Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 21595 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 21595 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 07/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a GENOVA il 07/10/1992
avverso la sentenza del 03/12/2024 della CORTE D’APPELLO DI MILANO
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Rilevato che NOME COGNOME ricorre avverso la sentenza della Corte di Appello di Milano, che ha confermato quella del Tribunale di Como in ordine al reato di tentato furto in abitazione, condannando il ricorrente alla pena di mesi otto di reclusione ed euro 300,00 di multa;
Considerato che il difensore ha depositato istanza di adesione all’astensione per l’odierna udienza e che, pacificamente, nel caso di rito camerale senza partecipazione delle parti, come è quello in esame, è priva di effetti l’istanza di rinvio presentata dal difensore, non avendo l’ist diritto di partecipare all’udienza camerale, pervenuta in data successiva alla scadenza del termine per presentare le proprie conclusioni (cfr. Sez. 5, n. 26764 del 20/04/2023, COGNOME, Rv. 284786 – 01; conf.: N. 42081 del 2021 Rv. 282067 – 01);
Considerato che il primo motivo di ricorso – che lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al riconoscimento dell’imputato da parte della persona offesa in ordine al delitto di tentato furto ex artt. 56 e 624-bis cod. pen. – è in parte non consentito e in manifestamente infondato; quanto alla violazione di legge, non è deducibile in relazione all’asserito malgoverno delle regole di valutazione della prova contenute nell’art. 192 c.p.p ovvero della regola di giudizio di cui all’art. 533 dello stesso codice, non essendo l’inosservanz delle suddette disposizioni prevista a pena di nullità, inutilizzabilità, inammissibilità o decaden come richiesto dall’art. 606 lett. c) c.p.p. ai fini della deducibilità della violazione d processuale (ex multis Sez. 3, n. 44901 del 17 ottobre 2012, F., Rv. 253567; Sez. 3, n. 24574 del 12/03/2015, COGNOME e altri, Rv. 264174; Sez. 1, n. 42207/17 del 20 ottobre 2016, COGNOME e altro, Rv. 271294; Sez. 4, n. 51525 del 04/10/2018, M., Rv. 274191; Sez. U, Sentenza n. 29541 del 16/07/2020, NOME, Rv. 280027). Né vale in senso contrario la qualificazione del vizio
dedotto operata dal ricorrente come error in iudicando in iure ai sensi della lett. b) dell’art. 606 c.p.p., posto che tale disposizione, per consolidato insegnamento di questa Corte, riguarda solo l’errata applicazione della legge sostanziale, pena, altrimenti, l’aggiramento del limite (pos dalla citata lett. c) dello stesso articolo) della denunciabilità della violazione di norme process solo nel caso in cui ciò determini una invalidità (ex multis Sez. 3, n. 8962 del 3 luglio 1997, COGNOME, Rv. 208446; Sez. 5, n. 47575 del 07/10/2016, P.M. in proc. COGNOME e altri, Rv. 268404); quanto al vizio di motivazione, l’argomentazione della sentenza impugnata (cfr. pagg. 4-5) non presenta alcun vizio riconducibile alla nozione di manifesta illogicità e contraddittorietà: la Co territoriale ha vagliato approfonditamente le dichiarazioni rese dalla persona offesa che hanno portato alla individuazione fotografica del ricorrente. In particolare, in sede di individuazi fotografica la persona offesa ha riconosciuto nell’imputato il soggetto che si è introdotto nel propria abitazione, senza lasciare spazio a dubbi di alcuna sorta. La Corte territoriale h valorizzato l’atto di individuazione svolto durante le indagini, ben cinque anni prim dell’escussione dibattimentale, dando conto delle ragioni di attendibilità del riconoscimento offrendo un ragionamento congruo, esente dai vizi logico-giuridici paventati dal ricorrente, come pure in linea con il principio per cui il giudice di merito può trarre il proprio convincimento an da ricognizioni non formali (quale, appunto, l’individuazione fotografica), utilizzabili in virt principi di non tassatività dei mezzi di prova e del libero convincimento del giudice, atteso c la valenza dimostrativa della prova sta non nell’atto in sé, bensì nella testimonianza che rende conto dell’operazione ricognitiva (Sez. 4 n. 25658 del 27 giugno 2011, COGNOME, non massimata; Sez. 2 n. 33567 del 13 maggio 2009, COGNOME, non massimata). In tali ipotesi i verbali di individuazione non sono acquisibili per il tramite delle contestazioni a norma dell’a 500 c.p.p.: non di meno è indubbio che l’esame testimoniale ben può svolgersi anche sulle modalità della pregressa individuazione, al fine di procedere ad una valutazione globale di chi rende la dichiarazione (Sez. 2 n. 16204 del 11 marzo 2004, COGNOME, rv. 228777). E ciò in quanto l’individuazione di un soggetto – sia personale che fotografica – è una manifestazione riproduttiva di una percezione visiva e rappresenta, una specie del più generale concetto di dichiarazione; pertanto la sua forza probatoria non discende dalle modalità formali del riconoscimento, bensì dal valore della dichiarazione confermativa, alla stessa stregua della deposizione testimoniale (Sez. 6 n. 6582/08 del 5 dicembre 2007, Major, rv. 239416). Per altro il motivo è aspecifico, in quanto, qualora la prova travisata abbia natura dichiarativa, il ricorr ha l’onere di riportarne integralmente il contenuto, non limitandosi ad estrapolarne alcuni bran – come accade con il presente ricorso – ovvero a sintetizzarne il contenuto, giacché così facendo viene impedito al giudice di legittimità di apprezzare compiutamente il significato probatorio dell dichiarazioni e, quindi, di valutare l’effettiva portata del vizio dedotto (ex multis Sez. 4 n. 37982 del 26 giugno 2008, COGNOME, rv 241023; Sez. 3, n. 19957/17 del 21 settembre 2016, COGNOME, Rv. 269801); Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Considerato che il secondo motivo di ricorso – che lamenta violazione di legge in relazione alla mancata derubricazione del fatto nell’ipotesi di cui all’art. 614 c.p. – è manifestamen
infondato. La Corte territoriale ha offerto una motivazione congrua ed esente da vizi logici valorizzando la condotta dell’imputato, che suonando più volte il campanello, per accertarsi
dell’assenza di persone all’interno dell’abitazione, si allontanava per poi rientrare subito dop insieme ad un complice nell’abitazione scavalcando la cancellata, così manifestando la volontà
inequivoca di introdursi all’interno dell’immobile proprio al fine di commettere un furto.
ricordato che ai fini di una corretta applicazione dell’art. 56 cod. pen. occorre ricostruir volontà teleologica dell’agente, utilizzando tutti gli elementi e le circostanze che
accompagnano e che eventualmente la colorano di univocità, sul che correttamente argomenta la sentenza impugnata, a fronte del consolidato orientamento di questa Corte di legittimità che
ha precisato, con riguardo alla intenzione di commettere un delitto di furto e non semplicemente di introdursi nell’altrui dimora per altri scopi, che acquistano rilievo la considerazione ch
introduzione occulta nell’altrui abitazione non può presumersi come fine a sé stessa e la plausibilità delle giustificazioni fornite dall’agente (cfr. in tal senso Sez. 6, n. 110
09/10/1996, COGNOME, Rv. 206437 – 01; conf. Sez. 2, n. 8783 del 05/05/1987, COGNOME, Rv.
176472 – 01; di recente, fra le altre, Sez. 7, n. 45360 del 2024; Sez. 7, n. 35528 del 2023; Sez.
4, n. 4171 del 2023);
Considerato che il terzo motivo di ricorso – che lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche ex art. 62-bis cod. pen. – è manifestamente infondato atteso che il provvedimento impugnato fornisce sufficiente giustificazione della sua decisione, ancorandola in maniera tutt’altro che illogica a ritenuta gravità della condotta, posta in essere con modalità sintomatiche della professionalità dell’autore nella commissione di reati contro il patrimonio, attenendosi ai principi afferma costantemente da questa Corte, per cui il diniego delle attenuanti generiche può essere legittimamente fondato anche sull’apprezzamento di un solo dato negativo, oggettivo o soggettivo, che sia ritenuto prevalente rispetto ad altri elementi (Sez. 6 n. 8668 del 28 maggio 1999, COGNOME, rv 214200) e secondo la quale tale dato può essere costituito anche dalla valutazione della gravità del fatto, che è uno degli indici normativi dettati per la determinazi del trattamento sanzionatorio (Sez. 3 n. 11963/11 del 16 dicembre 2010, p.g. in proc. Picaku, rv 249754).
Rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese proce e della somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 7 maggio 205