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enfiteusi

L’enfiteusi (dal latino tardo emphyteusis, a sua volta dal greco ἐμφύτευσις che è da έμφυτεύω, «piantare, innestare»; e perciò «locazione per piantagione e frutto») è un diritto reale di godimento su un fondo di proprietà altrui, urbano o rustico; secondo il quale, il titolare (enfiteuta) ha la facoltà di godimento pieno (dominio utile) sul fondo stesso, ma per contro deve migliorare il fondo stesso e pagare inoltre al proprietario (direttario o concedente) un canone annuo in denaro o in derrate. Retaggio dell’epoca del feudalesimo, l’enfiteusi fu uno strumento amministrativo assai usato dalla Chiesa romana tra il VII-VIII secolo, per regolarizzare la cessione o la concessione del fondo, nei confronti dell’aristocrazia bizantina e successivamente longobarda. Ciò faceva parte del piano politico che la Chiesa di Roma attuò per assimilare le frange politiche e assicurare una stabilità politica in Italia. Il contratto poteva avere un tempo di 29 anni. Ha trovato regolazione nel Codice Civile del 1942 agli articoli 957-977 del Libro Terzo della proprietà, al fine di incentivare la produttività delle terre grazie all’attività degli agricoltori. In considerazione delle caratteristiche che ha assunto il diritto di livello nel corso della sua evoluzione storica, la giurisprudenza di legittimità in più occasioni ha peraltro avuto modo di equipararlo ad un diritto di enfiteusi (Cass. civ. sez. III n. 64/1997 e, meno recentemente, Cass. n. 1366/1961 e Cass. 1682/1963 – E1) e pertanto ad un diritto reale di godimento su fondo altrui. Il diritto del concedente a riscuotere il canone non si estingue per usucapione per il preciso disposto dell’art. 1164 del Codice Civile: si può usucapire solo il diritto dell’enfiteuta, mentre il dominio diretto è imprescrittibile; ai sensi dell’art. 1164 del Codice Civile (e prima ancora l’art. 2116 del vecchio Codice Civile abrogato), l’enfiteuta non può usucapire il diritto del concedente; secondo svariate pronunce della cassazione (4231/76 – 323/73 – 2904/62 – 2100/60 – 177/46), tutte concordi, “l’omesso pagamento del canone, per qualsiasi tempo protratto, non giova a mutarne il titolo del possesso, neppure nel singolare caso sia stata attribuita dalle parti efficacia ricognitiva”. L’esercizio del potere di ricognizione di cui all’art. 969 si applica solo per le enfiteusi a tempo (casi singolari), e non riguarda quindi le enfiteusi perpetue: ai sensi dell’art. 958 del Codice Civile le enfiteusi sono perpetue quando non viene stabilita la durata; le enfiteusi in cui non viene fissato un termine sono a tutti gli effetti perpetue; come tali, non va esercitato nessun potere di ricognizione in quanto, ai sensi dell’art. 1164 del Codice Civile, se non muta il titolo del possesso dell’enfiteuta, tale enfiteuta non può usucapire la proprietà e quindi il canone non è prescritto; la ricognizione è un diritto riconosciuto al concedente (e non un dovere) per impedire all’ex enfiteuta (ma solo per le enfiteusi a tempo, dopo la loro scadenza) di usucapire il terreno. “Trattasi, quindi, di una mera facoltà e non di un obbligo, nel senso che il concedente, se non vuole esercitarla, non perde, per ciò solo, il suo diritto sulla cosa” (Cassazione n. 2904 del 10/10/1962). In pratica, la corretta applicazione dell’art. 1164 del C.C. (chi ha il possesso corrispondente all’esercizio di un diritto reale su cosa altrui non può usucapire la proprietà della cosa stessa, se il Titolo del suo possesso non è mutato per causa proveniente da un terzo o in forza di opposizione da lui fatta contro il diritto del proprietario. Il tempo necessario per l’usucapione decorre dalla data in cui il Titolo del possesso è stato mutato) prevede che, chi volesse usucapire il diritto del concedente, dovrebbe innanzitutto fare opposizione contro il diritto del proprietario e solo dopo 20 anni può usucapire, dinanzi ad un giudice, la piena proprietà. L’enfiteusi è, fra i diritti reali su cosa altrui, quello di più esteso contenuto, al punto di essere stato considerato nei secoli precedenti come una forma di “piccola proprietà” e secondo la dottrina dominante è il proprietario ad avere un diritto subordinato a quello dell’enfiteuta, (tant’è che tuttora si ritiene che il cosiddetto “dominio utile” spetti all’enfiteuta, a differenza del caso di usufrutto, in cui il dominio utile spetta al nudo proprietario). Il livellario o enfiteuta è colui al quale spetta il godimento di un bene che però non gli appartiene, infatti la concessione di un qualunque bene non scaturisce in un’acquisizione automatica della proprietà. La proprietà resta sempre in capo al concedente, detto anche direttario fino a quando il livellario non chiede l’affrancazione del canone e diventa in questo caso, proprietario del bene. Una conferma normativa si ha nella disciplina del rinvenimento del tesoro, che spetta al nudo proprietario in caso di usufrutto mentre spetta all’enfiteuta nel caso di enfiteusi. L’enfiteusi è un diritto perpetuo o, se è previsto un termine, ha durata non inferiore a venti anni. Non è però suscettibile di subenfiteusi. Ha per oggetto tradizionalmente fondi rustici, ma dalla legislazione speciale è stata estesa anche ai fondi urbani. L’enfiteusi si estende anche ai fabbricati edificati su terreni gravati da canone enfiteutico, ossia tutto ciò che è costruito su terreno gravato da canone enfiteutico diviene gravato dal canone anch’esso per accessione. Sul fondo l’enfiteuta ha la stessa facoltà di godimento che spetta ad un proprietario (art. 959 c. c.), ma con due obblighi specifici: di migliorare il fondo; di corrispondere al nudo proprietario (“concedente”) un canone periodico (una somma di danaro ovvero una quantità fissa di prodotti naturali), per la cui determinazione l’autonomia delle parti è vincolata dai criteri previsti dalle leggi speciali in materia. A questo proposito, distinguiamo la determinazione del canone in base alla tipologia di enfiteusi: enfiteusi su fondo agricolo: la normativa prevede che la misura del canone non può essere sproporzionata rispetto al valore di mercato del bene su cui grava il livello, ma che questo sia periodicamente aggiornato mediante l’applicazione di coefficienti di maggiorazione idonei a mantenere adeguata, con una ragionevole approssimazione la corrispondenza all’effettiva realtà economica. (Corte Costituzionale sent. 406 del 7 aprile 1988 e sent. 143 del 23 maggio 1997). Proprio in relazione a queste sentenze è stato dichiarato illegittimo il metodo di calcolo che prendeva il reddito dominicale come valore di riferimento, proprio perché obsoleto e non più rispondente agli attuali parametri di mercato (es. Valore Agricolo Medio). enfiteusi su fondo edificabile: il valore del canone di dette aree non può essere determinato sulla base delle enfiteusi rustiche onde evitare operazioni speculative, ma ad esso si deve pervenire applicando al valore dell’area considerata edificabile un equo saggio di rendimento (Consiglio di Stato parere n° 661/98 del 9 giugno 1998, Ministero delle Finanze nota del 26 ottobre 2000(es. valore I.C.I.). enfiteusi su fondo edificato: i fabbricati costruiti su terreni gravati da livello non possono essere considerati migliorie (Avvocatura dello Stato nota n.8475 del 19.12.1991), l’attività di miglioria che è richiesta all’enfiteuta, deve ritenersi intrinsecamente connessa alla natura del fondo stesso; mentre esula completamente da ciò ogni attività di trasformazione edilizia (Consiglio di Stato parere n. 661/1998). Il fabbricato pertanto risulta acquisito per accessione dal concedente in quanto proprietario dell’area. L’affrancazione è l’acquisto della proprietà da parte dell’enfiteuta mediante il pagamento di una somma pari a quindici volte il canone annuo (art. 971 C.C.). Il diritto di affrancazione è un diritto potestativo dell’enfiteuta: il concedente non può rifiutarsi di prestare il proprio consenso. È infatti vero anche l’inverso, ossia che il concedente non può obbligare il livellario ad affrancare se quest’ultimo intende pagare il canone annuo. Il diritto di enfiteusi è suscettibile di comunione (“coenfiteusi”), ma non può costituirsi su una quota del fondo indiviso, giacché l’obbligo di migliorare il fondo presuppone la piena materiale disponibilità di questo da parte dell’enfiteuta. Al concedente spetta il diritto di domandare al giudice la devoluzione del fondo, ossia l’estinzione del diritto di enfiteusi: se l’enfiteuta non adempia l’obbligo di migliorare il fondo; se non paga due annualità di canone. Fra domanda di devoluzione ed affrancazione prevale la seconda (art. 973 C.C.). Una causa di estinzione dell’enfiteusi è il perimento totale del fondo (art. 963 C.C.). L’uso di concedere porzioni anche considerevoli di terreni in enfiteusi era molto diffusa nel medioevo da parte di abbazie e monasteri i quali spesso si trovavano nella difficoltà di riuscire a gestire la totalità dei terreni di loro proprietà sia per le dimensioni che, acquisizione dopo acquisizione, diventavano sempre più estese, sia per la distanza che taluni appezzamenti avevano dalla sede. Tra i casi più noti di enfiteusi la cui istituzione risale appunto al periodo medievale, si annoverano quelle che furono concesse alla Partecipanza agraria di Nonantola da parte dell’Abbazia di Nonantola e agli odierni Antichi Beni Originari di Grignano Polesine da parte dell’Abbazia di Pomposa.

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