Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 8757 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 8757 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 02/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 16796/2023 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO ROMA n. 2227/2023 depositata il 28/03/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 04/02/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Svolgimento del processo
Con atto di citazione del 7 dicembre 2020, la RAGIONE_SOCIALE esponeva di avere stipulato contratti di locazione e sublocazione commerciale con la società RAGIONE_SOCIALE per la gestione di locali laboratorio analisi e accessori a decorrere dal 30 settembre 2002. I rapporti tra le società erano regolati da una scrittura privata del 22 ottobre 2002.
In data 1° marzo 2014 in concomitanza con la scadenza contrattuale subentrava alla società RAGIONE_SOCIALE la RAGIONE_SOCIALE I rapporti tra le due società venivano integrati da un contratto di associazione in partecipazione del 26 febbraio 2014 fino a quando il 14 agosto 2019 RAGIONE_SOCIALE comunicava il proprio recesso dal contratto di associazione in partecipazione, negando il rinnovo automatico per i successivi sei anni. L’attrice aggiungeva che, indipendentemente dalla cronologia dei contratti di locazione, prima e di associazione in partecipazione, dopo, si trattava di una vera e propria azienda, il cui ramo era stato trasferito dalla RAGIONE_SOCIALE, prima alla RAGIONE_SOCIALE e poi alla RAGIONE_SOCIALE
Trattandosi pertanto di un affitto di ramo di azienda deduceva la illegittimità del recesso operato giacché la reale intenzione sarebbe stata quella di estromettere illegittimamente RAGIONE_SOCIALE dalla gestione del ramo di azienda con interruzione della corresponsione mensile degli utili dovuti. Concludeva chiedendo la dichiarazione di simulazione del contratto di associazione in partecipazione del 26 febbraio 2014 e la dichiarazione di esistenza di un contratto di affitto di ramo di azienda fra le stesse società, con dichiarazione dell’abuso del diritto da parte di RAGIONE_SOCIALE e
conseguente inefficacia del recesso del 14 agosto 2019 con conseguente reintegrazione di RAGIONE_SOCIALE nella azienda. In via subordinata chiedeva il risarcimento dei danni subiti per il recesso abusivo quantificati in euro 1.200.000 e in via ulteriormente gradata la dichiarazione di simulazione sia del contratto di associazione in partecipazione che del contratto di locazione commerciale con conseguente nullità della disdetta e rinnovo del contratto di locazione commerciale ovvero, in via subordinata, la condanna di RAGIONE_SOCIALE alla restituzione dei canoni di locazione versati sin dal febbraio 2014, il pagamento della indennità di avviamento, oltre interessi.
Si costituiva RAGIONE_SOCIALE concludendo per il rigetto delle domande avversarie chiedendo, in via riconvenzionale la condanna per responsabilità aggravata ai sensi dell’articolo 96, primo comma c.p.c.
Disposto il mutamento dal rito ordinario di cognizione a quello locativo, il Tribunale di Tivoli, con sentenza del 28 novembre 2022, accoglieva parzialmente la domanda e dichiarava la invalidità e inefficacia del recesso esercitato da RAGIONE_SOCIALE nei confronti di RAGIONE_SOCIALE con lettera del 14 agosto 2019 e reintegrava quest’ultima nella posizione di associata nel contratto di associazione in partecipazione del 26 febbraio 2014.
Avverso tale decisione proponeva appello RAGIONE_SOCIALE e si costituiva RAGIONE_SOCIALE deducendo la infondatezza dei motivi di impugnazione.
La Corte d’appello di Roma con sentenza del 27 marzo 2023 accoglieva il motivo con il quale RAGIONE_SOCIALE censurava la decisione del Tribunale nella parte in cui aveva ritenuto che il recesso dal contratto di associazione in partecipazione costituisse un abuso del diritto. Secondo la Corte, al contrario, la parte aveva esercitato la facoltà prevista all’articolo 8 del contratto di associazione e cioè il diritto potestativo di impedire rinnovo automatico del contratto
attraverso la disdetta inviata tempestivamente sei mesi prima della scadenza. Pertanto, in parziale riforma della sentenza impugnata rigettava la domanda di RAGIONE_SOCIALE di accertamento della contrarietà a buona fede del recesso, rigettava la domanda volta a conseguire la reintegrazione nel contratto di associazione in partecipazione e provvedeva sulle spese sia di primo, che di secondo grado, ponendole a carico di RAGIONE_SOCIALE Avverso tale decisione propone ricorso per cassazione RAGIONE_SOCIALE affidandosi a quattro motivi. Resiste con controricorso RAGIONE_SOCIALE Entrambe le parti depositano memorie sensi dell’articolo 380 -bis .1 c.p.c.
Motivi della decisione
Con il primo motivo si deduce, ai sensi dell’articolo 360, n. 3 e n. 5, la violazione dell’articolo 342 c.p.c. perché la Corte territoriale non avrebbe dichiarato l’inammissibilità del ricorso in appello. Nella sentenza impugnata non sarebbe stato preso in esame il profilo della sinteticità e chiarezza degli atti, quale dovere processuale, palesemente violato nella predisposizione dell’atto di appello di controparte.
Il motivo è inammissibile perché dedotto in violazione dell’articolo 366, n. 6 c.p.c. Parte ricorrente avrebbe dovuto trascrivere i passaggi essenziali, quantomeno quelli relativi alla formulazione dei motivi di appello, per dimostrare il proprio assunto.
Quando il ricorso si fonda su documenti, il ricorrente ha l’onere di “indicarli in modo specifico” nel ricorso, a pena di inammissibilità (art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6).
“Indicarli in modo specifico” vuol dire, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte:
(a) trascriverne il contenuto per la parte che sorregge il motivo, oppure riassumerlo in modo esaustivo, in questo secondo caso avendo cura di precisare la parte dell’atto cui corrisponde l’indiretta riproduzione;
(b) indicare in quale fase processuale siano stati prodotti;
(c) indicare a quale fascicolo siano allegati, e con quale indicizzazione (in tal senso, ex multis , Sez. 6-3, Sentenza n. 19048 del 28/09/2016; Sez. 5, Sentenza n. 14784 del 15/07/2015; Sez. U, Sentenza n. 16887 del 05/07/2013; Sez. L, Sentenza n. 2966 del 07/02/2011).
Principio ribadito da ultimo dalle Sezioni Unite secondo cui sono inammissibili, per violazione dell’art. 366, primo comma 1, n. 6, c.p.c., le censure fondate su atti e documenti del giudizio di merito qualora il ricorrente si limiti a richiamare tali atti e documenti, senza riprodurli nel ricorso ovvero, laddove riprodotti, senza fornire puntuali indicazioni necessarie alla loro individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte di cassazione, al fine di renderne possibile l’esame, ovvero ancora senza precisarne la collocazione nel fascicolo di ufficio o in quello di parte e la loro acquisizione o produzione in sede di giudizio di legittimità (Sez. U, Sentenza n. 34469 del 27/12/2019, Rv. 656488 – 01).
Tale onere non deve essere interpretato in modo eccessivamente formalistico, così da incidere sulla sostanza stessa del diritto in contesa, e non può pertanto tradursi in un ineluttabile onere di integrale trascrizione degli atti e documenti posti a fondamento del ricorso, insussistente laddove nel ricorso sia puntualmente indicato il contenuto degli atti richiamati all’interno delle censure, e sia specificamente segnalata la loro presenza negli atti del giudizio di merito (Cass. Sez. U., 18/03/2022, n. 8950, Rv. 664409 – 01)
Orbene, dei tre oneri su indicati, parte ricorrente non ha già assolto il primo, atteso che il motivo non fornisce alcuna riproduzione diretta od indiretta dell’atto di appello di cui sostiene non valutata la genericità ed in tal modo delega questa Corte a ricercare ciò che potrebbe giustificare la censura di mancanza i chiarezza, che si assume ignorata dal giudice dii merito.
Tanto basta a giustificare l’inammissibilità del motivo.
Con il secondo motivo si lamenta, ai sensi dell’articolo 360, n. 3 e n. 5 c.p.c. la violazione di articoli 1175 e 1375 c.c. oltre alla manifesta illogicità della motivazione ai sensi dell’articolo 132 c.p.c. perché la Corte territoriale avrebbe deciso in maniera difforme rispetto alla decisione di primo grado e ai principi di diritto in materia di abuso del diritto.
Il giudice di appello avrebbe omesso di valutare se l’esercizio del diritto di recesso sia stato esercitato nel rispetto delle regole di correttezza e buona fede. La Corte non avrebbe valutato ‘tutta quella serie di atti e fatti che sostanziano la fattispe cie richiamata dell’abuso del diritto’ dopo ben 20 anni di collaborazione commerciale quel recesso, denominato ‘recesso tecnico’ risultava contrario ai doveri di correttezza. La Corte territoriale avrebbe dovuto necessariamente riscontrare la malafede perché quel recesso era finalizzato a ‘sopprimere commercialmente un partner’ abusando del diritto.
Con il terzo motivo si deduce, ai sensi dell’articolo 360, n. 1 e n. 3 c.p.c., la violazione degli articoli 1175 1375 c.c. e la manifesta illogicità della motivazione perché la Corte territoriale avrebbe deciso senza tenere conto delle coerenti e chiare risultanze fattuali e documentali.
La ricorrente censura il profilo dell’accertamento dell’abuso del diritto, oggetto del precedente motivo, attesa la motivazione illogica e contraddittoria.
La domanda di simulazione avrebbe dovuto trovare accoglimento sulla base di due elementi: la assenza nel contratto di associazione della partecipazione alle perdite da parte dell’associato e la assenza della gestione dell’impresa, interamente demandata a RAGIONE_SOCIALE. Inoltre, ricorrevano gli elementi tipici dell’affitto di ramo di azienda, come il pagamento del canone, la manutenzione degli impianti a carico di RAGIONE_SOCIALE, l’esercizio dell’attività sotto la ditta della RAGIONE_SOCIALE, le spese a carico del solo affittuario
simulato e la gestione a carico di quest’ultimo. In sostanza l’interesse era quello di aggirare la normativa regionale che impediva la gestione affidata a terzi delle convenzioni. Sotto tale profilo la decisione sarebbe del tutto carente di motivazione.
Il secondo e terzo motivo vanno trattati congiuntamente perché strettamente connessi come emerge anche dal riferimento contenuto nel terzo motivo del ricorso per cassazione ai profili relativi all’abuso del diritto già trattati nel motivo precedente.
I motivi sono inammissibili.
Va rilevato che la sentenza di primo grado ha pronunziato sul contratto di associazione in partecipazione valutando il profilo dell’abuso del diritto con riferimento al recesso. Conseguentemente è stata disattesa la domanda relativa alla simulazione assoluta di tale contratto di associazione in partecipazione, rispetto al rapporto dissimulato che, secondo la tesi prospettata in citazione ed oggi dalla odierna ricorrente, sarebbe quello di affitto di ramo di azienda.
Tale dato emerge con chiarezza dal contenuto della sentenza impugnata che rispettivamente a pag. 3 e a pag. 5 riporta le domande proposte in citazione e successivamente il dispositivo della sentenza del Tribunale.
Infatti, a pag. 3 si legge che ‘Con atto di citazione notificato in data 7.12.2010, la RAGIONE_SOCIALE ha convenuto innanzi al Tribunale di Tivoli la RAGIONE_SOCIALE chiedendo di ‘ – Accertare e dichiarare la simulazione del contratto di associazione in partecipazione del 26/02/2014 e l’intervenuto affitto di ramo di azienda tra la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE Accertare e dichiarare l’abuso del diritto da parte della RAGIONE_SOCIALE in p.l.r.p.t. per violazione degli artt. 1175 -1375 c.c. e, per l’effetto, dichiarare l’inefficacia del recesso del 14/08/2019 con conseguente reintegrazione della RAGIONE_SOCIALE nell’azienda. In via subordinata: condannare RAGIONE_SOCIALE
RAGIONE_SOCIALE al risarcimento’ (si omettono, perché non rilevanti, le ulteriori richieste subordinate).
La Corte territoriale prosegue nella illustrazione dello svolgimento del processo rilevando che ‘Con sentenza n. 1636/2022 emessa in data 28.11.2022 il Tribunale di Ti voli, in composizione monocratica, accogliendo parzialmente la domanda attrice, ha ‘acce rta e dichiara l’invalidità e l’inefficacia del recesso esercitato dalla RAGIONE_SOCIALE nei confronti della RAGIONE_SOCIALE con lettera del 14.8.2019; Per l’effetto, reintegra la RAGIONE_SOCIALE nella posizione di associata nel contratto di associazione in partecipazione del 26.2.2014 per cui è stata causa’. La parte della decisione di primo grado che ha ritenuto valido il contratto di associazione in partecipazione non è stata impugnata dalle parti. Conseguentemente il residuo ambito di valutazione della correttezza della decisione di secondo grado riguarda e sclusivamente la sussistenza dei presupposti dell’abuso del diritto, con riferimento al contratto di associazione in partecipazione, a tempo determinato e quello della ritualità della disdetta (articolo 8 del contratto).
Sulla questione la Corte territoriale ha fatto presente che RAGIONE_SOCIALE aveva comunicato con lettera raccomandata dell’8 agosto 2019 la volontà di recedere dal contratto di associazione in partecipazione al momento della scadenza dello stesso, prevista per il 1° marzo 2020, in applicazione dell’articolo 8 del contratto.
Da ciò ha fatto discendere la validità del recesso idoneo ad impedire rinnovo automatico del contratto. Ha ritenuto inconferente la giurisprudenza di legittimità che escludeva l’azionabilità del recesso unilaterale anticipato, fondando tale valutazione sulla durata del contratto, che quindi non poteva essere qualificato a tempo indeterminato (fattispecie richiamata dalla giurisprudenza di legittimità e non sussistente nel caso di specie).
Ha escluso espressamente che l’articolo 8 legittimasse un recesso ad nutum nel corso di un rapporto a tempo indeterminato ‘ma piuttosto termini e modi di un contratto a tempo determinato’, di cui è previsto il rinnovo automatico.
Fatte queste premesse i motivi risultano inammissibili nella parte in cui (terzo motivo) si chiede di prendere in esame i presupposti della simulazione del contratto, giacché si tratta di capi della sentenza che non sono stati impugnati e non possono essere nuovamente messi in discussione in sede di legittimità.
Sotto altro profilo la censura si atteggia come critica alla interpretazione dell’articolo 8 del contratto, senza però fondare le argomentazioni sui criteri ermeneutici previsti dall’articolo 1362 e seguenti c.c.
Al fine di far valere una violazione ermeneutica il ricorrente per cassazione deve non solo fare esplicito riferimento alle regole legali di interpretazione (artt. 1362 e segg. c.c.) mediante specifica indicazione delle norme asseritamente violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai canoni legali assunti come violati o se lo stesso li abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti, non essendo consentito il riesame del merito in sede di legittimità (Cass. 09/10/2012, n. 17168; Cass. 11/03/2014, n. 5595; Cass. 27/02/2015, n. 3980; Cass. 19/07/2016, n. 14715).
Di conseguenza, per sottrarsi al sindacato di legittimità, non è necessario che quella data dal giudice sia l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, sicché, quando di una clausola siano possibili due o più interpretazioni, non è consentito alla parte, che aveva proposto l’interpretazione disattesa dal giudice, dolersi in sede di legittimità del fatto che ne sia stata privilegiata un’altra (Cass. 22/02/2007, n. 4178; Cass. 03/09/2010, n. 19044).
Con il quarto motivo si lamenta, ai sensi dell’articolo 360, n. 3 c.p.c., la violazione l’articolo nove della legge n. 192 del 18 giugno 1998 perché la Corte territoriale avrebbe escluso la nullità della clausola in cui si è realizzato un abuso di dipendenza economica.
La Corte avrebbe dovuto rilevare la nullità della clausola con la quale si realizza un abuso di dipendenza economica. Le risultanze processuali avrebbero consentito di individuare nella società RAGIONE_SOCIALE la posizione economicamente dominante della stessa, quale titolare formale delle convenzioni regionali, attraverso il recesso avrebbe ottenuto il risultato di appropriarsi illegittimamente dello sviluppo aziendale posto in essere da RAGIONE_SOCIALE
Il motivo è inammissibile in quanto, prospettando una questione della quale sostiene che la Corte di merito non si sarebbe occupata avrebbe dovuto trascrivere il corrispondente motivo di appello o comunque allegare di avere già trattato la questione e di averla sottoposta all’esame del giudice di appello.
A prescindere da ciò la censura sarebbe comunque è inammissibile, perché si chiede alla Corte di legittimità di riesaminare il materiale probatorio per verificare la sussistenza di una fattispecie che, al più, dovrebbe essere applicata al contratto di associazione in partecipazione.
Nella specie, la ricorrente pur denunciando, formalmente, ipotetiche violazioni di legge che vizierebbero la sentenza di secondo grado, (perché in contrasto con gli stessi limiti morfologici e funzionali del giudizio di legittimità) sollecita a questa Corte una nuova inammissibile valutazione di risultanze di fatto (ormai definitivamente cristallizzate sul piano processuale) sì come emerse nel corso dei precedenti gradi del procedimento, così strutturando il giudizio di cassazione in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito, nel quale ridiscutere analiticamente tanto il contenuto, ormai consolidatosi, di fatti storici e vicende processuali, quanto l’attendibilità maggiore o minore di questa o di quella ricostruzione
probatoria, quanto ancora le opzioni espresse dal giudice di appello non condivise e per ciò solo censurate al fine di ottenerne la sostituzione con altre più consone ai propri desiderata – quasi che nuove istanze di fungibilità nella ricostruzione dei fatti di causa fossero ancora legittimamente proponibili dinanzi al giudice di legittimità
Il ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile.
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater, d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto (Cass., sez. un., 20/02/2020, n. 4315).
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in favore del controricorrente in € 8.000 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, oltre esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del d.p.r. 115 del 2002, da atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13.
Così deciso nella camera di Consiglio della Terza Sezione della Corte