Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 20245 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 20245 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 14/02/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da COGNOME NOME, nato a Taranto il DATA_NASCITA RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante avverso l’ordinanza del 03/03/2023 del Tribunale di Taranto udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo l’inammissibilità dei ricorsi, udito per i ricorrenti l’AVV_NOTAIO che ha insistito nell’accoglimento dei ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 3 marzo 2023, il Tribunale di Taranto ha respinto l’istanza di riesame, ex art. 324 cod.proc.pen., ed ha confermato il decreto di sequestro preventivo finalizzato alla confisca obbligatoria, ai sensi dell’art. 12 bis d.lgs 10 marzo 2000, n. 74, del profitto del reato di cui all’art. 2 d.lgs 10 marzo 2000, n. 74 (capi 25, 25 bis, 25 ter, 25 quater, 25 quinquies, 26 sexies e 26 sexies, 26, 27) in via diretta nei confronti di RAGIONE_SOCIALE e, in subordine, per equivalente nei confronti di RAGIONE_SOCIALE COGNOME NOME, amministratore della società, nonché del profitto del reato di cui all’art. 2 d.lgs 10 marzo 2000, n. 74 (capi 30 e 31) in via diretta nei confronti di RAGIONE_SOCIALE e, in subordine, per equivalente nei confronti di COGNOME NOME, amministratore di fatto della società.
Avverso l’ordinanza l’AVV_NOTAIO, difensore dell’indagato e della società, ha presentato ricorso e ne ha chiesto l’annullamento per i seguenti comuni – motivi, enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen.:
2.1. Con il primo motivo si deduce la violazione di cui all’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., in relazione all’art. 649 cod.proc.pen.
Premette il ricorrente che il decreto di sequestro preventivo finalizzato alla confisca del profitto del reato tributario, emesso dal Giudice delle indagini preliminari, in data 07/12/2022, in relazione alle incolpazioni provvisorie sopra indicate sia nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE che, per equivalente, nei confronti del COGNOME, era stato annullato dal Tribunale del riesame, con provvedimento del 07/01/2023, depositato il 24/01/2023, che aveva rilevato l’assoluta mancanza di motivazione in ordine ad uno dei presupposti del sequestro preventivo, ovvero il periculum in mora; che in data 25 gennaio 2023, il P.M. aveva emesso decreto di sequestro preventivo d’urgenza, ex art. 321 comma 3 bis cod.proc.pen. rilevando, nel caso di specie, il pericolo di dispersione dei beni già oggetto di sequestro preventivo, oggetto di annullamento, sul rilievo che proprio in ragione dell’annullamento, vi era l’elevata probabilità che sia la società che l’indagato si disfino dei beni e/o li occultino; che, in data 03/02/2023, il Giudice convalidava il sequestro d’urgenza ed emetteva decreto di sequestro preventivo finalizzato alla confisca del profitto dei reati tributari, oggetto dell’incolpazione provvisoria, s beni già sottoposti a sequestro che era stato annullato; che con il provvedimento impugnato, il tribunale del riesame respingeva l’appello confermando il decreto di sequestro preventivo.
Ciò posto, argomenta il ricorrente la violazione del principio del ne bis in idem, che opera anche tra i procedimenti e dunque opera anche in fase cautelare, avendo il tribunale erroneamente interpretato il disposto normativo e l’interpretazione giurisprudenziale data dello stesso, in quanto l’adozione del secondo provvedimento di sequestro preventivo sarebbe avvenuta in pendenza dei termini per impugnare il precedente provvedimento di annullamento.
Secondo la giurisprudenza di legittimità, la garanzia di non violazione del principio del ne bis in idem si potrebbe avere solo qualora il nuovo decreto fosse intervenuto una volta esaurito il primo procedimento cautelare, ovvero una volta decorsi i termini per proporre ricorso per cassazione.
Nel caso in esame, il secondo decreto di sequestro sarebbe intervenuto durante la pendenza dei termini per impugnare il provvedimento di annullamento e, pertanto, sussisterebbe la preclusione processuale che il Tribunale avrebbe erroneamente escluso sul rilievo che ex post non era stata coltivata l’impugnazione. Dunque, argomenta il ricorrente che la pendenza del primo
procedimento cautelare avrebbe precluso l’avvio del secondo salvo che questi non si fondi su elementi nuovi.
2.2. Con il secondo motivo si deduce la violazione di legge in relazione alla mancanza di motivazione, motivazione apparente in ordine al fumus commissi delicti.
Il provvedimento impugnato sarebbe privo dell’esposizione delle ragioni giustificative della decisione non risultando l’iter argomentativo avendo omesso il confronto con la normativa di settore che non conduce alle conclusioni del Tribunale in punto sussistenza del fumus commissi delicti. In sintesi, il tribunale non avrebbe esaminato punti decisivi per l’accertamento del fatto sui quali è fondato il provvedimento di sequestro, il che comporta il denunciato vizio di mancanza di motivazione, non avendo esaminato quanto dedotto dalla difesa che aveva spiegato in maniera dettagliata la natura dei rapporti tra la RAGIONE_SOCIALE e le altre società che facevano parte di un contratto di rete. Al contrario di quanto sostenuto, la presenza del contratto di rete comporterebbe, secondo anche la Circolare del Ministero del lavoro n. 7 del 2018, che i firmatari del contratto di rete siano tutti i datori di lavoro nei confronti del personale indicato, sicché risulta d tutto evidente come le argomentazioni del provvedimento impugnato siano del tutto apparenti e non tengano conto in alcun modo dell’esistenza del contratto di rete che la RAGIONE_SOCIALE aveva sottoscritto con le società indicate nel decreto oggetto di impugnazione, così come non sarebbe stata presa in considerazione la circostanza evidenziata sempre dalla difesa che proprio la RAGIONE_SOCIALE in persona del suo legale rappresentante COGNOME NOME era stata individuata come la capofila di questa rete di imprese. Inoltre, la ritenuta presunta ingerenza della RAGIONE_SOCIALE rispetto al lavoro della società appaltatrice non sarebbe di per sé idonea a ritenere integrata la fattispecie di intermediazione illecita di manodopera, posto che proprio l’esercizio da parte del committente di poter orientare la prestazione dei dipendenti non esclude di per sé la sussistenza di un appalto genuino. Peraltro, non avrebbe considerato, il tribunale, gli esiti della sentenza emessa dal tribunale civile che aveva ritenuto la validità del contratto di rete. Ancora del tutto apparente sarebbe la motivazione con la quale il tribunale aveva escluso un contratto di appalto genuino sul rilievo dell’assenza di macchinari in capo alle società distaccate. Infine, le intercettazioni telefoniche e le indagini finanziarie n sarebbero in grado di dimostrare la falsità del contratto di appalto. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
2.3. Con il terzo motivo di ricorso, si deduce la violazione di cui all’art. 606 comma 1, lett. b) cod. proc. pen. in relazione alla motivazione apparente in ordine al periculum in mora. Secondo il ricorrente il tribunale avrebbe colmato la lacuna
motivazionale che aveva portato all’annullamento del primo decreto di sequestro preventivo, unicamente dal punto di vista grafico non essendo evincibile le argomenti sulla base dei quali è stato ritenuto il pericolo di dispersione dei beni che sarebbe stato ritenuto sussistente sulla base del mero automatismo imperniato sulla imputazione, argomento del tutto elusivo dei principi affermati dalle Sezioni Unite NOME. Anche le intercettazioni riportate a sostegno del presupposto del periculum, rappresentano unicamente l’oggetto delle imputazioni e non possono essere poste a fondamento del pericolo di dispersione dei beni. Il pericolo di dispersione sarebbe stato desunto solo ed esclusivamente dal tenore delle condotte contestate, situazione che non può giustificare una compressione del diritto di proprietà e sulla presunzione di una eventualità di depauperamento del patrimonio, affermazione in contrasto con il requisito di concretezza e attualità che deve rivestire il periculum in mora, oltre che apodittica.
Il AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO ha concluso chiedendo l’inammissibilità dei ricorsi.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso per cassazione proposto dal difensore nell’interesse della società RAGIONE_SOCIALE è inammissibile perché privo di procura speciale.
Questa Corte, con orientamento consolidato, ha affermato che ai fini della proposizione del ricorso per cassazione avverso le ordinanze in materia di misure cautelari reali, il terzo interessato alla restituzione dei beni deve conferire un procura speciale al suo difensore, nelle forme previste dall’art. 100 cod.proc.pen. (Sez. 5, n. 25478 del 15/05/2014, COGNOME, Rv. 259847; Sez. 6, n. 13154 del 19/03/2010, COGNOME, Rv. 246692; Sez. 6, n. 16974 del 13/03/2008, COGNOME, Rv. 239729; Sez. 6, n. 12517 del 12/03/2008, COGNOME, Rv. 239287; Sez. 5, n. 13412 del 17/02/2004, COGNOME, Rv. 228019).
Si è infatti affermato, simmetricamente rispetto a quanto indicato con riguardo alla presentazione di istanza di riesame avverso il decreto di sequestro preventivo ad opera di parte diversa dall’imputato o indagato (Sez. 3, n. 8942 del 20/10/2011, RAGIONE_SOCIALE, Rv. 252438; Sez. 2, n. 41243 del 21/11/2006, Tanda, Rv. 235403), che la posizione processuale del terzo interessato è nettamente distinta sotto il profilo difensivo da quelle dell’indagato e dell’imputato che, in quanto assoggettati all’azione penale, possono stare in giudizio di persona, avendo solo necessità di munirsi di un difensore che, oltre ad assisterli, li rappresenta ex lege ed è titolare di un diritto di impugnazione nell’interesse del proprio assistito per il solo fatto di rivestire la qualità di difensore, senza alcu necessità di procura speciale, che è imposta solo per quei singoli atti espressamente indicati dalla legge” (Sez. 2, n. 15097 del 19/03/2014 COGNOME,
Rv. 259429; Sez. 2, n. 661 del 03/12/2013, Rv. 258580).
Invece, nel caso di terzo interessato, in questo caso la società, a cui i beni sono stati sequestrati e che avrebbe diritto alla restituzione, al pari dei soggett indicati dall’art. 100 cod.proc.pen., è portatore di interessi civilistici, per cui e oltre a non poter stare personalmente in giudizio, ha un onere di patrocinio, che è soddisfatto attraverso il conferimento di procura alle liti al difensore.
Ciò posto, attesa la natura processuale della questione, il Collegio ha ritenuto di poter consultare il fascicolo relativo al giudizio di riesame, rinvenendo al suo interno un atto di procura speciale in favore dell’AVV_NOTAIO che, tuttavia, risulta espressamente conferito per la sola proposizione del riesame avverso il decreto di sequestro preventivo.
Ai sensi dell’art. 100 comma 3 cod.proc.pen., la procura speciale si presume conferita soltanto per un determinato grado del processo, quando nell’atto non e’ espressa volontà diversa, volontà che, nel caso di specie è stata espressamente esclusa dal tenore letterale dell’atto, che menziona una sola determinata impugnazione (l’istanza di riesame) (Sez. 2, n. 310 del 07/12/2017, RAGIONE_SOCIALE, Rv. 271722 – 01).
Non risulta, invece, che la ricorrente RAGIONE_SOCIALE abbia rilasciato procura speciale per la proposizione del ricorso per cassazione.
La rilevata inammissibilità, riguardando la stessa legittimazione processuale, impedisce l’esame dei motivi proposti.
Il primo motivo di ricorso di COGNOME RAGIONE_SOCIALE risulta infondato.
La giurisprudenza di legittimità, a partire dalle SU COGNOME, n. 18339 del 31/03/2004, COGNOME e altro, Rv. 227358, pur intervenendo nell’ambito delle misure cautelari di natura personale, ha affermato, con valenza estensibile anche alle misure cautelari reali, che qualora il P.M. si determini a coltivare contemporaneamente, da un lato, la richiesta di rinnovazione della misura, già “in prima battuta” negata, nei confronti dello stesso indagato e per lo stesso fatto e dall’altro, una impugnazione avverso il provvedimento reiettivo, deve ritenersi preclusa al G.i.p., in pendenza di quest’ultima, la potestà di statuire ancora in ordine alla medesima domanda devoluta in sede di gravame al vaglio del Tribunale del riesame.
Il principio è stato successivamente ribadito nelle S.U. n. 7931 del 16/12/2010, Testini Rv. 249001 secondo cui, qualora il pubblico ministero, nelle more della decisione su una impugnazione incidentale “de libertate”, intenda utilizzare, nei confronti dello stesso indagato e per lo stesso fatto, elementi probatori “nuovi” può scegliere se riversarli nel procedimento impugnatorio ovvero porli a fondamento di una nuova richiesta cautelare, ma, una volta effettuata, la scelta
gli preclude di coltivare l’altra iniziativa cautelare. Sempre la citata pronuncia ha precisato che la non procedibilità consegue alla preclusione determinata dalla consumazione del potere già esercitato, ma riguarda solo le situazioni di litispendenza relative a procedimenti pendenti avanti a giudici egualmente competenti e non produttive di una stasi del rapporto processuale.
Sulla scia di tale arresto si pongono le successive pronunce che hanno ulteriormente specificato che non è consentito al P.M., a seguito di una decisione del tribunale del riesame che abbia annullato per motivi formali un provvedimento cautelare, richiedere nei confronti dell’indagato una nuova misura coercitiva per lo stesso fatto e sulla base degli stessi elementi della precedente, e, contemporaneamente, proporre ricorso avverso la decisione del riesame, al fine di conseguire, attraverso il suo annullamento, una nuova pronuncia di merito sul medesimo fatto oggetto della nuova iniziativa cautelare. Così, in termini Sez. 3 n. 39902 del 28/05/2014, COGNOME ed altri, Rv. 260383 (in fattispecie nella quale, a seguito di declaratoria di inefficacia da parte del Tribunale del riesame di un provvedimento di sequestro preventivo, il G.i.p., a fronte di intervenuta presentazione di ricorso per cassazione, aveva, su richiesta dello stesso P.M., emesso un secondo provvedimento per i medesimi fatti e anche, Sez. 6, n. 11937 del 26/02/2009, P.M. in proc. Mautone, Rv. 242930).
La sentenza COGNOME ha anche, significativamente, precisato che il principio del ne bis in idem cautelare opera anche tra procedimenti e non solo tra provvedimenti, in quanto deve essere tutelato l’interesse dell’indagato a non essere sottoposto a due iniziative cautelari in contemporanea e che la pendenza del primo procedimento cautelare di regola preclude l’avvio del secondo, salvo che quest’ultimo si basi su elementi nuovi; in tale ultima ipotesi è quest’ultimo a prevalere sul primo, ma in nessun caso il P.M. può coltivare entrambi.
Più recentemente il principio è stato ribadito nella pronuncia Sez. 3, n. 37727 del 22/06/2022, COGNOME, Rv. 283694 – 02, che ha affermato che non è consentito al pubblico ministero, a seguito di una decisione del tribunale del riesame che abbia annullato per motivi formali un provvedimento cautelare, richiedere nei confronti dell’indagato una nuova misura coercitiva per lo stesso fatto e sulla base degli stessi elementi della precedente, e contemporaneamente proporre ricorso avverso la decisione del riesame, al fine di conseguire, attraverso il suo annullamento, una nuova pronuncia di merito sul medesimo fatto oggetto della nuova iniziativa cautelare, ponendosi ciò in contrasto con il divieto di “bis in idem”. A questa decisione fa seguito altra pronuncia secondo cui in tema di misure cautelari reali, il principio del “ne bis in idem” non preclude l’emissione di un nuovo provvedimento di sequestro preventivo sui medesimi beni rispetto ai quali il vincolo, precedentemente disposto, sia stato annullato a seguito di impugnazione,
nel caso in cui non siano state ancora depositate la motivazione dell’ordinanza di annullamento (Sez. 3, n. 33988 del 16/06/2023, NOME, Rv. 285206 – 01). Si è, in particolare, chiarito in tale ultima pronuncia che: a) il vincolo da giudicat cautelare nasce solo in relazione alle questioni dedotte ed effettivamente decise; b) la possibilità di chiedere ed applicare una nuova misura cautelare reale non è preclusa dalla non definitività della decisione che ha annullato il provvedimento di vincolo, ma, se esercitata, preclude la proposizione di impugnazioni contro quest’ultima; c) l’annullamento per vizi di formali di una misura cautelare reale non costituisce ragione preclusiva alla richiesta ed applicazione di un nuovo provvedimento di vincolo, anche se emesso sulla base degli stessi elementi posti a fondamento del precedente (sentenza NOME).
Così delineata la questione di diritto devoluta, quanto al caso in esame, il Tribunale ha escluso la violazione del ne bis in idem rilevando che il Pubblico Ministero non aveva coltivato entrambe le iniziative, non avendo in contemporanea richiesto un nuovo decreto di sequestro e presentato il ricorso per cassazione avverso il precedente annullamento.
Secondo il Tribunale, il P.M. aveva avviato una nuova iniziativa cautelare, ma non aveva proposto ricorso per cassazione avverso il provvedimento di annullamento, anche se al momento della adozione del secondo provvedimento di sequestro non erano ancora decorsi i termini per impugnare. Secondo un giudizio ex post l’avviata nuova iniziativa cautelare non gli era preclusa.
Condivide il Collegio il ragionamento del tribunale che, in adesione ai principi sopra enunciati, ha escluso la violazione del ne bis in idem in quanto il Pubblico Ministero non aveva coltivato le due iniziative, unica situazione che determina la violazione del ne bis in idem, impugnando il provvedimento reiettivo e al contempo promuovendo un’altra iniziativa cautelare.
Ciò che rileva, in altri termini, ai fini della valutazione del rispetto della nor processuale, è la verifica della litispendenza al momento della seconda iniziativa che, però, non potrà che intervenire con giudizio ex post all’esito del quale il giudice investito della questione valuterà il rispetto dei principi sopra enunciati e, qualora accerti la contemporanea sussistenza di entrambe le iniziative cautelare (impugnazione e nuovo decreto di sequestro), rileverà la violazione della norma processuale.
Si tratta, a parere del Collegio, di un ragionamento lineare con la ratio dell’istituto che preclude la contemporanea inziativa del pubblico ministero, da valutare dal punto di vista sostanziale.
Ciò che preclude al P.M. l’avvio di un’altra iniziativa cautelare è, insomma, la contemporanea scelta di coltivare il rimedio impugnatorio e la nuova iniziativa, restando fermo che il P.M. possa scegliere quale delle due vie percorrere ed
essendo ovvio che tale scelta libera non possa non essere compiuta in un momento nel quale non sono ancora decorsi i termini per impugnare. E dunque appare logico, come argomenta il tribunale, che la verifica circa la contemporaneità delle iniziative che è preclusa al P.M. avvenga con giudizio ex post ma rapportato al momento dell’iniziativa cautelare di cui si discute.
Ciò che è vietato, pena la violazione del ne bis in idem, è la contemporanea pendenza di due iniziative, non essendo precluso al P.M. l’adozione del nuovo provvedimento di sequestro in pendenza dei termini per il ricorso per cassazione, ricorso che se poi, invece / interposto, comporterà l’annullamento del secondo provvedimento per violazione del ne bis in idem.
Nel caso in esame non vi è stata alcuna violazione della preclusione processuale non avendo il P.M. coltivato entrambe le iniziative, avendo egli abbandonato l’opzione di impugnare il provvedimento di annullamento con il ricorso per cassazione e optato per l’adozione di un nuovo sequestro.
Né coglie nel segno l’altro profilo che censura l’assenza di elementi di novità che avrebbero dovuto sorreggere il nuovo decreto di sequestro preventivo in quanto, secondo l’orientamento della giurisprudenza di legittimità, non sussiste alcuna preclusione alla reiterazione del provvedimento di sequestro preventivo fondato sugli stessi presupposti del precedente, se quest’ultimo sia stato dichiarato inefficace solo per vizio meramente formale (Sez. 3, n. 37706 del 22/09/2006, Ciuti, Rv. 235249 – 01; Sez. 2, n. 2276 del 06/10/2015, Rv. 265772 – 01; Sez. 3, n. 29975 del 08/05/2014, Rv. 259944 – 01; Sez. 3, n. 9972 del 05/11/2019, Rv. 278422 – 01).
Si osserva, quanto al caso concreto, che con il provvedimento di annullamento il Tribunale non aveva valutato il profilo del periculum e non era dunque entrato nel merito del suddetto presupposto. Il nuovo decreto di sequestro preventivo, emendando il vizio che aveva dato causa all’annullamento, si fondava su elementi non valutati in precedenza, seppur presenti agli atti.
Il pregresso annullamento era stato disposto senza compiere alcuna valutazione di merito in ordine ad uno dei presupposti legittimanti il sequestro, sicché il fatto che il Giudice, sulla base degli stessi elementi, avesse emendato il vizio che aveva originato l’annullamento, non si pone in contrasto con il principio del ne bis in idem cautelare che, come recentemente affermato, non attiene solo alla mera identità del fatto, ma ricomprende anche l’identità degli elementi posti (e valutati) a sostegno o a confutazione di esso e della sua rilevanza cautelare (Sez. 6, n. 2182 del 08/10/2020, Marano, Rv. 280345 – 01; Sez. 3, n. 30296 del 11/09/2020, COGNOME, Rv. 280440 – 01).
2. Il secondo motivo di ricorso è inammissibile.
Con esso il ricorrente censura la motivazione, che assume mancante, del fumus commissi delicti
Deve anzitutto rammentarsi che in tema di ricorso per cassazione proposto avverso provvedimenti cautelari reali, l’art. 325 cod. proc. pen. consente il sindacato di legittimità soltanto per motivi attinenti alla violazione di legge. Nell nozione di “violazione di legge” rientrano, in particolare, gli “errores in iudicando” o “in procedendo”, ma anche i vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo a sostegno del provvedimento del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza, come tale apparente e, pertanto, inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal Giudice (Sez. 6, n. 6589 del 10/01/2013, COGNOME, Rv. 254893; Sez. 5, n. 43068 del 13/10/2009, COGNOME, Rv. 245093).
Ciò premesso, secondo l’indirizzo interpretativo che si è formato su vicende analoghe, l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti che dissimulano un’attività illecita di somministrazione di manodopera, mascherata dalla conclusione di fittizi contratti di appalto di servizi, ex art. 29 d.lgs n. 276/2003 ora n. 81 del 2015, integra una operazione soggettivamente inesistente stante il carattere dissimulato del contratto, integrando quella divergenza tra realtà fenomenica e realtà meramente giuridica dell’operazione che, secondo la giurisprudenza consolidata, integra l’inesistenza di cui all’art. 1 comma 1, lett. a) d.lgs 10 marzo 2000, n. 74 (Sez. 3, n. 11633 del 02/02/2022, COGNOME, Rv. 282985 – 01; Sez. 3, n. 20901 del 26/06/2020, Rv. 279509; Sez. 3, n. 1998 del 15/11/2019, COGNOME, Rv. 278378 – 01, Sez. 3, n. 6935 del 23/11/2017, Sez. 3, n. 27392 del 27/04/2012,); quanto al versante dell’Iva, la fittizia interposizione apre la strada al recupero indebito dell’imposta stessa (Sez. 3, n. 20901 del 26/06/2020, Rv. 279509 – 02; Sez. 3, n. 4236 del 18/10/2018, COGNOME, Rv. 275692 – 01; Sez. 3, n. 6935 del 23/11/2017, non mass.; Sez. 3, n. 24540 del 20/03/2013, Rv. 256424 – 01), mentre, con riguardo all’imposta sui redditi, l’utilizzo della fattura che dissimula una diversa prestazione apre la strada alla detrazione di costi anch’essi fittizi perché non correlati alla prestazione reale essendo funzionale ad abbattere indebitamente il reddito di esercizio mediante imputazione del costo dei servizi, rappresentato dal costo del lavoro che altrimenti le società non avrebbero potuto detrarre. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
In conclusione, l’art. 2 d.lgs 10 marzo 2000, n. 74 non distingue tra inesistenza oggettiva o soggettiva: oggetto della sanzione di cui all’art. 2 è ogni divergenza tra la realtà commerciale e la sua espressione documentale, integrando il delitto di cui all’art. 2 d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, l’utilizzazione, dichiarazione ai fini delle imposte dirette, di fatture formalmente riferite a u contratto di appalto di servizi, che costituisca di fatto lo schermo per occultare una
somministrazione irregolare di manodopera, realizzata in violazione dei divieti di cui al previgente d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276, sostituito dal d.lgs. 15 giugno 2015, n. 81, trattandosi di fatture relative a un negozio giuridico apparente, diverso da quello realmente intercorso tra le parti, attinente ad un’operazione implicante significative conseguenze di rilievo fiscale (Sez. 3, n. 45114 del 28/10/2022, Rv. 283771 – 01), con riguardo ad entrambe le imposte per le ragioni sopra evidenziate in quanto l’esposizione nella dichiarazione di dati fittizi anche solo soggettivamente implica la creazione delle premesse per un rimborso al quale non si ha diritto e per la detrazione di costi fittizi.
Ciò premesso in diritto, il tribunale ha argomentato la sussistenza del fumus commissi delicti con motivazione congrua che non può dirsi apparente, unico vizio rilevabile in questa sede, condividendo l’argomentazione del Giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Taranto in relazione al carattere fittizio dei contratti appalto di servizi conclusi dalla ricorrente che mascheravano una somministrazione illecita di manodopera (cfr. pag. 21 e ss.) in ragione della rilevata eterodirezione dei lavoratori da parte delle società committenti dimostrata dalle dichiarazioni di costoro e dalla pronuncia del Tribunale di Taranto sez. lavoro (cfr. pag. 24) in un contesto nel quale il contratto di rete tra le varie società e ritenuto mezzo per l’elusione della normativa in materia di somministrazione illecita di manodopera e tributaria (cfr. 25) atteso che proprio l’elemento che dovrebbe caratterizzare l’appalto, ovvero l’organizzazione dei lavoratori da parte dell’appaltatore, viene eliso dai poteri datoriali che il contratto di rete attribui al ricorrente in assenza di una codatorialità, esclusa dalla sentenza del Tribunale civile di Taranto (allegata dalla difesa), con conseguente esclusione, a sua volta, della genuinità degli appalti (cfr. pag. 25-27). Conclude il Tribunale che, sulla scorta delle emergenze probatorie, il contratto di rete era stato utilizzato strumentalmente al fine di impiegare il personale tra le società di rete aggirando la normativa in materia di lavoro dettata dagli artt. 29 e 30 del d.lgs n. 276/2003, con la conseguenza che i contratti di distacco stipulati non erano genuini in quanto mancanti di interesse delle società che avevano operato il distacco, società create ad arte nel meccanismo messo in atto dal ricorrente, prive di realtà imprenditoriale (di sede legale e di attrezzature) e volte ad assumere personale al solo scopo di distaccarlo presso le società facenti parte del contratto di rete (cfr. pag. 67). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Si tratta di motivazione congrua, corretta sul piano del diritto, per nulla apparente.
La motivazione è infine, effettiva, non meramente apparente e giuridicamente corretta anche sul periculum in mora alla luce della pronuncia Sez. U, n. 36959 del 24/06/2021, NOME, Rv. 281848 – 01.
Nella pronuncia le Sezioni Unite NOME hanno affermato la necessità che il provvedimento di sequestro finalizzato alla confisca dia motivatamente conto della sussistenza, oltre che del fumus commissi delicti, anche del requisito del periculum in mora, da intendersi, tuttavia, in una accezione strettamente collegata alla finalità “confiscatoria” del mezzo, evidentemente diversa da quella “impeditiva” dello strumento del comma 1 dell’art. 321 cod. proc. pen., e alla natura fisiologicamente anticipatoria che il sequestro deve necessariamente assumere, nel corso del processo, rispetto alla stessa confisca (S.U. n. 36959 del 24/06/2021, NOME, Rv. 281848).
Secondo la citata pronuncia “se, infatti, il decreto di sequestro deve spiegare, in linea con la ratio della misura cautelare reale in oggetto, per quali ragioni si ritenga di anticipare gli effetti della confisca che, diversamente, nascerebbero solo a giudizio concluso, la valutazione del periculum non potrà non riguardare esattamente un tale profilo, dando cioè atto degli elementi indicativi del fatto che la definizione del giudizio non possa essere attesa, posto che, diversamente, la confisca rischierebbe di divenire, successivamente, impraticabile”, la questione si sposta sul criterio su cui plasmare l’onere motivazionale del provvedimento di sequestro in oggetto che va rapportato alla natura anticipatrice della misura cautelare. E con riferimento, come nel caso di specie, al sequestro che abbia ad oggetto cose profitto del reato, hanno affermato, le citate Sezioni Unite, la necessità che il provvedimento si soffermi sulle ragioni per le quali il bene potrebbe, nelle more del giudizio, essere modificato, disperso, deteriorato, utilizzato od alienato (S.U. NOME cit.).
Si tratta, si è aggiunto, di un’esigenza rapportata appunto alla ratio della misura cautelare volta a preservare, anticipandone i tempi, gli effetti di una misura che, ove si attendesse l’esito del processo, potrebbero essere vanificati dal trascorrere del tempo.
Le Sezioni Unite hanno chiarito che l’onere di motivazione può ritenersi assolto allorché il provvedimento si soffermi sulle ragioni per cui, nelle more del giudizio, il bene potrebbe essere modificato, disperso, deteriorato, utilizzato od alienato.
In tale prospettiva, ed in piena coerenza con le finalità anticipatorie dello strumento, le Sezioni Unite hanno individuato il nucleo dell’obbligo motivazionale nella necessaria esplicazione «degli elementi indicativi del fatto che la definizione del giudizio non possa essere attesa, posto che, diversamente, la confisca rischierebbe di divenire, successivamente, impraticabile» (§ 6.3. della motivazione, pag. 14), risultando a questi fini irrilevante la distinzione tra le ipote di natura obbligatoria e facoltativa, o il fatto che nella “proteiforme” natura dell confisca siano comprese anche fattispecie espressive di intento propriamente
sanzionatorio, come quelle della confisca per equivalente (§ 6.4, pag. 16).
In buona sostanza, secondo le Sezioni Unite, l’assolvimento di tale onere motivazionale postula – proprio per l’esigenza anticipatrice sottesa al sequestro funzionale alla confisca del profitto del reato – «che il provvedimento si soffermi sulle ragioni per le quali il bene potrebbe, nelle more del giudizio, essere modificato, disperso, deteriorato, utilizzato od alienato» (pag. 17, cit.).
Nel rammentare che il principio espresso dalle SSUU NOME trova applicazione anche per il provvedimento di sequestro preventivo finalizzato alla confisca obbligatoria ex art. 12 bis del d.lgs. n. 74 del 2000, «dovendosi escludere ogni automatismo decisorio che colleghi la pericolosità alla mera natura obbligatoria della confisca» (pagg. 2-3) (Sez. 3, n. 4920 del 23/11/2022, Beni, Rv. 284313), il tribunale cautelare ha ritenuto sussistente l’esigenza di anticipazione sulla scorta di precisi indici che ha ritenuto dimostrativi della capacità di “disperdere”.
Ha dapprima evidenziato (cfr. pag. 152) come le censure si fossero appuntate sulle ragioni esposte nel decreto di sequestro in via d’urgenza disposto dal P.M. e non sul contenuto del decreto del giudice della convalida che era sorretto da motivazione circa il periculum in mora.
In ogni caso, secondo il tribunale, sussiste la necessità anticipatoria rispetto ai beni del ricorrente colpiti dal sequestro in funzione della confisca per equivalente, visto il rischio di dispersione in quanto, a fronte di un profitto pari C 2.681.430,72, il patrimonio della società e del ricorrente non sarebbero sufficienti a garantire il recupero della somma sottratta dall’erario, tenuto conto di quanto sottoposto a sequestro (cfr. pag. 152) pari a circa C 29.100,00 sequestrato nei confronti della società e circa C 55.000,00 nei confronti del ricorrente (Sez. 3, n. 44874 del 11/10/2022, Fricano, Rv. 283769) da cui la necessità anticipatoria di sequestro dei beni del ricorrente per assicurare la confisca dell’ingente profitto ricavato dal reato commesso. A ciò si deve aggiungere la circostanza che la società, contrariamente all’assunto difensivo, era fortemente indebitata (cfr. pag. 155), situazione che rende, secondo il tribunale, oltremodo difficile il futuro recupero del profitto diretto del reato.
Sotto il profilo soggettivo, il tribunale ha poi evidenziato quale indice della capacità di dispersione del patrimonio del ricorrente le operazioni compiute dopo l’inizio della verifica fiscale (pag. 160) e dopo la notificazione del PVC (cfr. pag 144) e gli esiti delle intercettazioni che davano atto della personalità del medesimo ed i comportamenti dello stesso che lasciavano fortemente temere il compimento di atti dispositivi comportanti il depauperamento del suo patrimonio (pag. 160) in un contesto nel quale il ricorrente non solo è il legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE, ma anche amministratore di fatto delle società utilizzate nel meccanismo
fraudolento (cfr. pag. 163).
Il tribunale, con motivazione effettiva e congrua ha assolto all’onere motivazionale richiestogli argomentando in modo adeguato le ragioni della necessità anticipatoria del sequestro a fini di confisca, profilo con il quale i ricorrente non ha inteso confrontarsi specificatamente lamentando, contrariamente a quanto argomentato, che il periculum sarebbe stato argomentato solo sulla base delle condotte di reato poste in essere e sulla scorta di una mera presunzione di depauperamento.
Il ricorso di COGNOME NOME deve essere rigettato e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali ai sensi dell’art. 616 cod.proc.pen.
Il ricorso della società RAGIONE_SOCIALE deve essere dichiarato inammissibile con condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che la ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso di RAGIONE_SOCIALE che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di € 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Rigetta il ricorso di COGNOME NOME che condanna al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 14/02/2024