Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 20296 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 20296 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 20/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 9556/2018 R.G. proposto da
NOME COGNOME, ex socia e già liquidatrice di RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME in forza di procura in calce al ricorso, elettivamente domiciliata presso l’avv. NOME COGNOME in Roma, INDIRIZZO;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato presso la quale è domiciliata in Roma alla INDIRIZZO
-controricorrente e ricorrente incidentale-
Società cancellataRicorso proposto dal liquidatore-
per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania n. 7494/2017, depositata in data 12/09/2017 e non notificata;
udita la relazione tenuta nell’adunanza camerale del 17 giugno 2025 dal consigliere dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. La Commissione tributaria regionale della Campania, riformando la decisione della Commissione tributaria provinciale di Napoli, dichiarava inammissibile il ricorso proposto da NOME COGNOME già liquidatrice della RAGIONE_SOCIALE contro l’avviso di accertamento relativo a Ires, Iva e Irap per l’anno d’imposta 2010.
In particolare i giudici d’appello evidenziavano che, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice di primo grado, l’avviso di accertamento era stato notificato dopo che nel Registro delle imprese era stata annotata la cancellazione della società Stockland; precisavano che l’annotazione che aveva indotto i primi giudici a ritenere che la società non fosse estinta ma ne fosse stata modificata la ragione sociale, era in realtà relativa semplicemente alla variazione dell’indirizzo di posta elettronica, il che non incideva ovviamente sugli effetti della cancellazione, avvenuta incontrovertibilmente a luglio del 2013, e quindi prima della notifica dell’avviso di accertamento.
Premesso tale accertamento, la CTR faceva applicazione del consolidato orientamento di legittimità secondo il quale la cancellazione del registro delle imprese con estinzione della società prima della notifica dell’avviso di accertamento determina il difetto della sua capacità processuale e il difetto di legittimazione a rappresentarla dell’ ex liquidatore, con conseguente inammissibilità del ricorso originario; evidenziava, a sostegno di tale conclusione, che non risultava allegato né provato un qualsivoglia interesse ad agire da parte della liquidatrice e che del resto l’Agenzia non aveva fatto valere, nel
caso in esame, alcuna responsabilità del liquidatore ex art. 2945 cod. civ. o ex art. 36 del d.P.R. n. 602 del 1973 per cui doveva escludersi in radice la legittimazione della medesima.
Contro tale decisione NOME COGNOME ex socia e già liquidatrice della RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione, affidato a un unico motivo.
L’Agenzia delle entrate ha resistito con controricorso, formulando anche ricorso incidentale sulla base di due motivi.
Il giudizio è stato fissato per l’adunanza camerale del 14/01/2025 e poi per l’adunanza camerale del 17/06/2025 .
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con l’unico motivo di ricorso principale, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 100 cod. proc. civ., 2495 cod. civ., 36 d.P.R. n. 602 del 1973; lamenta infatti di aver agito non nella qualità di liquidatrice della società ma in virtù di un proprio interesse ad agire in quanto consegnataria dell’atto , al fine di far dichiarare nulla la verifica compiuta nei confronti della società e decaduta l’amministrazione dal potere di accertamenti; specifica, poi, che ella era socia della società, e quindi successore della pretesa tributaria e, nello svolgimento del fatto, deduce di esser e destinataria dell’avviso di accertamento dei redditi di partecipazione.
1.1. Il motivo è, in parte, inammissibile e, in parte, infondato.
La CTR, sul presupposto della provata cancellazione della società, e rilevato che NOME Regina avesse agito solo quale liquidatrice della società ormai cancellata, ha ritenuto che il ricorso fosse inammissibile per difetto di legittimazione dell’ ex liquidatore a proporlo; ha, inoltre, evidenziato che l’Agenzia delle entrate non aveva fatto valere la responsabilità del liquidatore in base all’art. 2495 cod. civ. o in base all’art. 36 d.P.R. n. 602 del 1973, e cioè che l’avviso non recasse alcuna
pretesa diretta nei suoi confronti, evidenziando altresì che neanche essa aveva allegato o provato un interesse ad agire in proprio.
Tale affermazione in diritto è conforme al consolidato orientamento giurisprudenziale di questa Corte, secondo cui nel processo tributario, la cancellazione dal registro delle imprese, con estinzione della società prima della notifica dell’avviso di accertamento e dell’instaurazione del giudizio di primo e secondo grado, determina il difetto sia della capacità processuale della stessa sia di legittimazione a rappresentarla dell’ex liquidatore, con conseguente inammissibilità del ricorso (Cass. n. 33278/2018; Cass. n. 11100/2017; Cass. n. 23365/2019).
Evidenziata la correttezza in diritto dei principi applicati dalla CTR, sotto un primo profilo, il motivo è infondato laddove la ricorrente assume che la mera qualità di «consegnatario» dell’atto la legittimasse comunque e a prescindere da ogni altra considerazione.
Sul punto di recente questa Corte ha infatti chiarito che la persona fisica alla quale sia stato notificato un atto impositivo, il quale non rechi nessuna pretesa tributaria (neppure in via solidale o sanzionatoria) nei suoi confronti, essendo intestato e diretto esclusivamente nei riguardi di una società di capitali, non è legittimata ad impugnarlo in proprio (v., da ultimo, Cass. n. 12865/2025); sul punto specifico della presenza di pretese dirette contenute nell’avviso impugnato nei confronti della odierna ricorrente manca del tutto ogni allegazione.
Sotto un secondo profilo, il motivo è inammissibile laddove la ricorrente evidenzia di aver agito quale socia, in quanto ella non indica espressamente alcun passaggio del ricorso dove ciò sia avvenuto; l’unico passaggio riportato è quello della pagina 7, ove ella si qualifica mera consegnataria e afferma in maniera del tutto generica il proprio interesse ad agire.
Il mezzo, pertanto, presenta, sul punto, evidenti profili di inammissibilità per violazione dell’art. 366, primo comma, n. 6 c.p.c.,
applicabile ratione temporis , anche accedendo ad un’interpretazione non formalistica di tale disposizione.
Infatti, questa Corte ha già ritenuto che il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 366, primo comma, n. 6, c.p.c., quale corollario del requisito di specificità dei motivi – anche alla luce dei principi contenuti nella sentenza CEDU Succi e altri c. Italia del 28 ottobre 2021 – non deve essere interpretato in modo eccessivamente formalistico, così da incidere sulla sostanza stessa del diritto in contesa, e non può pertanto tradursi in un ineluttabile onere di integrale trascrizione degli atti e documenti posti a fondamento del ricorso, insussistente laddove nel ricorso sia puntualmente indicato il contenuto degli atti richiamati all’interno delle censure, e sia specificamente segnalata la loro presenza negli atti del giudizio di merito (Cass., S.U., n. 8950/2022); nello stesso senso sui limiti di compatibilità tra principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, ex art. 366, primo comma, n. 6, c.p.c., e principio di cui all’art. 6, par. 1, della CEDU, in ossequio al criterio di proporzionalità, cfr. Cass. n. 12481/2022 e Cass. n. 11325/2023.
Ciò rende necessario, comunque, che l’atto o il passaggio di esso richiamato sia o trascritto o sintetizzato o localizzato, il che non è avvenuto nel caso di specie.
Con il primo motivo del ricorso incidentale l’Agenzia delle entrate deduce la nullità della sentenza in violazione dell’art. 132 cod. proc. civ. e dell’art. 36 d.lgs. n. 546 del 1992, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., evidenziando che la CTR, pur dovendo scegliere tra le opposte interpretazioni della visura camerale, avrebbe omesso di spiegare le ragioni di condivisione della tesi difensiva della società.
Con il secondo motivo, la difesa erariale deduce violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2495 cod. civ. in relazione agli artt. 2500septies
e 2500octies cod. civ., in relazione all’ art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., poiché nella fattispecie in questione non si sarebbe verificato alcun fenomeno estintivo della persona giuridica bensì una trasformazione eterogenea documentalmente attestata, con ovvi effetti in termini di validità dell’impugnato avviso di accertamento.
2.1. I motivi sono inammissibili per carenza di interesse.
A tal proposito deve farsi applicazione del principio di carattere generale espresso da Cass. Sez. U. n. 21289/2005, alla stregua del quale la soccombenza di una parte e il suo conseguente interesse ad impugnare la sentenza sono da escludere nel caso in cui l’ absolutio ab instantia sia avvenuta per effetto di statuizione meramente processuale, potendo, invero, in tal caso configurarsi interesse all’impugnazione soltanto in presenza di rituale proposizione di domanda riconvenzionale finalizzata all’esame del merito. Infatti, posto che l’interesse a proporre impugnazione ha origine e natura processuali e sorge dalla soccombenza, connessa ad una statuizione del giudice a quo capace di arrecare pregiudizio alla parte, la quale, proprio col mezzo dell’impugnazione, tende a rimuovere il pregiudizio stesso, non può ipotizzarsi una situazione di pregiudizio per il convenuto nel fatto che il giudice a quo , ravvisando un ostacolo processuale all’esame della domanda, ne riconosca la soggezione a siffatta situazione ostativa, anziché esaminarla nel merito (v., anche, Cass. n. 16016/2014).
Dall’applicazione di tale principio deriv a l’inammissibilità del ricorso incidentale.
La soccombenza reciproca legittima la compensazione integrale tra le parti delle spese del presente giudizio.
A i sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da
parte della ricorrente principale , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso art. 13, se dovuto mentre tale disposizione non si applica per la parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato, per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato (Cass. n. 1778/2016).
P.Q.M.
rigetta il ricorso principale e dichiara inammissibile il ricorso incidentale;
compensa integralmente tra le parti le spese del presente giudizio.
A i sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 17 giugno 2025.