME, provvederà anche per le spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte di Cassazione, accoglie il ricorso di COGNOME COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOMECOGNOME dichiara la nullità del giudizio di primo grado e del giudizio di secondo grado, cassa l’impugnata sentenza e rinvia al Tribunale di Viterbo in persona di diverso magistrato, che provvederà anche per le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso nella camera di consiglio del 10.1.2025