Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 26564 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 26564 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 16/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da NOME COGNOME nato il 25/05/1952 a Naso (ME) avverso il decreto del 02/07/2024 della Corte d’appello di Reggio Calabria.
Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilita del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con il provvedimento impugnato la Corte di appello di Reggio Calabria ha respinto l’istanza di revocazione, formulata ai sensi dell’art. 28 d. Igs. 6 settembre 2011, n. 159, della misura di prevenzione patrimoniale della confisca, disposta dal Tribunale di Messina nei confronti di COGNOME con decreto in data 23 luglio 2020, avente ad oggetto le società e i beni mobili e immobili, ivi analiticamente
specificati, confermata dalla Corte d’appello di Messina con decreto del 29 ottobre 2021, con la sola eccezione di un’automobile e di una società, per i quali beni era stata disposta la revoca e la restituzione agli aventi diritto.
La Corte territoriale disattendeva le affermazioni difensive secondo cui sussistevano i presupposti della revocazione. In particolare, riteneva che il novum su cui si fondava la richiesta, ossia l’intervenuta assoluzione, con sentenza emessa dal Tribunale di Patti il 21 dicembre 2022, per non avere commesso il fatto, dal reato di usura contestato a COGNOME al capo a) del proc. n. 3256/2006 R.g.n.r., in concorso con NOME COGNOME e NOME COGNOME, viceversa condannati, non fosse idoneo a sovvertire il giudizio di pericolosità generica relativo al proposto, che rimaneva fondato su gravi indizi di commissione di numerosi reati analiticamente indicati nel provvedimento definitivo di confisca della Corte di appello di Messina del 29 ottobre 2021. Ritenevano i Giudici della prevenzione che, pur elidendo il predetto reato di usura, in ragione del tenore di vita e dei beni acquistati nel perimetro temporale 1998-2010, il proposto e i suoi familiari avessero vissuto, quantomeno in buona parte, con i proventi delle attività delittuose di usura, intermediazione creditizia e finanziaria illecita, falso e truffa per il conseguimento di erogazioni pubbliche, dichiarazione fraudolenta mediante impiego di fatture per operazioni inesistenti, così dome descritti e ricostruiti nel decreto di prevenzione. Tali reati erano perfettamente idonei a incrementare redditi illeciti, tanto da avere trovato riscontro nella ingente movimentazione di denaro operata sui conti del proposto, non altrimenti giustificata nel corso del giudizio di prevenzione.
2. Il difensore di COGNOME ha proposto ricorso per cassazione avverso detto decreto, censurandone con un unico e articolato motivo la violazione di legge, poiché la Corte territoriale non avrebbe adeguatamente verificato la sussistenza dei presupposti della revocazione della confisca. Il percorso argomentativo del provvedimento impugnato si assume viziato nel momento in cui non tiene conto che il decreto n. 23 del 2021 della Corte messinese aveva ritenuto assai significativa la pendenza del procedimento per usura in danno dell’imprenditore COGNOME, successivamente definito con sentenza di assoluzione per non avere commesso il fatto. Si trattava addirittura dell’elemento in base al quale la manifestazione di pericolosità era stata estesa al di là dell’unico episodio oggetto di accertamento, risalente al 1998. Il fatto nuovo rappresentato dalla sentenza assolutoria determina quindi una profonda differenza rispetto alla originaria prospettazione. Una diversa conclusione porterebbe a valorizzare condotte prive di esiti dibattimentali, alle quali rimarrebbe affidata la prova della pericolosità del ricorrente. Così come, sotto diverso profilo, l’estensione della manifestazione di pericolosità deriverebbe dalle
condotte contestate nel procedimento definito con sentenza n. 517/2019, senza alcuna accertata forma di arricchimento.
3.11 P.G. ha concluso per la declaratoria d’inammissibilità del ricorso, ritenendone la manifesta infondatezza per ogni profilo.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile, in quanto manifestamente infondato.
La Corte d’appello di Reggio Calabria ha fatto buon governo della normativa di cui all’art. 28 d.lgs. n. 159 del 201:L, restituendo una anaiisi puntuaie dei perimetro e della natura dell’indagine, secondo i principi stabiliti in materia dalla giurisprudenza di legittimità e costituzionale.
La Corte si misura attentamente con il contenuto della pronuncia assolutoria che, secondo itricorrente, costituirebbe un fatto nuovo in grado di stravoigere ragionamento che nel 2021 aveva condotto i Giudici del merito a disporre la confisca.
La Corte di appello di Reggio Calabria analizza con ragionamento conserenziale e privo di fratture logiche la portata della pronuncia assolutoria disposta dal Tribunale di Patti in favore del proposto, divenuta irrevocabile nel 2023. I Giudici della prevenzione ne hanno valutato l’impatto sul bilancio di pericolosità relativo a COGNOME rispetto alle considerazioni e alle argomentazioni che avevano caratterizzato il decreto di confisca della Corte di appello di Messina del 29 ottobre 2021, confermativo di quello del locale Tribunale del 23 luglio 2020 (cfr. pagg. 14-16).
Il ricorrente contesta in modo generico il ragionamento seguito dalla Corte territoriale, senza tuttavia scardinarlo, contrapponendo la propria alternativa valutazione.
Viceversa, la decisione impugnata sviluppa con logiche argomentazioni i motivi per cui la dimostrazione della pericolosità sociale del proposto e la sua relativa perimetrazione, come cristallizzate nel giudicato di confisca, non vengono messe in crisi dal novum costituito dalla sentenza assolutoria. Detta pronuncia elide un segmento circoscritto e specifico, ma non modifica sostanzialmente il delineato quadro di pericolosità. Dopo la precedente, definitiva condanna per il delitto di usura commesso nel 1998, conseguente anche alle dichiarazioni del collaboratore di giustizia NOME COGNOME circa l’attività usuraria in danno di COGNOME, è emersa una attività illecita di concessione di prestiti da parte di COGNOME dal 2003 al 2010. Sottolinea la Corte che l’imponente movimentazione di denaro eseguita dal proposto in quel
periodo, trova giustificazione nella illecita intermediazione del credito, attività dalla quale COGNOME ha potuto trarre guadagni significativi, proporzionati alla
movimentazione di circa 800.000 euro l’anno, fino al 2010. Detta vicenda, autonomamente vagliata in sede di prevenzione per via della prescrizione del reato
pronunciata nel processo penale, ha consentito di delimitare il periodo di attività
illecita e la corrispondente pericolosità sociale dal 1998 al 2010. Tali dati non sono intaccati dalla pronuncia assolutoria relativa all’usura in danno dell’imprenditore
NOME, relativa a un fatto circoscritto sia cronologicamente che soggettivamente.
L’attività illecita di intermediazione finanziaria e concessione prestiti, le false fatturazioni, truffa e usura, come dettagliatamente rappresentate nel
provvedimento di confisca della Corte messinese del 29 ottobre 2021 costituiscono solide dimostrazioni di pericolosità, confermando anche in relazione al segmento
cronologico 2003-2010 la produzione di redditi illeciti, che si salda con quella emersa con riferimento al precedente periodo, dimostrando che il proposto e i suoi
familiari hanno vissuto, quantomeno in buona parte, con i proventi delle attività
delittuose di usura, intermediazione creditizia e finanziaria illecita, falso e truffa per il conseguimento di erogazioni pubbliche, dichiarazione fraudolenta mediante impiego di fatture per operazioni inesistenti, così dome descritti e ricostruiti nel decreto di prevenzione.
Trattasi, a ben vedere, di apprezzamenti fattuali che, siccome congruamente giustificati con coerente apparato argomentativo e corretti in linea di diritto, non sono sindacabili in sede di controllo di legittimità del provvedimento impugnato.
Alla stregua delle suesposte considerazioni, il ricorso va dichiarato inammissibile con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma ritenuta equa di tremila euro alla Cassa delle ammende.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso il 16/06/2025