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Dati informatici, sottrazione da un computer aziendale

La questione che la Corte è stata chiamata ad affrontare concerne la possibilità di qualificare i dati informatici, in particolare singoli files, come cose mobili, ai sensi delle disposizioni della legge penale e, specificamente, in relazione alla possibilità di costituire oggetto di condotte di appropriazione indebita. Alla stregua delle considerazioni che precedono, i dati informatici (files) sono qualificabili cose mobili ai sensi della legge penale e, pertanto, costituisce condotta di appropriazione indebita la sottrazione da un personal computer aziendale, affidato per motivi di lavoro, dei dati informatici ivi collocati, provvedendo successivamente alla cancellazione dei medesimi dati e alla restituzione del computer “formattato”.

La questione che la Corte è stata chiamata ad affrontare concerne la possibilità di qualificare i dati informatici, in particolare singoli files, come cose mobili, ai sensi delle disposizioni della legge penale e, specificamente, in relazione alla possibilità di costituire oggetto di condotte di appropriazione indebita.

Su questo tema la giurisprudenza ha già avuto occasione di pronunciarsi, pur se non con specifico riguardo all’ipotesi del delitto di appropriazione indebita di dati informatici.

Con alcune pronunce è stato escluso che i files possano formare oggetto del reato di cui all’articolo 624 c.p., osservando che, rispetto alla condotta tipica della sottrazione, la particolare natura dei documenti informatici rappresenta un ostacolo logico alla realizzazione dell’elemento oggettivo della fattispecie incriminatrice, ad esempio nel caso di semplice copiatura non autorizzata di “files” contenuti in un supporto informatico altrui, poiché in tale ipotesi non si realizza la perdita del possesso della res da parte del legittimo detentore (Sez. 4, n. 44840 del 26/10/2010, Rv. 249067; Sez. 4, n. 3449 del 13/11/2003, dep. 2004, Rv. 229785).

Analogamente, con riguardo al delitto di appropriazione indebita, si è più volte affermato che oggetto materiale della condotta di appropriazione non può essere un bene immateriale (Sez. 2, n. 33839 del 12/07/2011, Rv. 251179, relativa all’ipotesi dell’agente assicurativo che non versi alla società di assicurazioni, per conto della quale operi, la somma di denaro corrispondente ai premi assicurativi riscossi dai subagenti ma a lui non versati, trattandosi di crediti di cui si abbia disponibilità per conto d’altri), salvo che la condotta abbia ad oggetto i documenti che rappresentino i beni immateriali (Sez. 5, n. 47105 del 30/09/2014, Rv. 261917, che ha ravvisato il delitto nella stampa dei dati bancari di una società – in sé bene immateriale – in quanto trasfusi ed incorporati attraverso la stampa del contenuto del sito di home banking in documenti; Sez. 2, n. 20647 del 11/05/2010, Rv. 247270, relativa all’appropriazione di disegni e progetti industriali coperti da segreto, riprodotti su documenti di cui l’imputato si era indebitamente appropriato; identico principio e’ stato affermato in relazione al delitto di ricettazione di supporti contenenti dati informatici: Sez. 2, n. 21596 del 18/02/2016, Rv. 267162),

Solo di recente è stata affermata la possibilità che oggetto della condotta di furto possono essere anche i files (Sez. 5, n. 32383 del 19/02/2015, Rv. 264349, relativa ad una fattispecie concernente la condotta di un avvocato che, dopo aver comunicato la propria volontà di recedere da uno studio associato, si era impossessato di alcuni “files”, cancellandoli dal “server” dello studio, oltre che di alcuni fascicoli processuali in ordine ai quali aveva ricevuto in via esclusiva dai clienti il mandato difensivo, al fine di impedire agli altri colleghi dello studio un effettivo controllo sulle reciproche spettanze), senza peraltro alcuno specifico approfondimento della questione.

Il file, pur non potendo essere materialmente percepito dal punto di vista sensoriale, possiede una dimensione fisica costituita dalla grandezza dei dati che lo compongono, come dimostrano l’esistenza di unità di misurazione della capacità di un file di contenere dati e la differente grandezza dei supporti fisici in cui i files possono essere conservati e elaborati. L’assunto da cui muove l’orientamento maggioritario, giurisprudenziale e della dottrina, nel ritenere che il dato informatico non possieda i caratteri della fisicità, propri della “cosa mobile” (nella nozione penalistica di quel termine) non è, dunque, condivisibile; al contrario, una più accorta analisi della nozione scientifica del dato informatico conduce a conclusioni del tutto diverse.

Resta, insuperabile, la caratteristica assente nel file, ossia la capacità di materiale apprensione del dato informatico e, quindi, del file; ma occorre riflettere sulla necessità del riscontro di un tale requisito – non desumibile dai testi di legge che regolano la materia – perché l’oggetto considerato possa esser qualificato come “cosa mobile” suscettibile di divenire l’oggetto materiale delle condotte di reato e, in particolare, di quella di appropriazione.

Tra i presupposti che la tradizione giuridica riconosce come necessari per ravvisare le condotte di sottrazione e impossessamento (o appropriazione) di cose mobili, il criterio della necessaria detenzione fisica della cosa è quello che desta maggiori perplessità.

A questo riguardo va considerata la capacità del file di essere trasferito da un supporto informatico ad un altro, mantenendo le proprie caratteristiche strutturali, così come la possibilità che lo stesso dato viaggi attraverso la rete Internet per essere inviato da un sistema o dispositivo ad un altro sistema, a distanze rilevanti, oppure per essere “custodito” in ambienti “virtuali” (corrispondenti a luoghi fisici in cui gli elaboratori conservano e trattano i dati informatici); caratteristiche che confermano il presupposto logico della possibilità del dato informatico di formare oggetto di condotte di sottrazione e appropriazione.

In conclusione, pur se difetta il requisito della apprensione materialmente percepibile del file in sé considerato (se non quando esso sia fissato su un supporto digitale che lo contenga), di certo il file rappresenta una cosa mobile, definibile quanto alla sua struttura, alla possibilità di misurarne l’estensione e la capacità di contenere dati, suscettibile di esser trasferito da un luogo ad un altro, anche senza l’intervento di strutture fisiche direttamente apprensibili dall’uomo.

L’interpretazione della nozione di cosa mobile, agli effetti della legge penale, fondata sullo specifico carattere della cosa, che consente alla stessa di formare oggetto sia di condotte di sottrazione alla disponibilità del legittimo titolare, sia di impossessamento da parte del soggetto responsabile della condotta illecita, risulta in sintonia con l’unico dato testuale che la legge penale riproduce nella definizione della categoria dei beni suscettibili di costituire l’oggetto delle condotte tipiche dei delitti contro il patrimonio.

Indiscusso il valore patrimoniale che il dato informatico possiede, in ragione delle facoltà di utilizzazione e del contenuto specifico del singolo dato, la limitazione che deriverebbe dal difetto del requisito della “fisicità” della detenzione non costituisce elemento in grado di ostacolare la riconducibilità del dato informatico alla categoria della cosa mobile.

A questo riguardo, va considerato che anche rispetto al denaro, che la legge equipara alla cosa mobile in piu’ disposizioni e, quel che rileva in questa sede, nella norma incriminatrice dell’articolo 646 c.p., si pongono in astratto le medesime questioni sollevate in relazione ai dati informatici. Si intende far riferimento alla circostanza per cui anche il denaro (che pur è fisicamente suscettibile di diretta apprensione materiale), nella sua componente espressiva del valore di scambio tra beni, è suscettibile di operazioni contabili, così come di trasferimenti giuridicamente efficaci, anche in assenza di una materiale apprensione delle unità fisiche che rappresentano l’ammontare del denaro oggetto di quelle operazioni giuridiche. Le operazioni realizzate mediante i contratti bancari, attraverso le disposizioni impartite dalle parti del rapporto, un tempo esclusivamente scritte e riprodotte su documenti cartacei, ed attualmente eseguite attraverso disposizioni inviate in via telematica, oggi così come in passato consentono di trasferire, senza la sua materiale apprensione, il denaro che forma oggetto delle singole disposizioni.

Allo stesso tempo, è pacifico che le condotte dirette alla sottrazione, ovvero all’impossessamento del denaro, possono esser realizzate anche senza alcun contatto fisico con il denaro, attraverso operazioni bancarie o disposizioni impartite, anche telematicamente; ciò che non impedisce certo di ravvisare in tali condotte le ipotesi di reato corrispondenti.

Infine, dal punto di vista dell’effettiva realizzazione, attraverso le condotte appropriative di dati informatici, dell’effetto di definitiva sottrazione del bene patrimoniale al titolare del diritto di godimento ed utilizzo del bene stesso, le ipotesi di appropriazione indebita possono differenziarsi dalla generalità delle ipotesi di “furto di informazioni”, in cui si è frequentemente rilevato che il pericolo della perdita definitiva da parte del titolare dei dati informatici è escluso in quanto attraverso la sottrazione l’agente si procura sostanzialmente un mezzo per acquisire la conoscenza delle informazioni contenute nel dato informatico, che resta comunque nella disponibilità materiale e giuridica del titolare (valutazione che aveva indotto il legislatore, nel corso del procedimento di discussione ed approvazione della L. 23 dicembre 1993, n. 547 – recante modificazioni ed integrazioni alle norme del codice penale e del codice di procedura penale in tema di criminalità informatica -, ad escludere che alle condotte di sottrazione di dati, programmi e informazioni fosse applicabile l’articolo 624 c.p. ” pur nell’ampio concetto di “cosa mobile” da esso previsto”, in quanto “la sottrazione di dati, quando non si estenda ai supporti materiali su cui i dati sono impressi (nel qual caso si configura con evidenza il reato di furto), altro non è che una “presa di conoscenza” di notizie, ossia un fatto intellettivo rientrante, se del caso, nelle previsioni concernenti la violazione dei segreti”: così la relazione al relativo disegno di L. n. 2773). Infatti, ove l’appropriazione venga realizzata mediante condotte che mirano non solo all’interversione del possesso legittimamente acquisito dei dati informatici, in virtù di accordi negoziali e convenzioni che legittimano la disponibilità temporanea di quei dati, con obbligo della successiva restituzione, ma altresì a sottrarre definitivamente i dati informatici mediante la loro cancellazione, previamente duplicati e acquisiti autonomamente nella disponibilità del soggetto agente, si realizza il fatto tipico della materiale sottrazione del bene, che entra a far parte in via esclusiva del patrimonio del responsabile della condotta illecita.

Alla stregua delle considerazioni che precedono, i dati informatici (files) sono qualificabili cose mobili ai sensi della legge penale e, pertanto, costituisce condotta di appropriazione indebita la sottrazione da un personal computer aziendale, affidato per motivi di lavoro, dei dati informatici ivi collocati, provvedendo successivamente alla cancellazione dei medesimi dati e alla restituzione del computer “formattato“.

Corte di Cassazione, Sezione Seconda, Sentenza n. 11959 del 10 aprile 2020

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