Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 26535 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 26535 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 20/03/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da COGNOME NOME, nato a Ischia il DATA_NASCITA, COGNOME NOME, nato a Ischia il DATA_NASCITA, avverso l’ordinanza del 12-01-2023 del Tribunale di Napoli, Sezione distaccata di Ischia; visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni rassegnate dal Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Procuratore AVV_NOTAIO, che ha concluso per l’inammissibilità
dei ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 12 gennaio 2023, il Tribunale di Napoli, Sezione distaccata di Ischia, quale giudice dell’esecuzione, rigettava l’istanza proposta nell’interesse di NOME COGNOME e NOME COGNOME, quali legali rappresentanti succedutisi nel tempo della RAGIONE_SOCIALE, istanza finalizzata alla revoca e/o sospensione dell’ordine di demolizione emesso in esecuzione della sentenza di patteggiamento resa il 15 novembre 2003, irrevocabile il 15 dicembre 2003 dal Tribunale di Napoli, Sezione distaccata di Ischia, nei confronti di NOME COGNOME per le opere realizzate sul compendio immobiliare a destinazione turistico-recettiva, denominato RAGIONE_SOCIALE, sito in Ischia alla INDIRIZZO.
Avverso l’ordinanza del Tribunale, NOME COGNOME e NOME COGNOME, tramite il loro comune difensore e procuratore speciale, hanno proposto ricorso per cassazione, sollevando due motivi.
Con il primo, la difesa deduce la violazione dell’art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001 e il vizio di motivazione dell’ordinanza impugnata, rispetto alla possibilità per i ricorrenti di conseguire il titolo abilitativo postumo, possibilità indebitamen esclusa dal giudice dell’esecuzione, che avrebbe in tal senso ignorato la memoria difensiva, la documentazione ad essa allegata e il parere pro ventate del AVV_NOTAIO, con cui era stato evidenziato che le opere oggetto dell’istanza di accertamento di conformità costituiscono un mero abuso formale pacificamente sanabile, avendo la Soprintendenza già valutato la compatibilità paesistica dello incremento volumetrico rispetto al contesto circostante oggetto di tutela, tanto più ove si consideri che il compendio immobiliare, situato in zona R.U.A. del vigente Piano Paesistico entrato in vigore successivamente alla realizzazione delle opere, ben potrebbe formare oggetto di intervento di recupero edilizio nell’ambito del quale il Piano Paesistico consente l’incremento volumetrico fino al 20% della consistenza preesistente, mentre la volumetria ad oggi sprovvista di titolo edilizio è decisamente inferiore alla consistenza assentibile.
Con il secondo motivo, oggetto di doglianza è la mancata attivazione, da parte del giudice dell’esecuzione, degli ampi poteri riconosciuti dall’art. 666, comma 5, cod. proc. pen., che pure erano stati sollecitati dalla difesa, essendo stato chiesto, laddove fossero residuati dubbi, di escutere i tecnici comunali COGNOME e COGNOME che parteciparono al sopralluogo da cui ebbe origine il sequestro del 2001 ad opera dei C.C. della Stazione RAGIONE_SOCIALE Ischia, nonché dei testi COGNOME e COGNOME, che avrebbero potuto riferire sull’epoca di realizzazione dei manufatti.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono inammissibili perché manifestamente infondati.
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evidenziata la carenza dei presupposti oggettivi di operatività del condono.
Ciò posto, nell’ordinanza impugnata in questa sede è stato ricordato che il parere favorevole della Soprintendenza e l’autorizzazione paesaggistica del 2017 erano stati resi nell’ambito della procedura di condono esitata con il provvedimento amministrativo ritenuto illegittimo, per cui di tali atti non poteva tenersi cont fermo restando che gli stessi sono comunque non dirimenti nell’ottica dell’invocato accertamento in conformità, dovendosi sul punto richiamare l’affermazione costante di questa Corte (cfr. ex multis Sez. 3, n. 45845 del 19/09/2019, Rv. 277265 e Sez. 3, n. 7405 del 15/01/2015, Rv. 262422), secondo cui, in tema di reati urbanistici, la sanatoria degli abusi edilizi idonea ad estinguere il reato di c all’art. 44 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, a precludere l’irrogazione dell’ordine di
demolizione dell’opera abusiva previsto dall’art. 31, comma 9, del medesimo d.P.R. e a determinare, se eventualmente emanata successivamente al passaggio in giudicato della sentenza, la revoca di detto ordine, può essere solo quella rispondente alle condizioni espressamente indicate dall’art. 36 del decreto stesso citato, che richiede la doppia conformità delle opere alla disciplina urbanistica vigente, sia al momento della realizzazione del manufatto, sia al momento della presentazione della domanda di permesso in sanatoria, dovendo escludersi la possibilità di una legittimazione postuma di opere originariamente abusive che, solo successivamente, in applicazione della cosiddetta sanatoria “giurisprudenziale” o “impropria”, siano divenute conformi alle norme edilizie ovvero agli strumenti di pianificazione urbanistica, per cui, non essendo configurabile nel caso di specie la contestuale sussistenza di tali requisiti in ragione delle pertinenti argomentazioni dell’ordinanza impugnata prima sintetizzate, legittimamente è stata disattesa la richiesta di revoca dell’ordine di demolizione. Resta solo da precisare che, in presenza di un contesto normativo e di un quadro documentale sufficientemente chiari, non può rimproverarsi al giudice dell’esecuzione la mancata attivazione dei propri poteri di integrazione probatoria, risolvendosi i “dubbi” evocati nel ricorso circa la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della domanda di accertamento in conformità in un dissenso valutativo rispetto al percorso argomentativo del provvedimento impugnato, dissenso valutativo che tuttavia esula dal perimetro del giudizio di legittimità.
3. In conclusione, stante la manifesta infondatezza delle doglianze proposte, i ricorsi proposti nell’interesse di NOME COGNOME e NOME COGNOME devono essere dichiarati pertanto inammissibili, con conseguente onere per ciascuna ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto conto, infine, della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che i ricorsi siano stati presentati senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che ciascuna ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 20/03/2024