Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 14707 Anno 2025
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Civile Ord. Sez. 3 Num. 14707 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 31/05/2025
composta dai signori magistrati:
dott. NOME COGNOME
Presidente
dott. NOME COGNOME
Consigliere
dott. NOMECOGNOME
Consigliera
dott. NOME COGNOME
Consigliere relatore
dott. NOME COGNOME
Consigliere
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al numero 2071 del ruolo generale dell’anno 2024, proposto da
LIQUIDAZIONE (P.I.: 04028260877), in persona del liquidatore, legale rappre-
RAGIONE_SOCIALE sentante pro tempore , NOME COGNOME rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME (C.F.: CODICE_FISCALE e NOME COGNOME COGNOME (C.F.: CODICE_FISCALE
-ricorrente-
nei confronti di
COGNOME NOME (C.F.: TARGA_VEICOLO
-intimato- per la cassazione della sentenza del Tribunale di Catania n. 3616/2023, pubblicata in data 11 settembre 2023; udita la relazione sulla causa svolta alla camera di consiglio del 14 maggio 2025 dal consigliere NOME COGNOME
Fatti di causa
NOME COGNOME ha proposto opposizione all’esecuzione, ai sensi dell’ art. 615 c.p.c., avvero una intimazione ad adempiere de lla Autorità d’Ambito Territoriale Ottimale ‘Catania 3’ (oggi RAGIONE_SOCIALE in liquidazione), relativa al pagamento della T.I.A. (Tariffa di Igiene Ambientale) per l’anno
Oggetto:
OPPOSIZIONE ALL’ESECUZIONE EQUITÀ NECESSARIA APPELLO
Ad. 14/05/2025 C.C.
R.G. n. 2071/2024
Rep.
2009, ai sensi dell’ art. 238 del decreto legislativo n. 152 del 2006.
La domanda è stata accolta dal Giudice di Pace di Paternò, che ha annullato l’intimazione .
Il Tribunale di Catania ha dichiarato inammissibile l’appello della RAGIONE_SOCIALE in liquidazione.
Ricorre la RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, sulla base di quattro motivi.
Non ha svolto attività difensiva in questa sede l’ intimato.
È stata disposta la trattazione in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 375 e 380 bis .1 c.p.c..
Il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza decisoria nei sessanta giorni dalla data della camera di consiglio.
Ragioni della decisione
RAGIONE_SOCIALE in liquidazione articola in ricorso quattro motivi.
1.1 Con il primo motivo denuncia: « violazione dell’art. 113 c.p.c. in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c.: nullità della Sentenza e del procedimento ».
Sottolinea che: a) si controverte della debenza della tariffa d’igiene ambientale; b) il rapporto giuridico sottostante è relativo a contratti conclusi secondo le modalità di cui all’art. 1342 c.c.; c) invero, pur mancando un vero e proprio contratto, il regolamento per l’espletamento del servizio di igiene urbana costituisce proposta delle prestazioni di raccolta e conferimento del rifiuto, sinallagmaticamente correlate all’obbligazione pecuniaria a carico dei contribuenti/utenti, in capo ai quali si verifichi il presupposto del prelievo coattivo in esame; d) in ogni caso l’obbligazione di pagamento in esame è riconducibile ad un c.d. contatto sociale qualificato.
Osserva che, pur nell’assenza di un formale contratto inter partes , essa Autorità d’Ambito è obbligata ad espletare, mantenendone un elevato livello qualitativo, il servizio di raccolta e conferimento
Ric. n. 2071/2024 – Sez. 3 – Ad. 14 maggio 2025 – Ordinanza – Pagina 2 di 13
del rifiuto e a detta attività è correlato un prelievo di natura corrispettiva a carico dei singoli privati, parametrato al costo complessivo del servizio e di poi spalmato sull’utenza in applicazione del D.P.R. n. 158/1999.
Deduce che, dovendosi qualificare come contrattuale il rapporto tra le parti oggi ed avendo la T.I.A. natura corrispettiva, è indubbia l’applicabilità dell’art. 1342 c.c. nel caso di specie, con la conseguenza che la sentenza impugnata ha erroneamente denegato l’esperibilità del rimedio dell’appello, malgrado l’evidente ricorrenza di deroga espressa alla regula iuris ex art. 113 cpv. c.p.c.
1.2 Con il secondo motivo denuncia: « violazione dell’art. 339 c. 3 c.p.c. in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c.: nullità della Sentenza e del procedimento » nella parte in cui il giudice di appello ha affermato: « Nel caso in esame, a ben vedere, nessuna doglianza concernente la violazione di norme sul procedimento, di norme costituzionali o comunitarie o dei principi regolatori della materia (nelle nozioni sopra richiamate) viene prospettata con il gravame in quanto la RAGIONE_SOCIALE – come emerge dalle conclusioni dell’atto di appello – assume l’erroneità, nel merito, della decisione di accoglimento dell’opposizione, con specifico riferimento alle valutazioni delle risultanze probatorie ed alla ricostruzione dei fatti controversi, in particolare con riguardo alla notificazione degli atti presupposti e quindi all’accertamento dell’intervenuta prescrizione del credito, e, in riforma della stessa, chiede dichiararsi la legittimità dell’intimazione di pagamento opposta, riconoscendo dovute le somme intimate ».
Ripercorre il contenuto dell’opposizione, della propria comparsa di costituzione, della sentenza di primo grado e dell’atto di appello. Si duole che il giudice di appello non si è confrontato con il proposto gravame, che conteneva « censura di violazione di norme sul procedimento e di principi regolatori la materia qua agitur ».
1.3 Con il terzo motivo denuncia: « violazione dell’art. 114 c.p.c. in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c.: nullità della Sentenza e del
procedimento », nella parte in cui il giudice di appello non ha ritenuto appellabile la sentenza di primo grado, nonostante che la res litigiosa (la debenza della TIA, per l’appunto) abbia ad oggetto diritti indisponibili e pertanto avrebbe dovuto essere decisa secondo diritto, sulla base delle seguenti argomentazioni: « Va infine disattesa anche la deduzione della RAGIONE_SOCIALE – svolta a seguito della rilevazione officiosa sull’eventuale inappellabilità della sentenza gravata – secondo cui l’appello sarebbe ammissibile in quanto il rapporto giuridico sottostante atterrebbe a diritti indisponibili. Si osserva, infatti, che la tariffa d’igiene ambientale riveste natura patrimoniale e costituisce un diritto disponibile (potendo essere oggetto di conciliazione in sede di reclamo all’ente impositore) ».
Invocando principi affermati ad es. da Cass. n. 18184/2014 e ribadendo concetti espressi in sede di comparsa conclusionale in appello, deduce che: a) anche nel caso di specie si è presenza di un diritto indisponibile del Comune di Paternò (e per esso di Simeto RAGIONE_SOCIALE) all’irrinunciabile conseguimento del tributo/corrispettivo per il servizio TIA prestato; b) l’indisponibilità del diritto deriva dalle finalità di pubblico interesse perseguite dall’Amministrazione; ed, anzi, nel caso di tariffa rifiuti, il già richiamato carattere della indisponibilità del prelievo è ancor più spiccato rispetto a quanto accade per il corrispettivo della erogazione dell’acqua, stante che per prima la Corte Costituzionale, con sentenza n. 238/2009, ha ritenuto sussistere la natura tout court di tributo, notoriamente e tradizionalmente insuscettivo di atti di disposizione da parte dell’Ente impositore.
1.4 Con il quarto motivo denuncia: « nullità della sentenza gravata per violazione dell’art. 132, comma 1, n. 4 c.p.c. (nel suo combinato disposto con l’art. 1 cpv. D. Lgs. n. 546/1992) in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c.: nullità della Sentenza e del procedimento », nella parte in cui il giudice di appello ha affermato: « Nel caso in
esame, a ben vedere, nessuna doglianza concernente la violazione di norme sul procedimento … viene prospettata con il gravame ». Si duole che il giudice di appello, tanto affermando, non ha spiegato le ragioni per cui non ha ritenuto fondato il primo motivo del suo atto di appello, con il quale aveva rilevato che l’intimazione ad adempiere impugnata si fondava (non su una fattura, ma) su di un motivato atto di accertamento, che era stato ritualmente notificato in data 10.10.2017.
Si duole altresì del fatto che il giudice di appello ha immotivatamente ritenuto non denunciabile la violazione della disciplina processuale sulla regolamentazione delle spese di lite che erano state liquidate in primo grado oltre il valore della causa.
Si duole, infine, che il giudice di appello, con motivazione stereotipata ed apparente, non ha considerato la natura corrispettiva del prelievo in parola, che costituisce il sinallagma di prestazioni rese (in ragione di un contatto sociale qualificato tra l’esponente e l’utenza, ovvero di contratto di massa tra le medesime parti) da essa Autorità d’Ambito, in relazione a norme regolamentari, che disciplinano l’erogazione del servizio pubblico essenziale di igiene urbana identicamente per tutti i cittadini in modo sicuramente sussumibile nella previsione ex art. 1342 c.c.
1.5 In definitiva la società ricorrente, con i motivi sopra illustrati, si duole che il giudice di appello abbia ritenuto inammissibile il suo appello sulla scorta del mero rilievo che il valore della controversia è inferiore alla soglia ex art. 113 cpv. c.p.c., senza considerare che: a) la res controversa , riguardando l’obbligo del contribuente/utente al versamento del corrispettivo per la raccolta e smaltimento dei rifiuti, inerisce diritti indisponibili (sottratti, in quanto tali, al giudizio secondo equità); b) la res in iudicium deducta scaturisce da un ‘ contatto sociale qualificato ‘ tra soggetto erogatore del servizio pubblico essenziale della raccolta e dello smaltimento dei rifiuti e utente di detto servizio pubblico ed è quindi sottoposta ad una regolamentazione uniforme in regime di
sostanziale monopolio con conseguente pertinente sovrapponibilità della fattispecie in disputa a quelle regolate ex art. 1342 c.c.; c) la denunciata violazione dei criteri di valutazione di prove legali compiuta dal giudice di pace ed il vizio di violazione degli artt. 91 e 82 c.p.c. nel quale lo stesso è incorso, liquidando le spese di lite in misura superiore rispetto al valore della causa, legittimavano la proposizione dell’appello.
E, per l’ipotesi di accoglimento anche di uno solo dei motivi di ricorso proposti, ripropone le già formulate doglianze avverso l’atto di citazione in opposizione.
Il terzo motivo – che, per motivi di priorità logica, viene trattato per primo – è fondato.
2.1 La sua disamina impone delle considerazioni di sistema sulla tariffa o tributo comunale, destinato alla copertura dei costi relativi alla gestione dei rifiuti urbani in Italia.
Al riguardo, si sono succedute nel tempo diverse versioni: dapprima, il decreto legislativo n. 507 del 1993 ha istituito la Tassa per lo Smaltimento dei Rifiuti Solidi Urbani (c.d. TARSU); poi, il decreto legislativo n. 22 del 1997 (il c.d. ‘Decreto Ronchi’) ha istituito la Tariffa di Igiene Ambientale (c.d. TIA1); quindi, il decreto legislativo n. 152 del 2006 (il ‘Codice dell’Ambiente’), ha istituito la Tariffa Integrata Ambientale (c.d. TIA 2); ed ancora, il decretolegge n. 201 del 2011 (convertito nella legge n. 214 del 2011), ha istituito il Tributo Comunale sui Rifiuti e sui Servizi (c.d. TARES); infine, la legge n. 147 del 2013 (c.d. legge di stabilità per il 2014) ha istituito la Tassa sui Rifiuti (c.d. TARI), che è attualmente in vigore. In sintesi, TARSU, TIA1, TIA2, TARES e TARI rappresentano diverse fasi evolutive della normativa italiana riguardante la tariffazione/tassazione dei rifiuti urbani, con cambiamenti significativi nella loro natura giuridica (da tributo a corrispettivo) e nella disciplina applicabile (in particolare per quanto riguarda l’IVA e la giurisdizione competente in caso di controversie).
In particolare, la tariffa d’igiene ambientale (c.d. TIA 1), disciplinata dall’art. 49, comma 14, del decreto legislativo n. 22 del 1997, nonché dall’art. 7, comma 2, del D.P.R. n. 158 del 1999, si distingue dalla tariffa integrata ambientale (c.d. TIA2), disciplinata dall’art. 238 del decreto legislativo n. 152 del 2006.
Per quanto riguarda la c.d TIA1, ormai da oltre quindici anni la Corte Costituzionale, con sentenza n. 238 del 2009, ha riconosciuto che, dietro al nome di ‘Tariffa’, si celava un tributo.
L’articolo 49, comma 3, prevedeva infatti che il presupposto del Tributo fosse costituito dalla semplice occupazione o detenzione di aree scoperte o locali a qualunque uso adibiti. Con ciò si palesava la natura di tributo. Con la conseguenza che era illegittima l’applicazione dell’IVA, non potendosi applicare un’imposta su una tassa. Quanto invece alla TIA 2, le Sezioni Unite, con sentenze nn. 8631 e 8632 del 2020, hanno statuito che la tariffa, di cui all’art. 238 del decreto legislativo n. 152 del 2006, come interpretata dall’art. 14, comma 33, del decreto-legge n. 78 del 2010, quale convertito nella legge n. 122 del 2010, ha natura contrattuale, ed è pertanto soggetta ad IVA ai sensi degli artt. 1, 3, 4, commi 2 e 3, del d.P.R. n. 633 del 1972.
Sul solco tracciato dalle Sezioni Unite si è posta la successiva giurisprudenza di legittimità. Ad esempio, Cass. n. 15288 del 2021, nel ribadire la natura contrattuale della TIA 2, ha precisato che i servizi erogati e il corrispettivo, pagato per essi, costituiscono due quote di un rapporto composto da una prestazione e una controprestazione, che legittima il pagamento dell’IVA. In tale contesto, è stato sottolineato che il legislatore ha legittimamente interpretato la disciplina della c.d. TIA 2, dettata dall’art. 238 del decreto legislativo n. 152 del 2006, per impedire che tra le possibili varianti di senso si potesse propendere per la natura tributaria della tariffa, come, invece, era avvenuto, in epoca appena precedente, per la c.d. TIA 1.
Orbene, il pagamento della TARSU, della TIA 1, della TIA 2, della TARES e della TARI – a prescindere dalla loro natura giuridica – è obbligatorio per legge, atteso che il citato art. 3 del D.P.R. n. 633 del 1972, come interpretato da consolidata giurisprudenza di questa Corte (cfr., tra le tante, Cass. n. 12744 e n. 16332 del 2018; nonché n. 4876, n. 14753, n. 15529 e n. 20972 del 2019), prevede che « le prestazioni verso corrispettivo dipendenti da contratti d’opera, appalto, trasporto, mandato, spedizione, agenzia, mediazione, deposito e in genere da obbligazioni di fare, di non fare e di permettere » costituiscono prestazioni di servizi, « quale ne sia la fonte ».
Si tratta, in altri termini, di prestazioni patrimoniali imposte, che altro non sono che ‘ imposizioni in senso sostanziale ‘ (o ‘ imposizioni di fatto ‘), in cui, nonostante l’eventuale fonte contrattuale, il corrispettivo è fissato unilateralmente ed in via autoritativa e al privato è rimessa soltanto la libertà (astratta) di richiedere la prestazione o il bene essenziale oppure rinunziarvi.
Occorre qui precisare che la nozione di « prestazione patrimoniale imposta » è più ampia di quella di « tributo », in quanto abbraccia non soltanto le prestazioni imposte con atto autoritativo (c.d. imposizioni in senso formale), ma anche obbligazioni, assunte contrattualmente, nelle quali – vuoi per la presenza di monopoli fiscali (con conseguente fissazione di corrispettivi estranei alla logica di mercato nonostante la natura negoziale del rapporto), vuoi perché la determinazione del quantum debeatur (dunque, la parte della disciplina che provoca la decurtazione patrimoniale) è comunque frutto di determinazioni autoritative – il privato, in considerazione della particolare natura del bene o del servizio di cui ha bisogno (nella specie, la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti), partecipa in modo solo apparentemente libero o volontario alla formazione dell’obbligazione, trovandosi in realtà in una particolare situazione di condizionamento o di sostanziale coazione.
2.2 Tanto premesso, tra la società che gestisce il servizio di
raccolta e smaltimento dei rifiuti ed il singolo utente, che di tale servizio usufruisce, non intercorre in senso stretto un rapporto la cui fonte è ravvisabile nella volontà contrattuale pienamente libera delle parti, che invece viene intrattenuto tra l’ente locale e l’impresa alla quale viene affidata la gestione del servizio, tanto che la legge non dà alcun sostanziale rilievo, genetico o funzionale, alla volontà delle parti nel rapporto tra gestore ed utente del servizio.
Invero, i servizi concernenti lo smaltimento dei rifiuti sono obbligatoriamente istituiti dai Comuni, che li gestiscono sulla base di una disciplina regolamentare da essi stessa unilateralmente fissata, con la previsione di un importo autoritativamente determinato allo scopo di ripartire le pubbliche spese necessarie a garantirli.
Il rapporto che si instaura -essendo relativo alla fornitura di un pubblico servizio -scaturisce, dunque, da un atto predisposto e disciplinato in maniera unilaterale da parte dell’ente senza possibilità alcuna di apportare modifiche da parte dell’utente, in capo al quale, quando si verifica il presupposto del prelievo coattivo, sorge l’ob bligo della prestazione patrimoniale che è sinallagmaticamente correlata a quella dell’erogazione del servizio.
Per quanto qui rileva, dunque, la TIA 2 integra prestazione patrimoniale di natura privatistica, ma costituisce un importo comunque dovuto e, dunque, ‘ imposto ‘, semplicemente in ragione del possesso e della detenzione di locali o aree atti alla produzione di ‘ rifiuti urbani ‘, normativamente e ragionevolmente parametrata ad una soltanto presuntiva e potenziale produzione di rifiuti, essendo commisurata ‘ alle quantità e qualità medie ordinarie di rifiuti prodotti per unità di superficie, in relazione agli usi e alla tipologia di attività svolte ‘ (art. 238, comma 2, decreto legislativo n. 152 del 2006). Tale importo, costituito da una quota fissa, relativa alla sussistenza del servizio, e da una quota variabile, relativa alla produzione di rifiuti presuntiva di ciascuna singola utenza,
è, dunque, obbligatorio, come pure evidenziato dalla citata pronuncia a Sezioni Unite di questa Corte (Cass., n. 8631 del 2020), in quanto volto a garantire la completa copertura dei costi del servizio di gestione dei rifiuti urbani.
Ne consegue che il rapporto sinallagmatico, sottostante al pagamento della TIA 2, attiene a diritti indisponibili, in considerazione dell’indisponibilità del diritto del Comune al conseguimento (irrinunciabile, una volta emanato il regolamento che lo preveda) del corrispettivo per lo svolgimento del servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti; indisponibilità che discende direttamente dalle finalità di pubblico interesse perseguite dall’Amministrazione; e che non è per nulla elisa dalla possibilità di una riduzione o revisione in sede di conciliazione, tanto riguardando la facoltà dell’ente percettore, conferitagli appunto in ragione del pubblico interesse alla sua percezione nella misura corretta, di autodeterminarsi in ordine all’entità della prestazion e di esigere.
Proprio l’indisponibilità del diritto impone di escludere che il Giudice di pace si sia pronunciato secondo equità.
In base ad un orientamento che può dirsi consolidato, infatti, la regola del giudizio equitativo non è, invero, compatibile con il carattere indisponibile delle situazioni dedotte in causa, dovendo la disposizione dell’art. 113, secondo comma, c.p.c. , essere letta in correlazione con quella del successivo art. 114 c.p.c., secondo la quale in tanto il merito della causa è deciso secondo equità in quanto esso riguardi diritti disponibili delle parti che ne facciano concorde richiesta (cfr. Cass., Sez. 1, 22/03/2007, n. 6990; Cass., Sez. 3, 12/06/2002, n. 8375). Si è, al riguardo, precisato che « la circostanza che la prima norma concerne tutte le cause di competenza del giudice di pace il cui valore non eccede i due milioni di lire e la seconda solo quelle di valore superiore per le quali il giudizio equitativo sia stato domandato, non giustifica una conclusione restrittiva, giacché se la ratio della prevista richiesta delle parti per le cause di valore superiore sta nella finalità di evitare
che le regole di diritto possano essere disapplicate in controversie con più rilevanti implicazioni economiche, ed è dunque esclusiva di tali cause, la ratio del limite costituito dalla non indisponibilità del diritto non è in alcun modo collegata alle conseguenze economiche della decisione, ma alle ragioni della indisponibilità, quali che esse siano. È, dunque, indipendente dal valore della causa ed assume identica valenza in entrambe le ipotesi » (così, Cass., Sez. 3, Sentenza n. 8375 del 12/06/2002 cit.).
La Corte reputa prioritaria, in difetto di evidenti ragioni che militino per una sua rimeditazione o perfino per un suo superamento, l’opportunità di non mutare un orientamento in materia processuale (ove di grande pregnanza è l’esigenza di affidamento nel la stabilità delle interpretazioni) che può dirsi consolidato, poiché non contraddetto da tempo, ma soprattutto che garantisce una più piena estrinsecazione del diritto di difesa (consentendo un’impugnazione di merito assai ampia) quando sono coinvolti diritti indisponibili.
Va, dunque, data continuità al principio di diritto, già affermato da Cass. n. 18184 del 2014 e, ancor prima, da Cass. n. 19531 del 2004 e, di recente, ribadito da Cass. n. 5782 del 2025, secondo il quale non può essere decisa dal Giudice di pace secondo equità una causa che, pur rientrando nei limiti della sua competenza per valore, abbia ad oggetto il diritto di una delle parti di percepire dall’altra l’importo corrispondente ad una prestazione per legge dovuta, quello dovendo qualificarsi indisponibile.
Ha, dunque, errato il Tribunale di Catania a ritenere inammissibile l’appello proposto dalla odierna ricorrente: difatti, la sentenza del Giudice di pace che decide con riguardo ad intimazione di pagamento relativa al pagamento della TIA 2, riguardando un diritto indisponibile del Comune, deve intendersi pronunciata secondo diritto, indipendentemente dal valore della controversia ed è, pertanto, appellabile senza che operino i limiti di cui all’art. 339, ultimo comma, c.p.c., nel testo applicabile ratione temporis successivo alla modifica introdotta dal decreto legislativo 2 febbraio 2006
Va, in conclusione, affermato il seguente principio di diritto:
« in tema di tariffa integrata ambientale disciplinata dall’art. 238 del decreto legislativo n. 152 del 2006 (cosiddetta TIA 2), l’intimazione di pagamento, avente ad oggetto il diritto di una delle parti di percepire dall’altra l’importo corrispondente ad una prestazione dovuta per legge, ha ad oggetto una prestazione patrimoniale imposta e riguarda, pertanto, un diritto indisponibile; pertanto, la sentenza del Giudice di pace, che decide su detta intimazione, deve intendersi pronunciata secondo diritto, indipendentemente dal valore della controversia; ed è appellabile senza che operino i limiti di cui all’art. 339, ultimo comma, c.p.c., nel testo applicabile ratione temporis, successivo alla modifica introdotta dal decreto legislativo 2 febbraio 2006 n. 40 ».
L’accoglimento del terzo motivo consente di dichiarare assorbiti il primo ed il secondo motivo.
Il quarto motivo di ricorso è infondato.
Al riguardo, occorre ribadire che, come ormai da un decennio precisato dalle Sezioni Unite (Cass., SU n. 16599 e n. 22232 del 2016), il vizio di motivazione meramente apparente ricorre allorquando il giudice della sentenza impugnata, in violazione di un preciso obbligo di legge, costituzionalmente imposto, omette di esporre concisamente i motivi in fatto e diritto della decisione, di specificare ed illustrare le ragioni e l’ iter logico seguito per pervenire alla decisione assunta, e cioè di chiarire sulla base di quali argomentazioni è pervenuto alla propria determinazione, in tal modo consentendo anche di verificare se abbia effettivamente giudicato iuxta alligata et probata.
La motivazione è solo apparente (e, pertanto, la sentenza è nulla perché affetta da error in procedendo ) quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la
formazione del proprio convincimento.
Nulla di tutto questo nel caso di specie, nel quale il Tribunale, seppure con motivazione sintetica, ha adeguatamente esplicitato il percorso argomentativo che lo ha condotto alla declaratoria d’inammissibilità dell’appello, rendendo in tal modo possibile il controllo sul ragionamento posto alla base del decisum . Per tale ragione, la motivazione della sentenza impugnata, ponendosi sicuramente al di sopra del cd. ‘minimo costituzionale’. non rientra affatto in una di quelle sole gravi anomalie argomentative individuate dalle Sezioni Unite (cfr. Cass., sez. U, 07/04/2014, n. 8053 e n. 8054).
In definitiva, la sentenza impugnata, in accoglimento del terzo motivo, assorbiti il primo ed il secondo e rigettato il quarto, va cassata con rinvio al competente Tribunale, quale giudice d’appello, in persona di diverso magistrato, che dovrà procedere a ll’esame nel merito della controversia, provvedendo pure sulle spese del giudizio di legittimità.
Per questi motivi
La Corte:
-accoglie il terzo motivo, dichiara assorbiti il primo ed il secondo e rigetta il quarto; cassa la sentenza impugnata e rinvia al Tribunale di Catania, in persona di diverso magistrato, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso nella camera di consiglio della Terza Sezione Civile,