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Sanatoria postuma: no se manca la doppia conformità

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso contro un’ordinanza che confermava un ordine di demolizione per opere abusive su un complesso alberghiero. I ricorrenti avevano richiesto una sanatoria postuma, ma la Corte ha ribadito che questa è possibile solo in presenza del requisito della ‘doppia conformità’: l’opera deve essere conforme alle norme urbanistiche sia al momento della sua realizzazione che al momento della presentazione della domanda. In assenza di tale presupposto, l’ordine di demolizione resta valido ed efficace.

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Pubblicato il 2 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Sanatoria Postuma: la Cassazione ribadisce il paletto della Doppia Conformità

Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 26535 del 2024, torna a fare chiarezza su un tema cruciale in materia di abusi edilizi: la sanatoria postuma. Questa pronuncia sottolinea come, anche di fronte a un ordine di demolizione divenuto definitivo, le possibilità di regolarizzare l’illecito siano strettamente vincolate a requisiti rigorosi, primo fra tutti quello della ‘doppia conformità’. L’analisi di questo caso, relativo a opere abusive su una struttura alberghiera, offre importanti spunti sulla rigidità della legge e sui limitati margini di manovra per chi ha costruito illegalmente.

I Fatti del Caso

La vicenda giudiziaria trae origine da un ordine di demolizione emesso a seguito di una sentenza di patteggiamento del 2003. L’ordine riguardava opere abusive realizzate su un complesso immobiliare a destinazione turistico-ricettiva. I legali rappresentanti della società proprietaria dell’immobile, a distanza di anni, hanno presentato un’istanza al Tribunale, in qualità di giudice dell’esecuzione, chiedendo la revoca o la sospensione di tale ordine. La loro tesi si fondava sulla possibilità di ottenere una sanatoria postuma ai sensi dell’art. 36 del Testo Unico dell’Edilizia (d.P.R. 380/2001).

La Richiesta di Sanatoria Postuma e le Argomentazioni dei Ricorrenti

I ricorrenti sostenevano che gli abusi contestati fossero meramente ‘formali’ e quindi sanabili. A supporto della loro tesi, evidenziavano come la Soprintendenza avesse già espresso parere favorevole sulla compatibilità paesaggistica dell’incremento volumetrico e che tale aumento fosse inferiore al limite del 20% consentito dagli strumenti urbanistici locali. Inoltre, criticavano il giudice dell’esecuzione per non aver esercitato i suoi poteri istruttori, omettendo di ascoltare tecnici e testimoni che avrebbero potuto chiarire l’epoca di realizzazione dei manufatti e la loro effettiva consistenza. Di fronte al rigetto della loro istanza da parte del Tribunale, i rappresentanti della società hanno proposto ricorso in Cassazione.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato i ricorsi inammissibili, ritenendoli manifestamente infondati. Le motivazioni della decisione sono nette e si fondano su principi consolidati in materia di abusi edilizi.

Il punto centrale è il requisito della doppia conformità. La Corte ha ribadito che la sanatoria postuma prevista dall’art. 36 del d.P.R. 380/2001 può essere concessa solo se l’intervento edilizio risulta conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della sua realizzazione, sia al momento della presentazione della domanda di sanatoria. Non è sufficiente che l’opera sia diventata conforme successivamente, magari per una modifica degli strumenti urbanistici. Nel caso di specie, questa doppia conformità non era stata provata, anzi, l’amministrazione comunale aveva già rigettato la domanda di accertamento di conformità.

La Corte ha inoltre specificato che il parere favorevole della Soprintendenza, invocato dai ricorrenti, era stato rilasciato nell’ambito di un’altra procedura (un precedente tentativo di condono, anch’esso fallito) e non era quindi dirimente ai fini della richiesta di sanatoria. Infine, i giudici hanno chiarito che il giudice dell’esecuzione non è tenuto a svolgere ulteriori indagini quando il quadro documentale è sufficientemente chiaro per decidere. I ‘dubbi’ sollevati dai ricorrenti sono stati interpretati come un mero dissenso rispetto alla valutazione del giudice, non come una reale necessità di approfondimento probatorio.

Conclusioni

La sentenza in esame conferma con fermezza che la strada per la regolarizzazione di un abuso edilizio, una volta emesso un ordine di demolizione definitivo, è estremamente stretta. La sanatoria postuma non è un’opzione sempre disponibile, ma una possibilità eccezionale subordinata al rispetto del rigido principio della doppia conformità. La decisione della Cassazione serve da monito: non si può contare su future modifiche normative o su interpretazioni ‘creative’ per sanare ciò che è nato in violazione delle regole. L’ordine di demolizione, quale sanzione ripristinatoria dello stato dei luoghi, mantiene la sua piena efficacia e la sua esecuzione diventa, in casi come questo, inevitabile.

È possibile ottenere una sanatoria per un abuso edilizio se l’opera diventa conforme alle norme urbanistiche solo in un secondo momento?
No. La sentenza ribadisce che la sanatoria postuma è possibile solo se viene rispettato il principio della ‘doppia conformità’, ovvero l’opera deve essere conforme alle norme sia al momento della sua realizzazione che al momento della presentazione della domanda.

Un parere favorevole della Soprintendenza è sufficiente per ottenere la sanatoria e bloccare un ordine di demolizione?
No. Secondo la Corte, un parere favorevole, specialmente se reso in un contesto diverso come una precedente e fallita domanda di condono, non è di per sé decisivo per dimostrare la conformità urbanistica richiesta per la sanatoria.

Il giudice dell’esecuzione è obbligato a sentire testimoni o periti se ci sono dubbi sulla sanabilità di un’opera?
No. Il giudice non è obbligato ad attivare i suoi poteri di integrazione probatoria se il quadro documentale e normativo è già sufficientemente chiaro per decidere. I ‘dubbi’ sollevati dalla parte, se si risolvono in un semplice dissenso valutativo, non impongono al giudice di disporre nuove prove.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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