Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 7692 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1   Num. 7692  Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 10/11/2023
SENTENZA
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sul ricorso proposto da: NOME nato a ROMA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 31/01/2023 della CORTE ASSISE APPELLO di ROMA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME AVV_NOTAIO, il quale ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 31 gennaio 2023 la Corte di assise di appello di Roma ha confermato quella con cui la Corte di assise della stessa città, il 28 aprile 2022, ha dichiarato NOME colpevole del delitto di omicidio pluriaggravato e, riconosciute le circostanze attenuanti generiche e quella della provocazione, ritenute prevalenti sulle contestate aggravanti, lo ha condannato alla pena di dodici anni di reclusione, oltre che al pagamento delle spese processuali e di quelle di sofferta custodia.
I menzionati provvedimenti sono stati resi nell’ambito del procedimento penale relativo all’uccisione di NOME COGNOME, avvenuta il 14 agosto 2020 all’interno della sua abitazione per mano del figlio NOME, il cui scellerato e tragico gesto ha trovato origine, per quanto accertato in dibattimento, nella grave, risalente conflittualità tra i due, acuita dalla persistente convivenza, imposta anche da esigenze di carattere economico, e, specificamente, nell’atteggiamento della vittima, improntato a disprezzo, prevaricazione e prepotenza.
Quel giorno – secondo quanto esposto nella sentenza di primo grado, cui il giudice di appello ha fatto ampio rinvio – l’ennesimo alterco tra padre e figlio, scaturito da ragioni contingenti, che non è stato possibile appurare con certezza, ha visto i contendenti passare dalle parole ai fatti e, in particolare, il più giovane stringere con forza le mani, sia pure per un ristretto lasso di tempo, alla base del collo dell’altro, condotta che, determinando la compressione del nervo vago di sinistra, ha sortito effetti letali. rA
 La Corte di assise di appello ha rigettato la richiesta, avanzata dall’imputato con l’impugnazione di merito, di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale mediante ammissione di una perizia volta a stabilire le cause della morte della vittima ed i mezzi che la hanno provocata.
Richiamate le ampie considerazioni svolte, al riguardo, dal giudice di primo grado, ha ritenuto la piena affidabilità delle conclusioni raggiunte dal consulente tecnico del pubblico ministero, sottoposte da quelli incaricati dall’imputato a critiche che la Corte di assise ha motivatamente disatteso e che hanno trovato, vieppiù, piena conferma nelle originarie dichiarazioni confessorie dell’imputato, assai più affidabili, nella valutazione di entrambi i giudici di merito, di quelle rese nel successivo sviluppo del procedimento.
La Corte di assise di appello, nell’attestare la completezza e l’esaustività dei dati istruttori raccolti, ha, per contro, stimato del tutto inattendibile la te ventilata dall’appellante – secondo cui il decesso della vittima sarebbe stato
conseguenza di un caso fortuito, che avrebbe interrotto il nesso causale tra la condotta illecita e l’evento offensivo – sorretta, in fatto, dall’assunto dell’essersi l’imputato limitato a scuotere lievemente il collo del genitore.
NOME COGNOME propone, con l’assistenza dell’AVV_NOTAIO, ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo, con il quale deduce vizio di motivazione per avere la Corte di assise di appello ingiustificatamente respinto la richiesta di disporre l’invocata perizia ed essersi, in particolare, limitata a riproporre, sic et simpliciter, le considerazioni svolte dal giudice di primo grado senza profondere il dovuto, autonomo impegno argomentativo, per tale via vulnerando il suo diritto di difesa e, specificamente, il suo interesse al pieno e definitivo accertamento delle cause della morte del padre e dei mezzi che la hanno generata, funzionale anche all’enucleazione dell’elemento soggettivo del reato e del relativo coefficiente di gravità, nonché alla determinazione del trattamento sanzionatorio.
 Disposta la trattazione scritta ai sensi dell’ad. 23, comma 8, d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, il Procuratore generale ha chiesto, il 24 ottobre 2023, dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile perché vedente su motivo manifestamente infondato.
La giurisprudenza di legittimità ha da tempo chiarito che «Nel giudizio d’appello, la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, prevista dall’ad. 603, comma 1, cod. proc. pen., è subordinata alla verifica dell’incompletezza dell’indagine dibattimentale ed alla conseguente constatazione del giudice di non poter decidere allo stato degli atti senza una rinnovazione istruttoria; tale accertamento è rimesso alla valutazione del giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità se correttamente motivata» (Sez. 6, n. 48093 del 10/10/2018, G. Rv. 274230 – 01; Sez. 6, n. 8936 del 13/01/2015, COGNOME, Rv. 262620 – 01; Sez. 4, n. 18660 del 19/02/2004, Montanari, Rv. 228353 – 01).
Nel caso in esame, la Corte di assise di appello ha ritenuto che la rinnovazione dell’istruttoria sollecitata, con i motivi di impugnazione, da NOME non fosse indispensabile ai fini della decisione ed ha giustificato il rigetto della richiesta attraverso un apparato argomentativo completo e scevro dal benché minimo deficit razionale.
Ha, in particolare, esposto, richiamando le ampie considerazioni sviluppate dalla Corte di assise, che le evidenze medico-legali attestano, in termini condivisi anche dai consulenti dell’imputato, che l’azione di stringimento del collo della vittima si è necessariamente protratta almeno per alcuni secondi ed è stata connotata dall’impiego di una forza non minimale e che la più recente versione dei fatti offerta da NOME COGNOME, stando alla quale egli avrebbe lievemente scosso, con un mano, il collo del padre, è, al contrario, incompatibile con quanto emerso dagli accertamenti eseguiti in sede autoptica (in proposito, si legge, alla pag. 25 della sentenza di primo grado, che «il mezzo della morte è certamente identificabile in un’azione di compressione delle vie respiratorie mediante la stretta esercitata sulle pareti anterolaterali del collo con le mani» e che, invece «l’ipotesi difensiva che si sia trattata di una forza di natura contusiva costituita da una spinta o da un colpo portato con la mano non appare verosimile in difetto di lesività di natura ecchimotica esteriore e si pone in radicale contrasto con la dinamica ammessa dallo stesso imputato»).
Il giudice di appello, dunque, si è riportato alle valutazioni di quello di primo grado, frutto della scrupolosa e certosina disamina di tutti i dati disponibili e delle prospettazioni dei ‘professionisti intervenuti nel processo, ed ha, in specie, posto l’accento sulle informazioni acquisite in ordine al determinismo causale del decesso di NOME COGNOME NOME, alla luce delle quali ha stimato, in termini alieni da tangibili vizi logici, la maggiore attendibilità dell’originario – e, quindi, p sincero – racconto dell’imputato il quale, ha opinato, lo avrebbe successivamente modificato, rendendo dichiarazioni poco credibili anche perché palesemente contrastanti con l’evidenza scientifica, per ragioni legate alla prescelta strategia difensiva.
A fronte di un apparato argomentativo di apparente, assoluta solidità, il ricorrente articola censure connotate da insuperabile genericità perché circoscritte, in sostanza, all’avere la Corte di assise di appello, a suo modo di vedere, integralmente ed acriticamente mutuato quanto già esposto dal giudice di primo grado, senza considerare le obiezioni svolte con l’atto di appello, ed all’ingiustificato rifiuto di disporre un approfondimento istruttorio destinato a fugare, una volta per tutte, i residui dubbi sulla dinamica dei tragici eventi del 14 agosto 2020.
Il ricorrente, invero, nell’esporre le proprie doglianze, si astiene dallo spiegare quali, nel novero delle obiezioni sollevate con l’atto di impugnazione, la Corte di assise di appello avrebbe indebitamente trascurato e, soprattutto, perché ed in quale misura il giudizio di completezza ed esaustività delle
informazioni veicolate dall’istruttoria svolta in primo grado sarebbe errato o, quantomeno, opinabile.
Rebus sic stantibus -e rilevato, per completezza, che le valutazioni compiute sulla base di canoni di mera opportunità sfuggono allo scrutinio del giudice di legittimità – ineccepibile si palesa il richiamo, da parte del giudice di appello, alla motivazione della sentenza di primo grado; tanto, in conformità al consolidato e condiviso indirizzo ermeneutico secondo cui «La motivazione “per relationem” di un provvedimento giudiziale è da considerare legittima quando: 1) faccia riferimento, recettizio o di semplice rinvio, a un legittimo atto del procedimento, la cui motivazione risulti congrua rispetto all’esigenza di giustificazione propria del provvedimento di destinazione; 2) fornisca la dimostrazione che il giudice ha preso cognizione del contenuto sostanziale delle ragioni del provvedimento di riferimento e le abbia meditate e ritenute coerenti con la sua decisione; 3) l’atto di riferimento, quando non venga allegato o trascritto nel provvedimento da motivare, sia conosciuto dall’interessato o almeno ostensibile, quanto meno al momento in cui si renda attuale l’esercizio della facoltà di valutazione, di critica ed, eventualmente, di gravame e, conseguentemente, di controllo dell’organo della valutazione o dell’impugnazione» (Sez. 2, n. 55199 del 29/05/2018, COGNOME, Rv. 274252 – 01; Sez. 6, n. 53420 del 04/11/2014, COGNOME, Rv. 261839 – 01; Sez. 6, n. 48428 del 08/10/2014, COGNOME, Rv. 261248 – 01).
Sulla base delle considerazioni che precedono il ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile. Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale, rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativa mente fissata in 3.000,00 euro. 
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa dell ammende.
Così deciso il 10/11/2023.