Ricorso Inammissibile e Patteggiamento: La Cassazione Fissa i Paletti
L’ordinanza in esame offre un importante chiarimento sui limiti dell’impugnazione delle sentenze di patteggiamento. La Corte di Cassazione ha dichiarato un ricorso inammissibile perché basato su motivi non consentiti dalla legge, ribadendo la natura specifica e circoscritta dei controlli esperibili su questo rito speciale. Il caso riguardava quattro imputati per reati di bancarotta fraudolenta che, dopo aver concordato la pena, hanno tentato di contestarne la congruità davanti alla Suprema Corte.
Il Caso: Dal Patteggiamento al Ricorso in Cassazione
Quattro soggetti, accusati di gravi reati economici quali la bancarotta fraudolenta patrimoniale e impropria, avevano scelto di definire il loro processo attraverso il rito dell’applicazione della pena su richiesta delle parti, comunemente noto come patteggiamento. Questo procedimento, previsto dall’art. 444 del codice di procedura penale, consente di ottenere uno sconto di pena in cambio di una rapida definizione del giudizio.
Tuttavia, successivamente alla sentenza emessa dal Giudice dell’Udienza Preliminare, gli imputati hanno deciso di presentare un unico ricorso in Cassazione, contestando non la legalità della pena, ma la sua congruità, ovvero la sua adeguatezza rispetto alla gravità del fatto, invocando una violazione dell’art. 133 del codice penale.
I Limiti del Patteggiamento e il Ricorso Inammissibile
Il cuore della questione giuridica risiede nelle specifiche limitazioni previste per l’impugnazione delle sentenze di patteggiamento. L’articolo 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale elenca tassativamente i motivi per cui è possibile presentare ricorso in Cassazione. Questi includono:
* Vizi relativi all’espressione della volontà dell’imputato (ad esempio, un consenso non libero).
* Difetto di correlazione tra la richiesta delle parti e la sentenza del giudice.
* Erronea qualificazione giuridica del fatto.
* Illegalità della pena applicata o della misura di sicurezza.
La Corte ha evidenziato come la doglianza dei ricorrenti, centrata sulla supposta non congruità della pena, non rientrasse in nessuna di queste categorie. Discutere se una pena sia ‘giusta’ o ‘proporzionata’ è una valutazione di merito che non può trovare spazio nel giudizio di legittimità su una sentenza di patteggiamento, dove l’accordo sulla pena è il fulcro del rito.
La Decisione della Corte Suprema
La Cassazione, con una motivazione netta e concisa, ha dichiarato il ricorso inammissibile. La decisione si fonda sulla distinzione cruciale tra ‘illegalità’ e ‘incongruità’ della pena. Un conto è una pena illegale (ad esempio, una pena non prevista dalla legge per quel reato), che è un motivo valido per il ricorso. Un altro è una pena ritenuta semplicemente ‘troppo alta’ ma comunque entro i limiti legali, la cui valutazione è preclusa dopo l’accordo tra le parti.
Le Motivazioni
La Corte ha spiegato che, avendo i ricorrenti lamentato la violazione dell’art. 133 c.p. in relazione alla congruità della sanzione, hanno sollevato una questione di merito che esula dai motivi di ricorso consentiti. L’impugnazione prospettava una valutazione sulla ‘giustezza’ della pena, non sulla sua ‘legalità’. Poiché la legge non consente questo tipo di censura per le sentenze di patteggiamento, l’unica conclusione possibile era dichiarare l’inammissibilità del ricorso. Questa decisione è coerente con la giurisprudenza consolidata, che mira a preservare la stabilità degli accordi processuali, ammettendo un controllo solo su vizi di legittimità ben definiti.
Le Conclusioni
Le conseguenze pratiche di questa ordinanza sono significative. In primo luogo, essa ribadisce che la scelta del patteggiamento comporta una rinuncia a contestare nel merito la quantificazione della pena, purché essa rimanga nei binari della legalità. In secondo luogo, la declaratoria di inammissibilità ha comportato la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e di una cospicua somma (quattromila euro) alla Cassa delle ammende. Tale sanzione è giustificata dalla ‘colpa’ dei ricorrenti nell’aver intrapreso un’impugnazione palesemente infondata, un monito contro l’abuso dello strumento processuale. La decisione rafforza quindi la natura deflattiva del patteggiamento, limitando le possibilità di impugnazioni dilatorie o pretestuose.
È possibile impugnare una sentenza di patteggiamento lamentando che la pena concordata è troppo alta?
No, non è possibile. La Corte di Cassazione ha chiarito che si può impugnare una sentenza di patteggiamento solo per i motivi tassativamente elencati dalla legge, tra i quali non rientra la valutazione sulla congruità o ‘giustezza’ della pena concordata tra le parti.
Quali sono i motivi per cui si può fare ricorso in Cassazione contro una sentenza di patteggiamento?
Il ricorso è consentito solo per motivi specifici: problemi legati all’espressione della volontà dell’imputato, mancanza di corrispondenza tra la richiesta e la sentenza, errata qualificazione giuridica del fatto, oppure illegalità della pena o della misura di sicurezza applicata.
Cosa succede quando un ricorso viene dichiarato inammissibile?
La parte che ha proposto il ricorso viene condannata al pagamento delle spese processuali e, come in questo caso, di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende, a titolo sanzionatorio per aver presentato un ricorso manifestamente infondato.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 33237 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 33237 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 09/07/2025
ORDINANZA
sui ricorsi proposti da: NOME nato a SAVONA il 21/01/1981 NOME nato a SAVONA il 10/10/1976 NOME nato a SAVONA il 08/05/1983 NOME COGNOME nato a PONTI il 06/11/1949
avverso la sentenza del 05/03/2025 del GIUDICE COGNOME PRELIMINARE di COGNOME
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Rilevato che NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME ricorrono, con un unico atto, avverso la sentenza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Sav applicato loro la pena ex art. 444 cod. proc. pen. del per i reati di bancarotta fraudolenta patrimoniale e impropria da operazioni dolose;
considerato che:
contro
la sentenza di applicazione della pena su richiesta il ricorso per cassazione consentito «solo per motivi attinenti all’espressione della volontà dell’imputato, al dif correlazione fra la richiesta e la sentenza, all’erronea qualificazione giuridica del fatto ed alla della pena o della misura di sicurezza» (art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen.);
l’impugnazione ha prospettato la violazione dell’art. 133 cod. pen. in ordine alla congrui della pena applicata su richiesta, non denunciandone dunque l’illegalità;
ritenuto che, pertanto, deve essere dichiarata l’inammissibilità dei ricorsi, cui consegue ex art. 616 cod. proc. pen. la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali nonché ravvisandosi profili di colpa in ragione dell’evidente inammissibilità dell’impugnazione (cfr. cost., sent. n. 186 del 13/06/2000; Sez. 1, n. 30247 del 26/01/2016, COGNOME, Rv. 267585 – 01) versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che appare equo determinare in euro quattromila;
ritenuto che, pertanto, deve essere dichiarata l’inammissibilità del ricorso, cui consegue ex art. 616 cod. proc. pen. la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali nonché ravvisandosi profili di colpa in ragione dell’evidente inammissibilità dell’impugnazione (cfr. cost., sent. n. 186 del 13/06/2000; Sez. 1, n. 30247 del 26/01/2016, COGNOME, Rv. 267585 – 01) versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che appare equo determinare in idatt – r0141;1,i – euro EMIIN)
P. Q. M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processua e della somma di euro quattromila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 09/07/2025.