Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 46021 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 46021 Anno 2024
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 07/11/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: NOME nato a NAPOLI il 04/09/1988 NOME nato a NAPOLI il 01/08/1995 NOME COGNOME nato a NAPOLI il 23/08/1997 COGNOME NOMECOGNOME nato a NAPOLI il 22/01/1994
avverso la sentenza del 05/12/2023 della CORTE APPELLO di NAPOLI
visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi degli imputati a mezzo degli Avv. NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME la quale ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità di tutti i ricorsi.
Ricorso trattato con contraddittorio scritto ai sensi dell’art. 23, comma 8, D.L. n.137/2020 e successivo art. 8 D.L. 198/2022, conv. con modif. I. n. 14/2023.
RITENUTO IN FATTO
COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME Salvatore, a mezzo dei rispettivi difensori di fiducia, ricorrono per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello di Napoli del 1°/06/2023, con cui, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Napoli Nord, è stata rideterminata, ai sensi dell’art. 599-bis cod. proc. pen., la pena inflitta all’imputato COGNOME Stefano e, ai sensi dell’art. 599 cod. proc. pen., a COGNOME NOME e COGNOME NOME, e confermata nel resto la decisione impugnata quanto a NOMECOGNOME
Le difese degli imputati affidano i ricorsi a diversi motivi che, ai sensi dell’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen., saranno enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione.
Il Pubblico Ministero, con requisitoria del 15 ottobre 2024, ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità di tutti i ricorsi.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. COGNOME NOME
Inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 62 n. 1 cod. pen. (con atto di conclusioni del 24/10/2024, la difesa ha insistito per l’accoglimento del ricorso).
Con l’atto di appello la difesa pose a fondamento della richiesta dell’attenuante speciale il fatto che l’imputato invitò il fratello NOME a far emergere la verità ed evitare così il depistaggio delle indagini ed il coinvolgimento di persone innocenti. La stessa sentenza di primo grado, richiamata sul punto da quella impugnata (v. pag. 10), nell’escludere a carico dell’imputato l’aggravante di cui all’art. 61 n. 2 cod. pen., ha sottolineato che «al contrario, egli sin da subito rimproverava il fratello (NOME NOME), in relazione a quella che definiva una “scemità”, invitandolo ad assumersi le proprie responsabilità e ad autoaccusarsi delle azioni delittuose realizzate, anche al fine di evitare il coinvolgimento di terz innocenti».
Ad avviso della difesa il diniego espresso dalla Corte d’appello non solo contrasterebbe con l’aver riconosciuto come particolarmente apprezzabile l’apporto fornito dal ricorrente rispetto all’assunzione di responsabilità da parte del fratello, così impedendo di coinvolgere altri innocenti, ma si porrebbe in contrasto con la corretta interpretazione della disposizione che non richiede affatto il superamento del comune sentire, per come affermato dalla sentenza impugnata, ma soltanto che quel comportamento venga ritenuto apprezzabile e
corrispondente al comune sentire della collettività in un dato momento storico.
Il motivo è manifestamente infondato.
Dalla lettura della sentenza impugnata risulta che la Corte d’appello ha escluso che il reato contestato all’imputato (accesso indebito a dispositivi idonei alla comunicazione da parte di soggetti detenuti, ex art. 391-ter cod. pen., commesso il 15/09/2020) sia ascrivibile a tale unico intento, avendo, al contrario, sottolineato che questi si fosse procurato i telefoni cellulari al fine di soddisfare interess strettamente personali, per come avvalorato dall’attività di indagine atteso che si procurava più cellulari per tenere i contatti con tutti i propri familiari ed amic anche ove questi ultimi fossero, a loro volta, detenuti. La finalità per cui agì l’imputato fu, dunque, quella di tenere i rapporti con altri soggetti oltre ciò che era consentito dal regolamento carcerario e da quello penitenziario. La circostanza, dunque, che nell’ambito dell’uso non consentito abbia anche fatto pressioni sul fratello affinché confessasse e non coinvolgesse ingiustamente terzi, non incentra su di sé l’intero disvalore del fatto elevandosi a motivo scaturente dell’agire illecito con la conseguenza che correttamente ne è stata esclusa la valenza ai fini circostanziali invocati. Di conseguenza il profilo di meritevolezza addotto a sostegno dell’aggravante finisce per essere del tutto recessivo rispetto agli altri, connotati da particolare disvalore, che hanno determinato l’agire dell’imputato. La circostanza attenuante dei motivi di particolare valore morale o sociale ricorre richiede, infatti, sia che i motivi della condotta superino l’enti della morale comune media e che non siano, al contempo, di scarsa rilevanza rispetto alla gravità del reato commesso. (Sez. 1, n. 1715 del 11/01/1995, COGNOME, Rv. 201418 – 01; Sez. 1, n. 11236 del 27/11/2008, dep. 2009, COGNOME, Rv. 243220 – 01). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
E tanto a prescindere dal rilievo che debba assegnarsi al comportamento volto ad orientare le scelte processuali di un terzo – quale prospettata condotta integrante l’attenuante comune – che, seppure posto in essere da un detenuto, non appare di per sé idoneo a porsi quale indice sintomatico di una condotta di “particolare” valore morale o sociale che vada al di là di quello che una società fondata sul rispetto delle regole e sulla liceità diffusa dei comportamenti esige.
2. COGNOME NOME
Violazione di legge in relazione all’art. 129 cod. proc. pen.
Il motivo non è consentito in sede di legittimità.
Questa Corte ha infatti precisato che, a seguito della reintroduzione del c.d. patteggiamento in appello ad opera dell’art. 1, comma 56, I. n. 103 del 2017, il
giudice di secondo grado, nell’accogliere la richiesta formulata a norma del nuovo art. 599-bis cod. proc. pen., non deve motivare sul mancato proscioglimento dell’imputato per una delle cause previste dall’art. 129 cod. proc. pen., né sull’insussistenza di cause di nullità assoluta o di inutilizzabilità delle prove, quanto, a causa dell’effetto devolutivo proprio dell’impugnazione, una volta che l’imputato abbia rinunciato ai motivi di appello, la cognizione del giudice è limitata ai motivi non oggetto di rinuncia. (In applicazione del principio, la Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso per cassazione proposto avverso la sentenza ex art. 599-bis cod. proc. pen., con cui l’imputato deduceva la mancanza di motivazione sulle condizioni di cui all’art. 129 cod. proc. pen.; Sez. 5, n. 15505 del 19/03/2018, Casero, Rv. 272853; Sez. 2, n. 30990 del 1/06/2018, Gueli, Rv. 272969). E tanto a prescindere nel caso in esame della presenza di una motivazione che, nel richiamare gli esiti della sentenza di condanna di primo grado, da conto degli elementi che escludono la ricorrenza di una delle ipotesi di proscioglimento di cui all’art. 129 cod. proc. pen.
3. Sacchettino NOME
Violazione dell’art. 99 cod. pen., avendo la Corte di merito inflitto un aumento per la recidiva superiore a quello comminato dal giudice di primo grado, in assenza di impugnazione sul punto del pubblico ministero.
Il motivo è fondato.
Dall’esame della motivazione della sentenza di primo grado risulta che:
il Tribunale, dopo avere stabilito la pena base di anni sei di reclusione ed euro 4.000,00 di multa in relazione al reato più grave di rapina di cui al capo 5) della rubrica (ritenendo che il concorso di tutte le circostanze indicate nel n. 1 dell’art. 628, comma 3, cod. pen. desse luogo ad un concorso circostanziale di cui al comma 4, punito più gravemente), ha aumentato la pena per effetto del riconoscimento della recidiva (secondo la regola dettata dall’art. 63, comma 4, cod. pen.), ad anni nove di reclusione ed euro 6.000,00 di multa (incorrendo quindi nella violazione dell’art. 63, comma 4, cod. pen., che consente al giudice di apportare un aumento massimo sino ad 1/3); ha poi apportato ulteriori aumenti per la continuazione con i reati di cui ai capi 6), 7), 8) e 10) per anni due di reclusione ed euro 3.000,00 di multa (così pervenendo ad una pena di anni undici di reclusione edeuro9.000,00 di multa), ridotta poi per il rito abbreviato ad anni sette mesi quattro di reclusione ed euro 6.000,00 di multa;
la Corte d’appello ha rideterminato la pena complessivamente inflitta all’imputato in anni sette di reclusione ed euro 6.000,00 di multa, evidenziando
l’errore che avrebbe commesso il primo giudice nello stabilire la pena base sul quarto comma anziché sul terzo dell’art. 628 cod. pen.; ha quindi stabilito la pena base in anni cinque di reclusione ed euro 4.000,00 di multa; ha poi altresì rilevato l’ulteriore errore in cui sarebbe caduto il primo giudice nell’aver operato un aumento per la recidiva pari alla metà anziché 2/3; ha quindi aumentato la pena per effetto della recidiva qualificata di 2/3 sino a giungere ad anni otto e mesi quattro di reclusione ed euro 7.000,00 di multa; ha poi operato un ulteriore aumento ai sensi dell’art. 63, comma 4, cod. pen., per le ulteriori aggravanti contestate di minore gravità rispetto alla recidiva per un totale di mesi due di reclusione ed euro 2.000,00 di multa; ha inflitto a titolo di continuazione lo stesso aumento del primo giudice quanto alla reclusione (due anni) e leggermente inferiore quanto alla multa (duemila anziché tremila euro).
Tanto premesso, Osserva il Collegio che la Corte di legittimità ha precisato che ai fini di pena, in caso di rapina aggravata da tutte e tre le circostanze di cui al n. 1 del terzo comma dell’art. 628 cod. pen., si è al cospetto di un’aggravante unitaria (Sez. 2, n. 41004 del 06/07/2011, COGNOME, Rv. 251372 – 01).
Si è, altresì, stabilito che, nel concorso tra le aggravanti di cui all’art. 62 comma 3, n. 1 cod. pen. e la recidiva specifica reiterata ed infraquinquennale (art. 99, comma quarto, cod. pen.), la circostanza più grave, ex art. 63, comma 4, cod. pen., va identificata in quella prevista dall’art. 628, comma terzo, n. 1 cod. pen. che, rispetto alla recidiva obbligatoria ex art. 99, comma 5, cod. pen., comporta una pena più alta nel massimo (Sez. U, n. 20798 del 24/02/2011, Indelicato, Rv. 249664 – 01, in motivazione pag. 17).
Infine, si è affermato che, GLYPH nel giudizio di appello, il divieto di “reformatio in peius” della sentenza impugnata dall’imputato non riguarda solo l’entità complessiva della pena, ma tutti gli elementi autonomi che concorrono alla sua determinazione, talché il giudice di appello non può modificare l’entità della componente intermedia inerente all’aumento per la recidiva rispetto a quanto statuito in primo grado (Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, Marigliano, Rv. 279549 – 01).
Non avendo la sentenza impugnata fatto buon governo dei principi sopra affermati e incidendo la questione sulla corretta determinazione dell’aumento da operarsi a titolo di recidiva sulla corretta determinazione del complessivo trattamento sanzionatorio, la sentenza impugnata deve essere sul punto annullata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Napoli.
4. NOME
6.1. Violazione degli artt. 125, comma 3, 546, comma 1, cod. proc. pen. e 62-bis e 133 cod. pen.
Si censura la sentenza impugnata nella parte in cui non ha provveduto sul quarto motivo di appello – inerente alla richiesta di esclusione della recidiva e di concessione delle attenuanti generiche, sull’errato rilievo che l’imputato avesse rinunziato a tutti i motivi di appello.
Il motivo è fondato.
Dalla lettura della sentenza impugnata risulta che la Corte di appello, pur dando atto che la difesa dell’imputato aveva rinunziato al primo e al secondo motivo di appello, ha limitato il suo esame al terzo (relativo al profil dell’assorbimento nel delitto di rapina di cui al capo 3 della rubrica della ricettazione del motociclo che ne aveva costituito oggetto e in relazione al quale l’imputato aveva riportato in altro giudizio condanna irrevocabile), omettendo di scrutinare il quarto con cui si era chiesta la «riduzione della pena inflitt calcolandola nel minimo edittale, con esclusione della contestata recidiva e la concessione delle circostanze attenuanti generiche nella massima estensione» (v. ultima pagina dei motivi di appello).
6.2. Violazione dell’art. 581 cod. proc. pen., nella parte in cui la Corte di appello aveva escluso la possibilità di ritenere assorbita nel delitto di rapina la ricettazione del motociclo che ne aveva costituito oggetto (e in relazione al quale l’imputato aveva riportato in altro giudizio condanna irrevocabile). Sebbene la Corte d’appello avesse correttamente affermato che la pena per la ricettazione dovesse essere assorbita nella rapina, costituendo tale ultimo reato il presupposto della ricettazione (e, dunque, risultandone autore sempre lo stesso imputato), aveva errato nell’escludere che a quel risultato potesse pervenire lo stesso giudice dell’impugnazione stante la natura irrevocabile della sentenza di condanna per ricettazione, rimuovibile soltanto con lo strumento processuale della revisione.
Il motivo non è consentito in sede di legittimità e, comunque, è manifestamente infondato.
Anzitutto, la censura è meramente riproduttiva di profili già adeguatamente vagliati e disattesi con corretti argomenti giuridici dalla sentenza impugnata con cui il ricorrente omette di confrontarsi.
Inoltre, va evidenziato che il giudice della cognizione, sia esso pure quello di appello, può incidere sul giudicato formatosi in altro giudizio allorché i fatti i giudicati siano stati ritenuti avvinti dal vincolo della continuazione e debba, quindi, procedere alla rideterminazione della pena e degli effetti conseguenti alla
condanna unitariamente inflitta per il reato continuato, ma non può porre nel nulla gli effetti di altra decisione irrevocabile allorché questa non sia destinata ad incidere sulle statuizioni che la legga processuale demanda al giudice della cognizione. Nel caso in esame, infatti, all’invocato assorbimento si sarebbe potuti giungere soltanto qualora la Corte d’appello avesse ritenuto la rapina in continuazione anche con i reati di resistenza ed evasione che l’imputato commise allorché a distanza di sette giorni fu sorpreso dai carabinieri a bordo del ciclomotore che aveva costituito oggetto della precedente rapina. In tal caso, infatti, nella rideterminazione della pena la Corte di merito avrebbe dovuto escludere l’aumento ex art. 81 cod. pen. dovuto alla concorrente condanna per la ricettazione.
Ma avendo la sentenza impugnata motivatamente escluso la ricorrenza del medesimo disegno criminoso, la Corte d’appello non poteva incidere su un profilo di giudicato che non assumeva alcun rilievo ai fini del trattamento sanzionatorio da infliggere nel presente giudizio e che si poneva al di fuori dell’ambito di cognizione attribuito a tale giudice.
Correttamente, dunque, si è indicata la strada della revisione, in quanto l’affermazione nel presente giudizio della responsabilità dell’imputato in ordine alla rapina del ciclomotore può ben assumere rilevo quale nuova prova sopravvenuta che dimostri che il condannato deve essere prosciolto per la ricettazione a norma dell’art. 530 cod. proc. pen.
5. In conclusione:
– va annullata la sentenza impugnata nei confronti di COGNOME NOME e COGNOME Salvatore limitatamente al trattamento sanzionatorio, con rinvio per nuovo giudizio sul punto a diversa sezione della Corte di appello di Napoli, dichiarandosi inammissibile nel resto il ricorso di COGNOME NOME ed irrevocabile l’affermazione di responsabilità degli imputati (stante la rinuncia ai motivi di appello spiegati a riguardo dalle difese, v. quanto al COGNOME le pagg. 14 e 15 della motivazione della sentenza impugnata e quanto al Vitale la pag. 12, così individuate dal Collegio in assenza di numerazione da parte della Corte di merito);
– vanno dichiarati inammissibili i ricorsi di COGNOME NOME e COGNOME NOMECOGNOME condannandosi i ricorrenti, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese processuali, nonché – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di COGNOME NOME e COGNOME NOME limitatamente al trattamento sanzionatorio e rinvia per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di appello di Napoli. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso di NOME Dichiara irrevocabile l’affermazione di responsabilità eine confronti di COGNOME e COGNOME.
Dichiara inammissibili i ricorsi di COGNOME NOME e COGNOME NOME che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso, il 7 novembre 2024.