Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 18717 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 18717 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 17/04/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
NOME nato a FERMO il 02/02/1976 NOME nato a GRUMO APPULA il 19/02/1989
Avverso la sentenza della Corte di appello di Perugia del 13 febbraio 2024;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto dei ricorsi;
udito il difensore di COGNOME, avvocato NOME COGNOME che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
udito il difensore di NOME, avvocato NOME COGNOME che ha chiesto l’accoglimento del ricorso e l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza emessa in data 9 febbraio 2022 la Corte di Cassazione annullava la sentenza emessa dalla Corte di appello di Ancona il 2 ottobre 2020 nei confronti degli appellanti NOME COGNOME e NOME COGNOME limitatamente al reato contestato al capo A) della rubrica, originariamente qualificato come concussione e riqualificato come peculato dalla sentenza del Tribunale di Fermo emessa in data 15 novembre 2017, perché si procedesse ad un nuovo giudizio e all’eventuale rideterminazione della pena, rinviando alla Corte di appello di Perugia per un nuovo esame sul punto. Quest’ultima con sentenza del 13 febbraio 2024 confermava nei confronti di NOME COGNOME e NOME COGNOME la citata sentenza di condanna del Tribunale di Fermo.
Nei confronti della suddetta decisione, NOME COGNOME e NOME COGNOME a mezzo dei rispettivi difensori ricorrono per cassazione con due distinti ricorsi per i qual chiedono l’annullamento della sentenza impugnata.
Quanto al ricorso di NOME COGNOME esso consta di cinque distinti motivi. 3.1. Con il primo eccepisce la violazione di legge ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. B), cod. proc. pen., in relazione alle norme processuali di cui agli artt. 627, 192 e 210 cod. proc. pen., ritenendo che la Corte perugina non avrebbe risposto integralmente ai quesiti della sentenza rescindente, seguendo un diverso percorso motivazionale e parcellizzando la decisione; in particolare, pur affermando che i ricorrenti erano a bordo di un’autovettura Fiat Bravo, non avrebbe, però, tratto le naturali conseguenze circa la loro estraneità ai fatti, considerato che i testimoni oculari sentiti in dibattimento avevano fatto riferimento all’utilizzo da parte dei due ricorrenti ad un’automobile Alfa Romeo grigia.
3.2. Con il secondo motivo lamenta il vizio della motivazione laddove la Corte di appello di Perugia ha confermato la sentenza del Tribunale di Fermo, malgrado essa aveva affermato che gli imputati fossero a bordo di un’Alfa Romeo grigia; vi sarebbe, inoltre, il travisamento del fatto, con riferimento all’attività di ufficio svolta pattuglia della G.d.F. effettivamente a bordo dell’Alfa Romeo, che operava nel territorio fermano e non già ad Udine, come erroneamente indicato nella sentenza impugnata.
3.3. Con il terzo motivo deduce il vizio motivazionale, ritenendo che la sentenza impugnata avrebbe svolto una motivazione apparente richiamando il contenuto di intercettazioni ambientali che riportavano commenti negativi di alcuni colleghi della G.d.F., circostanza del tutto neutra perché le intercettazioni erano state disposte solo
dopo che nei confronti di COGNOME era stata applicata la misura cautelare degli arresti domiciliari, quindi all’interno di una situazione del tutto suggestiva; il contenuto di queste intercettazioni sarebbero, perciò, un mero post factum del tutto irrilevante ai fini del giudizio. Anche le motivazioni svolte per negare l’ipotesi del complotto nei confronti dell’agente COGNOME da parte dei venditori ambulanti senegalesi sarebbero apparenti, perché, a dispetto di quanto affermato dai giudici di appello, egli era stato accusato da costoro di aver commesso ben altre otto violazioni rilevanti ex art. 317 cod. pen.
3.4. Con il quarto motivo si censura la violazione di legge in relazione agli artt. 62bis e 133 cod. pen., considerato che il ricorrente all’epoca dei fatti non aveva precedenti penali, nonché della circostanza che il presunto danno economico sarebbe stato pressoché nullo in quanto si trattava di merce contraffatta, chiedendo tra l’altro la riqualificazione del reato nella fattispecie di cui all’art. 323 bis cod. pen..
3.5. Infine, con il quinto motivo si eccepisce ex art. 606, lett. e), cod. proc. pen. il vizio della motivazione, perché la sentenza della Corte perugina, richiamando la correttezza del giudizio di primo grado, avrebbe negato le circostanze attenuanti generiche a COGNOME in ragione della presenza di una sentenza di condanna per il delitto di calunnia, circostanza che, invece, sia il Tribunale di Fermo sia la Corte di appello di Ancona non avevano mai menzionato.
Vi sarebbe perciò un evidente difetto motivazionale, che ha ritenuto rilevante un fatto in precedenza non considerato.
NOME COGNOME invece, ricorre ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. B) e E), cod. proc. pen., per violazione della norma processuale di cui all’art. 627 cod. proc. pen., nonché per vizio della motivazione con riguardo ad aspetti qualificanti dell’imputazione di cui al capo A). In particolare, evidenzia che nessuno avrebbe effettuato un riconoscimento dell’imputato NOMECOGNOME né la persona offesa NOME COGNOME né il testimone oculare NOME COGNOME
Inoltre, la sentenza impugnata incorrerebbe in un evidente travisamento della prova in relazione all’utilizzo dell’automobile di servizio Alfa Romeo 156 che svolgeva su delega della Procura di Udine attività di ufficio nella zona dei fatti, e non era quindi in servizio a Udine; deduce che il teste COGNOME aveva fatto chiaro riferimento ad un’automobile di servizio Alfa Romeo 156 che qualificava come “auto civetta”, circostanza appresa direttamente e non de relato, ed anche COGNOME nelle sommarie informazioni (all. 5 e 6) aveva riferito di un’automobile Alfa Romeo grigia. In altre parole, le dichiarazioni della persona offesa NOME COGNOME sentito ex art. 210 cod proc. pen., non avrebbero trovato quei riscontri individualizzanti richiesti
dalla norma, e i quesiti posti dalla Corte di Cassazione in sede rescindente non sarebbero stati adeguatamente chiariti, rimanendo dubbi consistenti sui fatti oggetto del rinvio che escludono, ad avviso della difesa, il raggiungimento di una prova “al di là di ogni ragionevole dubbio”.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono inammissibili perché proposti per motivi non consentiti dalla legge o comunque manifestamente infondati.
Fatta questa premessa si ritiene che la sentenza impugnata, con motivazione congrua ed esente da vizi di contraddittorietà e/o manifesta illogicità, ha evidenziato gli elementi probatori a carico dei due ricorrenti fornendo i necessari chiarimenti sui punti indicati dalla Suprema Corte in sede rescindente.
3.1. In primo luogo la Corte territoriale ha ribadito l’attendibilità della persona offes NOMECOGNOME che non aveva mai presentato autonoma denuncia contro i
ricorrenti, ma aveva narrato i fatti oggetto dell’imputazione compiendo una “chiamata in correità” nell’ambito di un’indagine della stessa Guardia di Finanza su soggetti senegalesi che vendevano lungo la costa marchigiana merce contraffatta. Tale giudizio di credibilità del Papa era stato già validato dalla Corte di Cassazione, che aveva escluso intenti calunniosi di costui o l’esistenza di un presunto “complotto” ordito dai venditori ambulanti senegalesi in danno degli imputati. La parte del terzo motivo del ricorso di COGNOME riguardante tale valutazione è inammissibile, perché reitera censure già escluse in sede di legittimità.
3.2. Quanto alla ricostruzione dei fatti la sentenza impugnata ha preso le mosse dalla testimonianza di NOME COGNOME che conosceva bene “NOME” (COGNOME), ed aveva riferito di essere stato fatto salire su un’automobile grigia della G.d.F. con le insegne del Corpo, senza, però, essere in grado di specificare la marca e il modello. Il testimone oculare NOME COGNOME confermava la circostanza principale, ossia che la persona offesa era stata fatta salire su un’autovettura della G.d.F. dall’agente “NOME” (COGNOME, anche da lui già conosciuto prima dei fatti, pur riferendo, in maniera ritenuta titubante dalla Corte, che l’automobile vista sarebbe stata una Alfa Romeo grigia. Con riguardo alla circostanza dubbia di quale fosse l’automobile con cui agirono COGNOME e COGNOME, si osserva che la sentenza ha dato particolare rilievo alle testimonianze di due pubblici ufficiali, i vigili urbani COGNOME e COGNOME (si veda p 3-E) che avevano dichiarato di aver incrociato la pattuglia della G.d.F. composta dagli odierni ricorrenti, a bordo di un’autovettura con i colori e le scritte identificative de auto di servizio, e non già su un’auto cd. “civetta” (quindi senza i colori e le scritt della G.d.F.) come era l’Alfa Romeo 156 pur in servizio in quella zona di territorio, come si dirà di seguito. Dalle testimonianze di alcuni ufficiali e agenti della G.d.F. di Fermo, risultava poi certo che i due ricorrenti, quel pomeriggio del 9 giugno 2014, erano in servizio a bordo di una Fiat “Bravo” con i colori e le insegne istituzionali, mentre altri agenti utilizzavano l’auto cd. “civetta”, ossia l’Alfa Romeo 156 di colore grigio. La Corte perugina, tenuto conto di tutte le testimonianze raccolte in dibattimento, ha perciò concluso affermando che i due imputati avevano fermato la persona offesa e l’avevano fatta salire sull’auto di servizio Fiat “Bravo”, mentre un altro equipaggio aveva in uso l’Alfa Romeo grigia. Secondo i giudici di appello tale conclusione non poteva essere messa in discussione dal testimone Tali Annoud, che «….era stato attratto dalla visione dell’amico fatto salire in macchina, e non aveva fissato la sua attenzione sulla marca del veicolo; così neppure la sua testimonianza smentisce quanto riferito dal Papa, dal Palloni e dal Giusti». La ricostruzione dei fatti risulta, perciò, coerente e puntuale, fornendo sostanzialmente le risposte a tutti i dubbi espressi dalla sentenza rescindente. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
3.3. Entrambe le difese, invece, hanno rilevato in tale ricostruzione un travisamento dei fatti rinvenibile nell’affermazione secondo cui l’Alfa Romeo 156, con a bordo un’altra pattuglia composta dai finanzieri COGNOME e COGNOME, svolgeva un servizio «….afferente una trasferta ad Udine il medesimo giorno 9/06/2014, turno 8/18», mentre in realtà essa operava nella zona di Fermo svolgendo un servizio delegato dalla Procura di Udine, come risulterebbe dal foglio di servizio compilato dai militari COGNOME e COGNOME (si veda all.ti 3 e 4 del ricorso COGNOME).
Tuttavia, il Collegio ritiene che tale errore non infici la tenuta logico-giuridica del sentenza impugnata, anche perché i ricorsi non hanno evidenziato la decisività del dedotto travisamento del fatto. Infatti, una volta provato che gli imputati, i pomeriggio del 9 giugno 2014, non erano certamente a bordo dell’auto “civetta” Alfa Romeo 156, poco rileva dove svolgesse servizio tale autovettura. Pur affermando che quel pomeriggio anch’essa operasse nel territorio di Fermo, circostanza che troverebbe conferma dalla testimonianza dell’agente di polizia NOME COGNOME che aveva detto genericamente di «….di aver visto nei dintorni un’Alfa Romeo “civetta” della Guardia di Finanza intenta a fare controlli…», ciò non sarebbe in nessun modo decisivo per invalidare tutte le altre testimonianze, in primo luogo quella della persona offesa che ha accusato senza alcuna incertezza il COGNOME, soggetto a lui ben noto già prima dei fatti per cui è processo, di averlo fatto salire su un’auto di servizio della G.d.F. per poi commettere il reato contestato, unitamente al COGNOME altro componente della pattuglia.
In conclusione, si ritiene che le difese – più che del travisamento del fatto – si dolgono del percorso motivazionale seguito dai giudici di merito, che in modo congruo ed esaustivo hanno ritenuto la configurabilità del delitto di peculato, dichiarando di non condividerlo. Sul punto, la giurisprudenza di legittimità ha avuto cura di precisare che nel giudizio di cassazione sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degl elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (Sez. 2, n. 9106 del 12/2/2021, COGNOME, Rv. 280747 – 01; Sez. 6, n. 5465 del 4/11/2020, COGNOME, Rv. 280601 – 01; Sez. 6, n. 47204 del 7/10/2015, COGNOME, Rv. 265482 – 01). In altri termini le censure dei ricorrenti (ossia quelle del ricorso COGNOME ed i motivi 1 e 2 del ricorso COGNOME) sono manifestamente infondate, in quanto il compendio probatorio a loro carico è stato adeguatamente e logicamente esposto, e il travisamento del fatto relativamente a dove svolgesse servizio l’Alfa Romeo grigia risulta irrilevante ai fini del giudizio essendo in uso ad altro equipaggio.
3.4. Quanto al terzo motivo del ricorso di COGNOME esso è manifestamente infondato, in quanto il riferimento alle intercettazioni ambientali da cui sarebbero emersi giudizi negativi sul ricorrente da parte di colleghi della Guardia di Finanza di Fermo, in realtà, non assume il valore di un’autonoma prova a carico. Si tratta di un’argomentazione di contorno, utile solo a connotare meglio la personalità dell’imputato nel suo ambito lavorativo. L’eccezione della difesa, che giustamente rileva che le intercettazioni de qua sono un mero post factum, non risulta però, sotto alcun profilo, idonea a inficiare la tenuta complessiva della sentenza impugnata, che, come detto, ha fondato la sua decisione su un compendio probatorio assai solido, non comprendente le intercettazioni ambientali indicate.
3.5. Anche il quarto e il quinto motivo del ricorso di COGNOME, tra loro connessi perché relativi alla valutazione dei fatti ai fini sanzionatori, sono manifestamente infondati. Si rileva che la Corte di appello perugina in ordine alla richiesta di concessione delle circostanze attenuanti generiche ha fatto richiamo a quanto già ritenuto dal Tribunale di Fermo (con riguardo alla complessiva gravità dei fatti in relazione al ruolo ricoperto e alla reiterazione di certi comportamenti), aggiungendo, inoltre, di tener conto di un precedente penale per il delitto di calunnia a carico del ricorrente (con sentenza divenuta irrevocabile nel 2022), circostanza non menzionata in precedenza da alcuna altra decisione. La difesa non contesta, però, l’esistenza del precedente penale per calunnia, di tal che la motivazione dei giudici di appello non appare viziata sotto alcun profilo e non si comprende a che titolo si eccepisca il travisamento della prova. Va rilevato, invece, che la sentenza rescindente demandava alla Corte di appello di Perugia di formulare un nuovo giudizio proprio in ordine alla concessione delle invocate circostanze attenuanti, compito che è stato assolto con argomentazioni che non presentano vizi di contraddittorietà e/o manifesta illogicità, a fronte di censure che risultano alquanto generiche, dato, ad esempio, che non vi è alcuna documentazione allegata circa il dedotto risarcimento del danno. Inoltre, la circostanza dedotta sul fatto che all’epoca dell’illecito il Testoni fosse incensurato non assume alcun rilievo, poiché la condanna per il delitto di calunnia non è stata considerata ai fini di un’eventuale recidiva, ma solo in ossequio ai criteri di cui all’ar 133 cod. pen., norma che impone, tra le altre cose, di tener conto dei precedenti penali e giudiziari dell’imputato, nonché in generale della condotta di vita antecedente e susseguente al reato contestato. Né merita considerazione il rilievo difensivo secondo cui i beni oggetto di peculato non avrebbero avuto alcun valore essendo merce contraffatta. Infatti è fatto notorio che anche tali prodotti hanno in realtà un loro valore di mercato, a volte per nulla trascurabile; ciò a maggior ragione varrebbe Corte di Cassazione – copia non ufficiale
per la persona offesa che era un venditore ambulante, che si può presume traesse dalla vendita illegale di tale merce il necessario per vivere.
Quanto, infine, alla richiesta di qualificare la fattispecie contestata come violazione dell’art. 323
bis cod. pen., si rileva l’assoluta genericità dell’istanza che non motiva
alcunché sul punto. In ogni caso il giudizio negativo sulla sussistenza dell’ipotesi della particolare tenuità dei fatti è stato espresso dalla Corte territoriale, seppure
implicitamente, già nella valutazione in ordine alla complessiva gravità dei fatti data relativamente alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche (si
veda in ordine ai presupposti per riconoscere l’attenuante di cui all’art. 323
bis cod.
pen. Sez.6, n.1313 del 05/07/2018, dep.2019, Rv. 274939-01).
4. Per le considerazioni esposte, i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili. Alla inammissibilità dei ricorsi consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle
spese processuali, nonché, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., valutati i profili d colpa nella determinazione della causa di inammissibilità emergenti dal ricorso (Corte
Cost. 13 giugno 2000, n. 186), al versamento della somma, che si si ritiene equa di euro tremila a favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 17 aprile 2025
Il Consigliere estensore
Il Presidente