Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 7330 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 7330 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 21/11/2023
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
COGNOME NOME NOME NOME DATA_NASCITA
NOME NOME il DATA_NASCITA
COGNOME NOME il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 30/03/2022 della Corte di appello di Bologna visti gli atti, il provvedimento impugNOME e il ricorso;
udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità dei ricorsi proposti da NOME COGNOME ed NOME COGNOME e l’accoglimento del ricorso proposto da NOME.
RITENUTO IN FATTO
NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME, a mezzo dei rispettivi difensori, propongono ricorso per cassazione avverso la sentenza del 30 marzo 2022 con la quale la Corte di Appello di Bologna, in parziale riforma della sentenza emessa, in data 25 febbraio 2021, dal Tribunale di Modena, li ha condannati per il reato di cui all’art. 648 cod. pen., previa assoluzione della sola NOME dal reato di cui al capo B).
Il ricorrente COGNOME, con il primo motivo di impugnazione, lamenta violazione dell’art. 533 cod. proc. pen., violazione del principio dell’oltre ogni ragionevole
dubbio e carenza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in ordine alla penale responsabilità dell’imputato.
Gli elementi indiziari posti a fondamento della decisione sarebbero inidonei a dimostrare il coinvolgimento del ricorrente nella ricettazione di cui al capo G), i giudici di appello avrebbero desunto la responsabilità del COGNOME esclusivamente dal rinvenimento dei monili ricettati all’interno della autovettura di servizio, senza tenere conto che il ricorrente prima dell’ingresso in auto non è stato perquisito e che il ritrovamento dei monili è avvenuto solo in un momento successivo.
Il ricorrente, con il secondo motivo di impugnazione, lamenta inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 62-bis, 81 e 133 cod. pen. nonché carenza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in ordine alla determinazione del trattamento sanzioNOMErio.
La Corte territoriale, con motivazione insufficiente, avrebbe rigettato la richiesta di concessione delle attenuanti generiche senza tenere conto del comportamento collaborativo tenuto dal ricorrente.
Il ricorrente COGNOME, con il primo motivo di impugnazione, lamenta inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 648 cod. pen. e dell’art. 192 cod. pen. nonché illogicità della motivazione in ordine alla penale responsabilità dell’imputato.
La Corte territoriale, con motivazione illogica e presuntiva, avrebbe desunto la responsabilità del NOME esclusivamente dal fatto che i beni ricettati sono stati rinvenuti all’interno dell’abitazione del ricorrente senza tenere conto che la maggior parte dei preziosi è stata rinvenuta nelle stanze dei soggetti da lui ospitati.
Il ricorrente COGNOME, con il secondo motivo di impugnazione, lamenta carenza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in ordine alla determinazione del trattamento sanzioNOMErio.
I giudici di appello, con percorso argomentativo contraddittorio, avrebbero valorizzato il cospicuo valore dei beni ricettati nonostante l’istruttoria non abbia fornito alcun elemento concreto in ordine al valore venale dei beni di cui al capo di imputazione
La ricorrente COGNOME, con il primo motivo di impugnazione, lamenta l’inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 648 cod. pen. e la carenza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in ordine alla sussistenza del dolo specifico del reato di ricettazione
L’imputata, a differenza da quanto apoditticamente affermato dalla Corte territoriale, avrebbe fornito una valida spiegazione del possesso dell’anello
indicato al capo A) che le sarebbe stato consegNOME dal RAGIONE_SOCIALE in cambio dei servizi domestici resi in suo favore, l’anello peraltro era conservato insieme agli altri preziosi indicati al capo B) in relazione ai quali la ricorrente è stata assolta.
La motivazione sarebbe carente in quanto i giudici di appello non avrebbero spiegato come la ricorrente avrebbe dovuto avvedersi dell’origine illecita dell’anello rinvenuto nella sua disponibilità, consegNOMEle da una persona cui era legata da rapporto di amicizia con cui conviveva all’epoca dei fatti.
A giudizio della difesa mancherebbe, inoltre, prova che la ricorrente accettando l’anello abbia accettato il rischio che lo stesso provenisse da delitto e che l’accettazione fosse fondata su un fine di profitto.
La ricorrente, con il secondo motivo di impugnazione, lamenta l’inosservanza dell’art. 131-bis cod. pen. e l’assenza di motivazione in ordine alla richiesta di riconoscimento della causa di non punibilità della tenuità del fatto avanzata dalla difesa in sede di discussione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Appare opportuno premettere in via AVV_NOTAIO che, quanto alle statuizioni oggetto degli odierni ricorsi, si è in presenza di una c.d. doppia conforme con la conseguenza che le due sentenze di merito possono essere lette congiuntamente costituendo un unico corpo decisionale, essendo stato rispettato sia il parametro del richiamo da parte della sentenza d’appello a quella del Tribunale sia l’ulteriore parametro costituito dal fatto che entrambe le decisioni adottano i medesimi criteri nella valutazione delle prove (Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, COGNOME, Rv. 257595, Sez. 2, n. 6560 del 08/10/2020, COGNOME, Rv. 280654 – 01).
È, infatti, giurisprudenza pacifica della Suprema Corte che la sentenza appellata e quella di appello, quando non vi è difformità sui punti denunciati, si integrano vicendevolmente, formando un tutto organico ed inscindibile, una sola entità logico- giuridica, alla quale occorre fare riferimento per giudicare della congruità della motivazione, integrando e completando con quella adottata dal primo giudice le eventuali carenze di quella di appello (Sez. U, n. 6682 del 04/02/1992, COGNOME, Rv. 191229; Sez. 2, n. 19411 del 12/03/2019, COGNOME, Rv. 276062, in motivazione; Sez. 2, n. 29007 del 09/10/2020, COGNOME, non mass.).
Deve essere preliminarmente evidenziato che i motivi dei ricorsi rispettivamente proposti da NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME riguardanti la penale responsabilità degli imputati, sono aspecifici in quanto reiterativi di medesime doglianze inerenti alla ricostruzione dei fatti e
all’interpretazione del materiale probatorio già espresse in sede di appello ed affrontate in termini precisi e concludenti dalla Corte territoriale.
Inoltre, le doglianze dedotte sono articolate in fatto e, quindi, proposte al di fuori dei limiti del giudizio di legittimità, restando estranei ai poteri della Corte di Cassazione quello di una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti.
Ciò premesso, è possibile passare all’esame dei singoli motivi dei ricorsi proposti dagli imputati.
Il primo motivo di impugnazione dedotto da NOME COGNOME è aspecifico e non consentito.
Il compendio probatorio correttamente riportato nelle sentenze di merito, in mancanza di giustificazioni alternative valide e dotate di un minimo di ragionevolezza, ha indotto i giudici di appello ad affermare la responsabilità del COGNOME in ordine al reato di ricettazione dei beni di provenienza delittuosa rinvenuti all’interno dell’autovettura di servizio della RAGIONE_SOCIALE Mobile di Modena (vedi pagg. 4, 5 ed 11 della sentenza di primo grado e pagg. 2 e 3 della sentenza impugnata).
In particolare, la Corte territoriale ha ritenuto del tutto irragionevole quanto prospettato nell’atto di appello in ordine alla possibilità che i beni fossero stati abbandonati nella vettura da altri non meglio identificati soggetti senza che di ciò si avvedessero gli operanti, motivazione che non può esser rivalutata, in questa sede, non essendo i giudici di merito incorsi in contraddizioni o illogicità manifeste.
L’errore di impostazione nel quale cade il ricorrente è quello di far leva su un elemento del tutto ipotetico e cioè su considerazioni generiche ed astratte; abbandonando il piano dell’esperienza fenomenica per privilegiare ipotesi alternative e ciò all’evidente scopo di tacciare di illogicità manifesta il governo dei fatti positivamente accertati e sollecitare una diversa interpretazione e valutazione del compendio probatorio, inammissibile in questa sede.
Il secondo motivo di impugnazione dedotto da NOME COGNOME è generico aspecifico non risultando adeguatamente enunciati e argomentati rilievi critici rispetto alle ragioni poste a fondamento del mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e della determinazione del trattamento sanzioNOMErio.
4.1. I giudici di appello hanno correttamente valorizzato, ai fini del diniego, la gravità dei fatti desumibile dal congruo numero di preziosi ricettati e l’intensa capacità criminale del ricorrente desumibile dai plurimi precedenti penali e dalla assoluta assenza di resipiscenza (vedi pag. 4 della sentenza impugnata).
Deve esser, peraltro, ribadito il principio affermato da questa Corte secondo cui non è necessario che il giudice di merito, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che, come nel caso di specie, la motivazione faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione (Sez. 3, n. 2233 del 17/06/2021, COGNOME, Rv. 282693 – 01; Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, COGNOME, Rv. 279549 – 02).
4.2. In relazione all’ulteriore doglianza in tema di determinazione del trattamento sanzioNOMErio deve essere rimarcato che, la Corte di merito ha ritenuto congrua la pena determinata dal primo giudice in anni 2 e mesi 3 di reclusione ed euro 1.000,00 di multa per il reato continuato di ricettazione contestato al ricorrente con motivazione sintetica ma esente da illogicità (vedi pag. 4 della sentenza impugnata).
Il riferimento contenuto nella sentenza impugnata alla congruità della pena è conforme al consolidato orientamento di questa Corte secondo il quale l’obbligo di una motivazione rafforzata sussiste solo allorché la pena si discosti significativamente dal minimo edittale, mentre, laddove venga irrogata, come nel caso di specie, una pena al di sotto della media ed un aumento minimale a titolo di continuazione, è sufficiente il richiamo al criterio di adeguatezza della pena, nel quale sono impliciti gli elementi di cui all’art. 133 cod. pen. (Sez. 3, n. 29968 del 22/02/2019, COGNOME, Rv. 276288 – 01; Sez. 5, n. 47783 del 27/10/2022, COGNOME, non massimata).
Peraltro, la difesa si è limitata a sostenere la carenza e manifesta illogicità della motivazione inerente alla determinazione della pena, rassegnando poi le conclusioni favorevoli al proprio assistito, senza indicare i motivi per cui la pena individuata sarebbe incongrua e senza prendere specifica posizione sulle considerazioni della Corte territoriale in ordine all’adeguatezza della pena applicata.
Deve essere ricordato, inoltre, che la graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti a titolo di continuazione, rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che la esercita, così come per fissare la pena base, in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen.; ne discende che è inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruità della pena la cui determinazione, sorretta da sufficiente motivazione, non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico (Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, Mastro, Rv. 271243; Sez. 2, n. 47512 del 03/11/2022, COGNOME, non massimata).
5. Il primo motivo di impugnazione dedotto da NOME COGNOME è aspecifico e non consentito.
Entrambe le sentenze hanno dato adeguatamente conto delle ragioni che hanno indotto i giudici di merito ad affermare che l’imputato abbia commesso il reato di ricettazione di cui ai capi E) ed F) a seguito di una valutazione degli elementi probatori che appare rispettosa dei canoni di logica e dei principi di diritto che governano l’apprezzamento delle prove.
La Corte territoriale, con motivazione priva di illogicità manifeste e congrua rispetto alle risultanze processuali, che riprende le argomentazioni dal Giudice di primo grado come è fisiologico in presenza di una doppia conforme, ha correttamente indicato e valutato gli elementi probatori ritenuti idonei a dimostrarne il coinvolgimento nella significativa attività di ricettazione delle centinaia di beni preziosi rinvenuti all’interno dell’abitazione nella sua disponibilità, rimarcando che NOME non è stato in grado di fornire alcuna giustificazione in ordine alla provenienza dei numerosi gioielli rinvenuti nella sua stanza da letto e nel suo armadio personale e ritenendo del tutto irragionevole che l’imputato non fosse a conoscenza della presenza in casa della moltitudine di preziosi sottoposta a sequestro (vedi pagg. 4 e 5 della sentenza oggetto di ricorso e pagg. 8 e 9 della sentenza di primo grado).
Il ricorrente, invocando una rilettura di elementi probatori estranea al sindacato di legittimità, chiede a questa Corte di entrare nella valutazione dei fatti e di privilegiare, tra le diverse ricostruzioni, quella a lui più gradita, senza confrontarsi con quanto motivato dalla Corte territoriale al fine di confutare le censure difensive prospettate in sede di appello e con le emergenze probatorie determinanti per la formazione del convincimento dei giudici di merito .
Il secondo motivo di impugnazione dedotto da NOME è aspecifico e non consentito.
Deve essere preliminarmente sottolineato che i giudici di merito hanno determiNOME la pena nel minimo edittale ed applicato una riduzione per la concessione delle attenuanti generiche pari a mesi 6 di reclusione.
I giudici di appello hanno ritenuto corretta la scelta del primo giudice di riduzione la pena in misura inferiore alla riduzione pari ad un terzo prevista dall’art. 62-bis cod. pen. in considerazione del «cospicuo valore del compendio nella disponibilità dell’appellante» (vedi pag. 5 della sentenza impugnata), motivazione che, diversamente da quanto affermato dal ricorrente, non appare contraddittoria in considerazione dell’elevatissimo numero di beni preziosi ricettati dall’imputato.
Il primo motivo di impugnazione dedotto da COGNOME NOME è aspecifico.
I giudici di merito, con percorsi argomentativi sovrapponibili e privi di manifesta illogicità, hanno desunto la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato di ricettazione dell’anello di provenienza furtiva descritto nel capo A) dalla ritenuta inattendibilità della versione fornita dalla ricorrente in ordine ai motivi di ricezione di tale gioiello (vedi pagg. 5, 7 ed 8 della sentenza di primo grado nonché pagg. 5 e 6 della sentenza oggetto di ricorso).
Entrambe le sentenze, con il supporto di motivazioni esenti da criticità giustificative, hanno correttamente applicato l’art. 648 cod. pen., aderendo al consolidato orientamento della Corte di Cassazione, per il quale, ai fini della configurabilità del reato di ricettazione, la prova dell’elemento soggettivo può essere raggiunta anche sulla base dell’omessa o non attendibile indicazione della provenienza della cosa ricevuta, la quale è sicuramente rivelatrice della volontà di occultamento, logicamente spiegabile con un acquisto in mala fede (vedi Sez. 2, n. 20193 del 19/04/2017, Kebe, Rv. 270120- 01; da ultimo Sez. 2, n. 26881 del 25/05/2022, COGNOME, non massimata).
Il ricorso, a fronte della ricostruzione e della valutazione adottata dai giudici di appello, non offre la compiuta rappresentazione e dimostrazione, di alcuna evidenza (pretermessa ovvero infedelmente rappresentata dal giudicante) di per sé dotata di univoca, oggettiva e immediata valenza esplicativa, tale, cioè, da disarticolare, a prescindere da ogni soggettiva valutazione, il costrutto argomentativo della decisione impugnata, per l’intrinseca incompatibilità degli enunciati.
8. Il secondo motivo del ricorso dedotto da COGNOME NOME è fondato.
La sentenza di appello è priva di qualunque valutazione in ordine al motivo di appello con il quale era stato richiesto il riconoscimento della causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis cod. pen., né dal percorso argomentativo posto a fondamento dell’affermazione di responsabilità è possibile evincere elementi utili per effettuare la valutazione in ordine alla concessione del beneficio direttamente in sede di legittimità.
Ne deriva che sul punto la sentenza deve essere annullata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di Appello di Bologna; i giudici di appello verificheranno se vi siano o meno i presupposti per l’applicabilità della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto.
All’inammissibilità dei ricorsi consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna di COGNOME NOME e NOME COGNOME al pagamento delle spese del procedimento nonché, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento in favore della cassa delle ammende della somma di euro tremila, così equitativamente fissata.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di NOME limitatamente all’art. 131-bis con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di Appello di Bologna. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso. Dichiara inammissibili i ricorsi di COGNOME NOME e NOME COGNOME che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 21 novembre 2023
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