Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 26167 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 26167 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 21/05/2025
SENTENZA
Sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a Altamura il 11/05/1965
avverso la sentenza emessa in data 08/11/2024 dalla Corte di appello di Potenza;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
preso atto che il difensore della parte civile Comune di Bari ha avanzato rituale richiesta di trattazione orale secondo quanto disposto dagli artt. 610, commi 1 e 5 e 611, comma 1, cod. proc. pen.;
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
udita la requisitoria del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME che ha chiesto la declaratoria di inammissibilità del ricorso, riportandosi alle conclusioni scritte già depositate;
udito il difensore dalla parte civile Comune di Bari, avv. NOME COGNOME che ha chiesto la declaratoria di inammissibilità o rigetto del ricorso e ha depositato conclusioni scritte con nota spese;
udito il difensore, nominato d’ufficio, del ricorrente, avv. NOME COGNOME che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Potenza respingeva l’istanza di revisione presentata da NOME COGNOME, ai sensi dell’art. 630, comma 1, lett. C), cod. proc. pen. in relazione:
-alla sentenza emessa dal Tribunale di Lecce in data 13/07/2018 che lo aveva condannato, in qualità di coordinatore dei giudici di pace di Modugno, alla pena di anni sei di reclusione per i reati di cui agli artt. 416, 319 ter e 479 cod. pen., di cui ai capi A), D), E), G), I), L), e CC), oltre al risarcimento del danno in favore del comune di Bari, costituto parte civile in relazione all’addebito di cui al capo
A);
-alla sentenza emessa dalla Corte di appello di Lecce in data 18/03/2021 che, in parziale riforma della pronuncia di cui sopra, aveva dichiarato estinti per intervenuta prescrizione i delitti di cui ai capi A), E), I) e L), con conseguente rideterminazione della pena in anni quattro mesi dieci di reclusione per le residue imputazioni D), G), CC) e conferma delle statuizioni civili in favore del Comune di Bari disposte a suo carico; con sentenza della Corte di Cassazione in data 05/07/2022 tale pronuncia di secondo grado era annullata senza rinvio, agli effetti penali, per estinzione anche dei reati di cui ai capi D), G) e CC) per prescrizione, ferme le statuizioni civili.
Ha proposto ricorso per cassazione, tramite procuratore speciale, COGNOME Vito articolando due motivi.
2.1. Con il primo motivo si deduce, a i sensi dell’art. 606 , comma 1 lett. b) ed e) cod. proc. pen., la violazione de ll’art. 6 CEDU, nonché la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata.
Rileva il ricorrente che la Corte di appello ha ‘confusamente motivato’ il rigetto dell’istanza di revisione; nonostante la chiarezza delle argomentazioni sviluppate con tale richiesta, ha travisato e ‘clamorosamente’ frainteso (scambiandola come istanza di estromissione dal giudizio penale del comune di Bari, quale parte civile) la richiesta con la quale ci si doleva della mancata revoca (operata, invece, per la coimputata COGNOME) delle statuizioni civili disposte dal Tribunale nei confronti di COGNOME, il quale, nella sua veste di giudice di pace, mai aveva pronunciato sentenza in pregiudizio di tale ente; ha erroneamente ritenuto non indispensabili l’acquisizione delle videoriprese registrate all’interno dello studio professionale di COGNOME che, invece, avrebbero permesso di accertare l’inesistenza di provvedimenti adottati in pregiudizio , appunto, del comune di Bari.
2.2. Con il secondo motivo si deduce, a i sensi dell’art. 606 , comma 1 lett. b) ed e) cod. proc. pen., la violazione dell’art. 6 33 del codice di rito, nonché la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione per omessa valutazione delle prove nuove e di quelle richieste ed acquisite nel giudizio di merito, idonee a dimostrare l’insussistenza del reato associativo di cui al capo A) e comunque ad escluderne la partecipazione di COGNOME al quale è stato attribuito il ruolo di promotore.
Rileva il ricorrente che gli indizi indicati nella comunicazione di notizia di reato a sostegno della ipotizzata consorteria erano del tutto esigui e di essi non vi è stata alcuna ‘implementazione’ nei giudizi di merito ove invece è emerso che COGNOME non aveva mai avuto contatti con i presunti associati, fatti salvi i rapporti professionali (e giammai corruttivi) con NOME COGNOME, giudice di pace di Corato.
La mancanza di prova in ordine al vincolo solidale si ricava anche dalla inconsistenza di supporto probatorio agli ipotizzati reati fine di corruzione, affidato esclusivamente alle ‘ elucubrazioni ‘ del maresciallo NOME COGNOME e smentito da due testimoni ammessi a discarico il cui portato dichiarativo è stato, tuttavia, ignorato dai giudici di merito. In particolare, con riferimento al fatto di cui al capo L, ‘non c’è nulla che possa lontanamente integrare il delitto di corruzione’ ; quanto al capo G, co n l’istanza di revisione sono state allegate prove nuove volte a comprovare che COGNOME non aveva mai ricevuto regalie e, anzi, aveva respinto tentativi di induzione all’accoglimento di un ricorso, che le conversazioni intercettate non contengono alcun riferimento, neppure criptico, a dazioni di denaro, che i servizi di osservazione eseguiti e l’esame delle immagini visionate dalla polizia giudiziaria non attestano alcun passaggio di utilità.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Premesso che è consentita la proposizione di richiesta di revisione, ai sensi dell’art. 630, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., della sentenza del giudice di appello che, come nel caso di specie, prosciogliendo l’imputato per l’estinzione del reato dovuta a prescrizione o amnistia, e decidendo sull’impugnazione ai soli effetti delle disposizioni e dei capi concernenti gli interessi civili, abbia confermato la condanna al risarcimento dei danni nei confronti della parte civile (Su n. 6141 del 25/10/2018, COGNOME, Rv. 274627), il ricorso in esame, con il quale si censura la sentenza della Corte di appello che ha rigettato l’istanza di tal fatta proposta da NOME COGNOME, va dichiarato inammissibile.
I due motivi proposti sono esaminabili congiuntamente in quanto entrambi diretti a dolersi della mancata valutazione, da parte della Corte di appello, delle prove ‘ nuove ‘ introdotte con la richiesta di revisione che avrebbero potuto condurre alla esclusione del giudizio di responsabilità e alla conseguente revoca delle statuizioni civili.
Le deduzioni prospettate -per la verità a tratti confuse e prive di consequenzialità- si palesano per un verso generiche, per altro verso addirittura non pertinenti e, comunque, manifestamente infondate perché volte a riproporre anche in questa sede una nuova valutazione di merito, già impropriamente sollecitata con l’istanza di revisione di cui il presente ricorso è una pedissequa riproduzione, in parte anche nel tratto grafico.
Del tutto priva di specificità è la dedotta violazione del l’art 6 CEDU) che risulta semplicemente citata nella intitolazione del primo motivo di ricorso, senza sviluppare, sul punto, alcuna argomentazione.
Analogamente deve dirsi per la prospettata violazione dell’art. 633 cod. proc. pen., anch’essa oggetto di un mero richiamo nella intestazione del secondo motivo di ricorso, senza esplicitare le ragioni poste a sostegno della asserita inosservanza di tale norma che, si badi, disciplina le formalità della richiesta di revisione e che, dunque, non è neppure pertinente al caso di specie.
Quanto al dedotto vizio di motivazione della sentenza impugnata, esso è stato prospettato sotto il triplice profilo della sua mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità, sicchè, già di per sé, si palesa generico.
Va ricordato, al riguardo, il principio, recentemente ribadito da questa Corte nella sua più autorevole composizione, secondo cui ‘ il ricorrente che intenda denunciare contestualmente, con riguardo al medesimo capo o punto della decisione impugnata, i tre vizi della motivazione deducibili in sede di legittimità ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., ha l’onere – sanzionato a pena di a-specificità, e quindi di inammissibilità, del ricorso – di indicare su quale profilo la motivazione asseritamente manchi, in quali parti sia contraddittoria, in quali manifestamente illogica, non potendo attribuirsi al giudice di legittimità la funzione di rielaborare l’impugnazione, al fine di estrarre dal coacervo indifferenziato dei motivi quelli suscettibili di un utile scrutinio, in quanto i motivi aventi ad oggetto tutti i vizi della motivazione sono, per espressa previsione di legge, eterogenei ed incompatibili, quindi non suscettibili di sovrapporsi e cumularsi ‘ (Sezioni Unite n. 29541 del 16/07/2020, NOME, Rv. 280027, in motivazione).
In ogni caso, il ricorrente non si confronta minimamente con la sentenza impugnata (si vedano le pagine da 3 a 6) che ha sviluppato un compiuto apparato argomentativo , tutt’altro che confuso, con puntuale esame e valutazione di tutti
gli elementi introdotti nell’istanza di revisione, a titolo di prove ‘nuove’, senza incorrere in alcuna manifesta illogicità.
Ed invero, la Corte territoriale ha esaminato dettagliatamente, raggruppandole in modo sistematico, tutte le produzioni allegate alla istanza di revisione (allegati da 1 a 34, comprensivi anche degli esiti delle operazioni di intercettazione telefonica ed ambientale, di accertamenti irripetibili e di esami testimoniali assunti nel dibattimento di primo grado) e, all’esito dell’analisi delle sentenze di primo e secondo grado, ha escluso, per ciascuna, il carattere di ‘prova nuova’ trattandosi di atti facenti parte della piattaforma probatoria e, dunque, già valutate dai giudici di merito, anche in rapporto agli elementi difensivi offerti e, prima ancora, scrutinate sotto il profilo della loro utilizzabilità.
Il collegio distrettuale ha anche evidenziato come la richiesta di acquisire le video riprese registrate all’interno dello studio professionale di COGNOME allo scopo di accertare che mai quest’ultimo aveva emesso provvedimenti in pregiudizio del Comune di Bari, costituito parte civile, era da considerarsi inammissibile in quanto prova negativa di un fatto non esistente.
La sentenza ha pertanto motivatamente escluso l’idoneità delle produzioni a scalfire il giudizio di condanna, sottolineando come la richiesta di revisione fosse in realtà diretta ad ottenere semplicemente un terzo giudizio di merito con valutazione.
Il ricorso qui proposto, dal canto suo, non confuta tale compiuto apparato argomentativo, ma sollecita ancora una volta, anche in questa sede, una rivalutazione degli elementi sui quali si è fondata l’affermazione di responsabilità, ormai irrevocabile; lamenta, inoltre, la mancata acquisizione delle videoriprese sopra richiamate assumendo che sarebbero state indispensabili per escludere condotte illecite in danno della costituita parte civile, nonostante non abbia mai prospettato con gli atti di impugnazioni delle sentenze di merito alcuna censura in ordine all’ an delle disposte statuizioni risarcitorie.
Il costrutto motivazionale non è pertanto sindacabile in questa sede posto che la valutazione del carattere di prova nuova e di inidoneità ad inficiare l’accertamento dei fatti posti alla base della sentenza di condanna si sottrae a censure di legittimità, allorchè, come nella specie, sia fondata su una motivazione adeguata ed immune da vizi logici (Sez. 4, n. 41398 del 24/09/2024, Rigano, Rv. 287210; Sez. 5, n. 1969 del 20/11/2020, L., Rv. 280405; Sez.3, n. 39516 del 27/06/2017, D., Rv. 272690).
3. Alla inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali relative al presente grado di giudizio, al versamento della somma di euro tremila in favore
della Cassa delle ammende nonché alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile Comune di Bari, che si liquidano in complessivi euro 3686,00, oltre accessori di legge.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Condanna, inoltre, l’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile Comune di Bari che liquida in complessivi euro 3686, oltre accessori di legge.
Così deciso il giorno 21/05/2025