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Rinnovazione istruttoria: quando il giudice può negarla

Un uomo, condannato per l’omicidio del padre, ha presentato ricorso in Cassazione lamentando il rifiuto della Corte d’Appello di disporre una nuova perizia medico-legale. La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, ribadendo che la rinnovazione istruttoria non è un diritto dell’imputato ma una facoltà discrezionale del giudice, il cui diniego è legittimo se fondato sulla completezza e affidabilità delle prove già acquisite. Il caso conferma che l’appello non può essere utilizzato per riesaminare il merito senza validi motivi che dimostrino un’incompletezza probatoria.

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Pubblicato il 2 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Rinnovazione Istruttoria: La Cassazione Chiarisce i Limiti alla Richiesta di Nuove Prove in Appello

La richiesta di una rinnovazione istruttoria nel giudizio d’appello rappresenta un momento cruciale nel processo penale, ma non costituisce un diritto incondizionato dell’imputato. Con la sentenza n. 7692 del 2024, la Corte di Cassazione torna a pronunciarsi sui presupposti e i limiti di tale istituto, chiarendo quando il giudice di secondo grado può legittimamente respingere la richiesta di acquisire nuove prove, come una perizia. Il caso in esame, relativo a una condanna per omicidio in un contesto familiare, offre spunti fondamentali per comprendere la discrezionalità del giudice e la logica che governa il processo d’appello.

I Fatti del Caso

La vicenda giudiziaria ha origine da un tragico episodio familiare: un uomo viene condannato in primo grado e in appello alla pena di dodici anni di reclusione per l’omicidio del padre, avvenuto durante un’accesa lite. La morte, secondo le risultanze medico-legali, era stata causata dalla compressione del collo della vittima, con conseguente stimolazione letale del nervo vago.

L’imputato, nel corso del processo, aveva fornito versioni contrastanti. Inizialmente aveva ammesso di aver stretto il collo del genitore, una confessione poi ritrattata in favore di una versione più blanda, secondo cui si sarebbe limitato a scuoterlo lievemente. Proprio su questa discrepanza e sulla dinamica dell’evento si è incentrata la sua difesa, che in appello ha richiesto una rinnovazione istruttoria attraverso una nuova perizia per accertare con maggiore precisione le cause del decesso.

Il Diniego della Rinnovazione Istruttoria e il Ricorso in Cassazione

La Corte d’Assise d’Appello ha rigettato la richiesta di una nuova perizia, ritenendo le prove già acquisite nel primo grado di giudizio complete, esaustive e sufficienti per una decisione. Il giudice di secondo grado ha confermato la piena affidabilità delle conclusioni del consulente tecnico del pubblico ministero, già ampiamente discusse e validate in primo grado, e ha giudicato più attendibile la versione confessoria iniziale dell’imputato rispetto a quella successiva, considerata una mera strategia difensiva.

Contro questa decisione, l’imputato ha proposto ricorso per cassazione, lamentando un vizio di motivazione. Secondo la difesa, la Corte d’Appello si sarebbe limitata a riproporre acriticamente le argomentazioni del primo giudice, senza un’autonoma valutazione e vulnerando così il diritto di difesa dell’imputato a un pieno accertamento dei fatti.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendolo manifestamente infondato. Gli Ermellini hanno colto l’occasione per ribadire alcuni principi consolidati in materia di rinnovazione istruttoria in appello, come previsto dall’art. 603, comma 1, del codice di procedura penale.

In primo luogo, la Corte ha sottolineato che la rinnovazione non è un diritto dell’imputato, ma una facoltà del giudice. La sua ammissione è subordinata a una duplice condizione: la verifica dell’incompletezza dell’indagine dibattimentale svolta in primo grado e la constatazione dell’impossibilità di decidere allo stato degli atti. Nel caso di specie, la Corte d’Appello aveva ampiamente e logicamente motivato il proprio rigetto, evidenziando come il quadro probatorio fosse già completo e robusto. Le conclusioni medico-legali, unite alle dichiarazioni iniziali dell’imputato, non lasciavano spazio a dubbi ragionevoli che una nuova perizia avrebbe potuto dirimere.

In secondo luogo, la Cassazione ha ritenuto pienamente legittimo l’utilizzo della cosiddetta “motivazione per relationem”, ovvero il richiamo alle argomentazioni della sentenza di primo grado. Tale pratica è ammessa quando il giudice d’appello dimostra di aver preso cognizione del contenuto della decisione precedente, di averlo meditato e di averlo ritenuto coerente con la propria valutazione, come avvenuto in questo caso. Il ricorso dell’imputato, al contrario, è stato giudicato generico, in quanto si limitava a criticare il presunto “mutuo” delle motivazioni senza specificare quali obiezioni difensive sarebbero state trascurate o perché il giudizio sulla completezza delle prove sarebbe stato errato.

Le Conclusioni

La sentenza in commento rafforza un principio fondamentale del nostro ordinamento processuale: il giudizio d’appello non è un “terzo grado di merito” destinato a ripetere l’istruttoria già svolta. La rinnovazione istruttoria rimane uno strumento eccezionale, da attivare solo quando strettamente necessario per colmare una lacuna probatoria. La decisione del giudice di appello di non disporre nuove prove è insindacabile in sede di legittimità se, come in questo caso, è supportata da una motivazione completa, logica e priva di vizi manifesti. Per gli operatori del diritto, ciò significa che le richieste di rinnovazione devono essere supportate da argomentazioni specifiche che dimostrino la reale e decisiva incompletezza del materiale probatorio a disposizione.

È un diritto dell’imputato ottenere la rinnovazione dell’istruttoria in appello?
No, la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale in appello non è un diritto dell’imputato ma una facoltà discrezionale del giudice. È subordinata alla verifica dell’incompletezza delle prove raccolte in primo grado e alla constatazione che il giudice non possa decidere sulla base degli atti esistenti.

La Corte d’Appello può motivare la sua decisione richiamando la sentenza di primo grado?
Sì, è una pratica legittima conosciuta come “motivazione per relationem”. È valida a condizione che il giudice d’appello dimostri di aver esaminato il contenuto della sentenza di primo grado, di averlo valutato e di ritenerlo coerente con la propria decisione, senza limitarsi a una mera riproposizione acritica.

Quali sono le conseguenze se un ricorso per cassazione viene giudicato inammissibile?
Quando il ricorso è dichiarato inammissibile, come in questo caso, la sentenza impugnata diventa definitiva. Inoltre, secondo l’art. 616 del codice di procedura penale, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende, qui equitativamente fissata in 3.000,00 euro.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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