Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 33784 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 33784 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 02/07/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME nato a GIOIA TAURO il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a RIZZICONI il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a RIZZICONI il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 13/06/2024 della CORTE APPELLO di REGGIO CALABRIA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso proposto in difesa di COGNOME NOME; la inammissibilità per i ricorsi in difesa di COGNOME NOME e COGNOME NOME.
Uditi i difensori, che concludono come segue
LAVV_NOTAIO, difensore di fiducia della parte civile REGIONE CALABRIA, deposita conclusioni e nota spese alle quali si riporta;
l’AVV_NOTAIO NOME COGNOME, difensore di fiducia di RAGIONE_SOCIALE, si riporta ai motivi di ricorso;
l’AVV_NOTAIO COGNOME NOME, difensore di fiducia di RAGIONE_SOCIALE, si riporta ai motivi di ricorso;
l’AVV_NOTAIO NOME COGNOME, difensore di fiducia di COGNOME NOME, si riporta ai motivi di ricorso;
l’AVV_NOTAIO NOME COGNOME, difensore di fiducia di COGNOME NOME, si riporta ai motivi ed insiste per l’accoglimento del ricorso l’AVV_NOTAIO NOME COGNOME difensore di fiducia di COGNOME NOME, si riporta ai motivi ed insiste per l’accoglimento del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
1.Con sentenza del 17 aprile 2018 il Tribunale di Palmi dichiarava -per quanto qui di rilievo:
NOME COGNOME colpevole dei reati contestati ai capi A) (art. 416bis comma secondo, esclusa la circostanza aggravante di cui al comma sesto), e F) (art. 640bis cod. pen.), condannandolo alla pena di giustizia;
NOME COGNOME colpevole dei reati sub A) (art. 416bis comma secondo, esclusa la circostanza aggravante di cui al sesto comma), e sub B) (riqualificato il fatto in violenza privata), condannandolo alla pena di giustizia;
NOME COGNOME colpevole del solo reato sub B) (riqualificato il fatto in violenza privata), condannandolo alla pena di giustizia, assolvendolo dal delitto sub A) (art. 416bis comma primo)
1.1. La Corte di appello di Reggio Calabria, con un prima pronuncia, in parziale riforma della decisione del Tribunale di Palmi, appellata dagli imputati e dal Procuratore della Repubblica:
ha confermato la sentenza impugnata nei confronti di NOME COGNOME, riconosciuto colpevole dei reati di cui ai capi A) e B);
ha rideterminato la pena inflitta a NOME COGNOME in relazione al delitto sub A), dichiarando prescritto quello sub F);
ha dichiarato NOME COGNOME colpevole anche del reato di cui al capo A), riqualificata in concorso esterno l’originaria contestazione di partecipazione ad RAGIONE_SOCIALE mafiosa, e rideterminato la pena.
1.2. Con sentenza n. 36330 del 01/06/2022, la Corte di cassazione -sezione I penale -annullava la predetta sentenza , ritenendo fondata l’eccezione difensiva con la quale NOME e NOME avevano posto il tema della improcedibilità dell’azione penale per il reato associativo di cui al capo A), per essere stati già condannati definitivamente per il medesimo fatto nell’ambito di
altro procedimento c.d. ‘ Toro ‘ , definito con sentenza del 4 marzo 2015, avente riguardo a fatti in parte sovrapponibili a quelli oggetto del nuovo procedimento. Con riguardo a tali posizioni e al trattamento sanzionatorio relativo al reato di cui al capo B), la Corte di cassazione ha, dunque, annullato con rinvio per nuovo giudizio la sentenza in quella sede impugnata.
1.2.1. La medesima sentenza è stata annullata anche in relazione alla posizione di NOME COGNOME: senza rinvio, in relazione alla contestazione di concorso esterno di cui al capo A), perché il fatto non sussiste, e con rinvio per nuovo giudizio in ordine al trattamento sanzionatorio relativo al residuo reato di cui al capo B).
1.3. Con la sentenza impugnata, la Corte di appello di Reggio Calabria, quale giudice del rinvio, in parziale riforma della decisione del Tribunale di Palmi:
ha dichiarato non doversi procedere per precedente giudicato nei confronti di NOME COGNOME e NOME COGNOME per il reato di cui al capo A), limitatamente ai fatti commessi prima del 5 marzo 2015;
ha assolto NOME COGNOME dal reato ascritto al capo A), per la residua parte della contestazione, relativa ai fatti di partecipazione associativa successivi alla predetta data, per non aver commesso il fatto;
ha confermato la condanna di NOME COGNOME per il reato di cui al capo A), limitatamente alla condotta successiva al 4 marzo 2015;
ha rideterminato le pene inflitte per i capi a) e b) quanto a NOME COGNOME, e per il solo delitto sub B) con riguardo a NOME COGNOME e NOME COGNOME.
1.4. Secondo la prospettazione condivisa dai giudici di merito, risulta accertata, principalmente sulla scorta delle conversazioni intercettate, anche su iniziativa del privato COGNOME, e di investigazioni per riscontrarne il contenuto, la perdurante operatività dell’RAGIONE_SOCIALE di tipo ‘ ndranghetistico nota come ‘RAGIONE_SOCIALE‘, la cui esistenza era stata giudiziariamente riconosciuta da plurime sentenze definitive. Si tratta di un gruppo a prevalente base familiare, sviluppatosi intorno alla figura di NOME COGNOME cl. 39 e dei figli NOME e NOME, che ha conseguito un penetrante controllo nel territorio di riferimento (il comune di Rizziconi e le zone limitrofe del versante tirrenico della provincia di Reggio Calabria) grazie alla forza di intimidazione derivante dal vincolo associativo, esercitata sia per condizionare le attività pubbliche, specie quelle gestite dal comune, sia per garantire agli associati con ruoli verticistici lunghi periodi di latitanza.
NOME COGNOME e NOME COGNOME -per quanto qui di rilievo – sono stati ritenuti responsabili, in concorso tra loro (e con NOME COGNOME, non ricorrente), del reato-scopo di cui all’art. 610 cod. pen., contestato al capo B), per avere costretto, mediante violenza e minacce, il consigliere comunale NOME COGNOME a
presentare le dimissioni rivelatesi decisive per lo scioglimento ex lege del Consiglio comunale.
Ricorrono per cassazione gli imputati, con il ministero dei rispettivi difensori di fiducia, proponendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la decisione.
Il ricorso di NOME COGNOME (capi A e B), per il tramite degli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME, è affidato a cinque motivi.
3.1. Violazione degli artt. 627 co. 3 e 649 del codice di rito con riferimento al delitto associativo. Espone la difesa che la sentenza impugnata ha riconosciuto la responsabilità del ricorrente, in ordine al contestato delitto di partecipazione ad RAGIONE_SOCIALE mafiosa con ruolo apicale, disattendendo il mandato proveniente dalla sentenza rescindente, secondo cui, una volta verificata l ‘ identità del fatto sub judice con quello già giudicato, la Corte di appello avrebbe dovuto -in ossequio ai principi declinati dalle Sezioni Unite ‘ Donati ‘ , nella lettura propugnata dalla sentenza rescindente – rilevare e dichiarare la proliferazione artificiosa dei procedimenti censurata dal giudice di legittimità e dichiarare la improcedibilità nei confronti di NOME COGNOME per l’intero arco temporale preso in considerazione dall’imputazione sub A), quale diretta conseguenza della consumazione del potere di azione da parte del Pubblico Ministero che aveva elevato l’accusa per il delitto associativo nel proc edimento ‘ Toro ‘ .
Invece -lamenta la difesa -la sentenza impugnata ha replicato le medesime argomentazioni già censurate nella sentenza rescindente, laddove ha valorizzato in chiave accusatoria la latitanza decennale del COGNOME, protrattasi fino al 2016.
3.2. Erronea applicazione degli artt. 125 comma 3, 192, commi 1 e 2 e 546, comma 2, lett. e), cod. proc. pen., in relazione all’art. 416 -bis cod. pen.
Premette la difesa di NOME COGNOME che l’affermazione di responsabilità confermata dalla sentenza impugnata per il reato associativo, limitatamente alla condotta successiva al 5 marzo 2015 e fino all’8 luglio 2016, si fonda sugli esiti di altri due procedimenti: ‘Spazio di libertà’ e ‘Provvidenza’, essendo stati valorizzati elementi quali la lunga latitanza assicurata al ricorrente da una ben organizzata rete di fiancheggiatori e accoliti, e il rinvenimento, al momento dell’arresto, di numerose armi nel luogo in cui il COGNOME aveva trascorso la latitanza, elementi peraltro già oggetto di censura con il primo ricorso per cassazione. Lamenta, dunque, che la sentenza impugnata non avrebbe dimostrato la persistenza di un rapporto di stabile e organica compenetrazione
del ricorrente nel tessuto organizzativo del sodalizio, tale da implicare un ruolo dinamico e funzionale secondo le coordinate da tempo tratteggiate da autorevoli arresti del giudice di legittimità. In particolare, si osserva che la latitanza rappresenta un mero status , non indicativa di per sé della condotta partecipativa, così come l’esistenza di armi nel covo del latitante o le presunte richieste finalizzate all’acquisto delle armi non sono univocamente indicative della funzionalizzazione delle armi agli scopi dell’RAGIONE_SOCIALE. Anche perché la Corte di appello non si è confrontata con la massima di esperienza secondo cui difficilmente una RAGIONE_SOCIALE detiene le armi presso un luogo non facilmente accessibile, dove si trovano i latitanti, che, peraltro, risulterebbero maggiormente esposti a un più agevole rintraccio. La Corte territoriale non ha indicato il ruolo e le condotte concrete che l’imputato avrebbe compiuto nel periodo oggetto di contestazione, né la finalizzazione all’attuazione del programma criminoso, di fatto ritenendo sufficiente un mero ruolo statico, in spregio a più evoluti approdi giurisprudenziali.
3.3. Violazione di legge e vizi della motivazione con riguardo al ruolo apicale ascritto a NOME COGNOME, atteso che la Corte di appello non ha esplicitato in che RAGIONE_SOCIALE si sarebbe estrinsecato l’esercizio concreto di tale ruolo, omettendo di indicare il contributo fattivo offerto all’RAGIONE_SOCIALE affinché essa esista e operi secondo i parametri della stabilità nel tempo e dell’efficienza in ordine al conseguimento degli obiettivi.
3.4. Vizi della motivazione quanto alla natura armata dell’RAGIONE_SOCIALE, in merito alla quale la Corte territoriale non ha chiarito perché quelle armi debbano aumentare la capacità operativa e la carica intimidatoria della RAGIONE_SOCIALE, peraltro, in assenza di episodi cruenti riferibili nell’attualità al clan. Mancherebbe , dunque, la dimostrazione dell’uso concreto delle armi e del conseguente effetto intimidatorio sulla popolazione.
3.5. Analoghi vizi vengono dedotti con riferimento al trattamento sanzionatorio, lamentando la Difesa che la Corte territoriale si sarebbe immotivatamente distaccata dal minimo edittale, previsto dal reato associativo contestato al COGNOME, senza esplicitarne, come avrebbe dovuto, le ragioni giustificatrici.
Il ricorso di NOME COGNOME ( capo B), affidato agli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME, propone tre motivi.
4.1. Violazione di legge e vizi della motivazione con riguardo al trattamento sanzionatorio, per avere la Corte di appello mal governato principi di diritto consolidati nella determinazione della pena base, omettendo esplicitare argomenti giustificativi di una pena base pari ad anni due di reclusione, a fronte
di un minimo edittale di giorni 15 previsto per il delitto di violenza privata sub B).
4.2. Erronea applicazione dell’art. 627 comma 3, cod. proc. pen., e violazione del divieto di reformatio in pejus di cui all’art. 597 comma 3 del codice di rito. Con la sentenza cassata, la Corte di appello aveva individuato un aumento per il reato satellite di cui al capo B), pari ad anni uno di reclusione, indicato quale misura minima concedibile; la Corte di cassazione ha censurato tale calcolo, rilevando che l’art. 81 cpv. si limita a imporre uno sbarramento massimo di pena irrogabile, senza nulla stabilire in ordine al minimo.
Nel giudizio di rinvio, la Corte di appello ha assolto l’imputato dal delitto associativo, e, dovendo individuare la pena per il residuo reato, già satellite, di cui al capo B), ha considerato quale pena base quella di anni due di reclusione, poi aumentata di un anno per la circostanza aggravante di cui all’art. 416 -bis co. 1 cod. pen., per complessivi anni tre di reclusione, in tal modo individuando una pena che, oltre a essere sproporzionata rispetto alla valutazione del giudice di primo grado e della stessa Corte di appello, che hanno attribuito un disvalore minimo al fatto, si pone in contrasto con il divieto di reformatio in pejus .
4.3. Analoghe considerazioni vengono svolte anche con riguardo all’aumento operato per la aggravante della agevolazione mafiosa, determinato nel massimo edittale (ovvero nella metà della pena base), del tutto immotivatamente.
Il ricorso di NOME COGNOME (capo B), per il tramite dell’AVV_NOTAIO NOME COGNOME, consta di due motivi.
5.1. Violazione di legge e vizi della motivazione con riguardo al trattamento sanzionatorio. La Corte di appello ha malgovernato principi di diritto consolidati nella determinazione della pena base, avendo omesso di esplicitare argomenti giustificativi di una pena base, per il delitto sub B), pari a anni due di reclusione, a fronte di un minimo edittale di giorni 15 per il delitto di violenza privata.
5.2. Analoghe considerazioni vengono svolte anche con riguardo all’aumento operato per la aggravante della agevolazione mafiosa, determinato nel massimo edittale (ovvero nella metà della pena base), del tutto immotivatamente.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi non sono fondati.
1. Ricorso NOME COGNOME.
1.1. Il primo motivo del ricorso di NOME COGNOME non ha pregio, perché omette di confrontarsi con il dictum della sentenza rescindente, che ha rimesso al giudice del rinvio la sola delimitazione temporale del reato associativo, previo
confronto con i fatti per i quali era già intervenuto il precedente giudicato, onde verificare la eventuale duplicazione dell’azione penale per il medesimo fatto.
1.1. Per chiarezza, va ricordato che, nel procedimento c.d. Toro, il delitto associativo era stato inizialmente contestato con l’imputazione aperta elevata esercitando l’azione penale; successivamente, il Pubblico ministero aveva ritenuto di chiudere la contestazione con la indicazione della data di cessazione della condotta al 31 dicembre 2019; con la prima sentenza, la Corte di appello aveva ritenuto che la diversità dell’epoca di consumazione della contestazione elevata nel procedimento c.d. Toro (fino al 31/12/2009), rispetto a quella del presente procedimento (dal 1^ gennaio 2010 all’8 luglio 2016), fosse sufficiente a superare lo sbarramento imposto dall’applicazione del principio del ne bis in idem , nel senso che ciascuna autorità giudiziaria è chiamata a pronunciarsi esclusivamente sul periodo contestato, devoluto alla sua cognizione.
La Corte di cassazione, con la sentenza rescindente, aveva chiarito, invece, che i poteri di cognizione e di decisione del giudice sono definiti dall’imputazione, frutto dell’esercizio dell’azione penale, che avviene in modo irretrattabile, e, nell’ipotesi di reato permanente, con contestazione aperta, la cognizione del giudice copre gli ampi confini temporali dell’imputazione, segnati, in modo irretrattabile, a monte, dalla data di inizio della condotta indicata dal pubblico ministero e, a valle, dalla data di conclusione del giudizio, senza possibilità per il P.M. di ridurre o manipolare la contestazione.
Il principio affermato dalla sentenza rescindente è, infatti, che non è consentito al pubblico ministero, una volta esercitata l’azione penale, delimitare il ” tempus commissi delicti ” del delitto associativo originariamente contestato in forma “aperta”, in quanto ciò determina la sottrazione al vaglio del giudice di una porzione temporale dell’imputazione. ( Sez. 1 n. 36330 del 01/06/2022, Rv. 283625).
Si legge, a pagina 32 della sentenza rescindente, che ‘In accoglimento delle esaminate censure….la sentenza impugnata deve essere annullata in relazione al capo A), con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di appello di Reggio Calabria che, uniformandosi ai richiamati principi di diritto, dovrà verificare, attraverso le necessarie valutazioni di merito, la fondatezza della dedotta violazione del principio di irretroattabilità dell’azione penale’.
Le censure alle quali allude il richiamato passaggio della sentenza di annullamento afferiscono, invero, alle conseguenze del principio di irretroattabilità dell’azione penale, che ‘priva il pubblico ministero del potere di riformulare l’imputazione o eliminando uno dei reati in contestazione ( Sez. 5, n. 8998 del 24/02/2022, COGNOME, Rv. 282861-01) o eliminando la circostanza
aggravante ( Sez. 5 n. 9806 del 13/02/2006, COGNOME, Rv. 234231-01) o eliminando qualunque altro elemento essenziale dell’imputazione (Sez. 2, n.36376 del 23/06/2021, COGNOME, Rv.28201501), cosicchè ‘Il pubblico ministero, una volta esercitata l’azione con l’addebito di un reato associativo in forma aperta, non può manipolare l’imputazione in modo da sottrarre al processo la cognizione di un tratto temporale di condotta contestata; non può ridurre l’arco temporale dell’imputazione perché ciò si risolve nella eliminazione di una parte della contestazione in cui si è sostanziato l’esercizio dell’azione’ spettando, conclusivamente, ‘al giudice del secondo giudizio, ove sia investito della questione, il compito di accertare, mediante opportuno raffronto tra le imputazioni e le condotte accertate in entrambi i giudizi, se il Pubblico ministero abbia contestato, nella sostanza, un fatto, sotto il profilo storico-naturalistico, identico a quello oggetto della pregressa accusa in itinere ritrattata così da generare una proliferazione artificiosa dei procedimenti.’
In sintesi, l’unico tema devoluto al giudice del rinvio era quello della verifica -di merito – della eventuale violazione del principio di irretrattabilità dell’azione penale, se reiteratamente promossa in relazione al medesimo fatto, in spregio a l principio di diritto fissato dalle Sezioni Unite ‘Donati’ , a tenore del quale, nel procedimento eventualmente duplicato dinanzi alla medesima sede giudiziaria, in caso di avvenuto esercizio dell’azione penale, dev’essere rilevata con sentenza la relativa causa di improcedibilità, conseguente alla preclusione determinata dalla consumazione del potere già esercitato dal P.M..
Quanto precede conduce ad affermare, cioè, che non era più in discussione, nel giudizio di rinvio, la persistente operatività della RAGIONE_SOCIALE, in epoca successiva all’arco temporale delimitato dalla sentenza c.d. Toro necessariamente correlato, nell’epilogo, al momento della pronuncia della sentenza di primo grado, trattandosi di contestazione originariamente ‘aperta’ – in quanto tema già affrontato dalla prima sentenza della Corte di appello, la quale, appunto, aveva accertato l’operatività della RAGIONE_SOCIALE dei COGNOME dal gennaio 2010 al luglio 2016.
Il nuovo accertamento giudiziale doveva avere riguardo, e così è stato, -coerentemente con il mandato rescindente – alla definizione del periodo temporale già caduto sotto la cognizione del primo processo c.d. Toro, e, quindi, all’accertamento della responsabilità dell’imputato per la minore porzione, rispetto alla originaria contestazione, della condotta associativa manifestatasi dopo il 5 marzo 2015 e fino all’8 luglio 2016, conformemente al devolutum della sentenza rescindente.
Nell’ambito di tale accertamento, la Corte di appello, in sede di rinvio, ha ritenuto che la condotta associativa, fino al 4 marzo 2015 -data della sentenza
di primo grado emessa nel proc. c.d. Toro -, fosse coperta da giudicato venendo in rilievo condotte identiche sotto il profilo storico -naturalistico a quelle del processo ‘Toro’, e, per tale segmento di condotta, ha assolto l’imputato ai sensi dell’art. 649 cod. proc. pen. per precedente giudicato (negativo).
L ‘identità tra i due fatti, quello giudicato e quello sub judice, è stata, cioè, ravvisata limitatamente al periodo fino al 4 marzo 2015, con conseguente verdetto liberatorio.
Con riguardo al periodo successivo, preso atto del definitivo accertamento della persistente operatività dell’RAGIONE_SOCIALE di cui al capo 1 9, dal 5 marzo 2015 fino all ‘ 8 luglio 2016, affermata nei giudizi di merito, senza censure sul punto del Giudice di legittimità – la Corte di appello ha ritenuto legittimamente esercitata l’azione penale .
Dunque, la sentenza impugnata si è attenuta alle delineate coordinate ermeneutiche: n ell’ambito dell’arco temporale compreso tra il gennaio 2010 e il luglio 2016, la Corte di rinvio -fermo l’accertamento (non raggiunto dall’annullamento) del la persistente operatività del sodalizio nelle conformi (sul punto) sentenze di merito, con decisione coperta dal giudicato, -in aderenza ai richiamati principi, ha operato un distinguo temporale, dichiarando la improcedibilità per precedente giudicato relativamente ai fatti oggetto della sentenza ‘Toro’, cristallizzati fino al marzo 2015; mentre, in relazione al fatto costituito dalla condotta associativa dipanatasi successivamente, dal marzo 2015 al luglio 2016, non ricompresa (né poteva esserlo), nella precedente contestazione, e, quindi, non coperta dal giudicato ‘Toro’, ha , invece, correttamente ritenuto legittimamente esercitata l’azione penale, non riscontrando, per tale porzione temporale, la duplicazione dell’azione penal e.
Alla luce di quanto osservato, ciò che doveva accertarsi è se il fatto contestato nel presente giudizio non potesse essere considerato identico a quello già giudicato nell’accertamento giudiziale di cui alla sentenza c.d. Toro.
A tale quesito la sentenza impugnata ha dato una risposta chiara, affermando la identità dei fatti solo limitatamente alla condotta associativa commessa fino al marzo 2015.
1.2. Quanto agli elementi significativi della persistente partecipazione, con ruolo apicale, di NOME COGNOME al clan (oggetto di censura nei motivi secondo e terzo del ricorso) la sentenza impugnata ha valorizzato due elementi di oggettivo spessore indiziario:
in primo luogo, la lunga, decennale, latitanza del RAGIONE_SOCIALE, stabilmente garantita, come accertato nel procedimento ‘Spazio di libertà’, ‘da una ben organizzata rete di fiancheggiatori ed accoliti, che si erano adoperati
sinergicamente con mezzi e risorse, riuscendo ad assicurare al boss , per un considerevole arco temporale, fino al 29 gennaio 2016 (epoca ricadente nella odierna contestazione), non solo di sottrarsi all’esecuzione di titoli esecutivi, ma soprattutto di mantenere e conservare il comando della RAGIONE_SOCIALE‘ ;
– inoltre, il ritrovamento, nel rifugio del COGNOME, al momento dell’arresto, sia di numerose armi, anche micidiali (come i kalashnikov che l’imputato e ra solito imbracciare di notte, uscendo dal rifugio, negli uliveti, come rivelato dalle intercettazioni nell’ambito del procedimento Provvidenza) , che di ‘ pizzini ‘ , con i quali impartiva direttive anche sulla compravendita di armi.
Quanto al primo profilo, è vero che la latitanza si considera come un mero indizio, che necessita di ulteriori elementi di riscontro, nondimeno, nel caso di specie, trattandosi di latitanza non passiva né solitaria ma organizzata e assistita da altri associati, essa assume una valenza indiziaria grave della partecipazione qualificata al sodalizio mafioso, proprio perché rende conto dei significativi appoggi e di una rete di omertà e protezione saldamente radicata nel territorio controllato (cfr. Sez. 5 n. 2640 del 23/09/2021 (dep. 2022 ) Rv. 28277002 -In motivazione, la Corte ha precisato, altresì, che la latitanza assume un particolare rilievo sintomatico della forza intimidatrice del vincolo associativo, giacché contribuisce a rafforzare la diffusa sensazione di impunità dell’attività della consorteria e di pericolo in chiunque pensi di ostacolare il raggiungimento dei fini associativi).
Allo stesso modo, non può non apprezzarsi l’intrinseca gravità del rinvenimento, nel covo della latitanza dell’imputato, di un vero e proprio arsenale di armi nella sua disponibilità.
Infine, non va obliterato che la Corte di appello ha valorizzato sia il dato costituito dai ‘ pizzini ‘ con i quali NOME COGNOME era solito impartire direttive agli altri sodali, che quello intercettivo, in specie le captazioni che danno conto della considerazione della quale il ricorrente godeva da parte di altri qualificati appartenenti al clan .
La Corte di appello ha, dunque, proceduto a uno specifico scrutinio del ruolo verticistico del COGNOME, con giudizio coerente con le fonti di prove, dovendo chiarirsi che il ruolo apicale qualifica il sodale per il particolare status assunto nell’ambito del sodalizio, la cui prova richiede la dimostrazione del diretto coinvolgimento del soggetto nella gestione del gruppo criminale e nell’adozione di decisioni importanti, nonché il suo potere di condizionamento sull’organizzazione.
Secondo approdi oramai consolidati, quello che rileva, ai fini della partecipazione ad RAGIONE_SOCIALE mafiosa, è che il partecipe sia stabilmente inserito nella struttura organizzativa dell’RAGIONE_SOCIALE, sia riconosciuto dai
compartecipi quale componente della compagine, sia disponibile per specifiche esigenze del caso concreto a prescindere dai singoli reati e per il perseguimento dei comuni fini criminosi. (Cass. Pen., Sez. Un., 27 maggio 2021, COGNOME, n. 36958). Più precisamente, in tema di RAGIONE_SOCIALE di tipo mafioso, la condotta di partecipazione è riferibile a colui che si trovi in rapporto di stabile ed organica compenetrazione con il tessuto organizzativo del sodalizio, tale da implicare, più che uno status di appartenenza, un ruolo dinamico e funzionale, in esplicazione del quale l’interessato prende parte al fenomeno associativo, rimanendo a disposizione per il perseguimento dei comuni fini criminosi.
Gli indicatori fattuali della partecipazione sono desumibili da attendibili regole di esperienza, attinenti propriamente al fenomeno della criminalità di RAGIONE_SOCIALE mafioso, da cui possa logicamente inferirsi l’appartenenza nel senso indicato – tra i quali, esemplificando, i comportamenti tenuti nelle pregresse fasi di ‘osservazione’ e ‘prova’, l’affiliazione rituale, l’investitura della qualifica di ‘uomo d’onore’, la commissione di delitti -scopo, oltre a molteplici, e però significativi facta condudentia -, idonei, senza alcun automatismo probatorio, a dare la sicura dimostrazione della costante permanenza del vincolo, con puntuale riferimento, peraltro, allo specifico periodo temporale considerato dall’imputazione (Sez. U, n. 33748 del 12/07/2005).
E’ parimenti fermo l’orientamento secondo cui le ipotesi dell’art. 416 bis. , primo e secondo comma, cod. pen., sono da riferire a figure criminose strutturalmente differenziate e a carattere tra loro alternativo, che hanno in comune il solo riferimento ad una RAGIONE_SOCIALE di tipo mafioso, cosicchè la condotta di chi promuove, dirige o organizza l’RAGIONE_SOCIALE costituisce fattispecie autonoma di reato e non circostanza aggravante della partecipazione all’RAGIONE_SOCIALE medesima ( cfr. da ultimo Sez. 2 n 31775 del 28/04/2023, Rv. 285001; nonché, Sez. 2, n. 40254 del 12/06/2014, Rv. 260444; Sez. 5, n. 8430 del 17/01/2014, Rv. 258304); con riferimento specifico all’RAGIONE_SOCIALE mafiosa è stato affermato che “capo” è non solo il vertice dell’organizzazione, quando questo esista, ma anche colui che abbia incarichi direttivi e risolutivi nella vita del gruppo criminale e nel suo esplicarsi quotidiano in relazione ai propositi delinquenziali realizzati. ( Sez. 2, n. 19917 del 15/01/2013,Rv. 255915; Sez. 4, n. 29628 del 21/06/2016, Rv. 267464; Sez. 2, n. 7839 del 12/02/2021, Rv. 280890), fermo restando che ciò che è sempre necessario è la verifica dell’effettivo esercizio del ruolo di vertice che lo renda riconoscibile, sia pure sotto l’aspetto sintomatico, sia all’esterno, che nell’ambito del sodalizio, realizzando un effettivo risultato di assoggettamento interno (Sez. 6, n. 40530 del 31/05/2017; Sez. 6, n. 19191 del 07/02/2013).
C iò che conta, quindi, indipendentemente da enunciazioni d’intenti, di generici riconoscimenti di ruoli decisivi, è che le posizioni dirigenziali ed i ruoli apicali risultino in concreto esercitati, riconoscibili e riconosciuti nell’ambito del sodalizio oltre che, se espletati a livello locale, dalle strutture gerarchicamente sovraordinate.
Per quanto ragionevolmente osservato dalla Corte di appello, tale ruolo è risultato ampiamente attestato dagli elementi fattuali poc’anzi richiamati , evidentemente espressivi della posizione verticistica assunta e riconosciuta nell’ambito del clan da NOME COGNOME , coerentemente con l’accusa a suo carico elevata nel capo A).
I giudici del merito hanno puntualmente selezionato i fatti che costituivano indicatori dell’effettivo inserimento, con ruolo verticistico, del ricorrente nella consorteria criminale, in tal senso valorizzando, appunto, quale significativo indice rivelatore della intraneità -ovvero della esistenza di un patto reciprocamente vincolante e produttivo di un’offerta di contribuzione permanente all’RAGIONE_SOCIALE -la capacità di assicurarsi una lunghissima latitanza, potendo contare sull’apporto e l’appoggio dei sodali, e, ai fini della definizione del ruolo verticistico assunto nel contesto associativo, apprezzando la detenzione di armi presso il proprio covo e la distribuzione dei compiti esecutivi tra gli associati, impartendo loro direttive ( Sez. 2 n. 20098 del 03/06/2020, Rv. 27947603). Risulta, dunque, adeguatamente descritto l’ambito e puntualizzato, in modo organico, il contesto ed il ruolo, senza che possa assumere rilevanza la mancata contestazione dei reati-fine. Come è noto, infatti, rispetto all’RAGIONE_SOCIALE, nell’RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE mafioso si attua un’inversione del rapporto tra mezzi e fini: mentre per l’associato comune il compimento dei delitti costituisce il fine dell’associarsi, per l’associato mafioso l’attività delinquenziale rappresenta il mezzo per il perseguimento di un obiettivo più ambizioso, consistente nel controllo stabile di un segmento della vita sociale onde garantirsi l’arricchimento parassitario. Ciò implica la possibilità che alcuni soggetti aderiscano all’RAGIONE_SOCIALE mafiosa non direttamente in vista del compimento dell’attività delinquenziale, bensì soltanto per partecipare alla suddivisione dei profitti ovvero per realizzare una duratura supremazia territoriale su ogni genere di attività (Sez. U, n. 36958 del 27/05/2021, COGNOME, Rv. 281889, in motivazione).
Da qui, l’infondatezza del secondo motivo di ricorso.
1.3. Non ha pregio neppure il quarto motivo, con cui ci si duole dell’immotivato riconoscimento della circostanza aggravante di cui al quarto comma dell’art. 416 -bis cod. pen..
S econdo quanto stabilito nell’esplicito disposto normativo, l’RAGIONE_SOCIALE si considera armata quando i partecipanti hanno la disponibilità, per il conseguimento delle finalità dell’RAGIONE_SOCIALE stessa, di armi o esplosivi, anche se occultati o tenuti in luogo di deposito e anche se concretamente e fisicamente non individuate (Sez. 6, n. 55748 del 14/09/2017, COGNOME, Rv. 271743; Sez. 1, n. 14255 del 14/06/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 269839). Per giurisprudenza largamente prevalente, si tratta di un’aggravante oggettiva (Sez. 5, n. 1703 del 24/10/2013, dep. 2014, Sapienza, Rv. 258956), configurabile a carico di ogni partecipe che sia consapevole del possesso di armi da parte degli associati o lo ignori per colpa; disponibilità desumibile anche dalle risultanze emerse nella pluriennale esperienza storica e giudiziaria, essendo questi elementi da considerare come utili strumenti di interpretazione dei risultati probatori (Sez. 2, Sentenza n. 22899 del 14/12/2022, dep. 2023, Seminara, Rv. 284761; Sez. 2, n. 50714 del 07/11/2019, COGNOME, Rv. 278010; Sez. 6, n. 32373 del04/06/2019, COGNOME, Rv. 276831; Sez. 1, n. 7392 del 12/09/2017, dep. 2018, COGNOME, Rv. 272403; Sez. 2, n. 31541 del 30/05/2017, COGNOME, Rv. 270467). Pertanto, poiché in relazione ad associazioni per RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE mafioso, quali RAGIONE_SOCIALE , la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE , la stabile dotazione di armi è fatto notorio non ignorabile, l’aggravante in questione, una volta accertata la disponibilità di armi, è configurabile in capo ad ogni singolo partecipe al sodalizio ( ex multis , Sez. 6, n. 32373 del 04/06/2019, COGNOME, Rv. 276831; Sez. 5, n. 24437 del 17/01/2019, COGNOME, Rv. 267511, in motivazione; Sez. 6, n. 44667 del 12/05/2016, Camarda, Rv. 268677).
A tali coordinate ermeneutiche si sono attenuti i giudici, nelle due conformi (sul punto) sentenze di merito, le quali hanno chiaramente esplicitato le ragioni del proprio convincimento. In specie, il Giudice di primo grado, a cui si è conformata la sentenza impugnata, ha indicato la esistenza di ‘ plurimi indici fattuali ricavati dal compendio intercettivo in cui i sodali fanno esplicito riferimento non solo alla caratura dell’appellante e alla sua pericolosità ma anche alla particolare capacità di fuoco, ed alla necessità di utilizzarle nell’ambito delle illecite dinamiche proprio del sodalizio ‘, sicchè si è , del tutto correttamente, ritenuta dimostrata sia la riconducibilità delle armi al sodalizio mafioso e agli scopi perseguiti, che la piena consapevolezza in capo a tutti i sodali della presenza di armi.
1.4. Il quinto motivo è manifestamente infondato, dal momento che, come si legge nella sentenza impugnata, la pena inflitta al ricorrente è stata individuata in misura prossima al minimo edittale: la graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti e alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nella discrezionalità del giudice di merito, il
quale, per assolvere al relativo obbligo di motivazione, è sufficiente che dia conto dell’impiego dei criteri di cui all’art. 133 cod. pen. con espressioni del tipo: “pena congrua”, “pena equa” o “congruo aumento”, come pure con il richiamo alla gravità del reato o alla capacità a RAGIONE_SOCIALE, essendo, invece, necessaria una specifica e dettagliata spiegazione del ragionamento seguito soltanto quando la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale (Sez. 2, Sentenza n. 36104 del 27/04/2017, Rv. 271243; Sez. 3 n. 29968 del 22/02/2019, Rv. 276288).
Nel caso di specie, tali parametri risultano osservati anche considerando che la sentenza impugnata ha sensibilmente ridotto la pena individuata dal primo giudice.
Il ricorso di NOME COGNOME -che propone motivi afferenti al trattamento sanzionatorio – non è fondato.
Come premesso, il giudice di primo grado affermò la responsabilità dell’imputato in relazione ai delitti di cui ai capi A e B, decisione integralmente confermata, anche nel trattamento sanzionatorio (anni 19, aumentata ex art 81 cpv cod. pen.: anni 20 di reclusione), dalla prima sentenza della Corte di appello.
Con la sentenza impugnata, la Corte di appello ha assolto l’imputato dal delitto di cui al capo A, e ha rideterminato la pena da infliggere per il solo, residuo, delitto di cui al capo B.
2.1. Non hanno pregio il primo e il terzo motivo, che possono essere trattati congiuntamene, giacchè la sentenza impugnata ha esplicitato le ragioni del discostamento dal minimo edittale facendo riferimento alle ‘ modalità e speciale gravità della condotta accertata (l’aver costretto con minacce il consigliere COGNOME NOME ad abbandonare il suo incarico istituzionale, determinando la decadenza dell’amministrazione comunale guidata dal sindaco COGNOME, allo scopo di avvantaggiare la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE )’. Deve, del resto, ribadirsi che la graduazione della pena rientra nella discrezionalità del giudice di merito, il quale, per assolvere al relativo obbligo di motivazione, è sufficiente che dia conto dell’impiego dei criteri di cui all’art. 133 cod. pen. con espressioni del tipo: “pena congrua”, “pena equa” o “congruo aumento”, come pure con il richiamo alla gravità del reato o alla capacità a RAGIONE_SOCIALE, essendo, invece, necessaria una specifica e dettagliata spiegazione del ragionamento seguito soltanto quando la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale (Sez. 2, Sentenza n. 36104 del 27/04/2017, Rv. 271243; Sez. 3 n. 29968 del 22/02/2019, Rv. 276288), limite, quest’ultimo, neppure superato nel caso di specie.
Compito che, d’altronde, la Corte di appello ha specificamente assolto con riferimento all’aggravamento di pena di cui all’art. 416 -bis .1 cod. pen., per cui la sentenza impugnata ha implicitamente giustificato l’aumento nella misura massima edittale (pari alla metà della pena base individuata per il delitto sub B) sulla base della considerazione che siano state contestate e ravvisate entrambe le circostanze previste nella citata disposizione di legge (metodo mafioso e agevolazione mafiosa): ciò che, evidentemente, ha indotto la Corte di appello, nel proprio insindacabile giudizio di merito (in quanto non afflitto da irragionevolezza) a ritenere la condotta connotata da un indice di gravità estremamente elevato, così da giustificare l’inflizione del massimo aumento previsto dalla legge.
2.2. Non è fondato il secondo motivo che denuncia violazione del divieto di reformatio in pejus.
S econdo l’indirizzo giurisprudenziale che appare ormai consolidato, non viola il divieto di ” reformatio in peius ” previsto dall’art. 597 cod. proc. pen. il giudice dell’impugnazione che, quando muta la struttura del reato continuato (come avviene se la re-giudicanda satellite diviene quella più grave o cambia la qualificazione giuridica di quest’ultima), apporta per uno dei fatti unificati dall’identità del disegno criminoso un aumento maggiore rispetto a quello ritenuto dal primo giudice, pur non irrogando una pena complessivamente maggiore (Sez. Un. n. 16208 del 27/03/2014, C., Rv. 258653; conf. Sez. 2, n. 48538 del 21/10/2022, Rv. 284214).
La pronuncia del Massimo consesso di legittimità ha chiarito i presupposti di operatività e i conseguenti limiti dei principi espressi dalla precedente sentenza delle sezioni unite ‘Morales’ (Sez. U n. 40910 del 27/09/2005, Rv. 232066) – che, ponendosi espressamente in linea con le sentenze Sez. U, n. 4460 del 19/01/1994, COGNOME, Rv. 196894 e Sez. U, n. 5978 del 12/05/1995, COGNOME, Rv. 201034 -hanno ribadito che il divieto di reformatio in peius si riferisce non solo alla pena complessiva, ma anche ai singoli elementi che la compongono. Le Sezioni Unite del 2014 hanno evidenziato, però, che la regola dettata dalla sentenza ‘Morales’ presuppone l’identità dei parametri di raffronto che non sempre sussiste. Identità che, nel caso di cumulo giuridico per il reato continuato, deve riguardare sia la individuazione dei termini che compongono il cumulo sia la determinazione di un certo ordine della sequenza.
In particolare, la sentenza ‘Morales’ ha operato la seguente ricostruzione sistematica:
-l’appello del Pubblico Ministero attribuisce al giudice gli ampi poteri decisori delineati nell’art. 597 comma 2 cod. proc. pen.,
-a norma dell’art. 597 comma 3, invece, ove il gravame sia proposto solo dall’imputato, opera il divieto di reformatio in peius . In tal caso, infatti, il giudice non può irrogare una pena più grave per specie o quantità, né applicare una misura di sicurezza nuova o più grave, prosciogliere l’imputato con formula meno favorevole e revocare benefici, mentre può, in ossequio al tradizionale canone iura novit curia , dare al fatto una qualificazione giuridica diversa e più grave, purché non siano superati i limiti di competenza per materia del giudice di primo grado;
-l’art. 597 comma 4 non solo conferma il divieto di ‘ reformatio in peius’ , ma ne rafforza l’efficacia sotto il profilo del contenuto, stabilendo che, se viene accolto l’appello dell’imputato, relativo a circostanze o a reati concorrenti, anche se unificati dalla continuazione, la pena complessiva irrogata deve essere ‘corrispondentemente’ diminuita.
-la medesima sentenza ‘Morales’ ha osservato che il divieto di ‘ reformatio in peius ‘ investe anche i singoli elementi che compongono la pena complessiva e riguarda non solo il risultato finale di essa, ma tutti gli elementi del calcolo: « la disposizione contenuta nel quarto comma dell’art. 597 individua, come elementi autonomi, pur nell’ambito della pena complessiva, sia gli aumenti o le diminuzioni apportati alla pena base per le circostanze, sia l’aumento conseguente al riconoscimento del vincolo della continuazione, con conseguente obbligo di diminuzione della pena complessiva, in caso di accoglimento dell’appello in ordine alle circostanze o al concorso di reati, anche se unificati per la continuazione ».
In sintesi, il dictum della sentenza ‘Morales’ opera solo nella ipotesi in cui il giudice dell’appello o del rinvio sia chiamato a giudicare della stessa sequenza di reati posti nella medesima relazione, giacché, in tal caso, rinviene adeguata giustificazione la preclusione a non rivedere in termini peggiorativi non soltanto l’esito finale del meccanismo normativo di quantificazione del cumulo, ma anche i singoli parametri di commisurazione di ciascun segmento che compone quel cumulo.
Di contro, quando i parametri di raffronto si modificano, il principio delle Sezioni Unite ‘Morales’ non è più applicabile. Ciò accade non solo nell’ipotesi di mutamento della struttura del reato continuato (cfr. Sez. U, n. 16208 del 2014, cit.; da ultimo negli stessi termini Sez. Sez. 1, n. 26645 del 10/04/2019, NOME COGNOME, Rv. 276196), ma anche, ad esempio, nell’ipotesi di diversa qualificazione giuridica del fatto in termini più favorevoli all’imputato (cfr. Sez. 5, n. 41188 del 10/07/2014, COGNOME, Rv. 261034; Sez. 2, n. 33563 del 14/07/2016, Canzonieri, Rv. 267858; Sez. 5, n. 1281 del 12/11/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 274390).
Calando tali principi nel caso di specie, poichè entra in gioco un mutamento della struttura del reato continuato, il caso trova immediato rispecchiamento nella sentenza delle sezioni Unite n. 16208 del 2014. Pertanto, non può che validarsi l’operato della Corte di appello, dal momento che, mutata la struttura del reato continuato -per cui il reato satellite è divenuto l’unico reato che ha visto la affermazione di responsabilità, ed in relazione al quale è stata individuata ex novo la pena – la Corte di appello non era affatto vincolata dall’entità di pena originariamente individuata dal primo giudice in aumento sulla pena base per il delitto associativo (poi venuto meno a seguito di assoluzione), dovendo essere rispettato solo il limite della entità della pena finale inflitta in primo grado. (cfr. Sez. 2 n. 37092 del 08/07/2021 Rv. 282127).
Infatti, «Se muta uno dei termini (vale a dire, una o più delle re-giudicande cumulate o il relativo bagaglio circostanziale) oppure l’ordine di quella sequenza (la regiudicanda-satellite diviene la più grave o muta la qualificazione giuridica di quella più grave), sarà lo stesso meccanismo di unificazione a subire una ‘novazione’ di carattere strutturale, non permettendo più di sovrapporre la nuova dimensione strutturale a quella oggetto del precedente giudizio, giacché, ove così fosse, si introdurrebbe una regola di invarianza priva di qualsiasi logica giustificazione ….In tali casi, pertanto, l’unico elemento di confronto non può che essere rappresentato dalla pena finale, dal momento che è solo questa che ‘non deve essere superata’ dal giudice del gravame: esattamente come non potrebbe comunque essere superata una pena determinata dal primo giudice in mitius, anche se contra legem ….. Una implicita conferma di quanto sin qui si è osservato la si può desumere anche dalla stessa particolare previsione dettata -come elemento ‘rafforzativo’ del divieto di reformatio in peius dall’art. 597, comma 4, cod. proc. pen. Stabilendosi, infatti, il principio in virtù del quale se è accolto l’appello dell’imputato in relazione a circostanze o reati concorrenti, anche se unificati dalla continuazione, la pena «complessivamente irrogata» è «corrispondentemente diminuita», il legislatore ha preso in considerazione, come termine di riferimento e vincolo per il nuovo giudice, soltanto la pena complessiva e non certo i singoli segmenti – o passaggi di giudizio – che hanno concorso a determinare quella pena; in tal modo, finendo per accreditare la logica che il nuovo giudizio sul punto, conta solo, agli effetti che qui interessano, nel suo approdo conclusivo» (Sez. U n. 16208 del 27/03/2014, C., in motivazione).
3. Il ricorso di NOME COGNOME non è fondato.
I medesimi principi appena ripercorsi con riferimento alla posizione di NOME COGNOME trovano applicazione anche con riferimento a NOME COGNOME.
Anche in tal caso, a seguito dell’annullamento senza rinvio pronunciato dalla Corte di cassazione per il delitto associativo di cui al capo A), è mutata la struttura del reato continuato, rispetto all’oggetto del giudizio della prima Corte di appello, che aveva considerato, ai fini del trattamento sanzionatorio, i capi A) e B), avvinti in continuazione, infliggendo la complessiva pena di anni nove di reclusione.
In particolare, giova considerare che il giudice di primo grado aveva assolto NOME COGNOME dal delitto associativo, condannandolo esclusivamente per il reato di cui al capo B), riqualificato, rispetto alla originaria contestazione di tentata estorsione aggravata ai sensi dell’art. 7 L. n. 203/1991, in violenza privata aggravata dal metodo mafioso e dalla agevolazione della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, per il quale aveva inflitto la pena di anni tre di reclusione.
Con la prima sentenza, la Corte di appello, accogliendo l’appello del Pubblico ministero, aveva pronunciato condanna anche per il capo A), previa riqualificazione del fatto ai sensi degli artt. 110 -416bis cod. pen, rideterminando la pena complessiva in anni nove di reclusione (con aumento per il delitto sub B), di anni uno di reclusione),
A seguito dell’annullamento senza rinvio pronunciato limitatamente al delitto sub A), la sentenza impugnata ha confermato integralmente, con esclusivo riferimento al solo delitto sub B), la condanna inflitta dal primo giudice, anche ribadendo il medesimo trattamento sanzionatorio in quella sede comminato ( anni tre di reclusione).
Facendo applicazione dei richiamati principi di diritto in punto di divieto di reformatio in pejus , correttamente, la Corte di appello, con la sentenza impugnata, ha inflitto una pena contenuta nel limite di quella comminata dal Giudice di primo grado, oltre che in quella complessiva inflitta con la prima sentenza della Corte di appello, poi cassata limitatamente al delitto sub A).
Non è riscontrabile, dunque, la denunciata violazione del divieto di reformatio in pejus .
Al rigetto dei ricorsi segue, ex lege , la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
4.1. Inoltre, tutti i ricorrenti devono essere condannati alla rifusione delle spese, liquidate come in dispositivo, sostenute nel giudizio di legittimità dalla parte civile Regione Calabria, che ha depositato in udienza la memoria con le proprie conclusioni e la nota spese.
4.2. Diversamente, nulla va liquidato in favore della parte civile NOME COGNOME, in applicazione del principio di diritto affermato da Sez. U, n. 27727 del 14/12/2023 Ud. (dep. 11/07/2024 ) Rv. 28658103, a tenore del
quale nel giudizio di cassazione con trattazione orale non va disposta la condanna dell’imputato al rimborso delle spese processuali in favore della parte civile che non sia intervenuta nella discussione in pubblica udienza, ma si sia limitata a formulare la richiesta di condanna mediante il deposito di una memoria in cancelleria con l’allegazione di nota spese.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Condanna, inoltre, gli imputati alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile Regione Calabria che liquida in complessivi euro 3000,00, oltre accessori di legge. Nulla per spese alla parte civile NOME.
Così deciso in Roma, 02 luglio 2025
Il Consigliere estensore
NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME