Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 8063 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 8063 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 24/10/2024
SENTENZA
sul ricorso di COGNOME NOMECOGNOME nata a Taranto il 01/02/1960, distaccata di Taranto, avverso la sentenza in data 23/10/2023 della Corte di appello di Lecce, sezione visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso; udita per l’imputata l’avv. NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso
RITENUTO IN FATTO
1.Con sentenza in data 23 ottobre 2023 la Corte di appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, ha confermato la sentenza in data 13 gennaio 2023 del G.u.p. del Tribunale di Taranto che aveva condannato NOME COGNOME alle pene di legge per il reato dell’art. 81 cpv., art. 7, comma 1, in relazione all’art. 3 d.l. 2 gennaio 2019, n. 4, anni 2019 e 2020.
La ricorrente invoca con il primo motivo l’assoluzione perché il fatto non è previsto dalla legge come reato, in virtù dell’abrogazione da parte della legge
. GLYPH 197 del 2022, e sostiene con il secondo l’applicazione retroattiva della legge anche nel periodo di vacatio legis.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è manifestamente infondato.
E’ pacifico che l’imputata, al fine di percepire indebitamente il reddito di cittadinanza, ha attestato falsamente di essere in possesso dei requisiti dell’art. 2, comma 1, lett. c-bis), e in particolare di non aver avuto condanne definitive per uno dei reati dell’art. 7, comma 3, d.l. 28 gennaio 2019, n. 4, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 marzo 2019, n. 26, intervenute nei dieci anni precedenti la richiesta, così percependo indebitamente la somma complessiva di euro 14.494,30.
L’abrogazione del delitto di cui all’art. 7 citato, disposta ai sensi dell’art. 1, comma 318, legge 29 dicembre 2022, n. 197, ha efficacia a partire dal primo gennaio 2024 e non travolge i delitti precedentemente commessi. La novella, nel far salva l’applicazione delle sanzioni penali per i fatti commessi sino al termine finale di efficacia della relativa disciplina, deroga al principio di retroattività de lex mitior, ma tale deroga, in quanto sorretta da una plausibile giustificazione, non presenta profili di irragionevolezza, assicurando la tutela penale all’indebita erogazione del reddito di cittadinanza sin tanto che sarà possibile continuare a fruire di detto beneficio, posto che la sua prevista soppressione si coordina cronologicamente con la nuova incriminazione di cui all’art. 8 d.l. 4 maggio 2023, n. 48, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 luglio 2023, n. 85, riferita agli analoghi benefici per il futuro introdotti in sostituzione del reddito di cittadinanza. In altri termini, la formale abrogazione dell’indicata norma incriminatrice non integra un’ipotesi di “abolitio criminis”, di cui all’art. 2, comma secondo, cod. pen., ma dà luogo a un fenomeno di successione di leggi penali nel tempo, inquadrabile nel disposto di cui all’art. 2, comma terzo, cod. pen., avuto riguardo alla corrispondente incriminazione introdotta dall’art. 8 del d.l. citato, del tutto sovrapponibile e riferita al reddito di inclusione in sostituzione di quello di cittadinanza (tra le più recenti, Sez. 3, n. 7541 del 24/01/2024, COGNOME, Rv. 285964 – 01, conforme a Sez. U, n. 49686 del 13/07/2023, Giudice, pag. 8, non massimata sul punto). Le Sezioni Unite citate hanno anche precisato che il reato sussiste tutte le volte che le omesse o le false indicazioni di informazioni contenute nell’autodichiarazione finalizzata a conseguire il reddito di cittadinanza sono funzionali a ottenere un beneficio non spettante ovvero spettante in misura superiore a quella di legge (Sez. U, n. 49686 del 13/07/2023, Giudice, Rv. NUMERO_DOCUMENTO). E nel caso in esame è pacifico che il beneficio è stato conseguito grazie alla falsa attestazione di non aver avuto precedenti condanne ostative. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per l ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spe procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in dat 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il rico sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa inammissibilità”, si dispone che la ricorrente versi la somma, determinata, ragione della consistenza della causa di inammissibilità del ricorso, in equitativa, di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spes processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende Così deciso, il 24 ottobre 2024
Il Consigliere estensore