Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 19942 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 19942 Anno 2025
Presidente: COGNOME RAGIONE_SOCIALE
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 17/07/2025
sul ricorso iscritto al n. 11367/2021 R.G., proposto
DA
COGNOME NOME, COGNOME NOME e ‘ RAGIONE_SOCIALE , con sede in Calderara di Reno (BO), in persona del l’amministratore delegato pro tempore , tutti rappresentati e difesi dal l’ Avv. NOME COGNOME con studio in Roma, ove elettivamente domiciliati (presso lo studio del Prof. Avv. NOME COGNOME e dell’Avv. NOME COGNOME -indirizzo pec per notifiche e comunicazioni: EMAIL ), giusta procura in calce al ricorso introduttivo del presente procedimento;
RICORRENTI
CONTRO
l’Agenzia delle Entrate, con sede in Roma, in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con sede in Roma, ove per legge domiciliata (indirizzo pec per notifiche e comunicazioni: EMAIL );
CONTRORICORRENTE
IMPOSTA DI REGISTRO ACCERTAMENTO ACCOLLO DI MUTUI IPOTECARI BASE IMPONIBILE
avverso la sentenza depositata dalla Commissione tributaria regionale per l’Emilia -Romagna il 28 ottobre 2016, n. 2793/04/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 13 febbraio 2025 dal Dott. NOME COGNOME.
RILEVATO CHE:
1. NOME COGNOME, NOME COGNOME e la ‘ RAGIONE_SOCIALE hanno proposto ricorso congiunto per la cassazione della sentenza depositata dalla Commissione tributaria regionale per l’Emilia -Romagna il 28 ottobre 2016, n. 2793/04/2016, che, in controversia su impugnazione di avviso di liquidazione n. NUMERO_DOCUMENTO con riguardo alle imposte di registro, ipotecaria e catastale per l’importo di € 34.963,00, in relazione al conferimento di due immobili da parte di NOME COGNOME ed NOME COGNOME (l’uno , in proprietà esclusiva di NOME COGNOME, sito in Bologna alla INDIRIZZO e censito in catasto con le particelle graffate 100 sub. 419 – 100 sub. 420 del folio 30; l’altro , in proprietà comune tra NOME COGNOME ed NOME COGNOME, sito in Bologna alla INDIRIZZO e censito in catasto con la particella 100 sub. 419 del folio 30) a liberazione di un aumento di capitale deliberato dalla ‘ RAGIONE_SOCIALE‘ (atto notarile del 10 marzo 2008), con l’ accollo di due mutui erogati dalla ‘ Banca Nazionale del Lavoro S.p.A. ‘ per gli importi di € 471.556,00 e di € 228.333,00 e garantiti da ipoteca sui medesimi immobili, per un valore dichiarato, il primo, di € 3 255.500,00 (mediante la deduzione della passività di € 471.556,00 dal valore di € 727.500,00), e, il secondo, di € 139.500,00 (mediante la deduzione della passività di € 228.333,00 dal valore di € 364.500,00), a seguito di rideterminazione del valore dei conferimenti al netto delle
passività, ha rigettato l’appello proposto dai medesimi nei confronti dell ‘Agenzia delle Entrate avverso la sentenza depositata dalla Commissione tributaria provinciale di Bologna il 2 ottobre 2012, n. 128/10/2012, con condanna alla rifusione delle spese giudiziali.
La Commissione tributaria regionale ha confermato la decisione di primo grado -che aveva rigettato il ricorso originario dei contribuenti – sul presupposto che il valore degli immobili non potesse essere depurato delle passività derivanti dai mutui garantiti da ipoteche per difetto di accollo esterno da parte della società conferitaria a favore della banca mutuante, nonché che tali debiti non fossero ricollegabili all’attività sociale ed inerenti agli immobili.
L ‘Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.
I ricorrenti hanno depositato memoria ex art. 380bis .1 cod. proc. civ..
CONSIDERATO CHE:
Il ricorso è affidato a due motivi.
1.1 Con il primo motivo, si denuncia violazione e/o falsa applicazione dell’art. 50 del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., per essere stata erroneamente esclusa dal giudice di appello la deducibilità delle passività collegate agli immobili trasferiti dai conferenti alla società conferitaria.
1.2 Con il secondo motivo, si denuncia omesso esame di fatto decisivo, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5), cod. proc. civ., per non essere stato tenuto in conto dal giudice di appello che la società conferitaria si era accollata le passività assunte dai soci conferenti.
Il primo motivo è infondato.
2.1 La pretesa impositiva è basata sul difetto di inerenza delle passività accollate alla società conferitaria degli immobili ai fini della deduzione dal valore dei conferimenti , ai sensi dell’art. 50 del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131.
Tale disposizione costituisce trasposizione, nell’ordinamento interno, della direttiva n. 69/335/CEE del Consiglio del 17 luglio 1969, il cui art. 5, par. 1, lett. a, ha previsto che l’imposta sui conferimenti debba essere liquidata, « nel caso della costituzione di una società di capitali, dell’aumento del suo capitale sociale o dell’aumento del patrimonio sociale di cui all’articolo 4, paragrafo 1, lettere a), c) e d): sul valore reale dei beni di qualsiasi natura conferiti o da conferire dai soci, previa deduzione delle obbligazioni assunte e degli oneri sopportati dalla società a causa di ciascun conferimento; gli Stati membri hanno la facoltà di riscuotere l’imposta soltanto man mano che i conferimenti sono effettuati ».
In tale solco si pone anche la successiva direttiva n. 2008/7/CE del Consiglio del 12 febbraio 2008, il cui art. 11, par. 1, ha ribadito – nelle medesime ipotesi di conferimenti di capitale di cui all’art. 3, lett. a), c) e d) che « la base imponibile dell’imposta sui conferimenti è costituita dal valore reale dei beni di qualsiasi natura conferiti o da conferire dai soci, previa deduzione delle obbligazioni assunte e degli oneri sostenuti dalla società a causa di ciascun conferimento ».
Si è, pertanto, rimarcato che le passività suscettibili di valutazione, ai fini della determinazione della base imponibile del tributo, – che deve essere determinata « in base a criteri obiettivi (…) sul valore reale dell’attivo » (Corte Giust., 27 giugno 1979, causa C-161/78, RAGIONE_SOCIALE ) – sono (solo) quelle che trovano causa nello stesso atto di conferimento, così
che non è consentita un’indiscriminata deduzione delle passività e degli oneri gravanti sul bene o sul diritto conferito, essendo al contrario necessaria un’attenta verifica, onde accertare la sussistenza di un collegamento fra le passività ed i beni conferiti, anche al fine di evitare mutui ipotecari costituiti in funzione di elusione del carico tributario.
Tale prospettiva è stata condivisa dalla circolare emanata dall’Agenzia delle Entrate il 29 dicembre 1999 , n. 247/E, secondo la quale « le passività, le spese e gli oneri il cui ammontare può essere detratto dal valore dichiarato sono solo quelli relativi ai beni immobili conferiti ».
2.2 Il giudice di appello -sulla base di un precedente di questa Corte (Cass., Sez. 5^, 19 aprile 2013, n. 9580) – ha escluso la deducibilità dal valore venale dei mutui fondiari sul rilievo che i debiti non sarebbero stati oggetto di accollo esterno, per cui la società conferitaria non sarebbe obbligata in proprio nei confronti della banca mutuante. Da qui la conclusione che: « In ogni caso, i contribuenti non hanno provato che con il conferimento sono stati trasferiti (accollati), in capo alla società, gli oneri derivanti dal rapporto di mutuo, risultando dagli atti di causa la diversa circostanza per cui i finanziamenti erano stati concessi, prima del conferimento, direttamente ai contribuenti COGNOME Enzo e COGNOME NOME ».
2.3 Secondo un più recente arresto (Cass., Sez. 5^, 15 luglio 2022, n. 22325), in linea con un consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità (Cass., Sez. 5^, 30 maggio 2008, n. 14540; Cass., Sez. 6^-5, 14 febbraio 2014, n. 3444; Cass., Sez. 5^, 30 luglio 2014, n. 17300; Cass., Sez. 5^, 13 novembre 2015, n. 23234; Cass., Sez. 5^, 11 gennaio 2018, n. 475; Cass., Sez. 6^-5, 3 aprile 2019, n. 9209; Cass., Sez. 5^, 27 aprile 2021, n. 11094; Cass., Sez. 5^, 12 ottobre 2021,
n. 27675; Cass., Sez. Trib., 19 luglio 2023, n. 21354; Cass., Sez. Trib., 20 luglio 2023, n. 21620), le passività deducibili devono avere il requisito dell’inerenza all’oggetto del conferimento, dovendosi escludere la sussistenza di un siffatto requisito in relazione alla (mera) iscrizione di un’ipoteca sull’immobile oggetto di conferimento – che ben potrebbe correlarsi al conseguimento di un finanziamento personale del conferente – e, ad ogni modo, laddove le passività e gli oneri che si vorrebbe dedurre a fini fiscali dal valore degli immobili conferiti in società, seppur gravanti sull’immobile conferito, non possano dirsi assunti dalla società conferitaria per finalità connesse al perseguimento del proprio oggetto sociale.
2.4 Questa Corte ha ribadito quindi, nell’esprimersi sulla valenza dell’art. 50 del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, che tale norma, interpretata alla luce della disciplina comunitaria di cui costituisce attuazione (il riferimento è alla direttiva n. 69/335/CEE del Consiglio del 17 luglio 1969, ma è estensibile alla direttiva n. 2008/7/CE del Consiglio del 12 febbraio 2008, che costituisce ” rifusione ” della precedente e delle sue modificazioni), impone che, qualora siano conferiti in società immobili, diritti reali immobiliari o aziende, sono deducibili, ai fini della determinazione della base imponibile, le sole passività ed oneri “inerenti” al bene o diritto trasferito, con esclusione di quelli che, anche se gravanti sul conferente ed assunti dalla società cessionaria, non sono collegati all’oggetto del trasferimento. In particolare, nell’ipotesi di conferimento di immobili in società, ove i conferenti siano persone fisiche, la base imponibile non può essere depurata delle passività connesse ad ipoteche che, pur se gravanti sugli stessi beni, sono state iscritte dai conferenti per ottenere un proprio finanziamento personale in epoca anteriore al conferimento
dell’immobile in società (tra le tante: Cass., Sez. 5^, 14 febbraio 2014, n. 3444; Cass., Sez. 5^, 30 luglio 2014, n. 17300; Cass., Sez. 5^, 13 novembre 2015, n. 23234; Cass., Sez. 5^, 11 gennaio 2018, n. 475; Cass., Sez. 6^-5, 3 aprile 2019, n. 9209; Cass., Sez. 5^, 23 dicembre 2020, n. 29403; Cass., Sez. 5^, 12 ottobre 2021, n. 27675; Cass., Sez. 5^, 25 novembre 2021, n. 36563; Cass., Sez. 5^’ 21 dicembre 2021, nn. 40945, 40946 e 40947; Cass., Sez. 5^’ 29 dicembre 2021, n. 41842; Cass., Sez. 5^, 4 gennaio 2022, n. 31; Cass., Sez. 5^, 19 gennaio 2022, n. 1524; Cass., Sez. 5^, 1 febbraio 6 2022, n. 2943, 2945, 2946 e 2949; Cass., Sez. 5^, 23 febbraio 2022, n. 6035).
2.5 Ad ogni modo, a tal fine non è sufficiente invocare il discrimine funzionale tra accollo esterno ed accollo interno. In proposito, un precedente di questa Corte ha ritenuto che, in tema di imposta di registro sugli atti di conferimento di immobili in società per aumento di capitale non è consentito dedurre, ai sensi dell’art. 50 del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, dal valore lordo del bene conferito l’importo del mutuo bancario acceso per l’acquisto del medesimo bene che la società conferitaria abbia dichiarato di accollarsi, nell’ipotesi di accollo meramente interno, senza insorgenza di alcun debito diretto della società accollante nei confronti della banca e che non abbia, in concreto, comportato alcun esborso per la società accollante che non ha pagato direttamente in veste di terzo il mutuo, né ha, comunque, apprestato all’accollato in anticipo i mezzi occorrenti e neppure abbia rimborsato le somme pagate alla banca (in termini: Cass., Sez. 5^, 19 aprile 2013, n. 9580 – vedansi anche: Cass., Sez. 5^, 30 luglio 2014, n. 17300; Cass., Sez. 5^, 23 febbraio 2022, n. 6035).
2.6 Tuttavia, tale arresto si è limitato ad escludere, a monte, che l’accollo interno potesse comportare l’assunzione del debito da parte della società conferitaria, la quale, pertanto, non essendo obbligata nei confronti del creditore del conferente, non poteva pretenderne la deducibilità dal valore dei beni conferiti, ma non ha sancito che l’accollo esterno bastasse, di per sé, ad assicurare l’automatico abbattimento della base imponibile ai fini della liquidazione dell’imposta di registro sul conferimento immobiliare.
In altri termini, l’accollo esterno è stato configurato alla stregua di condizione necessaria, ma non sufficiente per beneficiare della deduzione delle passività dal valore dei cespiti apportati alla società ai fini della determinazione in minus della base imponibile, occorrendo il concorso di un quid pluris , che era costituito dalla condizione ulteriore della loro inerenza all’oggetto dell’apporto (in tal senso: Cass., Sez. 5^, 9 marzo 2018, n. 5760). Non a caso, quindi, nell’occasione, fermandosi alla constatazione preliminare dell’insussistenza dell’accollo esterno, la Corte si era astenuta da una superflua (ed inutile) riaffermazione del proprio orientamento sulla imprescindibilità del collegamento del debito assunto al bene conferito. A dispetto delle critiche sollevate dalla dottrina con riguardo all’estraneità di tale limitazione al contenuto precettivo della disposizione, dunque, si deve confermare che l’accollo dei debiti assunti dal conferente deve trovare giustificazione in un interesse concreto e specifico della società conferitaria degli immobili, la quale possa trarre oggettivo vantaggio dal proprio subentro nella posizione obbligatoria. Per cui, l’inerenza del debito all’oggetto del conferimento è ravvisabile allorquando l’obbligazione sia stata assunta dal conferente per la conservazione, la manutenzione, la ristrutturazione, il ripristino
o il miglioramento dell’immobile conferito, in modo che, attraverso la pattuizione dell’accollo esterno, la società conferitaria possa beneficiare dei riflessi derivanti dalla specifica destinazione dell’obbligazione in cui essa è subentrata all’amministrazione del cespite acquistato, riconducendosi alla realizzazione dello scopo sociale.
2.7 Nella specie, quindi, è evidente che si tratta di accollo meramente ‘interno’ dei debiti ex mutuo tra soci conferenti e società conferitaria, come risulta dalla trascrizione in ricorso dei passi desunti dal rogito notarile, per cui esso non consente la deduzione delle passività dal valore dei beni conferiti, mancando l’adesione liberatoria della banca mutuataria ex art. 1273 cod. civ.
Sul piano civilistico, infatti, questa Corte ha chiarito che, in tema modificazione del lato soggettivo dell’obbligazione, l’accollo c.d. semplice o interno, non previsto dal codice civile, si distingue dall’accollo c.d. ‘ esterno ‘ , previsto viceversa dall’art. 1273 cod. civ., poiché il primo non attribuisce alcun diritto al creditore e non modifica i soggetti dell’originaria obbligazione, a differenza del secondo, che configura un contratto a favore del terzo, con la conseguenza che nell’accollo interno il terzo assume obbligazioni e risponde del relativo adempimento nei confronti del solo accollato e non anche nei confronti del creditore, che resta del tutto estraneo all’accordo anche quando vi aderisca, derivando da tale adesione il solo effetto di rendere irrevocabile la relativa stipulazione senza assumere carattere necessario ai fini della modificazione soggettiva del rapporto obbligatorio (in termini: Cass., 2^, 3 dicembre 2021, n. 38225; Cass., Sez. 1^, 19 settembre 2024, n. 25159).
Il secondo motivo è inammissibile e, comunque, infondato.
3.1 Difatti, la preclusione derivante dalla c.d. ‘ doppia conforme ‘ (per la soccombenza in primo grado ed in secondo grado) non consente di censurare l’omesso esame di fatti decisivi oggetto di discussione tra le parti ex art. 360, primo comma, n. 5), cod. proc. civ.; difatti, in siffatta ipotesi, prevista dall’art. 348 -ter , quinto comma, cod. proc. civ. (applicabile, ai sensi dell’art. 54, comma 2, del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, ai giudizi d’appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal giorno 11 settembre 2012; detta norma è stata mantenuta, anche dopo l’abrogazione disposta dall’art. 3, comma 26, lett. e), del d.lgs. 1 ottobre 2022, n. 149, per i giudizi introdotti prima dell’1 gennaio 2023, dall’art. 35, comma 5, del d.lgs. 1 ottobre 2022, n. 149, quale modificato dall’art. 380 , lett. a), della legge 29 dicembre 2022, n. 197), il ricorrente in cassazione – per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. (nel testo riformulato dall’art. 54, comma 3, del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, ed applicabile alle sentenze pubblicate dall’11 settembre 2012) – deve indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (tra le tante: Cass., Sez. 1^, 22 dicembre 2016, n. 26774; Cass., Sez. Lav., 6 agosto 2019, n. 20994; Cass., Sez. 5^, 12 luglio 2021, n. 19760; Cass., Sez. 5^, 1 aprile 2022, n. 10644; Cass., Sez. 5^, 11 aprile 2022, n. 11707; Cass., Sez. 6^-5, 28 aprile 2022, n. 13260; Cass., Sez. Trib., 13 dicembre 2023, n. 34902; Cass., Sez. Trib., 27 giugno 2024, n. 17782). Nella specie, però, a fronte della soccombenza nel doppio grado di merito, i ricorrenti non hanno
indicato le ragioni di fatto differenti a seconda del giudizio; ne discende che le questioni sono state esaminate e decise in modo uniforme dai giudici del doppio grado di merito, per cui non ne è possibile alcun sindacato da parte del giudice di legittimi tà in relazione alla violazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. (art. 348ter , quinto comma, cod. proc. civ.).
3.2 Ad ogni modo, come si è detto, la pattuizione dell ‘accollo interno non sarebbe stato decisiva ai fini del giudizio, essendo esclusa a monte l’assunzione di un’obbligazione diretta della società conferitaria nei confronti della banca mutuataria in dipendenza dei mutui erogati ai soci conferenti, che è, invece, presupposto della deduzione.
Dunque, alla stregua delle suesposte argomentazioni, valutandosi la infondatezza o l’inammissibilità dei motivi dedotti, il ricorso deve essere rigettato.
Le spese giudiziali seguono la soccombenza e sono liquidate nella misura fissata in dispositivo.
Ai sensi dell’ art. 13, comma 1quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna i ricorrenti, in solido tra loro, alla rifusione delle spese giudiziali in favore della controricorrente, liquidandole nella misura di € 4.500,00 per compensi, oltre a spese prenotate a debito; dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
Così deciso a Roma nella camera di consiglio del 13 febbraio