Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 21129 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 21129 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 01/02/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato a GALATI( ROMANIA) il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 09/05/2023 della CORTE APPELLO di ROMA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo
Il PG chiede l’inammissibilità del ricorso.
udito il difensore
RITENUTO IN FATTO
NOME ricorre avverso la sentenza della Corte di appello di Roma del 9 maggio 2023, che ha confermato la sentenza del Tribunale di Tivoli del 22 settembre 2022, con la quale era stato condannato alla pena di anni sette e mesi uno di reclusione, in ordine ai seguenti reati, commessi in Tivoli – Villa Adriana il 25 febbraio 2021 e riuniti tra loro dal vincolo della continuazione:
tentato omicidio di COGNOME NOME, ai sensi degli artt. 56 e 575 cod. pen., perché, dopo che quest’ultimo si era abbracciato con NOME COGNOME, ex fidanzata dell’imputato, presso il bar “Bonolo”, l’aveva colpito violentemente con pugni alla testa e, con il coltello a serramanico di cui al capo b, aveva colpito la vittima, procurando una ferita penetrante che aveva interessato il tronco postero-laterale, in prossimità della gabbia costale, compiendo – in tal modo atti idonei diretti in modo non equivoco a cagionare la morte della persona offesa;
porto abusivo di armi, ai sensi dell’art. 699 cod. pen., perché aveva portato fuori dalla propria abitazione un coltello a serramanico, con lama a punta della lunghezza di 8 cm parzialmente seghettata, dotato di meccanismo di blocco della lama.
2. Il ricorrente articola due motivi di ricorso.
2.1. Con il primo motivo, denuncia vizio di motivazione della sentenza impugnata, perché la Corte territoriale, ponendo in essere un travisamento delle prove, avrebbe omesso di considerare che l’imputato aveva sferrato un solo colpo all’indirizzo della persona offesa (come affermato dal teste COGNOME e come confermato dal contenuto della consulenza medico-legale agli atti, nella quale si dava atto della presenza di una sola lesione e si ipotizzava la possibilità astratta che l’imputato avesse potuto sferrare un secondo fendente), che la coltellata aveva attinto una zona vitale della vittima solo casualmente nel corso dello scontro fisico che era avvenuto tra le parti, che l’imputato aveva usato poca forza nel colpo, tanto da aver determinato una lesione lieve, guaribile in dieci giorni (che non aveva causato un’alterazione dei parametri vitali, come risultava dal verbale di pronto soccorso e dalla consulenza medico-legale agli atti) e che l’imputato, prima dello scontro, non aveva mai manifestato la volontà di cagionare la morte della parte offesa (come confermato dalle dichiarazioni rilasciate dal teste COGNOME e COGNOME e dal fatto che l’imputato, dopo aver mostrato alla parte offesa il coltello al fine di intimidirlo, aveva riposto l’arma tasca e aveva intrapreso con questi uno scontro fisico).
Secondo il ricorrente, pertanto, anche solo considerando quest’ultima circostanza, era possibile escludere la sussistenza dell’animus necandi, posto che, se l’imputato avesse veramente agito con lo scopo di uccidere NOME, lo avrebbe colpito immediatamente con il coltello, evitando la colluttazione fisica.
Nel ricorso, quindi, si evidenzia che il giudice di merito, senza fornire sul punto alcuna valida motivazione, avrebbe omesso di derubricare il reato di tentato omicidio, fondando la sua decisione solo sulle dichiarazioni rilasciate dal teste COGNOME, anche se la ricostruzione dei fatti fornita da quest’ultimo non aveva trovato riscontro negli altri elementi probatori acquisiti.
2.2. Con il secondo motivo, denuncia erronea applicazione della legge penale, con riferimento agli artt. 62-bis e 133 cod. pen., e vizio di motivazione della sentenza impugnata, perché la Corte territoriale non avrebbe concesso le circostanze attenuanti generiche, pur sussistendo nel caso di specie tutti gli elementi utili alla loro concessione.
In particolare, nel ricorso si evidenzia che la Corte territoriale non avrebbe attribuito la giusta rilevanza al fatto che, come confermato anche dalle dichiarazioni rilasciate dal teste di Polizia COGNOME, l’imputato, nell’immediatezza del fatto, aveva riconosciuto le proprie responsabilità, aveva assunto un atteggiamento collaborativo e aveva indicato il luogo esatto nel quale aveva gettato il coltello.
Da ultimo, il ricorrente contesta la sentenza impugnata, nella parte in cui la Corte territoriale ha affermato in maniera errata che tutti i presenti avevano notato il luogo nel quale l’imputato aveva gettato il coltello.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
1.1. Il primo motivo di ricorso non può trovare accoglimento in sede di legittimità: parte ricorrente, infatti, nel contestare il giudizio di responsabilità il tentativo di omicidio, muove da una del tutto personale disamina delle circostanze probatorie e non si confronta in modo adeguato con l’effettivo percorso argomentativo contenuto nelle decisioni di merito.
Va ricordato che è costante, sul tema, l’insegnamento di questa Corte, per cui il sindacato sulla motivazione del provvedimento impugnato va compiuto attraverso l’analisi dello sviluppo motivazionale espresso nell’atto e della sua interna coerenza logico-giuridica, non essendo possibile compiere in sede di legittimità «nuove» attribuzioni di significato o realizzare una diversa lettura dei medesimi dati dimostrativi e ciò anche nei casi in cui si ritenga preferibile una
diversa lettura, maggiormente esplicativa (Sez. 6, n. 11194 del 08/03/2012, Lupo, Rv. 252178).
Così come va ribadito che l’illogicità della motivazione, come vizio denunciabile, deve essere palese, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu °culi, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento.
In tema di omicidio tentato, poi, giova evidenziare che, in assenza di esplicite ammissioni da parte dell’imputato, ai fini dell’accertamento della sussistenza dell’animus necandi assume valore determinante l’idoneità dell’azione, che va apprezzata in concreto, con una prognosi formulata ex post, ma con riferimento alla situazione che si presentava ex ante all’imputato, al momento del compimento degli atti, in base alle condizioni umanamente prevedibili del caso (Sez. 1, n. 11928 del 29/11/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 275012).
Nel caso in esame, la volontà omicida è stata logicamente ritenuta sussistente dai giudici del merito sulla base di precisi e univoci indicatori fattuali: si evidenzia, infatti che l’analisi compiuta dal giudice di merito è stata dettagliata e precisa e rinviene il suo architrave logico-giuridico nella valutazione, operata in modo congruo e coerente sotto il profilo logico-giuridico, delle dichiarazioni di tutti i testi sentiti e della consulenza medico-legale agli atti.
In particolare, la Corte territoriale ha evidenziato che l’imputato aveva sferrato la coltellata dopo aver colpito con calci e pugni la parte offesa: il fendente, pertanto, era stato diretto verso una persona inerme, che era stata volutamente isolata dal gruppo di amici con i quali si trovava.
Come dichiarato da tutti i testi, inoltre, l’imputato, appena appresa la notizia relativa al fatto che NOME si stesse unendo al gruppo, aveva manifestato aggressività e nervosismo; dalla lettura della consulenza medico-legale, infine, era emerso che, a breve distanza dal pao del corpo nel quale era stato inferto il colpo, correva un vaso arterioso importante.
Il Collegio, pertanto, ritiene che le doglianze sollevate con il motivo di ricorso siano infondate, anche considerando che, in tema di tentato omicidio, la scarsa entità (o anche l’inesistenza) delle lesioni provocate alla persona offesa non sono circostanze idonee ad escludere di per sé l’intenzione omicida, in quanto possono essere rapportabili anche a fattori indipendenti dalla volontà dell’agente, come un imprevisto movimento della vittima, un errato calcolo della
distanza o una mira non precisa (Sez. 1, n. 52043 del 10/06/2014, Vaghi, Rv. 261702).
1.2. Il secondo motivo di ricorso è inammissibile.
Il ricorrente, infatti, non si confronta con la sentenza impugnata, nella parte in cui la Corte territoriale, offrendo sul punto una motivazione ineccepibile, ha evidenziato che l’imputato, nel corso del suo esame, aveva cercato di negare di aver provocato la parte offesa e di essere stato costretto a reagire, rendendo di fatto una versione minimizzante e confliggente con quanto dichiarato da tutti i testi sentiti.
Ha spiegato in modo ineccepibile il giudice di merito che il comportamento processuale tenuto dall’imputato non era stato leale e non poteva giustificare l’applicazione delle circostanze attenuanti generiche, anche considerando che, in materia di attenuanti generiche, tra gli elementi positivi che possono suggerire la necessità di attenuare la pena comminata per il reato, rientra la confessione spontanea, potendo, tuttavia, il giudice di merito escluderne la valenza, quando essa sia contrastata da altri specifici elementi di disvalore emergenti dagli atti o si sostanzi nel prendere atto della ineluttabilità probatoria dell’accusa ovvero sia volta esclusivamente all’utilitaristica attesa della riduzione della pena e la collaborazione giudiziaria o processuale sia comunque probatoriamente inerte o neutra, nel senso che non abbia neppure agevolato il giudizio di responsabilità di coimputati, per essere questi già confessi o per altro plausibile motivo (Sez. 1, n. 42208 del 21/03/2017, Fondino, Rv. 271224).
In forza di quanto sopra, il ricorso deve essere rigettato. Ne consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 01/02/2024