Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 23892 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 23892 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 23/04/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME a GAMBARA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 12/12/2023 della Corte d’appello di Firenze visti gli atti, il provvedimento impugNOME e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
udito l’AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo accogliersi il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
La Corte d’appello di Firenze, con la sentenza impugnata in questa sede, ha parzialmente riformato la sentenza pronunciata dal Tribunale di Siena in data 20 gennaio 2021 nei confronti di COGNOME NOME, dichiarando non doversi procedere nei suoi confronti per il reato di cui all’art. 353 cod. pen. commesso nell’anno 2015 (capo A), perché estinto per prescrizione, rideterminando la pena per i fatti residui compresi nello stesso capo e per il delitto di autoriciclaggio (capo B), unificati sotto il vincolo della continuazione, e riducendo la misura della
disposta confisca, con conferma nel resto della decisione di primo grado che aveva condanNOME l’imputato anche per il delitto di calunnia (capo C) per il quale veniva confermata anche la pena irrogata.
Ha proposto ricorso la difesa dell’imputato deducendo, con il primo motivo, violazione di norme processuali, in relazione agli artt. 190, 238, 493, comma 2, cod. proc. pen., in punto di provvedimenti in tema di assunzione delle prove, con riguardo all’ordinanza che aveva rigettato la richiesta di acquisizione delle trascrizioni delle testimonianze assunte nel processo, connesso e collegato, a carico degli originari coimputati giudicati per lo stesso fatto; vizio di motivazione, anche per “travisamento della questione processuale”.
La (eventuale) rinnovazione conseguente all’acquisizione dei verbali di prova di altro procedimento, e i suoi requisiti (rilevanza e necessità), si attivano solo dopo l’acquisizione dei verbali di prova, ove la parte richieda la nuova assunzione dei testimoni; mentre il diritto della parte all’acquisizione dei verbali di prova non era condizioNOME ad alcuna preventiva valutazione in punto di superfluità, come invece aveva ritenuto l’ordinanza del giudice di primo grado escludendo la necessità di procedere ad un nuovo esame dei testi escussi nel diverso processo. Le uniche valutazioni che dovevano essere condotte riguardavano la legalità della prova assunta (rispetto dei termini nella formulazione della richiesta e del contraddittorio nell’assunzione) e la pertinenza della prova con i fatti da provare.
2.1. Con il secondo motivo si deduce violazione di legge, per l’errata determinazione del trattamento sanzioNOMErio con violazione del divieto di reformatio in peius. Pur avendo dichiarato l’estinzione per prescrizione di alcuni degli episodi descritti nel capo A), la Corte aveva mantenuto fermo l’aumento a titolo di continuazione per i residui episodi di cui al capo A), violando il divieto stabilito dall’art. 597, comma 3, cod. proc. pen., mentre avrebbe dovuto ridurre l’aumento almeno di un mese per i fatti commessi nell’anno 2015 come determiNOME in sede di continuazione interna con i tre delitti di turbativa originariamente contestati nel medesimo capo d’imputazione.
2.2. Con il terzo motivo si deduce violazione di legge, in relazione agli artt. 3, 24, 27, 111 Cost., 6 e 7 CEDU. La Corte territoriale aveva rigettato la richiesta di estensione del giudicato di assoluzione per insussistenza del fatto, conseguente alla pronuncia della sentenza che aveva giudicato gli originari coimputati, pur in presenza delle medesime imputazioni e degli stessi fatti storici analizzati e valutati dalle decisioni; aveva omesso di considerare l’effetto del contrasto insanabile tra le pronunce emesse dallo stesso Tribunale nei due processi, per i medesimi fatti e per gli stessi reati, situazione che, ove le decisioni fossero divenute entrambe irrevocabili, avrebbe dato luogo alle condizioni per la revisione della sentenza
emessa nel presente processo. La decisione della Corte si poneva in evidente contrasto con i principi costituzionali di parità di trattamento, trattandosi nella sostanza di un’ipotesi analoga a quella disciplinata dall’art. 587 cod. proc. pen., volta a scongiurare il conflitto tra giudicati sui medesimi fatti.
2.3. Con il quarto motivo si deduce violazione di legge, in relazione all’art. 353 cod. pen. La sentenza impugnata non aveva indicato alcuna prova idonea a dimostrare il turbamento delle aste descritte nell’imputazione ad opera della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e, quindi, dell’odierno ricorrente.
2.4. Con il quinto motivo si deduce violazione di legge, in riferimento agli artt. 353 e 483 cod. pen.; la corte territoriale aveva confermato il giudizio sulla simulazione della convenzione stipulata tra la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE, ritenendo l’atto ideologicamente falso, in contraddizione con i requisiti richiesti per integrare la fattispecie prevista dall’art. 483 cod. pen. mancando la formazione di un atto derivante dalla certificazione del pubblico ufficiale attributiva della forma legale all’atto dei privati.
2.5. Con il sesto motivo si deduce violazione di legge, in relazione agli artt. 353 cod. pen., 1425 e 2384 cod. civ., e al canone 1281 del codice di diritto canonico, in relazione al profilo dell’esistenza e dell’efficacia della convenzione stipulata tra la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE; con il settimo motivo, strettamente collegato al precedente, si deduce violazione di legge, in relazione agli artt. 353 cod. pen. e 1415 cod. civ., con riguardo all’ipotizzata simulazione assoluta della citata convenzione.
L’atto in esame non poteva dirsi né inesistente, né affetto da nullità o inefficacia, trattandosi semmai di ipotesi di atto annullabile, come correttamente statuito dal Tribunale di Siena nel parallelo processo concluso con la sentenza definitiva di assoluzione dei coimputati; il diverso giudizio espresso dalla Corte territoriale, circa la simulazione assoluta dell’atto si poneva in contrasto con i dati probatori che attestavano l’esecuzione della convenzione da parte dell’ente religioso; inoltre, secondo le regole civilistiche, la simulazione non poteva pregiudicare i diritti dei terzi, incidendo così tale valutazione sul giudizio circa la sussistenza della condotta di reato per il difetto del mezzo fraudolento.
2.6. Con l’ottavo motivo si deduce violazione di norme processuali, in relazione agli artt. 238 bis e 649 cod. proc. pen., 4 prot. n. 7 CEDU, quanto al tema del giudicato sostanziale esterno. La sentenza del Tribunale di Siena, passata in giudicato, che aveva assolto il coimputato COGNOME con la formula dell’insussistenza del fatto, rispetto alla medesima imputazione oggetto del processo a carico del ricorrente, pur se assoggettata alla regola probatoria dell’art. 238 bis cod. proc. pen., di certo costituiva ostacolo al giudizio sullo stesso fatto attesa l’identità della condotta, del nesso causale e dell’evento in entrambi i giudizi. Era irrilevante la
diversa valutazione giuridica sulla validità delle convenzione stipulata tra la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE, perché non incidente sulla struttura del fatto di reato giudicato.
2.8. Con il nono motivo si deduce violazione di legge, in relazione all’art. 648 ter.1 cod. pen.; il venir meno del fatto di reato presupposto incide necessariamente sulla sussistenza del contestato reato di autoriciclaggio.
2.9. Con il decimo motivo si deduce violazione di legge, in relazione agli artt. 24 e 27 Cost.; 52 e 368 cod. pen., in riferimento al giudizio di responsabilità per il contestato delitto di calunnia.
La condotta del ricorrente costituiva tipica espressione dell’esercizio della facoltà di autodifesa, rispetto al contenuto dell’atto redatto dai pubblici ufficiali che aveva dato avvio alle indagini; con quell’atto il ricorrente aveva esclusivamente esposto una differente ricostruzione dei fatti, negando le dichiarazioni riportate dai pubblici ufficiali.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato, limitatamente ai reati contestati ai capi A) e B).
1.1 D primo motivo non è consentito, in quanto reiterativo delle censure formulate con l’atto di appello; il ricorrente insiste nel reclamare il diritto all’acquisizione dei verbali delle prove assunte in altro procedimento, ritenendo che tale diritto non richieda alcuna valutazione di rilevanza e non superfluità delle prove contenute nei verbali (come invece affermato dalla Corte d’appello; pagg. 41 e ss.). La tesi è errata in diritto poiché l’ammissione della prova documentale è sempre soggetta ai parametri dell’art. 493 cod. proc. pen. e, ancor più, nella specie, avendo ad oggetto i verbali di prove assunte in altro processo mediante testimoni già escussi nel processo ove si chiede l’ammissione della prova documentale, senza indicare – cosa che il ricorrente omette di fare anche in questa sede – la diversità dei temi di prova e dei risultati della prova acquisita rispetto al contenuto delle prove già assunte nel dibattimento.
Oltre a ciò, il motivo di ricorso resta generico, poiché non indica la decisività delle prove documentali di cui si lamenta l’omessa acquisizione (ossia, i temi nuovi che formerebbero oggetto delle prove assunte nel diverso processo).
1.2. Il secondo motivo è manifestamente infondato.
Il Tribunale aveva condanNOME l’imputato per i reati di cui ai capi A) e B), unificati ex art. 81, comma 2, cod. pen., alla pena di anni 2 e mesi 3 di reclusione (pena base, per il delitto più grave di cui al capo B), anni 2 reclusione, aumentata per la continuazione interna, per i tre reati ex art. 353 cod. pen. contestati al capo A), di mesi 3 di reclusione); la Corte, elimiNOME l’aumento per il reato ex art. 353
cod. pen. relativo ai fatti dell’anno 2015, perché estinto per prescrizione, aveva ridotto la pena complessiva per i residui reati di cui al capo A) e per il reato di cui al capo B), ad anni 2 e mesi 2 di reclusione (pag. 57). Evidente, dunque, l’insussistenza dell’ipotizzata violazione del divieto ex art. 597 cod. proc. pen.
1.2. Il terzo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
In ordine alla questione della rilevanza della sentenza di assoluzione pronunciata nei confronti degli altri coimputati, con la formula dell’insussistenza del fatto, la Corte d’appello pur se sinteticamente (pag. 40) ha precisato che, a fronte della medesima ricostruzione dei fatti storici operata da entrambe le sentenze, la divergenza tra le due decisioni ha riguardato esclusivamente la differente valutazione in ordine al profilo giuridico dell’invalidità della convenzione stipulata tra le parti.
Tale situazione processuale impedisce che possa operare l’invocata estensione del giudicato assolutorio; rispetto alla corrispondenza delle imputazioni oggetto dei processi celebrati a carico dei coimputati, l’esito assolutorio non è derivato da un accertamento degli stessi fatti storici oggetto della medesima imputazione in termini contrastanti tra le due decisioni, ma in ragione di differenti qualificazioni giuridiche di quei fatti sicché resta esclusa la possibilità dell’ipotizzato “conflitto sostanziale ed insanabile fra le due pronunce” (pag. 13 del ricorso) che potrebbe dare luogo, una volta divenuta definitiva anche la seconda sentenza, all’insorgere dei presupposti per il giudizio di revisione.
E’ stato, infatti, affermato che «in tema di revisione, non sussiste contrasto fra giudicati agli effetti dell’art. 630, comma 1, lett. a), cod. proc. pen. se i fatti posti a base delle due decisioni, attribuiti a più concorrenti nel medesimo reato, siano stati identicamente ricostruiti dal punto di vista del loro accadimento oggettivo ed il diverso epilogo giudiziale sia il prodotto di difformi valutazioni di quei fatti – specie se dipese dalla diversità del rito prescelto nei separati giudizi e dal correlato, diverso regime di utilizzabilità delle prove – dovendosi intendere il concetto di inconciliabilità fra sentenze irrevocabili non in termini di mero contrasto di principio tra le decisioni, bensì con riferimento ad un’oggettiva incompatibilità tra i fatti storici su cui esse si fondano (Fattispecie relativa a reato di turbata libertà degli incanti, in cui la Corte ha ritenuto immune da censure il rigetto dell’istanza di revisione avanzata dall’istigatore, condanNOME in sede di giudizio abbreviato, in relazione alla assoluzione “perché il fatto non sussiste” pronunciata, in esito a giudizio ordinario, in favore dei soggetti istigati)» (Sez. 6, n. 16477 del 15/02/2022, COGNOME, Rv. 283317 – 01; nello stesso senso, Sez. 2, n. 18209 del 26/02/2020, COGNOME, Rv. 279446 – 01; Sez. 6, n. 488 del 15/11/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 269232 – 01; Sez. 6, n. 12030 del 04/03/2014, COGNOME, Rv. 259461 – 01).
1.3. Anche l’ottavo motivo di ricorso, logicamente correlato al precedente, è manifestamente infondato; non può dirsi sussistente alcuna violazione del divieto di ne bis in idem, considerando altresì che l’imputato cui viene addebitato il medesimo fatto è soggetto diverso da quello già giudicato.
L’accertamento contenuto nella sentenza irrevocabile assume rilievo, semmai, quanto alla ricostruzione dei fatti; ma di questo profilo si è già trattato nell’esame del terzo motivo, rilevando che la diversa conclusione cui giungono le due decisioni è diretta conseguenza della valutazione giuridica riguardante la validità e l’efficacia della convenzione.
1.4. Il sesto ed il settimo motivo, che riguardano sotto diverse angolature la medesima questione, inerente alla qualificazione del vizio da cui era affetta la convenzione stipulata tra la RAGIONE_SOCIALE, gestita di fatto dal ricorrente, e il coimputato COGNOME, nella qualità di titolare dell’ente ecclesiastico che avrebbe fornito i servizi indicati nella convenzione, sono entrambi manifestamente infondati.
Come ha chiarito la Corte d’appello, si tratta di questione che non rileva poiché ciò che assume carattere decisivo non è la mancanza di approvazione, da parte degli organi ecclesiastici a ciò deputati, della convenzione stipulata, con i conseguenti riflessi sulla validità ed efficacia dell’atto, bensì il carattere meramente apparente di quell’accordo negoziale, come provato dall’istruttoria che aveva escluso qualsiasi attività di prestazione dei servizi richiesti dal bando di gara (v. pagg. 49-50 della sentenza impugnata); e ciò non rispetto alla concreta esecuzione delle prestazioni, erogate dalla RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, ma in relazione alla fraudolenta partecipazione alle gare attraverso la documentazione relativa alla convenzione, poi mai eseguita, che era necessaria per consentire alla RAGIONE_SOCIALE di essere selezionata per l’affidamento del servizio.
1.5. Sono invece fondati il quarto ed il quinto motivo.
Secondo un orientamento affermatosi di recente, che il Collegio condivide, il delitto di turbata libertà degli incanti prevede, quale elemento costitutivo del reato, il ricorso a mezzi fraudolenti diretti ad impedire o turbare la gara; evento quest’ultimo che si realizza se il comportamento dell’agente lede il principio della libera concorrenza, che la norma incriminatrice intende tutelare sia nell’interesse dei partecipanti, nei quali si è creato l’affidamento della regolarità del procedimento, sia nell’interesse dell’amministrazione. In questa prospettiva, i mezzi fraudolenti cui fa ricorso l’agente devono essere direttamente idonei a incidere sul corretto svolgimento di una gara già avviata (Sez. 6, n. 44701 del 19/10/2021, COGNOME, Rv. 282743; Sez. 6, n. 8020 del 11/11/2015, dep. 2016, COGNOME, Rv. 266332; Sez. 6, n. 42770 del 11/07/2014, COGNOME, Rv. 260726 – 01), in quanto l’espressione utilizzata nella norma indica una fase susseguente al suo
preliminare allestimento; per altro verso, le condotte anteriori a quel momento «ordinariamente non sono idonee a ledere il bene dell’effettività della libera concorrenza, se non in termini di “mera potenzialità”, che è condizione anteriore a quella di “pericolo”» (Sez. 6, n. 24772 del 24/02/2022, Ieffi, Rv. 283606 – 01).
La condotta descritta nell’imputazione, dunque, imponeva ai giudici di merito di verificare se la predisposizione della convenzione, e la sua allegazione alle istanze per partecipare alle gare di affidamento dei servizi di accoglienza di cittadini stranieri richiedenti protezione internazionale, assumeva rilevanza in termini non solo di falsa attestazione sull’esistenza e sul possesso dei requisiti richiesti per partecipare alle gare (il che implicherebbe l’individuazione della corrispondente fattispecie di falso penalmente rilevante, quale l’ipotesi prevista dall’art. 483 cod. pen., ove sussistenti i relativi elementi oggettivi e soggettivi), ma anche di concreta incidenza di tale artificio nel successivo svolgimento della gara e nella conclusione della convenzione stipulata tra la Prefettura e la RAGIONE_SOCIALE aggiudicataria.
Nel caso in esame, l’allegazione alle domande di partecipazione alle gare, indicate nell’imputazione di cui al capo A), della convenzione stipulata tra la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE costituiva una condotta di tipo artificioso e fraudolento (nella prospettiva della sua simulazione), preliminare all’ammissione alla gara e anteriore rispetto al suo svolgimento.
Ciò che la decisione ha omesso di valutare, oltre alla rilevanza in sé di tale condotta artificiosa quale ipotesi di falso penalmente rilevante, è l’effetto dell’artificio; se, cioè, esso abbia inciso non solo sull’ammissione della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE alle gare, ma anche sullo svolgimento delle gare stesse, per effetto dell’alterazione del risultato finale conseguente all’influenza esercitata dai mezzi fraudolenti (realizzandosi, così, la fattispecie di cui all’art. 353 cod. pen.), nonché sulle determinazioni della stazione appaltante quanto all’erogazione dei corrispettivi (il che qualificherebbe la condotta, nel ricorrere degli elementi strutturali della fattispecie, in termini di truffa aggravata ai sensi dell’art. 640, cpv. n. 1, cod. pen.).
La necessità di svolgere specifiche valutazione in fatto del materiale probatorio acquisito, impedisce alla Corte di procedere all’operazione di qualificazione giuridica dei fatti accertati; conseguentemente, la sentenza deve esser annullata sul punto con rinvio alla Corte d’appello di Firenze che procederà, attraverso la lettura del materiale raccolto nel corso dell’istruttoria dibattimentale, a verificare l’esatta qualificazione giuridica dei fatti accertati, secondo i principi di diritto su enunciati.
1.6. Il nono motivo, in quanto logicamente dipendente dall’accertamento di responsabilità del reato presupposto, rispetto alla contestata condotta di
autoriciclaggio, è anch’esso fondato, dovendo essere preliminarmente verificata l’esistenza e la natura della condotta di reato (in termini di produzione di profitti suscettibili di costituire oggetto dell’attività di autoriciclaggio) che si assume essere presupposto del reato contestato al capo B).
1.7. Il decimo motivo è formulato in termini non consentiti, poiché esso è del tutto reiterativo della corrispondente censura sollevata in appello, senza alcun confronto con le argomentazioni della sentenza impugnata, che ha messo in rilievo il carattere non necessitato degli addebiti mossi ai militari (in punto di falsità ideologica del contenuto della relazione di servizio e di omessa denuncia di fatti penalmente rilevanti all’autorità giudiziaria), rispetto alla prospettata finalità difensiva dell’esposto.
La motivazione posta a fondamento della decisione ha fatto corretta applicazione del principio di diritto secondo il quale «in tema di calunnia, l’esclusione di tale delitto dal novero di quelli ai quali si applica la causa di esclusione della colpevolezza di cui all’art. 384, comma primo, cod. pen. comporta che nessuna efficacia scriminante può essere riconosciuta all’esercizio del diritto di difesa ex art. 51, comma primo, prima parte, cod. pen. – altrimenti incidendosi sull’antigiuridicità della condotta – nei casi in cui l’imputato, lungi dal limitarsi ad una generica negazione della fondatezza degli addebiti mossigli e/o della veridicità degli elementi di accusa, si difenda accusando in maniera specifica e circostanziata terzi, che sa essere innocenti, di aver commesso reati» (Sez. 5, n. 38729 del 01/06/2023, COGNOME, Rv. 285447 – 02; in senso conforme, Sez. 6, n. 48749 del 15/11/2023, COGNOME, Rv. 285637 – 01; Sez. 2, n. 17705 del 31/01/2022, COGNOME, Rv. 283336 – 01; Sez. 2, n. 14761 del 19/12/2017, dep. 2018, Lusi, Rv. 272755 – 01).
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata, limitatamente ai reati di cui ai capi A) e B), con rinvio per nuovo giudizio su detti capi ad altra sezione della Corte di appello di Firenze.
Dichiara inammissibile nel resto il ricorso e irrevocabile il giudizio di responsabilità con riguardo al reato di cui al capo C).
Così deciso il 23 aprile 2024
Il Consigli re Estensore 7
La Presidente