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Reddito di cittadinanza: l’ignoranza non scusa

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di una cittadina condannata per false dichiarazioni relative al reddito di cittadinanza. La ricorrente sosteneva di aver agito in buona fede a causa della sua scarsa istruzione, ma la Corte ha ribadito che l’ignoranza della legge penale non è una scusante. Inoltre, ha chiarito che l’abrogazione della normativa sul reddito di cittadinanza non cancella i reati commessi in precedenza.

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Pubblicato il 22 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Reddito di cittadinanza: l’ignoranza della legge non è mai una scusa

La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, ha riaffermato un principio fondamentale del nostro ordinamento: l’ignoranza della legge penale non scusa, neanche in contesti complessi come la normativa sul reddito di cittadinanza. La decisione chiarisce che la scarsa istruzione o la presunta difficoltà di comprensione delle norme non possono giustificare omissioni che integrano un reato. Questo caso offre spunti cruciali sulla responsabilità individuale nell’accesso ai benefici statali.

I Fatti di Causa

Il caso esaminato dalla Suprema Corte riguarda una cittadina che aveva presentato ricorso contro una sentenza di condanna della Corte d’Appello. L’imputazione era legata alla mancata comunicazione di un’informazione rilevante ai fini della percezione del reddito di cittadinanza: la detenzione di un membro del proprio nucleo familiare. Tale omissione, secondo l’accusa, aveva portato a un’erogazione indebita del sussidio.

La difesa della ricorrente si basava su due argomenti principali:
1. L’insussistenza dell’elemento psicologico (dolo): Si sosteneva che l’omissione fosse dovuta a un’ignoranza inevitabile della legge, aggravata dalla misera condizione di istruzione della donna. In pratica, la difesa invocava una sorta di buona fede derivante dall’incapacità di comprendere appieno gli obblighi di comunicazione.
2. L’abrogazione della disciplina: Con la fine del reddito di cittadinanza, si argomentava che il fatto non dovesse più essere considerato penalmente rilevante, in applicazione del principio della legge più favorevole (lex mitior).

La Decisione della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha respinto integralmente il ricorso, dichiarandolo inammissibile per manifesta infondatezza. Gli Ermellini hanno smontato entrambe le tesi difensive, confermando la linea dura della giurisprudenza in materia di frodi ai danni dello Stato.

Le motivazioni sulla (non) scusabilità dell’ignoranza nel reddito di cittadinanza

La Corte ha chiarito che l’errore sulla legge penale, ai sensi dell’art. 5 del codice penale, non esclude il dolo. L’ignoranza può essere considerata scusabile solo in casi eccezionali di “inevitabilità”, ad esempio quando la normativa è estremamente oscura o contraddittoria. Questo, secondo i giudici, non era il caso della disciplina del reddito di cittadinanza.

L’obbligo di comunicare la detenzione di un familiare è stato ritenuto intuitivo, poiché il beneficio economico è direttamente correlato al numero e alla condizione dei componenti del nucleo familiare. La variazione di un elemento così essenziale doveva essere prontamente comunicata. La Corte ha inoltre sottolineato l’esistenza di strutture di supporto (come patronati e CAF) riconosciute dallo Stato, a cui i cittadini possono rivolgersi per compilare correttamente le domande e comprendere i propri obblighi, superando eventuali difficoltà personali.

L’abrogazione del reddito di cittadinanza non cancella i reati

Anche il secondo motivo di ricorso è stato giudicato infondato. La Corte ha spiegato che la legge che ha disposto l’abrogazione del reddito di cittadinanza (L. 197/2022) ha inserito una clausola di salvaguardia. Questa clausola stabilisce esplicitamente che le sanzioni penali continuano ad applicarsi per tutti i reati commessi fino all’ultimo giorno di vigenza della vecchia normativa.

Questa è una deroga legittima e ragionevole al principio della lex mitior. La sua finalità è quella di garantire la tutela penale contro l’indebita erogazione di fondi pubblici per tutto il periodo in cui il beneficio è stato attivo. La soppressione del sussidio, infatti, è stata coordinata con l’introduzione di nuove misure e di una nuova fattispecie di reato (art. 8 d.l. 48/2023) per i futuri benefici, assicurando una continuità nella protezione degli interessi erariali.

Conclusioni

L’ordinanza in commento consolida un orientamento giurisprudenziale molto chiaro: la responsabilità nella gestione dei benefici pubblici è personale e non delegabile. La scarsa istruzione o la complessità della burocrazia non costituiscono un alibi per omettere informazioni dovute. La Corte di Cassazione ribadisce che chi richiede un aiuto statale ha il dovere di informarsi diligentemente sui propri obblighi. Infine, viene confermato che la fine di una misura di sostegno non comporta un’automatica sanatoria per chi, in passato, ne ha approfittato illecitamente. La tutela delle risorse pubbliche prevale, e le conseguenze penali per le condotte fraudolente restano pienamente efficaci.

La scarsa istruzione può giustificare l’omessa comunicazione di informazioni per il reddito di cittadinanza?
No, la Corte ha stabilito che l’ignoranza della legge penale non è scusabile, soprattutto quando l’obbligo di comunicazione (come la detenzione di un familiare) è intuitivo e la normativa non è particolarmente complessa.

L’abrogazione della legge sul reddito di cittadinanza ha cancellato i reati commessi in precedenza?
No, la legge che ha abrogato il beneficio ha specificamente previsto che le sanzioni penali continuino ad applicarsi per i fatti commessi prima della sua entrata in vigore, derogando al principio della legge più favorevole (lex mitior).

Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Perché è stato ritenuto manifestamente infondato. Le argomentazioni della ricorrente (ignoranza scusabile e effetto dell’abrogazione) erano in contrasto con la normativa e la consolidata giurisprudenza della Corte di Cassazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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