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Reddito di cittadinanza: false dichiarazioni e reato

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 8063/2025, ha stabilito che le false dichiarazioni per ottenere il reddito di cittadinanza restano un reato anche dopo l’abrogazione della normativa specifica. Il caso riguardava una ricorrente condannata per aver falsamente attestato l’assenza di condanne penali. La Corte ha rigettato il ricorso, spiegando che non si tratta di ‘abolitio criminis’, ma di una successione di leggi penali, poiché la condotta è ora punita dalla nuova normativa sull’assegno di inclusione.

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Pubblicato il 13 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Reddito di Cittadinanza: le False Dichiarazioni Restano Reato

Con una recente sentenza, la Corte di Cassazione è intervenuta su una questione cruciale legata al reddito di cittadinanza e alle conseguenze penali per chi rilascia dichiarazioni false al fine di ottenerlo. La pronuncia chiarisce che, nonostante l’abrogazione della normativa originaria, la condotta illecita resta punibile, non configurandosi un’ipotesi di abolitio criminis.

I Fatti di Causa

Il caso esaminato dalla Suprema Corte riguarda una persona condannata in primo e secondo grado per aver indebitamente percepito il reddito di cittadinanza. Nello specifico, la richiedente aveva falsamente attestato, nella domanda per ottenere il beneficio, di non avere a carico condanne penali definitive negli ultimi dieci anni, requisito ostativo previsto dalla legge. A seguito di questa falsa dichiarazione, aveva incassato una somma complessiva di oltre 14.000 euro.

La difesa della ricorrente ha basato il proprio appello in Cassazione su un punto apparentemente solido: la legge che istituiva il reato (art. 7 del d.l. n. 4/2019) era stata formalmente abrogata dalla legge di bilancio 2023 (legge n. 197/2022). Secondo la difesa, tale abrogazione avrebbe dovuto comportare l’assoluzione perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato.

La Successione di Leggi e il Reddito di Cittadinanza

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, ritenendolo manifestamente infondato e fornendo un’importante lezione sulla differenza tra abolitio criminis e successione di leggi penali nel tempo. I giudici hanno spiegato che la formale abrogazione della norma incriminatrice relativa al reddito di cittadinanza non ha creato un vuoto normativo.

Infatti, la soppressione del beneficio è avvenuta contestualmente all’introduzione di una nuova misura di sostegno, l’assegno di inclusione. Parallelamente, è stata introdotta una nuova norma penale (art. 8 del d.l. n. 48/2023) che punisce le medesime condotte di falsa dichiarazione per ottenere il nuovo beneficio. La struttura della nuova norma è del tutto sovrapponibile a quella precedente.

Le Motivazioni della Cassazione

Il nucleo della decisione risiede nel principio di continuità normativa. La Corte ha stabilito che non ci troviamo di fronte a una vera e propria abolizione del reato. Il legislatore non ha deciso che la falsa dichiarazione per ottenere aiuti statali non debba più essere punita; al contrario, ha semplicemente trasferito la tutela penale dalla vecchia alla nuova misura di sostegno. Questo fenomeno giuridico è noto come “successione di leggi penali nel tempo” (art. 2, comma 3, c.p.) e non come “abolitio criminis” (art. 2, comma 2, c.p.).

Inoltre, la stessa legge che ha abrogato la norma sul reddito di cittadinanza ha previsto una clausola di salvaguardia, specificando che le sanzioni penali continuano ad applicarsi per i fatti commessi fino al termine di efficacia della disciplina (31 dicembre 2023). Questa è una deroga esplicita al principio della retroattività della legge più favorevole (lex mitior), giustificata dalla necessità di non lasciare impunite le condotte fraudolente commesse sotto la vigenza della vecchia legge.

Conclusioni

La sentenza della Cassazione conferma un orientamento giuridico rigoroso: chi ha commesso il reato di indebita percezione del reddito di cittadinanza tramite false dichiarazioni non può sperare nell’impunità a seguito delle recenti riforme legislative. La condotta era e rimane un illecito penale. La decisione sottolinea la volontà del legislatore di garantire una tutela penale continua ai fondi pubblici destinati alle misure di sostegno al reddito, assicurando che il passaggio da un sistema all’altro non crei zone franche per i comportamenti fraudolenti. Il ricorso è stato quindi dichiarato inammissibile, con condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle Ammende.

Chi ha percepito indebitamente il reddito di cittadinanza mentendo su precedenti penali può essere assolto perché la legge è stata abrogata?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che non si tratta di un’abolizione del reato (abolitio criminis), ma di una successione di leggi penali. La condotta illecita resta punibile in virtù della continuità normativa tra la vecchia e la nuova disciplina sui sussidi statali.

Qual è la differenza tra abrogazione di un reato e successione di leggi penali nel caso specifico?
L’abrogazione del reato (abolitio criminis) si verifica quando il legislatore decide che una certa condotta non deve più essere considerata un crimine, con effetto retroattivo. La successione di leggi, come in questo caso, avviene quando una norma viene sostituita da un’altra che continua a punire la stessa condotta, garantendo la continuità della tutela penale.

L’abrogazione della norma sul reddito di cittadinanza ha effetto retroattivo sui reati commessi in passato?
No. La legge che ha disposto l’abrogazione (legge n. 197/2022) ha esplicitamente previsto che le sanzioni penali continuino ad applicarsi per tutti i fatti commessi fino al termine di efficacia della disciplina, derogando così al principio generale della retroattività della legge più favorevole.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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