Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 51744 Anno 2019
Penale Ord. Sez. 7 Num. 51744 Anno 2019
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 03/12/2019
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a RIETI il 19/11/1951
avverso la sentenza del 16/11/2018 della CORTE APPELLO di ROMA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
La Corte di Appello di Roma, con sentenza in data 16 novembre 2018, in parziale riforma della sentenza emessa all’esito di giudizio abbreviato dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Rieti in data 17 ottobre 2011, assolveva NOME COGNOME dal reato di cui all’art. 594 cod. pen. perché il fatto non è previsto dalla legge come reato mentre confermava la condanna alla pena ritenuta di giustizia nei confronti del medesimo imputato in relazione al reato di rapina aggravata commesso in data 4 ottobre 2010.
Propone ricorso per cassazione il difensore dell’imputato, deducendo il seguente motivo: violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla ritenuta responsabilità per il reato di rapina in quanto l’unica minaccia rivolta dall’imputato alla persona offesa sarebbe consistita nel prospettarle di colpirla con un asse di legno.
La corte di appello avrebbe travisato e modificato l’illogico assunto del Tribunale secondo il quale lo stesso aveva condannato il COGNOME dopo avere escluso la sussistenza di minaccia con arma che della rapina era un elemento costitutivo necessario. Il fatto imputato al COGNOME potrebbe quindi al più essere qualificato come violazioni della fattispecie di cui agli artt. 624 e 612 cod. pen.
Il ricorso è manifestamente infondato e quindi deve essere dichiarato inammissibile.
Va detto subito che la sentenza impugnata risulta congruamente motivata proprio sotto i profili dedotti da parte ricorrente. Inoltre detta motivazione, non è certo apparente, né “manifestamente” illogica e tantomeno contraddittoria.
Per contro deve osservarsi che parte ricorrente, sotto il profilo del vizio di motivazione e dell’asseritamente connessa violazione di legge nella valutazione del materiale probatorio, tenta in realtà di sottoporre a questa Corte di legittimità un nuovo giudizio di merito.
Al Giudice di legittimità è infatti preclusa – in sede di controllo della motivazione la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti e del relativo compendio probatorio, preferiti a quelli adottati dal giudice del merito perché ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa. Tale modo di procedere trasformerebbe, infatti, la Corte nell’ennesimo giudice del fatto, mentre questa Corte Suprema, anche nel quadro della nuova disciplina introdotta dalla legge 20 febbraio 2006 n. 46, è – e resta giudice della motivazione.
In sostanza, in tema di motivi di ricorso per cassazione, non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo; per cui sono inammissibili tutte le doglianze che “attaccano” la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti
sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento (Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015, Rv. 262965). Corretta, sulla base degli elementi accertati nel corso dei giudizi di merito e riportati in sentenza, è quindi la qualificazione del fatto come rapina.
Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità emergenti dal ricorso (Corte cost. 13 giugno 2000, n. 186), al versamento della somma, che si ritiene equa, di euro tremila a favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
ammende. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di tremila euro alla Cassa delle