Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 33780 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 33780 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 08/07/2025
In nome del Popolo RAGIONE_SOCIALE
QUINTA SEZIONE PENALE
Composta da
COGNOME
Presidente –
Sent. n. sez. 1060/2025
NOME COGNOME COGNOME
CC – 08/07/2025
NOME COGNOME
Relatore –
R.G.N. NUMERO_DOCUMENTO
NOME COGNOME
NOME COGNOME
ha pronunciato la seguente
sui ricorsi proposti da:
NOME nato a ANOIA il DATA_NASCITA NOME nato a REGGIO CALABRIA il DATA_NASCITA NOME nato a REGGIO CALABRIA il DATA_NASCITA
avverso il decreto del 17/12/2024 della CORTE DI APPELLO DI REGGIO CALABRIA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; letta la requisitoria a firma del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME, che ha chiesto di dichiarare inammissibili i ricorsi.
Con il decreto impugnato, emesso il 17 dicembre 2024, la Corte di appello di Reggio Calabria Ð Sezione Misure di prevenzione Ð, per quanto qui di interesse, ha confermato il provvedimento del 13 giugno 2018, con il quale il Tribunale di
Reggio Calabria aveva sottoposto NOME alla misura della sorveglianza speciale per la durata di anni quattro (con obbligo di soggiorno nel comune di residenza) e aveva disposto la confisca dei beni giˆ sottoposti a sequestro (tra cui un immobile intestato a NOME, due immobili intestati a NOME e alcuni buoni postali fruttiferi, cointestati al proposto, e altri beni intestati o cointestati a COGNOME NOME, COGNOME NOME, NOME e NOME).
La conferma è intervenuta allÕesito di un procedimento nel quale erano stati riuniti i procedimenti aventi a oggetto lÕimpugnazione avverso il decreto di rigetto dellÕistanza di revoca avanzata, ex art. 11 d.lgs. n. 159 del 2011, da NOME e gli appelli proposti da NOME e, nella qualitˆ di terzi interessati, da COGNOME NOME, NOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e NOME COGNOME, avverso il decreto applicativo delle misure di prevenzione. La Corte di appello ha rigettato lÕimpugnazione avverso il decreto di rigetto dellÕistanza di revoca e tutti gli appelli, a eccezione di quelli proposti da NOME, COGNOME NOME, NOME e NOME, che sono stati accolti, con conseguente revoca della confisca dei beni loro intestati.
Avverso il decreto della Corte di appello, hanno proposto ricorso per cassazione, a mezzo del loro difensore di fiducia, NOME e, nella qualitˆ di terzi interessati, NOME e NOME.
Il ricorso di NOME si compone di tre motivi.
3.1. Con un primo motivo, deduce l’illegittimitˆ costituzionale dellÕart. 15 d.lgs. n. 159 del 2011.
Sostiene che la norma sarebbe costituzionalmente illegittima, nella parte in cui non prevede che, nel caso in cui l’esecuzione di una misura di prevenzione personale resti sospesa a causa di una concomitante misura di custodia cautelare, l’autoritˆ giudiziaria, nel momento della successiva esecuzione della misura di prevenzione, provveda a verificare la persistenza della pericolositˆ sociale.
Il ricorrente sostiene che sarebbe irragionevole prevedere il nuovo accertamento della pericolositˆ sociale dell’interessato solo nel caso in cui l’esecuzione della misura di prevenzione sia stata sospesa per l’esecuzione di una pena detentiva e non anche quando analoga sospensione sia stata disposta per l’applicazione di una misura cautelare custodiale. Palese sarebbe la violazione dellÕart. 3 Cost., attesa l’irragionevole disparitˆ di trattamento nella quale si verrebbero a trovare soggetti che si trovano in situazioni analoghe, egualmente privati della loro libertˆ personale, tanto nel caso di esecuzione di una pena detentiva quanto nel caso di applicazione di una misura cautelare custodiale. In questÕultimo caso, l’automatica riapplicazione della misura di prevenzione, senza
il preventivo accertamento dell’attualitˆ della pericolositˆ sociale, determinerebbe anche la violazione dellÕart. 13 Cost., che prevede che ogni forma di restrizione della libertˆ personale debba essere giustificata da un controllo giurisdizionale adeguato, e dellÕart. 27 Cost., che afferma il principio di presunzione di non colpevolezza.
3.2. Con un secondo motivo, deduce il vizio di erronea applicazione della legge penale, in relazione agli artt. 1, 4 e 6 d.lgs. n. 159 del 2011.
Sostiene che la Corte di appello non avrebbe effettuato una valutazione attuale della pericolositˆ sociale del proposto, Çlimitandosi a richiamare il suo pregresso giudiziarioÈ.
Il ricorrente censura tale omissione, con particolare riguardo allÕistanza di revoca della misura di prevenzione, sostenendo che il relativo giudizio si sia tradotto in una mera conferma del provvedimento originario, fondata su elementi ormai risalenti, laddove sarebbe stato necessario Çtenere conto di eventuali mutamenti della condotta e del contesto di riferimentoÈ. In altri termini, la Corte territoriale avrebbe omesso di verificare Çse, alla data della decisione, sussistessero ancora elementi concreti e attuali, tali da giustificare la persistenza della misuraÈ.
3.3. Con un terzo motivo, deduce il vizio di erronea applicazione della legge penale, in relazione allÕart. 24 d.lgs. n. 159 del 2011.
Rappresenta che: erano stati confiscati alcuni buoni postali fruttiferi cointestati al preposto e a COGNOME NOME e COGNOME NOME; la Corte di appello ha revocato la confisca, limitatamente alle quote di questi ultimi.
Il ricorrente pone in rilievo il fatto che la Corte territoriale ha disposto la revoca della confisca, in quanto i terzi interessati avevano allegato la circostanza che la provvista per l’acquisto dei buoni in questione derivava da un libretto, acceso nel 2003, sul quale, nel corso degli anni, era stata accreditata la pensione di NOME COGNOME, madre del proposto. La Corte di appello ha altres’ rilevato che non era stata fornita alcuna prova del fatto che il denaro depositato sul libretto provenisse dal proposto.
Tanto premesso, il ricorrente contesta la decisione della Corte di appello di mantenere la confisca delle quote intestate al proposto, osservando che la mancanza di prova sulla provenienza delle somme e lÕaccertata liceitˆ della provvista, derivante dalla pensione di NOME COGNOME, avrebbero dovuto condurre alla revoca della confisca.
Il ricorso di NOME (figlio del proposto) si compone di un unico motivo, con il quale deduce la violazione dellÕart. 24 d.lgs. n. 159 del 2011.
Contesta la mancata revoca della confisca dei due immobili intestati a NOME, sostenendo che la Corte territoriale, nel ritenere che i redditi del nucleo familiare del proposto, negli anni 2014 e 2015, fossero insufficienti a sostenere l’esborso per l’acquisto di tali beni, avrebbe trascurato i seguenti elementi: NOME, negli anni 2013 e 2014, avrebbe lavorato, percependo la relativa retribuzione; il 29 novembre 2010, il proposto avrebbe riscattato una polizza; negli anni 1993, 1994 e 1997, il reddito sarebbe stato integrato dal rimborso anticipato di tre buoni postali.
Sotto altro profilo, il ricorrente contesta il provvedimento impugnato, in quanto sostiene che non sarebbe chiaro se la confisca fosse stata disposta Çper reimpiego ovvero per sproporzioneÈ.
Il ricorso di NOME (moglie del proposto) si compone di un unico motivo, con il quale deduce la violazione dellÕart. 24 d.lgs. n. 159 del 2011.
Contesta la mancata revoca della confisca dellÕimmobile intestato a NOME, sostenendo che non sarebbe chiaro se la confisca fosse stata disposta Çper reimpiego piuttosto che per sproporzioneÈ.
La ricorrente sostiene che NOME avrebbe acquistato Çl’appartamento dalla madre, tramite un contratto simulato, beneficiando di un prezzo particolarmente vantaggiosoÈ. Afferma, inoltre, che, nel periodo in cui era avvenuto l’acquisto, il proposto avrebbe percepito un cospicuo indennizzo per ingiusta detenzione.
In ogni caso, non sarebbero stati effettuati gli accertamenti necessari per verificare la sussistenza dei presupposti per la confisca.
Il Procuratore generale, nelle sue conclusioni scritte, ha chiesto di dichiarare inammissibili i ricorsi.
I ricorsi devono essere dichiarati inammissibili.
Il ricorso di NOME deve essere dichiarato inammissibile.
2.1. Il primo motivo è inammissibile.
2.1.1. Va premesso che la norma in questione non è l’art. 15 d.lgs. n. 159 del 2011 bens’ lÕart. 14, comma 2-ter, del medesimo decreto. Quest’ultima norma, in realtˆ, trae origine da una pronuncia additiva della Corte costituzionale, relativa allÕart. 15 (più precisamente allÕart. 12 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, oggi trasfuso nellÕart. 15 del d.lgs. n. 159 del 2011), da qui l’imprecisione del
ricorrente. In particolare, la questione riguarda il rapporto tra la misura di prevenzione della sorveglianza speciale e lo stato di detenzione dellÕinteressato, per lÕespiazione di una pena o per lÕapplicazione di un provvedimento cautelare.
La giurisprudenza, fin dalla sentenza Sez. U, n. 6 del 25/03/1993, Tumminelli, Rv. 194062, ha affermato che le misure di prevenzione personali possono essere deliberate anche nei confronti di persona detenuta in espiazione di pena. In tale ipotesi, lÕesecuzione della misura resta sospesa, essendo differita al momento in cui viene a cessare lo stato di detenzione, salva la possibilitˆ per l’interessato di chiedere la revoca del provvedimento qualora, medio tempore, la pericolositˆ precedentemente accertata sia venuta meno.
DallÕapplicazione dellÕindirizzo illustrato discende la conseguenza che il provvedimento di prevenzione possa essere posto in esecuzione a distanza di tempo rispetto alla sua deliberazione, senza alcun approfondimento in ordine alla persistente pericolositˆ sociale della persona ad essa sottoposta.
Questo tema è stato affrontato dalla Corte costituzionale, con la sentenza n. 291 del 1993, che ha dichiarato la parziale illegittimitˆ dellÕart. 12 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423 (oggi trasfuso nellÕart. 15 del d.lgs. n. 159 del 2011), nella parte in cui non prevede che, nel caso in cui lÕesecuzione di una misura di prevenzione personale resti sospesa a causa dello stato di detenzione per espiazione di pena della persona ad essa sottoposta, lÕorgano che ha adottato il provvedimento di applicazione debba valutare, anche dÕufficio, la persistenza della pericolositˆ sociale dellÕinteressato nel momento dellÕesecuzione della misura.
2.1.2. Tanto premesso, va, in primo luogo, evidenziato che il ricorrente non motiva in ordine alla rilevanza della questione nel caso concreto. Infatti, anche nel paragrafo dedicato alla rilevanza della questione, il ricorrente si limita a ribadire la presunta irragionevolezza della norma, che non prevederebbe l’accertamento dell’attualitˆ della pericolositˆ associata, anche nel caso di sospensione dovuta ad applicazione di una misura cautelare custodiale.
Sul punto, vi è una totale mancanza di argomentazioni, alla quale non pu˜ certo rimediare questa Corte.
Va, in ogni caso, evidenziato che la rilevanza della questione neppure emerge con chiarezza dagli atti nella disponibilitˆ della Corte. Sotto tale profilo, va evidenziato che se è vero che, dalla lettura del decreto, emerge che effettivamente l’imputato si trovava da tempo sottoposto a misura cautelare (che era stata poi revocata), è altrettanto vero che, dal decreto (nella parte in questione richiamata anche nel ricorso), emerge che, nelle more, il preposto sarebbe stato condannato con sentenza passata in giudicato: dunque neanche si capisce bene se egli attualmente si trovi in stato di detenzione per l’esecuzione di quella sentenza.
Il ricorrente neppure deduce in modo specifico che il giudizio di pericolositˆ, se effettuato all’attualitˆ, risulterebbe negativo.
2.1.3. La questione, in ogni caso, è manifestamente infondata.
La questione, essenzialmente, si basa su una presunta sostanziale equiparazione tra la custodia cautelare e lÕespiazione della pena detentiva, dalla quale discenderebbe l’irragionevole disparitˆ di trattamento.
Ebbene, le due situazioni non sembrano perfettamente equiparabili, atteso che le misure cautelari sono sottoposte a termini di fase e a termini massimi, che dovrebbero rendere più rara l’ipotesi di un lungo perdurare di tale stato. Nel caso di pene detentive, invece, potrebbe non esservi alcun limite temporale. Va sottolineata tale differenza, atteso che la Corte costituzionale, proprio nella citata sentenza n. 291 del 1993, nel dichiarare lÕincostituzionalitˆ dellÕart. 12 della legge n. 1423 del 1956, aveva evidenziato la rilevanza del Çdecorso di un lungo lasso di tempoÈ, che Çincrementa la possibilitˆ che intervengano modifiche nellÕatteggiamento del soggetto nei confronti dei valori della convivenza civile: ma a maggior ragione ci˜ vale quando si discuta di persona che, durante tale lasso temporale, è sottoposta ad un trattamento specificamente volto alla sua risocializzazioneÈ.
Tali differenze rendono non irragionevole la scelta discrezionale del legislatore di trattare la posizione della persona sottoposta a misura cautelare in maniera diversa da quella del detenuto in espiazione pena.
2.2. Il secondo motivo è manifestamente infondato.
La Corte di appello, infatti, ha reso una motivazione ampia in ordine all’attualitˆ della pericolositˆ sociale, basando il giudizio soprattutto sui provvedimenti giudiziari, alcuni dei quali recentemente emessi (cfr., in particolare, pagine 24 e ss. del decreto impugnato).
2.3. Il terzo motivo è inammissibile per plurime convergenti ragioni.
In primo luogo, va rilevato che la Corte territoriale dˆ atto che ÇNOME NOME non ha proposto motivi di impugnazione relativi alla misura patrimoniale, con conseguente definitivitˆ della stessa per la parte di interesse dello stessoÈ (cfr. pagina 37 del decreto impugnato).
Sotto altro profilo, va rilevato che il motivo, sebbene ricondotto dal ricorrente anche al vizio di erronea applicazione della legge penale, si riduce a una mera censura, peraltro nel merito, della motivazione del provvedimento.
Al riguardo, va ricordato che, nel procedimento di prevenzione, il ricorso per cassazione è ammesso soltanto per violazione di legge, secondo il disposto dell’art. 10, comma 3, d.lgs. n. 159 del 2011 (e del precedente art. 4 legge 27 dicembre 1956, n. 1423, richiamato dall’art. 3 ter, secondo comma, legge 31 maggio 1965, n. 575). Ne consegue che, in tema di sindacato sulla motivazione, è esclusa dal
novero dei vizi deducibili in sede di legittimitˆ l’ipotesi di cui all’art. 606, lett. e), cod. proc. pen., potendosi esclusivamente denunciare con il ricorso, poichŽ qualificabile come violazione dell’obbligo di provvedere con decreto motivato imposto al giudice d’appello dal comma 9 del predetto art. 4 legge n. 1423 del 56 (ora art. 10, comma 2, d.lgs. 159/2011), il caso di motivazione inesistente o meramente apparente (Sez. U, n. 33451 del 29/05/2014, Repaci, Rv. 260246, che, in motivazione, ha ribadito che non pu˜ essere proposta come vizio di motivazione mancante o apparente la deduzione di sottovalutazione di argomenti difensivi che, in realtˆ, siano stati presi in considerazione dal giudice o comunque risultino assorbiti dalle argomentazioni poste a fondamento del provvedimento impugnato; Sez. 1, n. 6636 del 07/01/2016, COGNOME, Rv. 266365; Sez. 6, n. 50946 del 18/09/2014, COGNOME, Rv. 261590).
Va, in ogni caso, rilevato che la Corte di appello ha motivato, in maniera ampia, sul punto in questione (cfr. pagina 44 del decreto impugnato).
Il ricorso di NOME deve essere dichiarato inammissibile.
L’unico motivo di ricorso è inammissibile sia perchŽ deduce in sostanza un vizio di motivazione, che non è deducibile in materia di misure di prevenzione, sia perchŽ è meramente reiterativo, visto che il ricorrente si limita a riproporre le medesime questioni che avevano giˆ trovato congrua risposta nel provvedimento impugnato (cfr. pagina 40 del decreto impugnato).
Va, infine, rilevato che, come emerge chiaramente dal decreto impugnato, la confisca è stata disposta per sproporzione dei redditi.
Il ricorso di NOME deve essere dichiarato inammissibile.
L’unico motivo di ricorso, in tutte le censure nelle quali si articola, è generico e meramente assertivo. Va peraltro evidenziato che, in sostanza, il ricorrente deduce vizi della motivazione, che non sono deducibili in materia di prevenzione.
Va, infine, rilevato che, come emerge chiaramente dal decreto impugnato, la confisca è stata disposta per sproporzione dei redditi.
Alla declaratoria di inammissibilitˆ dei ricorsi, consegue, ai sensi dellÕart. 616 cod. proc. pen., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della sanzione pecuniaria a favore della cassa delle ammende, che deve determinarsi in euro 3.000,00.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000,00 in favore della cassa delle ammende.
Cos’ deciso, lÕ8 luglio 2025. Il Consigliere estensore Il Presidente NOME COGNOME