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Credito fiscale e fallimento: la Cassazione chiarisce

L’Agenzia delle Entrate ha richiesto l’ammissione di un credito fiscale al passivo di un fallimento. Il Tribunale lo ha ritenuto prescritto per mancata emissione di una nuova cartella dopo un contenzioso. La Cassazione ha annullato la decisione, stabilendo che le sentenze tributarie definitive costituiscono titolo sufficiente per provare il credito e interrompono la prescrizione, rendendo non necessaria una nuova cartella.

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Credito Fiscale nel Fallimento: la Sentenza Giudiziale è Prova Sufficiente

Introduzione: la prova del credito fiscale in sede fallimentare

La gestione di un credito fiscale nei confronti di un’impresa fallita è una questione complessa, che si trova al crocevia tra diritto tributario e fallimentare. Una domanda cruciale è: quali documenti sono necessari per dimostrare l’esistenza del credito e ottenerne l’ammissione al passivo? Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione ha fornito un chiarimento fondamentale, stabilendo che una sentenza tributaria definitiva è di per sé un titolo sufficiente, anche in assenza di una nuova cartella di pagamento emessa dopo il contenzioso.

Il caso: un credito tributario ritenuto prescritto

Una società di persone e i suoi soci illimitatamente responsabili venivano dichiarati falliti. L’Agenzia delle Entrate-Riscossione presentava domanda di ammissione al passivo per un ingente credito fiscale. Il giudice delegato, e successivamente il Tribunale in sede di opposizione, accoglievano solo parzialmente la richiesta, escludendo una parte significativa del credito perché ritenuta prescritta.
La tesi del Tribunale si basava su un presupposto formale: poiché la cartella di pagamento originaria era stata oggetto di un lungo contenzioso tributario, conclusosi con sentenze che avevano rideterminato l’importo dovuto, l’Agenzia avrebbe dovuto emettere una nuova cartella. In mancanza di questo nuovo atto, secondo il giudice di merito, il termine di prescrizione era decorso, estinguendo il diritto a riscuotere quelle somme.

L’intervento della Cassazione e il principio sul credito fiscale

L’Agenzia delle Entrate-Riscossione ha impugnato la decisione del Tribunale dinanzi alla Corte di Cassazione, sostenendo che il ragionamento fosse errato. La Suprema Corte ha accolto il ricorso, cassando il decreto impugnato e rinviando la causa al Tribunale per un nuovo esame.
Il principio affermato dalla Cassazione è netto: ai fini dell’ammissione al passivo fallimentare, la prova del credito fiscale può essere fornita con mezzi diversi dalla cartella di pagamento. In particolare, le sentenze tributarie passate in giudicato, che accertano l’esistenza e l’ammontare del debito d’imposta, costituiscono un titolo giudiziale pienamente valido per fondare la pretesa creditoria.

Le motivazioni della decisione

La Corte ha basato la sua decisione su consolidati principi giurisprudenziali. In primo luogo, ha ricordato che il credito fiscale non nasce dall’atto impositivo (come l’avviso di accertamento o la cartella), ma direttamente dalla legge, al verificarsi dei presupposti impositivi. Gli atti amministrativi servono solo a determinarlo e a renderlo esigibile.
Di conseguenza, in sede di verifica dei crediti nel fallimento, ciò che conta è la prova sostanziale dell’esistenza del credito. Questa prova può essere offerta tramite diversi documenti, tra cui le sentenze emesse dalle commissioni tributarie. Anzi, una sentenza passata in giudicato rappresenta una prova ancora più forte di una cartella di pagamento, in quanto accerta il diritto in modo definitivo tra le parti.
Inoltre, la Corte ha sottolineato che, ai sensi del Codice Civile, l’avvio di un procedimento giudiziario interrompe il decorso della prescrizione fino al passaggio in giudicato della sentenza che definisce il giudizio. Il Tribunale aveva errato nel non considerare questo effetto interruttivo del lungo contenzioso tributario, che di fatto aveva impedito la maturazione di qualsiasi prescrizione.
Infine, la Cassazione ha ribadito che anche il solo estratto di ruolo è documento sufficiente per richiedere l’ammissione al passivo, senza necessità di emettere una nuova cartella post-sentenza.

Le conclusioni

Questa ordinanza rafforza la posizione dell’amministrazione finanziaria nel recupero dei crediti nei confronti di soggetti falliti. La decisione chiarisce che la sostanza del diritto, accertato con una sentenza definitiva, prevale sugli adempimenti formali come l’emissione di una nuova cartella. Per le imprese e i professionisti che assistono le procedure concorsuali, ciò significa che la pretesa dell’Erario basata su sentenze tributarie definitive deve essere considerata valida e non può essere respinta per motivi meramente procedurali legati alla mancata ri-emissione di un atto di riscossione.

Per ammettere un credito fiscale al passivo di un fallimento è sempre necessaria la notifica di una cartella di pagamento?
No. Secondo la Corte di Cassazione, la domanda di ammissione può essere basata anche su altri titoli, come le sentenze tributarie che accertano il credito o persino il solo estratto di ruolo.

Una sentenza tributaria che accerta un debito è sufficiente a provare il credito in sede fallimentare?
Sì. La sentenza tributaria, specialmente se passata in giudicato, costituisce un titolo giudiziale che di per sé è sufficiente a provare l’esistenza e l’ammontare del credito fiscale ai fini dell’insinuazione al passivo, senza necessità di ulteriori atti.

Il contenzioso tributario interrompe la prescrizione del credito fiscale?
Sì. Il decorso dei termini di prescrizione è interrotto per tutta la durata del giudizio, fino al passaggio in giudicato della sentenza che lo definisce. Pertanto, il tempo impiegato per il contenzioso non può essere computato ai fini della maturazione della prescrizione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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